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Questo lavoro di tesi specialistica nasce dall’incontro con Rosa Stantelli, una donna vissuta a Pisa tra la metà del ‘700 e gli anni ’30-’40 dell’ ‘800

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Academic year: 2021

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I Introduzione.

Questo lavoro di tesi specialistica nasce dall’incontro con Rosa Stantelli, una donna vissuta a Pisa tra la metà del ‘700 e gli anni ’30-’40 dell’ ‘800. Fin da subito, quello che della sua vita emerge, dalle carte conservate nel fondo Commissariato dell’Archivio di Stato di Pisa e in quello Camera e Auditore Fiscale di Firenze, raccontato dal punto di vista delle autorità del Granducato di Toscana e del marito di Rosa, colpisce per la sua particolarità:

Rosa viene tratteggiata come una donna ribelle, dal carattere capriccioso e libertino, dalla condotta scandalosa, dalle abitudini trasgressive. E, soprattutto, Rosa ama portare i pantaloni.

Per un momento, la nostra esperienza dell’odierna società, in cui il predominio dei blue jeans e dello stile unisex sembra aver uniformato l’abbigliamento e l’estetica maschile e

femminile, ci porta a pensare che non ci sia nulla di strano nel trovarsi di fronte una donna in pantaloni. Immediatamente, però, poiché si parla di una donna della seconda metà del Settecento, e dunque di una donna vissuta in un’epoca diversa, socialmente e culturalmente lontana dalla nostra, la “normalità” dell’utilizzo dell’abito maschile da parte di una donna si costituisce come una questione da approfondire. Soprattutto, il fatto che l’adozione dei pantaloni da parte di Rosa sia segnalato nelle carte prodotte dalle autorità giudiziarie del Granducato, oltre che nei documenti scritti dal marito della donna, e che quel costume sia stato ritenuto passibile di repressione e punizione, porta a prendere atto di una evidenza piena di significato: portare i pantaloni, per una donna di Antico Regime, non è affatto

“normale” né accettato.

Il caso di Rosa Stantelli, insomma, si è rivelato da subito affascinante. La questione principale è stata quella di cercare di comprendere la vicenda della donna, collocandola nel contesto storico che l’ha vista nascere e svilupparsi, e approfondendo, per quanto possibile, la personalità di Rosa e le motivazioni alla base della scelta dell’abito da uomo.

Si sono così profilati diversi aspetti da prendere in considerazione. Il fenomeno del transvestismo, in primo luogo: la bibliografia di riferimento rivela che Rosa non fu certo l’unica del suo tempo ad indossare i pantaloni, e che altre donne, anzi, nel Medioevo e nell’età moderna, non solo avevano indossato l’abito maschile, ma si erano fatte passare per uomini per un periodo più o meno lungo della loro vita, spesso fino alla morte. Nel confronto con le esperienze europee del transvestismo femminile, si costituisce dunque uno sfondo culturale sul quale inserire, con le dovute avvertenze e differenziazioni, anche radicali1, la vicenda di Rosa Stantelli.

Il fenomeno, così vivo e vivace, del transvestismo femminile nel corso dell’età moderna segnala inoltre che dovettero esistere delle condizioni di partenza condivise dalle diverse

1 Vedi capitolo 2.2.

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II donne travestite, condizioni sentite come limitanti e restrittive, che rappresentarono una sorta di gabbia dalla quale tentare di liberarsi per poter costruire la propria esistenza nel modo più congeniale alla propria identità di genere. Questo riferimento era rappresentato dalla

“condizione femminile”, un insieme di possibilità, spazi, comportamenti, attività e ruoli che caratterizzavano lo status della donna in età moderna, rispetto al quale le donne travestite agivano e reagivano, proprio attraverso l’abito maschile, per allargare gli ambiti della espressione di sé e di dispiegamento della propria esistenza, per accedere a spazi loro preclusi, per sperimentare realtà diverse.

Altro aspetto da considerare è stato quello della sanzione giuridica e morale del transvestismo, il quale costituiva in età moderna una trasgressione alle norme sociali della concordanza tra sesso, genere e abito, concordanza fondamentale nel sistema semiotico e gerarchico d’Antico Regime, dove ai segni esteriori era demandata la funzione di rendere chiaramente leggibile e riconoscibile lo status sociale e sessuale dell’individuo.

