• Non ci sono risultati.

THE PROFESSIONAL LIABILITY OF THE PARTY TECHNICAL CONSULTANT IN THE CIVIL TRIAL LA RESPONSABILITÀ PROFESSIONALE DEL CONSULENTE TECNICO DI PARTE

N/A
N/A
Protected

Academic year: 2022

Condividi "THE PROFESSIONAL LIABILITY OF THE PARTY TECHNICAL CONSULTANT IN THE CIVIL TRIAL LA RESPONSABILITÀ PROFESSIONALE DEL CONSULENTE TECNICO DI PARTE"

Copied!
29
0
0

Testo completo

(1)

TAGETE 3-2009 Year XV

291

THE PROFESSIONAL LIABILITY OF THE PARTY TECHNICAL CONSULTANT IN THE CIVIL TRIAL

LA RESPONSABILITÀ PROFESSIONALE DEL CONSULENTE TECNICO DI PARTE

Dr. Francesca Zangari*

ABSTRACT

Il consulente tecnico di parte (CTP), al pari dell’avvocato, concorre relativamente alle proprie competenze, alla determinazione dei molteplici profili che compongono la linea difensiva dell’assistito.

Nello svolgere l’accertamento tecnico il professionista deve sempre avere presente quale sia il rapporto tra il problema tecnico da discutere e le disposizioni di legge inerenti il caso specifico, nella consapevolezza che il suo parere sarà posto a fondamento di una richiesta risarcitoria che sarà proposta, gestita e definita su tali basi. Risulta, pertanto, imperativo che la relazione si dimostri adeguatamente documentata ed oggettivamente dimostrabile a chiunque, elaborata su criteri medico legali comprovabili a posteriori.

L’attività del consulente, al pari di ogni professione intellettuale, qualora si fondi su comportamenti contrari agli obblighi dell’incarico ricevuto, non è esente da profili di responsabilità, che possono riguardare aspetti giudiziari od anche puramente e semplicemente, ma non per questo meno rilevanti, aspetti deontologici.

PAROLE CHIAVE: responsabilità professionale; consulente tecnico di parte; odontologia forense.

---

The party technical consultant, as the legal adviser, establishes the outlines that settle the defence line of the party according to his own competence.

During the expert investigation, the professional have to remind always what is the technical question and its provision of the law, being conscious that the claim for damages will be founded on his conclusions. Therefore, it is essential that his report is well-documented, objectively demonstrable to anyone, worked out according to forensic medical principles provable a posteriori.

As every intellectual profession, the expert consultant’s activity is not free from assumptions of liability, concerning both judicial and deontological aspects, if it is based on behaviours opposed to the obligations of the taken task.

KEY WORDS: professional liability; party expert consultant; forensic odontology

* Odontoiatra Libero Professionista Master in Odontologia Forense

Consulente Tecnico e Perito del Giudice - Tribunale di Ravenna

(2)

TAGETE 3-2009 Year XV

292 INTRODUZIONE

Il consulente tecnico di parte (CTP) è un professionista, di regola operante in un determinato campo tecnico/scientifico, al quale una parte in causa, attuale o potenziale, conferisce un incarico peritale in quanto ritiene l’incaricato esperto in uno specifico settore.

L’attività di consulenza rientra a pieno titolo nel novero delle attività professionali del prestatore d’opera intellettuale. Ricevuto l’incarico, il professionista assume sotto la propria responsabilità un’obbligazione di facere, consistente nel compiere, sulla scorta delle conoscenze che caratterizzano la propria ars e facendo ricorso alle doverose diligenza, prudenza e perizia, ogni accertamento ed ogni valutazione necessari a fornire correttamente gli elementi tecnici e scientifici prodromici alle conseguenti valutazioni e determinazioni giuridiche. L’inesatto adempimento della suddetta obbligazione nel momento in cui procuri un danno ingiusto, è indubbiamente fonte di responsabilità del CTP.

Nell’esprimere una valutazione in ambito medico legale una qualche enfatizzazione delle responsabilità e dei danni eventualmente rilevati è, sì, comprensibile, in quanto la consulenza tecnica di parte è da considerarsi un documento non obiettivo per definizione e per natura. Tuttavia, la relazione di parte è un parere pro-veritate e, come

(3)

TAGETE 3-2009 Year XV

293 tale, deve essere reso, seguendo in iter metodologico diretto a pervenire alla dimostrazione della reale situazione biologica derivata dall’evento lesivo. Inoltre, il professionista deve essere consapevole che il suo parere sarà posto a fondamento di una richiesta risarcitoria che sarà proposta, gestita e definita su tali basi, pertanto risulta imperativo che la stessa si dimostri adeguatamente documentata ed oggettivamente dimostrabile a chiunque, elaborata su criteri medico legali comprovabili a posteriori.

PROFILI DI RESPONSABILITÀ DISCIPLINARE

Il Codice di Deontologia Medica (CDM), nel prevedere uno specifico riferimento alle attività medico-legali, ammonisce sulla necessità di un esercizio della medicina-legale fondato sulla correttezza morale, sulla consapevolezza delle responsabilità etico- giuridiche e deontologiche che ne derivano nonché sulla esigenza di un’adeguata competenza tecnica, con la doverosa associazione con collega di comprovata esperienza e competenza nella disciplina coinvolta in casi di particolare complessità, rifuggendo da indebite suggestioni di ordine extratecnico e da ogni sorta di influenza e condizionamento (art. 62 CDM).

