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Pisa. Il romanzo della città - Renzo Castelli

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Academic year: 2022

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P

refazione

«Tu sai – scriveva Simone de Beauvoir – che la vecchiaia prima o poi verrà, ma vivi l’attesa come un evento lontano che accadrà ad altri. Quando poi la vecchiaia arriva, ti afferra all’improvviso e capisci allora, con stupore e con sgomento, che ogni traguardo è raggiunto e che quanto ancora farai non avrà più storia».

Se la cosa può riguardarti – e mi riguarda – cerchi di superare lo smarrimento pensando che tanto doveva accadere, che finalmente potrai leggere i libri che non hai mai potuto leggere, visitare le chie- se e i musei che non hai mai potuto visitare. Ma alla fine né l’una né l’altra cosa avvengono. Quindi, che fare?

Ho preso così spunto dalla tecnica antica del judo e ho cercato di svincolarmi dal debilitante abbraccio della vecchiaia non contra- standolo ma assecondandolo. Se la vecchiaia significa anche risco- prire emozioni lontane, sono andato a cercare qualcosa della mia città: trenta luoghi affiorati alla memoria con maggiore vividezza.

Ne è scaturita una parziale ma, spero, significativa mappa di Pisa raccontata attraverso momenti della storia, dell’arte, del costume, dell’aneddotica popolare, dei personaggi, delle emozioni vissute.

L’intenzione era di ripercorrere, con capacità, modi e strumenti diversi, lo straordinario esperimento che Emilio Tolaini volle fare nel 1963 con il suo «Grande gioco pisano dell’oca» che raccontava la città, la sua storia, i suoi costumi, le sue leggende con l’obiettivo di far pensare e di far sorridere. L’ambizione sarebbe che un qual- siasi lettore, leggendo una qualsiasi pagina di questo libro, avver- tisse anche per pochi attimi il profumo di quella città nella quale è nato ed è vissuto, un profumo che spesso si era perduto con il cor- rere del tempo. Oppure, se non pisano, che ne scoprisse colori fino a oggi a lui sconosciuti.

Il libro non rispetta un criterio logico, né cronologico, né con-

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8 Il romanzo della città

tiene una scala prefissata di valori. I luoghi scelti sono 37, in fondo ancora pochi rispetto alle centinaia che la città offre. Ma questi e non altri sono i «luoghi della memoria» che più ho percepito come tali, per averli in parte anche vissuti. Questa arbitraria selezione po- ne alcune domande. Quanto l’importanza di ognuno di essi deriva dalla loro storia e quanto, invece, dalla curiosità di un aneddoto o dai ricordi personali, e quindi dalle emozioni, che è stato capace di accendere? Se ognuno di questi luoghi ha avuto un peso diverso e particolare nelle vicende storiche, nel costume di un’epoca e nel- la percezione individuale, come fare una classifica «di merito»? È troppo irriverente posporre una strada ricca di vestigia alla prepo- tenza emotiva del trammino o dei giorni di festa vissuti ai Salesiani di via dei Mille? Possono le immagini, ormai sbiadite, dello sferi- sterio precedere il racconto di luoghi più declamati? E le spallet- te dell’Arno, in apparenza senza storia ma così ricche di aneddoti, meritano di essere «luogo della memoria» quanto i palazzi straordi- nari che s’innalzano di fronte?

In risposta a queste domande alla fine ho volutamente creato un disordine narrativo costruendo, senza gerarchie, un racconto, con tante curiosità nascoste sotto un velo di cultura. Con un risultato, mi auguro, apprezzabile: rivisitati uno dopo l’altro, questi trenta

«luoghi della memoria» vanno a rappresentare il romanzo di una città: com’è stata, com’è, come io l’ho vissuta.

r.c.

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