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CONCLUSIONI
La presente trattazione ha preso spunto dalla lettura del paper “Should EU citizens living in other member states vote there in national election?”, un contributo accademico di studiosi che, su invito di Philippe Cayla, presidente di Europeéns Sans Frontières, si sono espressi sull’iniziativa dei cittadini europei “Let me vote”.
A conclusione della tesi vorrei discutere l’importanza dell’iniziativa “Let me vote” e del contributo accademico “Should EU citizens living in other member State vote there in national elections?”.
Come precedentemente esposto l’iniziativa “Let me vote” intende sviluppare la dimensione politica del progetto europeo rinforzando il sentimento di appartenenza dei cittadini europei ad una comunità di loro scelta e ha come scopo dichiarato quello di ridurre il deficit democratico europeo conferendo a ogni cittadino dell’Unione che risiede in uno Stato membro diverso da quello di cittadinanza il diritto di votare non soltanto alle elezioni comunali ed europee, ma anche alle elezioni regionali e nazionali del suo Paese di residenza. Chiedendo questo, l’iniziativa accenna al problema della revoca del diritto di voto alle elezioni nazionali dello Stato di cittadinanza da parte di alcuni Stati membri UE nei confronti dei propri cittadini che decidono di esercitare il diritto, derivante dall’ordinamento europeo, alla libertà di movimento. Ad alcuni cittadini europei di fatto vengono revocati i diritti di voto per tutte le elezioni che non sono coperte dall’articolo 22 TFUE a meno che non scelgano di acquisire la cittadinanza dello Stato di residenza o sono tra i fortunati che posseggono la cittadinanza di uno Stato membro UE che non impone condizioni all’esercizio del voto dall’estero.
Nonostante sia lecito non condividere la proposta avanzata dall’iniziativa in
questione, non perché errata in sé ma nella convinzione che gli Stati membri non
l’accetteranno, questa ha il merito di portare all’attenzione della Commissione europea
una volta per tutte il problema della revoca del diritto di voto a livello nazionale di
determinati cittadini europei che decidono di vivere in uno Stato membro diverso da
quello di cittadinanza. Ciò è stato riconosciuto e ben argomentato in almeno due
interventi interni al dibattito raccolto nel paper “Should EU citizens living in other
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member State vote there in national elections?” da Rainer Bauböck
1e Jo Shaw.
Quest’ultima in particolare afferma che, anche se l’iniziativa “Let me vote” non avrà successo, può essere vista come una strategia efficace tramite cui il problema evidenziato può ricevere l’attenzione che merita
2. Inoltre il contributo accademico in questione è importante perché ha avuto il merito di approfondire le conseguenza che la revoca del diritto di voto a livello nazionale a determinati cittadini europei che esercitano il loro diritto alla libertà di movimento comporta a livello europeo: oltre a costituire un potenziale ostacolo alla libera circolazione dei cittadini europei, coloro che perdono il diritto di voto alle elezioni nazionali nello Stato di cittadinanza risultano non avere 1) una rappresentanza diretta nei Parlamenti nazionali (il ruolo dei quali è stato reso più incisivo in alcuni settori conseguentemente alle modifiche apportate dal Trattato di Lisbona); 2) una rappresentanza indiretta nel Consiglio dei Ministri ovvero nella legislazione europea tramite il voto dei loro Governi nazionali nel Consiglio (da sempre uno degli organi decisionali fondamentali nel processo legislativo europeo).
Queste problematiche sono state configurate nella presente trattazione come un aspetto poco noto, allo stesso tempo ignorato dalle istituzioni dell’Unione, del cosiddetto deficit democratico europeo.
La creazione della cittadinanza europea e la modifica dei Trattati con l’entrata in vigore del Trattato di Lisbona non ha di fatto fornito una risposta definitiva al come dovrebbero essere organizzati i diritti di voto a livello nazionale nell’Unione Europea, una polity mista nella quale gli Stati membri rimangono attori significativi. Allo stesso tempo, se il problema è quello visto, chiaramente le conseguenze pratiche dell’esercizio della libertà di movimento e della contestuale revoca del diritto di voto a livello nazionale nello Stato di cittadinanza richiedono una certa risposta da parte delle istituzioni europee e dagli Stati membri. In qualche modo, nonostante la sua centralità come pietra fondante la cittadinanza europea, la libertà di movimento di fatto tende ancora ad essere marginalizzata nel dibattito popolare e politico negli Stati membri.