Lo stesso articolo pone anche in rilievo la necessità per il sanitario che svolge funzioni di natura medico-legale di operare nel pieno rispetto della dignità dell’individuo, quale soggetto di diritto ed oggetto di tutela dei diritti della persona, e delle norme

(4)

TAGETE 3-2009 Year XV

294 deontologiche codificate, inibendo il medico curante allo svolgimento di funzioni medico-legali di ufficio o di controparte nei confronti di un assistito o di una struttura con cui intrattiene un rapporto di lavoro dipendente. Se da un lato risulta esplicito il riferimento al rispetto del principio di fedeltà alla parte, dall’altro il tema del conflitto d’interesse, oggetto specifico dell’ultima revisione del codice, sembra essere stato sottointeso, se non addirittura ignorato, nell’ambito dell’attività medico legale, a differenza di quanto, invece, è riscontrabile in altri codici di deontologia medica, sia europei sia extracomunitari, che, al contrario, disciplinano clinicamente i limiti entro i quali il medico deve muoversi (1). Infatti, nei codici deontologici medici di diversi Paesi è fatto esplicito divieto di svolgere contemporaneamente i ruoli di curante e consulente, o comunque, di svolgere attività peritale nelle occasioni in cui risultano in gioco interessi propri del medico o di persone a lui vicine, sembrando questa interdizione necessaria per permettere al sanitario un giudizio sereno ed indipendente. Ed è proprio la possibilità che il curante accetti di sostenere anche il ruolo di valutatore un aspetto dell’attività medico legale a tutt’oggi non affrontato dal nostro codice deontologico (art.

62). L’art. 30, dedicato specificatamente al conflitto d’interessi, impone al medico di evitare ogni condizione nella quale il giudizio professionale riguardante l’interesse primario, qual è la salute del cittadino, possa essere indebitamente influenzato da un interesse secondario. Di seguito lo stesso articolo specifica che il conflitto d’interesse

(5)

TAGETE 3-2009 Year XV

295 riguarda aspetti economici e non, e si può manifestare nella ricerca scientifica, nella formazione e nell’aggiornamento professionale, nella prescrizione terapeutica e di esami diagnostici e nei rapporti individuali e di gruppo con industrie, enti organizzazioni e istituzioni, nonché con la Pubblica Amministrazione. Pertanto, dal momento che l’interesse personale si identifica genericamente nel guadagno economico e/o nel vantaggio personale, risulta evidente quanto l’assunzione del duplice ruolo di curante e valutatore, benché non specificato, venga a configurare una situazione di incompatibilità per la possibilità che da essa derivino richieste risarcitorie di dubbia equità, soprattutto in ambito odontoiatrico, stante la valenza economica della quantificazione del danno, sia esso conseguente ad evento traumatico o iatrogeno. L’eventualità di più frequente riscontro riguarda valutazioni non corrispondenti alla reale entità del danno subito, in quanto comprendenti trattamenti odontoiatrici finalizzati alla risoluzione di problematiche non correlate ai fatti in oggetto (2). Di certo, le stesse motivazioni intrinseche alla professione medica, finalizzate a ristabilire ed a mantenere lo stato di salute dell’individuo, ma non adeguatamente supportate da coerente e corretta metodologia medico legale, inducono il curante/valutatore ad esprimere le necessità terapeutiche complessive del paziente, comprendendo anche trattamenti estranei all’evento lesivo de quo. Vero è che non è possibile escludere la sussistenza di una condizione di conflitto d’interesse alla base del doppio ruolo di curante e valutatore, nel

(6)

TAGETE 3-2009 Year XV

296 momento in cui si profili l’opportunità di un terzo pagante, che si faccia carico delle spese per i trattamenti odontoiatrici della persona danneggiata. La formulazione di una richiesta risarcitoria eccessiva, ancorché non motivata secondo i principi medico legali, inevitabilmente contestata dalla controparte, crea una profonda delusione nelle aspettative del leso, che non si sente tutelato nei confronti del danno subito, ed induce i suoi rappresentanti, avvocato e consulente tecnico, al rifiuto di ogni possibile accordo.

Di conseguenza, la situazione conflittuale ingenerata dalla discrepanza emersa tra le valutazioni espresse dalle parti risulta tanto difficilmente risolvibile, da costituire sempre più frequentemente motivo di ricorso all’autorità giudiziaria.

Il CTP, nel tutelare gli interessi della parte che lo ha incaricato, ovvero nel sostenere le argomentazioni a sostegno della propria tesi tecnico-scientifica, può trovarsi nella condizione di esprimere intemperanti critiche nei confronti della posizione sostenuta dalla controparte. Se dal punto di vista penale, il configurarsi del reato di diffamazione o calunnia potrebbe essere superato dal riconoscimento di una facoltà legittima finalizzata al rispetto del diritto di difesa, un tale comportamento risulta comunque sanzionabile dal punto di vista deontologico. Si rammenta in proposito l’art. 58 CDM che, per quanto riguarda il rapporto tra medici, nel caso di contrasto di opinioni con colleghi impone di non violare i confini di un sereno dibattito, dovendo ispirarsi il proprio comportamento

(7)

TAGETE 3-2009 Year XV

297 al principio di reciproco rispetto e di considerazione dell’attività professionale di ognuno.

In considerazione del sempre troppo frequente fenomeno del cosiddetto abusivismo, merita infine ricordare come, in ottemperanza all’art. 67 del CDM, è fatto obbligo al medico o all’odontoiatra di denunciare all’Ordine dei Medici Chirurghi e degli Odontoiatri competente ogni situazione in cui possa ravvisarsi un esercizio abusivo della professione di odontoiatria e/o di favoreggiamento di tale esercizio e come ciò valga , ovviamente, anche per fatti emersi nel corso delle operazioni peritali.

PROFILI DI RESPONSABILITÀ CIVILE DEL CTP

Tratto comune a tutte le discipline tecniche e scientifiche è una responsabilità di natura contrattuale in capo al professionista, nell’ambito della quale l’obbligazione risarcitoria a carico del prestatore d’opera intellettuale scaturisce da una sua inadempienza all’incarico o mandato professionale, essendo assolutamente libero di non accettare l’incarico propostogli dalla parte privata. Di conseguenza, il riparto dell’onere della prova tra attore e convenuto avverrà sulla base dell’art. 1218 c.c.: non sarà onere dell’attore provare la colpa del CTP, bensì onere di quest’ultimo provare di avere agito con diligenza, ovvero che l’inadempimento non è dipeso da propria colpa.

