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In forma di essere umano

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Academic year: 2023

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Riccardo Gazzaniga

In forma di essere umano

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Proprietà letteraria riservata

© 2022 Mondadori Libri S.p.A., Milano Pubblicato in accordo con Grandi & Associati, Milano

ISBN 978-88-17-16170-1 Prima edizione: settembre 2022

Pubblicato per

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NOTA

Questo libro è ispirato a fatti realmente accaduti. Ciononostante alcuni personaggi e situazioni sono frutto della fantasia dell’autore o risultano piegati a esigenze narrative, soggetti a margini di errore e incertezze storiografiche talvolta insolubili. Per una più compiuta analisi si rimanda alla postfazione dell’autore.

Per aiutare l’orientamento del lettore, in calce al libro è presente un elenco dei personaggi principali.

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Prologo

Quando cade la prima tessera del domino che trascinerà con sé tutte le altre?

A volte è difficile capirlo, ma non in questo libro: la nostra prima tessera cade in una sala da ballo alla periferia di Buenos Aires, una sera del 1956.

È qui che il Dio del Caso fa incrociare le vite di due ragazzi, entrambi figli di immigrati tedeschi.

Sylvia ha quattordici anni, i capelli scuri e le guance ancora paffute da bambina, ma già le forme di una donna.

Klaus di anni ne ha già diciannove ed è il tipo che piace alle ragazze, biondo; gli occhi azzurrissimi, è arrivato su una moto cro- mata e trancia giudizi feroci, chiacchierando con gli amici che lo chiamano Nicholas, un nome più esotico, che usa su consiglio del padre.

Sylvia s’invaghisce di Klaus e attacca la sua foto alla testiera del letto. È un colpo di fulmine da adolescenti, il loro, l’inizio di uno di quegli amori effimeri, destinati a consumarsi nel tempo di una stagione.

Eppure cambierà la storia del mondo.

Sylvia Hermann decide di portare Klaus a casa e farlo conosce- re a suo padre Lothar e il ragazzo va a trovarla una volta, poi due;

alla fine lo invitano a pranzo.

Immaginiamo questo diciannovenne presentarsi elegante in ca- micia a casa Hermann, magari con una bottiglia di vino comprata in enoteca o un dulce de leche, chissà. È probabile che porti qual- cosa in dono, del resto è cresciuto in una famiglia tedesca tradizio- nalista, in cui la buona educazione è fondamentale.

A tavola gli Hermann e il loro giovane ospite mangiano, chiac- chierano in tedesco e Sylvia, da brava figlia, serve il cibo a suo

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padre Lothar, che non ci riesce da solo per colpa della cecità. Ha perso la vista a seguito di un pestaggio della Gestapo ed è per questo motivo che ha lasciato la Germania ed è venuto a fare il consulente legale in Argentina.

I nazisti l’hanno picchiato perché era socialista, oltre che di padre ebreo, ma tutto questo Sylvia non lo deve sapere. Per pro- teggerla dagli orrori del passato Lothar le ha taciuto delle violenze e l’ha cresciuta cattolica.

Il signor Hermann, dunque, non può vedere il viso bello e squadrato di Nick ma, quando finiscono a parlare della guerra, percepisce nella voce del ragazzo un’irruenza nei toni, un’asprezza che gli ricorda un passato sepolto.

«Sarebbe stato meglio se in Germania avessero finito il lavoro con gli ebrei!» si lascia sfuggire Klaus, e a queste parole probabil- mente Lothar deve nascondere una smorfia di disgusto. Forse vor- rebbe alzarsi e sbottare: “Io sono ebreo, disgraziato, e ho perso mio padre nei campi! Fuori da questa casa!”, ma non vuole rovinare il pranzo e, tantomeno, rivelare il segreto della sua fede ebraica a Sylvia. Per questo Lothar ingoia il commento filonazista di quel ra- gazzetto arrogante. Ne ha sentiti così tanti che ci ha fatto il callo.

Sua moglie, la mamma di Sylvia, cerca di cambiare discorso.

«Klaus, ma tu esattamente di dove sei?» gli chiede. «Parli un tedesco senza accento!»

«Prima di emigrare la mia famiglia ha viaggiato tanto, in Eu- ropa, signora. Mio padre era un alto ufficiale della Wehrmacht.»

Lothar Hermann ha un altro brivido, ma ancora non si scom- pone, sa bene che in Argentina sono arrivati stranieri di ogni gene- re, nel dopoguerra, compresi tanti reduci del fronte. E poi i soldati della Wehrmacht spesso erano solo ragazzi mandati a morire in battaglia.

Se lasciasse correre del tutto, la storia di Klaus che si fa chia- mare Nicholas, della sua famiglia e del mondo intero andrebbe diversamente. Invece Lothar domanda al suo ospite: «E dimmi, Klaus, qual era il cognome di tuo padre?».

«Eichmann. Mio padre si chiama Eichmann.»

In realtà, per Hermann, quel cognome non significa nulla, per cui ripone l’informazione nel lontano archivio del cervello che prelude all’oblio.

Pochi mesi dopo Lothar cambia casa, si trasferisce con moglie

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e figlia nella pampa, a centinaia di chilometri da Buenos Aires, e la storia d’amore tra Sylvia e Klaus diventa un ricordo che ogni mattina appare più sbiadito.

Poi, però, un giorno, in salotto, Sylvia Hermann legge al padre cieco l’articolo di un giornale tedesco che parla del processo per crimini di guerra in corso a Francoforte.

Il pezzo menziona un ufficiale delle ss il cui ruolo nello ster- minio, con l’accumularsi delle testimonianze, appare sempre più decisivo. Un nazista latitante, uno dei pochi gerarchi sopravvissuti e capace di far perdere le proprie tracce.

Padre e figlia restano paralizzati quando Sylvia dice ad alta voce: «Il nome dell’ufficiale è Adolf Eichmann».

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Parte prima Cacciatori e prede

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