1 Bauböck R., EU citizens should have voting rights in national elections, but in which country?, In
“Should EU citizens living in other member states vote there in national elections?”, European University Institute working papers RSCAS 2012/32, p. 4.
2 Shaw J., Testing the bonds of solidarity in Europe’s common citizenship area, In “Should EU citizens living in other member states vote there in national elections?”, European University Institute working papers RSCAS 2012/32, p. 15- 16.
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Volendo ricercare dei rimedi al problema oggetto della presente trattazione, e condividendo le preoccupazioni che hanno spinto a proporre l’iniziativa “Let me vote”, alcune soluzioni sono state avanzate e analizzate. Come già accennato a più riprese la soluzione avanzata da “Let me vote”, ovvero il conferimento a ogni cittadino dell’Unione che risiede in uno Stato membro diverso da quello di cittadinanza il diritto di votare non soltanto alle elezioni comunali ed europee, ma anche alle elezioni regionali e nazionali del suo Paese di residenza, non viene rigettata perché errata in sé.
Il futuro della cittadinanza dell’Unione Europea, in termini di estensione della sua
portata e della sua natura, è un elemento essenziale del dibattito sul futuro dell’Europa
stessa, oggi in misura maggiore rispetto al passato. Il diritto di voto alle elezioni locali e
europee nel Paese di residenza rimane il nucleo di questo processo, insieme al diritto
alla libertà di movimento all’interno del territorio UE. L’esercizio, sebbene ancora
imperfetto, di questi diritti ha avuto un grande impatto simbolico sul concetto di identità
europea, portando gradualmente i cittadini europei ad essere consapevoli che muoversi
e risiedere ovunque nell’Unione significa portare con sé quasi tutte le libertà e i diritti
esercitabili nello Stato di cittadinanza, incluso il diritto di partecipare pienamente nella
vita sociale, economica e politica di una comunità. In tal senso non sarebbe errato
pensare che la naturale evoluzione della cittadinanza europea conduce a una crescita
nella rilevanza della residenza come criterio per l’esercizio di tutti i diritti tra cui quello
di votare per le elezioni nazionali nello Stato di residenza. Di fatto permettere ai
cittadini europei, che nell’esercizio del diritto alla libertà di movimento, decidono di
risiedere in uno Stato membro diverso da quello di cittadinanza, di votare alle elezioni
dello Stato ospite rafforzerebbe il concetto di cittadinanza europea dandole un
significato più pieno e un contenuto più completo. Detto questo bisogna riconoscere che
l’iniziativa è comunque ambiziosa a maggior ragione perché non indica un limite
temporale di previa residenza dopo il quale è possibile esercitare il voto per le elezioni
nazionali dello Stato ospite. L’Unione ha da sempre tutelato fortemente i cittadini
europei là dove, conseguentemente all’esercizio del diritto alla libera circolazione,
risiedono in modo continuato in uno Stato membro ospite per un periodo superiore ai 5
anni (c.d. residenza di lungo periodo). Legare questo periodo di residenza minimo al
diritto di voto nelle elezioni nazionali dello Stato membro ospite sembra a mio avviso
più appropriato.
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A non permettere un’evoluzione in tal senso della cittadinanza europea sono le resistenze statali. Di fatto l’atteggiamento degli Stati membri non sembra suggerire che questi siano pronti ad accettare il fatto che il criterio della residenza possa essere idoneo a conferire una gamma più ampia di diritti ai cittadini europei tra cui il diritto di voto alle elezioni nazionali nello Stato di residenza. Per questo è irrealistico pensare che, ad oggi, la soluzione avanzata dall’iniziativa “Let me vote” possa essere accolta dagli Stati membri.
Parimenti ogni soluzione al problema che richiede il comune accordo di tutti gli Stati membri è irrealistico che possa essere approvata vista la difficoltà nel raggiungimento di compromessi su un tema così altamente politico come quello dei diritti di voto a livello nazionale.