(8)

TAGETE 3-2009 Year XV

298 Naturalmente, il CTP rappresenta il committente, del quale è ausiliare, nel limitato ambito delle indagini tecniche e, pertanto, non può essere ritenuto responsabile ad esempio del mancato compimento di attività difensive, come la richiesta di un provvedimento istruttorio, che, esulando dal detto limitato ambito, competono, invece, al difensore (3).

L’attività del professionista-consulente, in termini generali diretta a soddisfare le esigenze giuridiche attinenti al caso in esame nel rispetto della verità scientifica (art. 62 CDM), diverge tra CTU e CTP proprio per le esigenze giuridiche chiamati rispettivamente a soddisfare. L’attività del primo è preordinata a costituire la fonte tecnica del convincimento del giudice, al fine della decisione nel merito di una questione preventivamente impostata sulla base di specifici quesiti sottoposti al professionista. Più complessa risulta l’attività del CTP nel soddisfare esigenze giuridiche che possono riguardare sia la decisione pregiudiziale di affrontare un processo, sia la proposizione della domanda giudiziaria, finendo per influenzare complessivamente le strategie difensive della parte, attrice o convenuta che sia.

Nei confronti del CTP si configura paradossalmente un maggiore rischio di addebito di responsabilità rispetto al CTU/perito, in quanto in tale seconda ipotesi il giudizio finale è lasciato al libero convincimento del giudice, ossia è subordinato alle variabili decisioni del terzo giudicante.

(9)

TAGETE 3-2009 Year XV

299 Per certi versi assimilabile alla suddetta situazione è la posizione del professionista in veste di fiduciario di compagnia di assicurazioni. In questo caso possono esservi situazioni in cui le ragioni del committente, ossia l’impresa assicuratrice, prevalgono sul giudizio tecnico nell’indirizzare la strategia valutativa globale. Ed è così che il fiduciario viene ad essere un consulente, ovvero colui che dà “un” consiglio e non “il” consiglio, in analogia alla posizione del CTU in materia civile, le cui decisioni non vincolano il giudizio del magistrato. Ciò non toglie che erronee valutazioni possano comunque portare l’indirizzo strategico verso esiti del tutto sfavorevoli (4).

Nel caso di rapporto privatistico, l’accertamento e la valutazione dei fatti assumono, in concreto, valore vincolante dal momento che sono espressi da un esperto, o presunto tale, della materia nei confronti di un committente il più delle volte sprovvisto di conoscenze biologiche, che si affida pienamente al giudizio del professionista cui si è rivolto.

Di certo, come il paziente nella medicina clinica, così il periziando nella medicina legale svolge un ruolo attivo e centrale, in quanto alla sua discrezione è lasciata la disponibilità di fornire notizia e documentazione ed il medico, sia egli clinico o legale, non può superarne il riserbo, talora la reticenza. Laddove emergano palesi incongruenze tra i dati spontaneamente forniti e quelli provenienti in altre fonti, soprattutto documentali, rientra

(10)

TAGETE 3-2009 Year XV

300 in un comportamento professionalmente corretto richiedere i chiarimenti necessari e, in caso di diniego o risposte incerte, declinare l’incarico.

Sulla qualità dell’obbligazione che ricade sul CTP, in particolare se questi sia tenuto solo allo svolgimento di una condotta diligente od anche al conseguimento di uno specifico risultato, risultano pronunce giurisprudenziali in merito a casi nei quali alla richiesta di saldo dell’onorario del CTP al proprio committente all’esito sfavorevole della prestazione è conseguito il rifiuto per il mancato risultato.

L’attività di consulenza, tipologia d’attività potenzialmente esercitabile da ogni categoria di professionisti, rientra a pieno titolo nell’ambito delle cosiddette prestazioni d’opera intellettuali ed è, pertanto, caratterizzata dall’assenza di subordinazione nei confronti del committente, in quanto lo specialista esercita l’attività di consulenza in autonomia e sotto la propria responsabilità. Nel contratto di prestazione d’opera intellettuale (art.

2230 c.c.), le obbligazioni assunte dal professionista sono obbligazioni di mezzi, in quanto il professionista, assumendo l’incarico, si impegna a prestare la propria opera intellettuale solo al fine di raggiungere il risultato sperato, ma non a conseguirlo. I giudici di legittimità hanno sancito, pertanto, che, trattandosi di obbligazione di mezzi e non di risultato, il compenso al CTP è dovuto anche in caso di esito negativo della lite;

né è giustificato il rifiuto del compenso se egli abbia formulato conclusioni contrarie all’interesse del cliente per non avere voluto trasgredire norme di legge, dell’etica in

(11)

TAGETE 3-2009 Year XV

301 generale e dell’etica professionale (5). Ancora, il compenso, non previamente convenuto e dovuto al CTP, anche in caso di perdita della lite, viene correttamente liquidato dal giudice di merito, tenuto conto dell'utilità percepita dal cliente e consistita nell'essere stato il suo legale sempre informato dell'andamento e dei risultati degli accertamenti tecnici, e tenuto conto altresì della durata e della natura dell'opera svolta (6).

Rilevante la considerazione che l’attività di consulente, in quanto subordinata alle variabili decisioni del terzo giudicante, sfugge comunque a qualsiasi garanzia di conseguire il risultato cui ha interesse l’assistito.

Ciò nondimeno, ci si è chiesti se l’attività del consulente tecnico possa essere ricondotta alla categoria dell’obbligazione di risultato, nella parificazione a quella stragiudiziale del procuratore legale, allorquando l’interesse dell’assistito nel conferire l’incarico sia quello d’ottenere dal tecnico gli elementi di valutazione necessari ed i suggerimenti opportuni onde poter adottare consapevoli decisioni a seguito di un apprezzamento ponderato di rischi e vantaggi (7). In tal senso il risultato vincolante consisterebbe nell’impostazione di una linea d’azione tecnica conforme a principi scientifici e normativi di intrinseca validità.

