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Sandro Pertini

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Academic year: 2022

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si svuotino gli arsenali di guerra, sorgente di morte, si colmino i granai di vita per milioni di creature umane che lottano contro la fame. Il nostro popolo generoso si è sempre sentito fratello a tutti i popoli della terra. Questa è la strada, la strada della pace che noi dobbiamo seguire.

Sandro Pertini

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Damiano Ianniello Fabrizio Cardinale

Fototeca Pier Giacomo Sottoriva, da Imperial War Museum di Londra Fototeca Provincia di Latina

Fototeca Presidenza della Repubblica

Associazione Linea Gustav - Fronte Garigliano - SS. Cosma e Damiano e Castelforte Ricerche iconografiche sui siti internet ed in particolare da Google Cultural Institute - Life Collection (fotografo Carl Mydans), Bundesarchive, ecc: Gabriele Manarini;

Paolo Parasmo Copertina (1^ e 4^):

sullo sfondo di immagini di guerra nei Comuni di Castelforte, Santi Cosma e Damiano, Formia, Gaeta, Cisterna, in rilievo, alcuni dei militari pontini ai quali è stato dedicato il Percorso della Memoria.

La Provincia resta a disposizione nel caso di eventuali diritti d’autore sulle immagini.

Le didascalie figurano solo per le fotografie del periodo bellico e per bunker e trince- ramenti; le altre immagini si riferiscono a momenti delle singole cerimonie del Percorso della Memoria.

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SOLO UNA TESTIMONIANZA

di Salvatore De Monaco ...11 SETTANT’ANNI FA, SETTANT’ANNI DOPO

di Domenico Tibaldi ... 15 Settant’Anni Fa

LA LINEA GUSTAV

di Ezio D’Aprano ... 19 Settant’Anni Fa

IL FRONTE DEL NORD

di Pier Giacomo Sottoriva ...55 Settant’Anni Dopo

LA VISITA A LATINA DEL PRESIDENTE DELLA REPUBBLICA CIAMPI.

L’ITER E IL CONFERIMENTO DELLA MEDAGLIA D’ORO AL GONFALONE DELLA PROVINCIA ...79 IL DOCUMENTO

Relazione di base per il conferimento della Medaglia d’oro al Valor Civile al Gonfalone della Provincia di Latina ...87 AL QUIRINALE ... 117 COME SONO NATI I MONUMENTI DEL PERCORSO

DELLA MEMORIA ... 125

Copyright © 2014: Provincia di Latina

IDEAZIONE, ORAGANIZZAZIONE E DIREZIONE EDITORIALE Domenico TibalDi

TESTI

ezio D’aprano, pier Giacomo SoTToriva, Domenico TibalDi; Progetto editoriale e impaginazione:

a2aDv Stampa:

TipoGrafia monTi - laTina Finito di stampare giugno 2014

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TRA TOBRUK ED EL ALAMEIN

Roccagorga, 3 ottobre 2010...243 IL BERSAGLIERE LAUREATO ALLA MEMORIA

Terracina, 15 giugno 2012 ... 253 Settant’anni dopo

L’ALBO D’ONORE DELLE ISTITUZIONI ... 263 Settant’anni Dopo

COSA RESTA

di Pier Giacomo Sottoriva ... 267 Settant’Anni Dopo

ARMANDO CUSANI PRESIDENTE DELLA PROVINCIA: Attraver- so i Discorsi, le Storie del Percorso della Memoria:

A MARIA, ALLE ALTRE

Campodimele, 27 luglio 2006 ...137 UN MONUMENTO E UNA MOSTRA PER UN RAGAZZO DEL “CORSO REX”

Castelforte, 6 ottobre 2006 ... 145 UNA STELE E UNA CASERMA PER UN EROE DELL’ARMA

Santi Cosma e Damiano, 18 novembre 2006 ...155 IN MEMORIA DELL’ESODO: UNA STELE PER RIFLETTERE Cisterna di Latina, 19 marzo 2007 ... 163 UNA STELE E UNA MOSTRA PER IL “SANTO” DAL CAPPELLO PIUMATO Ponza, 14 aprile 2007 ...173 DUE SIMBOLI DI MARINAI CORAGGIOSI

Gaeta, 27 giugno 2007 ...181 IL SACRARIO DEI DECORATI

Priverno, 19 marzo 2008...191 L’ULTIMA CARICA DEL LANCIERE DI LENOLA

Lenola, 10 ottobre 2008 ... 201 IL PARACADUTISTA CHE DIVENNE SINDACO

Itri, 25 giugno 2009 ... 211

«TRA CEFALONIA E KOS»

Spigno Saturnia, 9 ottobre 2009 ... 221 QUELLE DODICI GAVETTE DI GHIACCIO

Minturno, 4 giugno 2010 ... 233

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SOLO UNA TESTIMONIANZA

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on molto piacere adempio al dovere di presentare l’ultimo lavoro della Provincia sul filone della memoria, dopo averne vissuto e condiviso, nel ruolo di Vice Presidente, l’iter ed il conferimento della Medaglia d’Oro al Gonfalone della Provincia, gli eventi, i monumenti, le mostre allestite dal nostro personale perché quel nuovo simbolo di unità dinanzi all’immane tragedia della guerra fosse un valore condiviso da tutti.

