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Il presente lavoro vuol essere una riflessione, uno studio, quanto più possibile accurato e sistemico, sul concetto di affidamento familiare.

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Academic year: 2021

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INTRODUZIONE

Il presente lavoro vuol essere una riflessione, uno studio, quanto più possibile accurato e sistemico, sul concetto di affidamento familiare.

L’impressione è che i termini richiamino significati diversi, pur in presenza di un dettame legislativo, a livello nazionale, che ben definisce i confini della nozione.

Il dubbio è che la disomogeneità circa il significato di tale intervento, soprattutto in termini di rappresentazione mentale e di evocazione, non si riscontri solo tra operatori da una parte e famiglie dall’altra o tra “addetti ai lavori” in uno schieramento e “non addetti ai lavori” nell’altro, bensì che opinioni diverse rispetto a cosa si intenda quando si progetta un affidamento familiare, possano ritrovarsi anche tra specialisti e che, nell’opinione comune, tale istituto assuma così tante sfumature da poter essere paragonato all’immagine che rimanda un caleidoscopio: multicolore, in generale bello, certamente complesso.

La raffigurazione comunque maggiormente condivisa sembra essere quella

dicotomica, dogmatica, che vede l’affidamento familiare da una parte e

l’adozione dall’altra; nella prima circostanza non si prevede filiazione, nella

seconda invece il bambino assume il cognome dei genitori adottivi e acquisisce

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La parola chiave nell’affidamento familiare sembra essere la temporaneità, in contrapposizione all’adozione, che è per sempre.

Connesso a tale aspetto è il concetto di lutto, separazione, che più facilmente sembra rappresentare l’affido, a differenza dell’adozione, che rimanda alla nascita, al legame indissolubile.

Nello stereotipo comune la famiglia affidataria è più frequentemente considerata virtuosa, filantropa, coraggiosa, mentre la famiglia adottiva sembra rispondere ad un bisogno più naturale di genitorialità, in assenza di una procreazione naturale.

E’ palese che tale schematismo mal si coniuga con le relazioni umane e con la poliedricità dei vincoli affettivi, sociali, culturali ed economici che le persone intrecciano tra di loro e che danno vita a storie individuali complesse e uniche.

In effetti, la realtà dell’affidamento familiare in Italia, come emerge dalla

Rilevazione coordinata dei dati in possesso delle Regioni e province autonome

su bambini e adolescenti fuori dalla famiglia di origine, in affidamento familiare

(a singoli, famiglie o parenti) o accolti nei servizi residenziali nella propria

regione, pubblicata dall’Istituto degli Innocenti di Firenze nel 2014, ma relativa

al report sui dati al 31.12.2012, ci pone di fronte all’evidenza che l’affidamento

familiare non è per niente temporaneo: a fronte di 14.194 minori in affidamento

familiare, i bambini e gli adolescenti in affidamento familiare da oltre due anni

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costituiscono la maggioranza degli accolti, risultando pari a poco meno del 60%

del totale.

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Non certo per questo si può affermare che sia allora un istituto che è fallito nella sua realizzazione solo perché non si caratterizza per la temporaneità; gli operatori dei servizi territoriali e dei centri affido sono testimoni dei miglioramenti evidenti che intervengono nei bambini in affidamento familiare, sia sul versante fisico che su quello psicologico.

Forse, semplicemente, a distanza di trent’anni dalla normativa nazionale sull’affidamento familiare ci si deve interrogare sulle evoluzioni, sui dati quantitativi e qualitativi del fenomeno, sui cambiamenti indispensabili da apportare a tutto l’assetto giuridico, così da togliere dall’ombra quei progetti

“sine die” non previsti dalla legge che, sebbene hanno una loro dignità, si pongono nell’ottica di tutela dell’infanzia e numericamente sono molto rilevanti, vengono vissuti dagli operatori con un vago senso di frustrazione e quasi del tutto ignorati dagli esperti del settore, soprattutto da un punto di vista delle procedure e della metodologia d’intervento.

Sembra particolarmente interessante ricollocare l’intervento dell’affidamento

familiare nel contesto sociale italiano, con la sua storia, le sue peculiarità, la crisi

attuale e la difficoltà a reperire risorse, il livello odierno del welfare mix, i

mutamenti nel sistema familiare. Tale analisi potrebbe, a mio avviso, fornire

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un’illusione utopistica del legislatore, e nel contempo suggerire strumenti utili a dare un nuovo senso all’istituto giuridico dell’affidamento familiare. Il rientro prospettato nella famiglia naturale, potrebbe quindi riguardare, in prima istanza, non tanto l’aspetto concreto, fisico, bensì il riavvicinamento degli affetti. Allo stesso modo la ricomposizione familiare potrebbe realizzarsi, principalmente, attraverso una cura dei legami. Sarebbe così garantita, in questo senso, l’identità individuale del bambino e salvaguardata la sua autobiografia, la sua storia, la sua appartenenza familiare, così come le sue significative relazioni con la famiglia affidataria.

Uno sguardo attento, per meglio collocare il fenomeno, dovrà essere rivolto al momento in cui si predilige l’intervento dell’affidamento familiare e alla prognosi delle famiglie su cui grava l’affidamento del figlio: il dubbio, da approfondire, è che se l’intervento è messo in atto quando altri interventi di sostegno al nucleo sono falliti (nel rispetto della normativa vigente che impone di attivare tutti gli aiuti possibili, al fine di evitare l’allontanamento del minore), o sono addirittura improponibili per grave assenza di risorse nei genitori naturali, pur in presenza di un legame con i figli, non si possa ipotizzarne il termine.

L’affidamento presuppone un allontanamento, un cambiamento drastico ed

importante nella famiglia, in particolare nelle abitudini, nell’affettività, nei ritmi

del bambino, difficile pensare che si possa attivare quando i genitori abbiano

risorse tali da poter risolvere le loro difficoltà in soli due anni di tempo.

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Altrettanto inattuabile è pensare che, allorché non si prevede il rientro, si possa sempre rivolgersi all’istituto dell’adozione; ragionare in questi termini non equivale, tout court, a garantire benessere al minore.

Lo scenario, che fa da cornice a tutto il lavoro, è la realtà territoriale del centro

affidi in cui, ormai da quindici anni, lavoro; il riferimento alle storie di vita, ai

bambini affidati, alle famiglie affidatarie sarà, inevitabilmente, costante, non al

fine di indicare un modello bensì a dimostrazione, incessante, che le esigenze

poste dall’esperienza non possono essere trascurate dalla teoria.

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