Nel redigere la relazione di parte, il professionista deve essere consapevole che il suo parere sarà posto a fondamento di una richiesta risarcitoria che sarà proposta, gestita e definita su tali basi, pertanto risulta imperativo che la stessa si dimostri adeguatamente

(12)

TAGETE 3-2009 Year XV

302 documentata ed oggettivamente dimostrabile a chiunque, elaborata su criteri medico legali comprovabili a posteriori. Nei confronti del proprio assistito, la responsabilità del CTP in fase pregiudiziale può sussistere nella colposa induzione a promuovere un giudizio non fondato e nella colposa dissuasione dal promuoverlo se verosimilmente fondato.

Qualora il giudizio valutativo del CTP sia strutturato su assunti privi di qualsiasi consistenza tecnico-scientifica per giustificare ad ogni costo l’ammissione di fantasiose accuse di responsabilità professionale medica o la richiesta di istanze risarcitorie/indennitarie palesemente esuberanti, il rischio di addebito di responsabilità professionale potrebbe concretizzarsi nell’accusa di avere inutilmente intrapreso un defatigante ed oneroso iter processuale. Un’ipotesi di responsabilità si configurerà non semplicemente per il fatto che in esito alla lite il giudice abbia dato torto all’assistito, ma qualora l’errore in cui sia incorso il CTP risulti evidente ed inescusabile. Nell’ipotesi in cui venga accertata la sussistenza del nesso causale tra l’erronea valutazione delle questioni tecniche da parte del consulente ed il danno, consistito nell’esito negativo del processo, dimostrando la parte che una consulenza scientificamente valida l’avrebbe indotta a non intraprendere affatto il giudizio, il CTP potrà essere condannato a risarcire il danno patrimoniale patito dall’assistito a seguito dell’improvvida iniziativa giudiziaria, sia le spese sostenute per la propria difesa tecnica sia quelle eventualmente condannato

(13)

TAGETE 3-2009 Year XV

303 a pagare in favore della controparte vittoriosa, in ossequio al principio della soccombenza. Qualora, invece, risulti che la parte avesse deciso già di per sé di intraprendere la via giudiziaria, ovvero senza alcuna influenza esercitata dal parere del CTP, l’eventuale errore da parte del CTP non comporterà alcuna conseguenza. Nel caso in cui la valutazione erronea del CTP riguardi una pretesa risarcitoria fondata, ma superiore a quella effettiva, si tenga presente la possibilità che, in considerazione del divario tra petitum e decisum, il giudice decida di compensare le spese di lite, ex art. 92 c.p.c. Pertanto, posto che l’eccessiva pretesa risarcitoria sia dipesa dal parere espresso dal CTP a parte attrice prima dell’instaurarsi della causa, in conseguenza della riconosciuta responsabilità del CTP, questi sarà tenuto al risarcimento della quota delle spese di lite che la parte, pur vittoriosa, si è vista compensare.

Viceversa, nel caso in cui il professionista giunga inopportunamente ad escludere evidenti ipotesi di responsabilità medica od a sottostimare consistentemente il danno in valutazione, ad esempio, per impreparazione e/o superficialità, il suddetto rischio si configurerebbe nel non avere convenientemente orientato il committente verso equo giudizio. In particolare, nell’ipotesi in cui il CTP dissuada l’assistito dal promuovere una lite, non avvedendosi, per colpa o dolo, della fondatezza delle sue pretese, la responsabilità del CTP si configura qualora la parte, per effetto della sua condotta, non possa più in alcun modo far valere il diritto al risarcimento del danno. Di conseguenza,

(14)

TAGETE 3-2009 Year XV

304 il risarcimento dovuto dal CTP corrisponderà a quanto l’assistito avrebbe potuto pretendere dall’autore del danno.

Specifica problematica è inerente alla procedura di cosiddetto “indennizzo diretto” in materia di responsabilità civile auto. Gli artt. 139 e 149 del Codice delle Assicurazioni (8) hanno introdotto una particolare procedura di risarcimento per il danno alla persona subito dal conducente non responsabile se risulta contenuto nel limite “di danno biologico permanente… da lesioni pari o inferiori al nove per cento”, che si differenzia dall’ordinaria procedura, disciplinata dall’art. 148, che è ancora applicabile per le ipotesi di danno biologico di “non lieve entità”. Risulta d’interesse evidenziare che, nel secondo caso, il danneggiato può ordinariamente proporre azione giudiziale avverso l’assicuratore del responsabile civile del sinistro, mentre nel primo caso “il danneggiato può proporre l’azione diretta … nei soli confronti della propria impresa di assicurazione”

(art. 149, co.6, Codice delle Assicurazioni). Dalla valutazione preliminare del danno biologico da parte del professionista incaricato dal danneggiato, dunque, dipende l’individuazione della corretta procedura, stragiudiziale e giudiziale, da intraprendere al fine di conseguire il debito risarcimento. Qualora, sulla scorta di una specifica previsione di gravità del danno da parte del consulente, il danneggiato proponga domanda di risarcimento ad assicuratore diverso da quello tenuto vedendosi rigettata integralmente nel merito la propria domanda, l’integrarsi del nesso causale tra condotta

(15)

TAGETE 3-2009 Year XV

305 e danno apre la strada all’azione di responsabilità nei confronti del professionista- consulente.

Nella situazione di contenzioso aperto, ipotesi di responsabilità nei confronti del CTP potrebbero configurarsi nella colposa induzione ad accettare una transazione svantaggiosa. L’essere indotti a transare la lite con il responsabile del danno a seguito del parere determinante ed erroneo del CTP, corrisponde al tipico danno da lesione della libertà contrattuale, consistente nella stipula di un contratto che si sarebbe rifiutato, qualora si fosse stati a conoscenza del reale stato dei fatti. E’ comunque sempre necessario che l’assistito dimostri che, qualora il proprio consulente non lo avesse così consigliato, non avrebbe transato o lo avrebbe fatto a condizioni diverse, e che la volontà di accettare la transazione sia derivata esclusivamente dalle indicazioni fornite dal consulente.