Per tutti questi motivi l’unica via per garantire una soluzione plausibile e realistica
al problema è tramite la cosiddetta integrazione negativa che coinvolge la Corte di
giustizia europea. La Corte ha infatti mostrato negli anni un crescente coinvolgimento in
temi riguardanti la cittadinanza europea come il diritto alla libertà di movimento,
impegnandosi, tramite le sue sentenze, a rimuovere gli ostacoli che le diverse
legislazioni nazionali ponevano al suo esercizio e dichiarando che le restrizioni
ingiustificate alla libertà di movimento sono contrarie all’articolo 21 TFUE. Gli Stati
membri sono obbligati dunque ad assicurarsi che i loro cittadini non siano scoraggiati
nell’esercizio del diritto alla libertà di movimento. Un tale approccio è stato applicato
dalla Corte recentemente nei casi De Cuyper, Tas-Hagen en Tas, Schwartz e Morgan. In
tal senso il danno recato dalle legislazioni nazionali di alcuni Stati membri alla libertà di
movimento è ovvio: il conflitto tra il diritto fondamentale legato alla cittadinanza
europea, la libertà di movimento, e il diritto fondamentale legato alla cittadinanza
statale, il diritto di voto nelle elezioni legislative, si traduce in una situazione in cui
anche se i cittadini europei sono titolari, in teoria, di entrambi i diritti, nella pratica si
trovano costretti a decidere quale dei due esercitare, non potendo usufruirne
contemporaneamente. E’ chiaro che la legislazione nazionale sulla rappresentanza
politica, sebbene sia fuori dall’ambito di applicazione dei Trattati, ha il potenziale di
ostacolare il raggiungimento degli obiettivi del mercato interno e generare una
situazione in cui è impossibile per i cittadini in questione rimanere contemporaneamente
e in senso pieno cittadini europei e cittadini dello Stato di nazionalità. Applicando la
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regola sopra vista alla legislazione nazionale di quegli Stati europei che revocano il diritto di voto nelle elezioni nazionali dello Stato di cittadinanza, la Corte dovrebbe indagare a fondo l’effetto deterrente delle legislazioni nazionali in questione e concludere che queste scoraggiano i cittadini europei dall’esercizio del diritto alla libertà di movimento dallo Stato di cittadinanza verso un altro Stato membro.
Agendo in tal senso la Corte assicurerebbe ai cittadini europei che decidono di esercitare la libertà di movimento il mantenimento del diritto di voto nelle elezioni nazionali che hanno luogo nel Paese di origine. Di conseguenza verrebbero annullate anche tutte le problematiche viste e derivanti da una legislazione nazionale che revoca il diritto di voto, ovvero l’assenza di una rappresentanza nei Parlamenti nazionali e nel Consiglio dei ministri, risolvendo questo aspetto del cosiddetto deficit democratico europeo.
Da una vera prospettiva europea è plausibile pensare che questa soluzione sia sub- ottimale rispetto a quella avanzata dall’iniziativa “Let me vote” che propone una soluzione propriamente europea al problema della rappresentanza a livello nazionale.
Infatti, mentre la strada dell’integrazione negativa offre potenzialmente a tutti la possibilità di partecipazione a livello nazionale, non dà la possibilità ai cittadini europei che hanno esercitato la libertà di movimento di scegliere se partecipare a livello nazionale nello Stato di cittadinanza o nello Stato ospitante, le cui scelte di fatto incideranno maggiormente sulla vita di coloro che vi risiedono. Inoltre può essere considerata sub-ottimale perché si assume che l’unico modo di assicurare che la partecipazione democratica non sia minacciata o indebolita dall’esercizio della libertà di movimento sia persuadere gli Stati membri a cambiare la loro legislazione nazionale sul voto esterno in modo coordinato tramite una sentenza vincolante di una istituzione europea attestando così l’incapacità o la non volontà degli Stati membri di agire in tal senso. Ma come visto e più volte dichiarato la non volontà degli Stati membri di agire congiuntamente modificando la portata dell’articolo 22 TFUE sembra essere una realtà di fatto.
In definitiva è importante ribadire che la proposta dell’iniziativa “Let me vote”,
nonostante sia altamente probabile che la Commissione non dia seguito all’invito in
essa contenuto, può essere vista come una strategia volta ad attestare i potenziali limiti
della cittadinanza europea e ha il merito di portare all’attenzione della Commissione
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