All’interdizione teorica del travestimento di genere erano legati una pratica giuridica e di polizia e un intervento dei poteri dello Stato. Questi si occuparono del trattamento delle donne travestite, insieme ai Conservatori e agli altri istituti dedicati al recupero e alla punizione delle donne “irregolari”: la pratica trasgressiva del transvestismo poteva infatti presentarsi talvolta in concomitanza con altri tipi di deviazioni dalle norme sociali generalmente condivise. La donna travestita era spesso anche una donna ribelle, la cui condotta poteva essere reputata scandalosa e deviante rispetto ai modelli della donna ideale prescritti dalle regole sociali, quali la buona moglie, la fanciulla virtuosa, la vedova casta e la santa.

Infine, poiché al corpo ambiguo della travestita poteva talvolta essere attribuita una natura sessualmente anomala o un’inclinazione omosessuale, non potevano rimanere esclusi dalla trattazione i temi dell’ermafroditismo e del tribadismo, veri e propri spauracchi del discorso medico e legale dell’età moderna, che troviamo legati strettamente anche nella vicenda di Rosa Stantelli2.

Nel primo capitolo saranno dunque illustrate le varie interpretazioni storiche e culturali del fenomeno del transvestismo. L’adozione di abiti - l’abito è un simbolo universale delle differenze sessuali ed enfatizza le concezioni sociali della mascolinità e della femminilità3 che abitualmente, convenzionalmente, socialmente non sono connessi al sesso di chi li porta ma a quello opposto, rappresenta una simbolica incursione in territori che attraversano i confini di genere e provoca, ad un livello ampio, ed esterno a quello individuale, cioè nella società e nella cultura, un effetto perturbante e disorientante. All’interno di alcune culture tale

2 Vedi capitolo 2.1.3.

3 Vern Bullough, Bonnie Bullough, Cross Dressing, Sex, and Gender, University of Pennsylvania Press, Philadelphia, 1993, p. viii.

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III pratica è stata associata all’omosessualità, alla malattia mentale, alla cultura carnevalesca e festiva; all’interno di altre è apparsa come una semplice variazione del comportamento umano cui non era legato un particolare orientamento sessuale; in altre ancora essa ha una valenza religiosa ed è un elemento connesso al culto4. Vedremo, attraverso un excursus all’interno di alcune culture extraeuropee, delle interessanti varianti del transvestismo e il gioco delle relazioni tra abiti, sesso, genere e identità, per avvicinarci poi all’Europa d’Ancién Regime, al transvestismo e alle sperimentazioni di genere della cultura di età moderna.

Il secondo capitolo si occuperà invece della realtà toscana, delle istituzioni del Granducato di Pietro Leopoldo e degli istituti femminili che si interessarono delle donne irregolari nonché di quella devianza sociale che esprimeva una condotta eterodossa rispetto a quella disegnata dalle aspettative sociali. Dalle istituzioni fiorentine, attraverso la storia di Rosa Stantelli e il caso di polizia che fu costruito intorno alla sua “cattiva condotta”, si giungerà allo “sguardo del medico”, interessato ai fenomeni dell’ermafroditismo e del tribadismo che l’incontro con la donna travestita ha fatto emergere.

L’ultimo paragrafo cercherà, infine, di addentrarsi nel mondo di Rosa, per comprendere la sua visione delle cose e legare l’adozione dell’abito maschile ad un insieme di eventi biografici e di motivazioni che possono, in parte, contribuire a spiegarla.

Il disagio di genere apparirà dunque come il motivo principale e il filo rosso di tutto il lavoro: se è ben risaputo che “le più strane occorrenze possono accadere a coloro dei quali il sesso e l’abito sono incompatibili”5, è vero anche che interessanti, drammatici e affascinanti sono i percorsi individuali che cercano di risolvere la dissonanza tra sesso e genere, introducendo nella cultura e nella storia esperienze uniche ed innovative, contributi di originalità individuale che si inseriscono su costanti di lungo periodo e sistemi duraturi, scardinando dall’interno qualche meccanismo e allargando qualche maglia della rete, con la forza di quella tensione, tutta umana, della ricerca dell’autenticità.

4 Ibid., p. x.

5 Rudolf M. Dekker, Lotte C. van de Pol, The Tradition of Female Transvestism in Early Modern Europe, The Macmillan Press, Londra, 1989, p. 92.

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IV Desidero in questa sede ringraziare di cuore alcune persone, per il prezioso aiuto e la disponibilità, scusandomi anticipatamente con coloro che involontariamente dimenticherò di menzionare: il Prof.

Andrea Addobbati, per avermi fatto conoscere Rosa Stantelli, il Prof. Roberto Bizzocchi e la Prof.ssa Vinzia Fiorino, i professori Fabio Dei, Daniela Lombardi, Laura Schettini, Chiara La Rocca, Federico Barbierato, Giuseppe Lo Castro, Elisa Carrara, Alberto Mario Banti;

il lavoro è dedicato agli amici e alla famiglia, a Federica e a Ronnie.

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