Altra ipotesi di responsabilità si potrebbe configurare in corso di giudizio, nell’omissione per negligenza di svolgere le doverose e possibili argomentazioni in sede di contraddittorio tecnico, con tale omissione casualmente collegata all’esito negativo del giudizio. Sotto quest’ultimo profilo, infatti, occorre rammentare che, se il ruolo del CTU è quello di spiegare al giudice i motivi delle proprie conclusioni, il compito del CTP è quello di criticare tali conclusioni, ove le ritenga erronee, spiegando le ragioni per le quali il consulente del giudice ha sbagliato: questo è il solo modo attraverso cui

(16)

TAGETE 3-2009 Year XV

306 realizzare in concreto il noto principio “judex peritus peritorum”. Pertanto, omettendo di svolgere diligentemente tale compito, il CTP assume un comportamento contrario agli obblighi del suo incarico e, perciò, risulta suscettibile di responsabilità. Sostenere che l’esito negativo del processo sia dipeso dalla negligenza del consulente in sede processuale, nel contraddittorio tecnico, è eventualità complessa da dimostrare, in quanto si assume che l’esito negativo del giudizio sia dipeso dal mancato o insufficiente apporto argomentativo del CTP a sostegno delle teorie tecnico-scientifiche, poste a fondamento della domanda dell’attore proprio su indicazione dello specialista. Pur nella ricerca di una prestazione tecnica sostanzialmente invariante rispetto ai diversi interessi delle parti, uno stesso fenomeno biologico può trovare non univoche interpretazione e valenza giuridica. Di fronte ai casi per i quali non esiste un approdo dottrinario universalmente condiviso, casi che si prestano ad una pluralità di possibili soluzioni, non necessariamente in linea tra loro, è intuitivo che il consulente sia esposto al rischio che la propria posizione sia smentita dalle risultanze tecniche del processo, rendendolo, in astratto, facile bersaglio di azioni di responsabilità. Vero è che questi casi implicano di certo la soluzione da parte del CTP di quei “problemi tecnici di speciale difficoltà”, cui fa riferimento l’art. 2236 c.c. al fine di limitare la responsabilità del prestatore d’opera intellettuale alle sole ipotesi di dolo o colpa grave. Pertanto, trascurando l’ipotesi estrema del contegno doloso del professionista, nei casi limite il CTP sarà chiamato a

(17)

TAGETE 3-2009 Year XV

307 rispondere solo in ipotesi di sua colpa grave. Una colpa di tale grado, tuttavia, non è esclusa per il solo fatto che il professionista abbia svolto con diligenza e perizia la propria attività nel contraddittorio tecnico. E’ necessario, altresì, che egli abbia assunto un comportamento improntato a prudenza, specie nella fase antecedente e prodromica al giudizio. Il professionista è tenuto a mettere al corrente la parte che la questione tecnica, sottesa al giudizio da promuovere, è di difficile e non univoca soluzione, delineando sia gli elementi favorevoli sia quelli contrastanti con l’ipotesi che gli viene sottoposta, sempre in forma critica e dettagliata. L’omissione di tali informazioni, infatti, integra di per sé un’imprudenza che, a sua volta, è suscettibile di configurare una colpa del consulente, grave proprio in ragione della natura complessa del caso, la quale avrebbe imposto una particolare cautela. Qualora la parte soccombente sia in grado di fornire al giudice dell’azione di responsabilità professionale elementi idonei ad attestare che se avesse saputo della natura particolarmente controversa della questione tecnica posta alla base della proprio difesa non avrebbe intrapreso l’azione giudiziaria, non è escluso che il consulente vada incontro a condanna al risarcimento, nonostante non gli si possa rimproverare alcunché in merito alla mancata adesione del CTU alla propria tesi tecnico-scientifica.

Considerata la natura contrattuale del giudizio di responsabilità promosso dal committente nei confronti del CTP, il riparto dell’onere della prova tra attore e

(18)

TAGETE 3-2009 Year XV

308 convenuto è stabilito dall’art. 1218 c.c., pertanto sarà onere del CTP dimostrare di avere agito con diligenza.

PROFILI DI RESPONSABILITÀ PENALE DEL CTP

La responsabilità penale del CTP ha fondamenti diversi rispetto alle norme penali previste per i periti cui è sottoposto il CTU, e sostanzialmente sono desumibili dagli articoli art. 380 c.p. (consulenza infedele) e 381 c.p. (altre infedeltà del patrocinatore e del consulente tecnico).

Tali norme regolamentano reati che accomunano i CTP ai patrocinatori legali. La prima fattispecie concerne il consulente tecnico che, con dolo, dinanzi all’autorità giudiziaria si rende infedele, colludendo o meno con la parte avversaria, con o senza fini di lucro, ai suoi doveri professionali con ciò arrecando nocumento agli interessi della parte da lui assistita.

Esempi di infedeltà possono essere rappresentati da: violazione del segreto professionale, soppressione, alterazione oppure omessa produzione di mezzi di prova;

volontaria negligenza nell’espletamento della difesa ed in particolare omissione dei termini necessari per la difesa. Si tratta di delitti perseguibili d’ufficio, che, quando effettivamente accertati, comportano anche l’interdizione temporanea dai pubblici uffici (ex art. 383 c.p.) e dalla professione (ex art. 31 c.p.).

