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Cultura – Pag. 47 4 luglio 2012

I DATI RACCOLTI DALLA SISSA MEDIALAB PRESENTATI A CAGLIARI

I padroni del sapere. Le royalty sulla scienza al tempo della Rete

In un momento storico in cui, spesso impropriamente, ci si riempie la bocca con parole quali accessibilità, trasparenza, la domanda bisogna porsela con più forza anche in Accademia.

Cioè: la scienza è per tutti oppure no, se per prima l’università non rende liberamente accessibili i risultati della ricerca raggiunti per mezzo di pubbliche risorse? Nel frattempo ci si stupisce davanti agli ampi margini di profitto dell’editoria scientifica grazie all’apporto gratuito di ricercatori e revisori, come mostrano i dati che Enrico Maria Balli di Sissa Medialab ha proposto a Cagliari in “Accesso aperto e comunicazione scientifica:

storia, pratiche e principi”, incontro realizzato da Sardegna Ricerche. Al centro del dibattito attuale si affollano diversi concetti: proprietà intellettuale ed editoria, prestigio e sapere scientifico, accessibilità e rivoluzioni mediatiche. Ma la Rete da un bel pezzo indica i vantaggi di una maggior fruizione della ricerca scientifica. Cosa sia nel concreto la letteratura ad accesso aperto lo spiega, in una definizione, Peter Suber: «È digitale, online, gratuita e libera da buona parte delle restrizioni dettate dalle licenze per i diritti di sfruttamento commerciale». Tutte condizioni possibili grazie a Internet e al consenso dell’autore o del titolare dei diritti d’autore. Da quando Tim Berners-Lee inventò il web a oggi, il percorso fatto abbraccia, nel 2003, la Dichiarazione di Berlino sull’Accesso aperto alla letteratura scientifica a cui aderiranno, nel 2004, quasi tutte le università italiane.

E con la libera adesione di atenei e centri di ricerca al portale nazionale Pleiadi, gli autori di pubblicazioni scientifiche che depositano i propri lavori negli archivi istituzionali godono di visibilità per le proprie ricerche, gli studenti possono accedere alla produzione scientifica italiana mentre le istituzioni mettono in mostra la produzione di eccellenza. Se accesso aperto significa sostenere la libera circolazione dei risultati delle ricerche finanziate con fondi pubblici, occorre scegliere il cambiamento radicale. Maria Chiara Pievatolo, docente di filosofia politica all’Università di Pisa, nella sua presentazione cagliaritana ha dato spazio alle rivoluzioni in atto contro l’oligopolio dell’editoria scientifica. Ad esempio contro il Research Works Act, presentato a dicembre del 2011 da due parlamentari la cui campagna elettorale era stata finanziata dagli editori. L’Economist parlò di Primavera accademica, tra l’ammonimento e la preveggenza:

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«Gli editori hanno bisogno degli accademici più che gli accademici degli editori. E chi ha una posizione dominante spesso appare invulnerabile finché non cade all’improvviso».

Altra rivoluzione, ad aprile: Harvard, non più in grado di far fronte ai costi delle riviste ad accesso chiuso, ha invitato i propri accademici a puntare all’accesso aperto per il proprio prestigio. E lo scorso maggio il ministro inglese per l’Università ha dichiarato agli editori di voler imporre l’accesso aperto a tutta la ricerca a finanziamento pubblico.

Una strada che elimina ostacoli, con significativi benefici economici, sociali ed educativi, come ha sottolineato Sandra Ennas di Sardegna Ricerche. Ecco, basta chiedersi ancora:

la scienza deve essere per pochi?

Manuela Vacca

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