(19)

TAGETE 3-2009 Year XV

309 Anche in considerazione di quanto previsto ex art. 380 c.p., la responsabilità penale del CTP viene usualmente valutata in maniera meno severa laddove si lascia andare ad affermazioni in astratto censurabili, ma che trovano giustificazione nel diritto di difesa tecnica della parte che lo ha nominato. Ci si riferisce non solo ad intemperanti critiche tecniche nei confronti dell’altrui elaborato, ma anche a difese non conformi all’obbligo di rispetto del decoro altrui, ossia a quelle espressioni che sconfinano nell’offesa personale del consulente tecnico o del perito, in astratto punibili ex art. 549, co.2, c.p. e 368 c.p. rispettivamente per il reato di diffamazione aggravata e calunnia. In proposito vi è, tuttavia, chi (9) sostiene che le critiche dell’altrui operato sono pienamente giustificate e legittime laddove diventano un mezzo necessario di difesa, costituendo atti integranti l’esercizio di una facoltà legittima. Il comportamento, astrattamente censurabile del CTP potrebbe essere scriminato in sede penale nel quadro di una interpretazione storico evolutivo dell’art. 598 c.p. e della l. 217/90 in materia di gratuito patrocinio, che permettono di estendere la scriminante prevista dall’art. 51 c.p. al cosiddetto difensore tecnico-scientifico, equiparando la figura del CTP a quella dell’avvocato, dell’interprete e traduttore, in quanto tutti diretti ad attuare efficacemente il patrocinio di parte. Espressioni o critiche “offensive” possono ritenersi non perseguibili penalmente sempre che ineriscano l’oggetto del contenzioso, siano contenute in scritti difensivi indirizzati all’Autorità Giudiziaria e poste in essere nel corso dell’iter del

(20)

TAGETE 3-2009 Year XV

310 procedimento (10). Un’altra causa di esclusione della rilevanza penale di un tal genere di condotta è quella per carenza dell’elemento psicologico del reato; per individuare l’esistenza del dolo nel reato di calunnia dovrebbe, infatti, verificarsi che chi incolpa ha la certezza dell’innocenza dell’accusato. La non perseguibilità penale non esclude l’antigiuridicità del comportamento del CTP che può essere fatta valere in sede civilistica o disciplinare (art. 58 CDM). Resta salva, infatti, in ogni caso la possibilità per il giudice procedente di esercitare il poter di cui all’art. 89 c.p.c., ovvero di far valere nella sede competente la responsabilità disciplinare del CTP.

Fedeltà alla parte non vuol dire certo stravolgere dati inconfutabili a favore del proprio assistito con impegno a far credere vero ciò che è falso e falso ciò che è vero (11), ma le considerazioni del CTP possono trovare spazio laddove i dati risultano incerti oppure nella certezza del dato sussistono margini per formulare valutazioni in parte divergenti.

In particolare, in sede penalistica il consulente essendo passato ex art. 230 c.p.p. dalla semplice “assistenza” alla “partecipazione” alla perizia, svolgendo un ruolo interno allo stesso parere del perito, viene di fatto investito del dovere di collaborare alla ricerca della verità e conseguentemente di prospettare, non appena ne ha cognizione, le proprie richieste e riserve al perito, tanto che Introna (12) osserva a tal proposito che il CTP “non può agire come passivo spettatore per poi scoprire le sue carte in dibattimento”. La norma deontologica (art. 62 CDM) interpreta adeguatamente ed in

(21)

TAGETE 3-2009 Year XV

311 senso ampio questo viraggio in quanto nel richiamo al rigore di comportamento nell’espletamento dei compiti e funzioni di natura medico-legale non fa alcuna distinzione tra CTU, periti e CTP. La consulenza tecnica ha la finalità di fornire elementi di giudizio non astrattamente considerati, bensì in funzione di una strategia processuale, pertanto, il CTP, nel corso della sua indagine, acquisisce elementi e formula valutazioni che possono essere in accordo oppure in contrasto con l’ipotesi di fondo dell’accusa o della difesa. Certo è che al consulente si richiede di procedere, sul piano strettamente tecnico, così da soddisfare le esigenze giuridiche che riguardano il caso in esame, come si è già avuto modo di affermare, nel rispetto della verità scientifica, dei diritti della persona e delle norme deontologiche. E’ evidente che la verità è empirica e contingente, stabilita sulla base del patrimonio conoscitivo acquisito ed interpretata criticamente e proprio in quanto non assoluta non vincola il giudice nelle sue scelte, tant’è che egli può decidere, mediante libero convincimento, anche in modo diverso, ma motivato, rispetto alle conclusioni sia del perito sia del CTP (13). La tutela apprestata dall’ordinamento alla perizia si è tradotta nell’art. 373 c.p. (falsa perizia) che punisce il perito che, nominato dall’autorità giudiziaria, dà parere mendace, o afferma fatti non conformi al vero. La mancata previsione di un omologo reato di falsa consulenza tecnica induce parte della dottrina ad escludere l’obbligo di verità in capo al CTP (14). Se è condivisibile la non applicabilità dell’art. 373 c.p., mentre può sostenersi la possibilità di

(22)

TAGETE 3-2009 Year XV

312 ricorrere all’art. 372 c.p., limitata all’esame del consulente innanzi all’autorità giudiziaria, vi sono altre norme sotto le quali è possibile ricondurre specifiche condotte del CTP. Tra le fattispecie delittuose contro l’amministratore della giustizia, oltre all’intralcio alla giustizia (art. 377 c.p.) ed al patrocinio o consulenza infedele (art. 380 c.p.) ed alle altre infedeltà del patrocinatore o del consulente tecnico (art. 381 c.p.), di cui già si è detto, particolare rilievo assume il delitto di false dichiarazioni o attestazione in atti destinati all’autorità giudiziaria (art. 374-bis c.p.). Quest’ultimo reato, introdotto nel codice penale dal D.L. 8 giugno 1992, n. 306, convertito nella legge 7 agosto 1992, n. 356, riguarda atti destinati, a qualsiasi titolo ed in modo indipendente dall’accertata ricorrenza di un’effettiva volontà e consapevolezza fraudolenta, all’autorità giudiziaria e, contestualmente, che riportino od attestino qualità concernenti persona non in regola con la giustizia penale. Se per Barni e Cateni (15) la norma in esame prevede anche ipotesi di falsità materiale, la Corte di Cassazione Penale ha stabilito che la stessa sanziona una pluralità di condotte tutte rientranti nello schema della falsità ideologica, dovendo escludersi che vi siano ricomprese anche ipotesi di falsità materiale (16). L’indirizzo giurisprudenziale sancito dalla Corte di Cassazione precisa come il delitto suddetto sia ipotizzabile a carico del professionista che svolga attività medico legale non solo nel caso in cui questi abbia certificato dati clinici non veri o abbia attestato condizioni inesistenti, ma anche nell’ipotesi in cui lo stesso abbia

(23)

TAGETE 3-2009 Year XV

313 effettuato valutazioni di maggiore gravità rispetto alla realtà delle condizioni morbose di un soggetto. Ancora, la fattispecie delittuosa si riferisce a due specifiche attività documentative: “dichiarare” e “attestare”, e a due specie di documenti: “certificati” ed

“atti”. Con il certificato il pubblico ufficiale dichiara dati, fatti e situazioni, di cui ha cognizione aliunde; con l’atto egli attesta fatti da lui compiuti o avvenuti in sua presenza ovvero dichiarazioni da lui ricevute” (17). Ne deriva allora che la consulenza tecnica, laddove contenga dichiarazioni o attestazioni di dati, qualità, condizioni, ha natura certificativa o attestativa; pertanto, qualora riporti in modo difforme dal vero tali dati, qualità e condizioni, essa ricade nella previsione della norma incriminatrice, configurandosi il reato in argomento. Qualora, invece, con la consulenza tecnica di parte si esprimano valutazioni e si formulino, altresì, pareri e giudizi, si esula dal novero della suddetta norma in quanto nulla si certifica, né si attesta (18). Dalla lettura delle citate pronunce giurisprudenziali della Corte di Cassazione si evince, pertanto, la liceità dell’attività del CTP laddove questi, nello svolgimento del mandato conferitogli, prospetti al giudice un’analisi, di certo corroborata da adeguati supporti tecnico-scientifici propri della disciplina di appartenenza, ma inevitabilmente indirizzata a sostegno delle argomentazioni del proprio assistito. Si ribadisce che ciò non deve prescindere dal pieno rispetto sia della legge sia del codice di deontologia professionale (19).

(24)

TAGETE 3-2009 Year XV

314 Nel caso in cui il CTP venga a conoscenza di dati o informazioni sfavorevoli al proprio assistito, l’omissione può ritenersi non penalmente sanzionabile. Il consulente medico, quale esercente un servizio di pubblica necessità (ex art. 359 c.p.) è tenuto esclusivamente alla redazione del referto nei casi previsti dall’art. 365 c.p. e sempre che ciò non esponga la persona assistita a procedimento penale; inoltre il medico, quale privato cittadino, è obbligato esclusivamente a denunciare quei fatti che possano integrare gli estremi di un delitto contro la personalità dello Stato (ex art. 364 c.p.) punibile con la pena dell’ergastolo. Si tratta ovviamente di ipotesi estreme concernenti, ad esempio, gli attentati contro l’integrità o l’indipendenza dello Stato. Al di là dei suddetti casi, dunque, il CTP, in ossequio al vincolo di fedeltà e di segreto professionale discendente dal mandato ricevuto, non può essere punito se non rivela delle informazioni contrarie all’interesse della parte, essendo passibile, in tal caso, anche di sanzione penale per rivelazione di segreto professionale ex art. 622 c.p.

La norma prevista dall’art. 381 c.p. concerne, invece, il consulente tecnico che, con dolo, dinanzi all’autorità giudiziaria assume, personalmente o per interposta persona, il patrocinio contemporaneo o successivo di più parti pur solo formalmente contrastanti, senza che sia necessario che l’opera venga poi effettivamente prestata. A nulla vale il fatto che ciò non comporti alcun nocumento per le parti. La norma prevede due distinte ipotesi di reato, perseguibili d’ufficio, che costituiscono altrettanti diversi titoli di reato ed

(25)

TAGETE 3-2009 Year XV

315 importano sanzioni diverse. La prima ipotesi si realizza allorché il CTP, in un giudizio dinanzi all’autorità giudiziaria, presta contemporaneamente, anche se per interposta persona, la sua consulenza a favore di parti contrarie: tali sono state intese, a volte, le parti che versano in una situazione processuale anche solo formalmente antagonistica, a prescindere dalle dissimulate finalità che esse intendono eventualmente raggiungere per collusione o per altri occulti accordi; mentre la giurisprudenza maggioritaria è nel senso che non sussiste il reato qualora le parti in favore delle quali il CTP presti contemporaneamente la propria opera, pur apparentemente contrapposte, perseguano in realtà un unico e lecito fine, perché in tal caso non è utilizzazione strumentale del processo per scopi ad esso estranei e quindi illeciti (20). L’evento tipico del reato è identificabile con il nocumento arrecato all’assistito o con il perseguimento di un fine illecito. La seconda ipotesi si realizza allorché il CTP, dopo aver assistito una parte, assume, senza il consenso di questa, nello stesso procedimento, la consulenza della parte avversa, tale intendendosi quella che versa in una situazione di reale conflitto di interessi con la prima. Si tratta di reato istantaneo, in quanto la condotta vietata è l’assunzione della consulenza, non già l’attività di consulenza che, in conseguenza di tale condotta, viene successivamente espletata: ne consegue che il momento consumativi del reato va individuato nell’assunzione dell’incarico, ossia nel momento in cui viene conferito ed accettato il mandato professionale. Elemento psicologico è il dolo

(26)

TAGETE 3-2009 Year XV

316 generico, consistente nella volontà consapevole di assumere la consulenza per la parte avversa, mentre non è necessario il dolo specifico, consistente nell’intento di arrecare un nocumento agli interessi della parte.

La condanna per aver assunto contemporaneamente la consulenza di parti contrarie comporta l’interdizione temporanea dai pubblici uffici (ex art. 383 c.p.) e dalla professione (ex art. 31 c.p.).

CONSIDERAZIONI CONCLUSIVE

L’attività di un valido consulente dovrebbe distinguersi da un lato per preparazione tecnica, responsabilità e senso di giustizia, dall’altro per professionalità, coscienza ed eticità.

Ciò significa che una valida consulenza di parte dovrebbe applicare rigorosi criteri medico-legali comprovabili a posteriori; fondare le valutazioni su elementi oggettivi a disposizione e ricostruibili; valutare criticamente ed obbiettivare quanto riferito dalla parte; segnalare eventuali carenze documentali o incongruenze nella ricostruzione degli eventi; evitare quantificazioni inutilmente eccessive; se necessario, rappresentare più ipotesi conclusive; se necessario, essere integrata con pareri specialistici od esami diagnostici.

(27)

TAGETE 3-2009 Year XV

317 In altre parole, la consulenza dovrebbe fornire all’assistito e/o al difensore gli strumenti tecnici necessari a valutare l’opportunità di procedere a richieste risarcitorie o, se resa nell’interesse del convenuto, di resistervi.

L’attività del professionista-consulente, per il peculiare ruolo di supporto che gli compete nell’ambito della giustizia, dove nessuna parte in causa può prescindere dagli essenziali contributi scientifici di consulenti di specifica competenza tecnica, incide sull’effettività della tutela di diritti ed interessi dei soggetti coinvolti e, pertanto, richiede di essere svolta con tutte le cautele ed attenzioni che la sua rilevanza impone.

(28)

TAGETE 3-2009 Year XV

318 BIBLIOGRAFIA

1. Balla M.P., Febi E. L’attività medico-legale: normativa deontologica nazionale e sopranazionale. Jura Medica 2007; 3: 487-505.

2. Zangari F. Dentist as therapist and evaluator at the same time. 6th International Congress on Dental Law and Ethics “Conflicts of Interests”, Firenze, 20-22 ottobre, 2005.

3. Cass. civ., sez. II, 21 agosto 1985, n. 4460.

4. Farneti A., Gentiluomo A. La responsabilità del medico-legale ovvero come

passare da inquirente ad inquisito. In Url www.studiomedico.it/allegati/responsabilità1.rtf, consultato il 03-10-08.

5. Cass. civ., sez. II, 21 agosto 1985, n. 4460.

6. Cass. civ., loc.cit. sub 59.

7. Cass. civ., sez. II, 14 novembre 2002, n. 16023.

8. D. lgs. n. 209 del 07 settembre 2005.

9. Kostoris R. I consulenti tecnici nel processo penale. Milano: Ed. Giuffrè, 1993.

10. Buzzi S., Capelluto D. Poteri e limiti del consulente tecnico di parte nel processo civile, in Atti del XXXIII Congresso Nazionale SIMLA La metodologia medico-legale nella prassi forense, Brescia, 25-28 ottobre 2000. Milano: Ed. Giuffrè, 2002.

(29)

TAGETE 3-2009 Year XV

319 11. Germanino A. Responsabilità del consulente tecnico d’ufficio e del consulente tecnico delle parti in merito alle attività peritali. In Atti del XIX Congresso nazionale SIMLA La responsabilità medica in ambito civile. Attualità e prospettive, Siena, 22-24 settembre 1988. Milano: Ed. Giuffrè, 1989.

12. Introna F. Tipologia, tecnica e rilevanza probatoria delle perizie medico-legali in relazione alla riforma del c.p.p. Riv It Med Leg 1989; XI: 327-351.

13. Cass. pen., sez. II, 20 febbraio 2007, n. 7144.

14. Kostoris R., loc. cit., sub 5.

15. Barni M., Cateni C. L’art. 374-bis e la consulenza medico legale di parte. Riv It Med Leg 1998; XX: 643-649.

16. Cass. pen., sez. VI, 7 giugno 2006, n. 30193.

17. Cass. pen. , sez. VI, 5 dicembre 1995, n. 3446.

18. Cass. pen., sez. VI, 9 giugno 1999, n. 1749.

19. Vaccaro M., Panici M. La consulenza tecnica del medico-legale e il delitto di false dichiarazioni o attestazioni in atti destinati all’autorità giudiziaria nella giurisprudenza della Corte di Cassazione. Jura Medica 2007; 2: 321-332.

20. Antonelli F., Catalano C., Cei R., Cortese G., Gianfelice M., Vitello G. La consulenza tecnica medico-legale previdenziale. Milano: Ed. Giuffrè, 2007.

Riferimenti

Documenti correlati

N.B.: Ai sensi della vigente normativa, la presente comunicazione deve essere consegnata al Contraente, prima della sottoscrizione della proposta, o qualora non prevista, di

Ai  fini  del  rinnovo  della  certificazione  saranno  esaminati,  con  le  modalità  di  seguito  previste  la  presenza  di  eventuali  reclami  o  contenziosi, 

Le sentenze di primo grado hanno condannato i medici e assolto gli infermieri e, nel caso di Stefano Cucchi, anche gli agenti di polizia penitenziaria.. Il convegno si propone

DPR n.ro 3 del 1957: le Aziende sanitarie e Ospedaliere che hanno risarcito un danno al paziente hanno l'obbligo di esercitare la rivalsa avanti la Corte dei Conti nei confronti

Occorre innanzitutto precisare che, indipendentemente da quanto risulta dall'esame della copia della cartella clinica di ricovero, l'operatore, così come peraltro

I fautori della formula claims claims made made "ridotto" (per la quale sono in garanzia soltanto le richieste di "ridotto" (per la quale sono in garanzia soltanto

L’errore deve essere grossolano inerente le comuni norme di semeiotica di patologia o di clinica, nel caso del medico generico. corrispondenti alle richieste del programma

In termini espliciti si esprime in dottrina chi sostiene la rilevanza giuridica in ambito sanitario di informazione e consenso (informed consent) quali elementi necessari e