Penso alle migliaia di persone, giovani, bambini che abbiamo incontrato in ciascun evento; penso ai sindaci che hanno partecipato al nostro Percorso della Memoria, penso ai militari dell’Esercito Italiano, dell’Aeronautica Militare, della Marina militare, dell’Arma dei Carabinieri, della Guardia di Finanza e della Polizia di Stato schierati per gli onori (o per rappresentanza) ed appartenenti nel presente agli stessi Battaglioni, Reggimenti, Gruppi aerei o Reparti navali dei giovani pontini nati nei primi vent’anni del Novecento caduti sui fronti di guerra non per un credo politico, bensì per un giuramento di fedeltà allo Stato e ai suoi simboli. Per noi è stata una lezione di vita, una iniezione di entusiasmo e di ottimismo nel constatare che i valori del Dovere, della Responsabilità, del Sacrificio, della Pace, della Libertà, della Democrazia sono un’unica benefica fiamma nel cuore della nostra gente, ne esprimono l’integrità, la determinazione e l’impegno a far si che quei valori vengano tra- mandati nel tempo, perché quei ragazzi ai quali la guerra portò via speranze e gioventù non venissero dimenticati ancora una volta, ma consegnati alla storia più semplice di questa pro- vincia percorsa profondamente da vicende belliche approfondite ed ampiamente ricostruite in anni ed anni di ricerca.

Si, abbiamo scelto un filone inedito nel vasto campo della ricostruzione degli avvenimenti di settant’anni fa quasi ad aprire una pista agli studiosi di storia patria, agli storiografi del nostro territorio perché le storie di altri soldati siano oggetto di ricerca e di narrazione ai giovani, perché gli esempi aiutano a crescere, a maturare, ad acquisire responsabilità e rispetto. Siamo arrivati fin dove ci è stato possibile, ma qualcuno raccolga il testimone e continui, continuino le Scuole, continuino i Comuni, continuino le Associazioni nate perché la Memoria di cosa avvenne settant’anni fa sulla parte pontino-aurunca della Linea Gustav fino ad Ortona (Gaeta, Formia, Minturno, Spigno Saturnia, SS. Cosma e Damiano e Ca- stelforte) e sul fronte Anzio, Littoria, oggi Latina-Cisterna- Aprilia si traduca in Lanterna destinata ad illuminare nuove conoscenze storiche e vicende umane, militari e civili, spesso

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percorse da sentimenti di umanità e solidarietà: ne ha bisogno questa società per rigenerarsi e comprendere che il suo destino di libertà e di pace sarà assicurato solo se la Democrazia si consoliderà nella certezza del rispetto delle regole e dell’equità tra le persone.

Così questo libro aspira ad avere valenza puramente documentale, a raccogliere le cose che sono state prodotte perché altri possano produrne ancora, e di meglio, perché la nostra storia di comunità e di territorio si arricchisca a vantaggio delle nuove generazioni. Set- tant’anni fa, Settant’anni dopo, questo libro è solo una testimonianza. La testimonianza di una istituzione, la Provincia, che ha coltivato la Memoria come ha potuto, fin dove ha po- tuto, prima che il Legislatore decidesse, con un colpo di spugna, di trasformarla in qualcosa che non ci piace e che nel tempo non piacerà ai cittadini.

Salvatore DE MONACO Presidente della Provincia

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SETTANT’ANNI FA, SETTANT’ANNI DOPO di Domenico Tibaldi

S

ono trascorsi settant’anni da quei giorni di guerra, tra il settembre 1943 ed il maggio 1944, quando, dopo mesi di bombardamenti da terra e dal cielo, l’esodo forzato di quasi tutta la popolazione locale e l’infausta offensiva della seconda metà di gennaio, la decima compagnia di fucilieri algerini, guidata dal Capitano Louisot, riuscì a far breccia tra le postazioni di mitragliatrici dei fanti della Wermacht, poste dal generale Von Senger nel punto della Linea Gustav, che l’alto, colto ed umano ufficiale tedesco, riteneva cruciale per reggere l’offensiva finale degli Alleati: Castelforte, al quale, allora, era unito Santi Cosma e Damiano.

Mario Puddu, Pier Giacomo Sottoriva, Duilio Ruggiero, Ezio D’Aprano, Livio Cavallaro, Jean Cristopher Notin, Jaques Robichon, René Cham- be, Janus Piekalkiewicz ed altri, hanno scavato a fondo e raccolto ogni fonte credibile per documentare che, prima che a Cassino (dal quale i paracadutisti tedeschi si erano ritirati imbattuti), la Linea Gustav cadde in questo paese, così ischeletrito dalla furia devastante degli spezzonamen- ti delle <fortezze volanti> e delle granate degli obici e dei cannoni di là dal Garigliano, mentre parte della popolazione, a piccoli gruppi, tentava di superare i campi minati del Rio Rave, presto trasformato in una valle della morte, dominata dall’odore nauseabondo di cadaveri orrendamente mutilati dallo scoppio delle mine e in avanzato stato di decomposizione:

<Castelforte – scrisse il Gen. Chambe, mentore delle gesta del Corpo di Spedizione Francese – è morto!>.

A cento chilometri di distanza, il fronte Anzio-Littoria-Cisterna-Aprilia, con battaglie senza esclusione di colpi tra Alleati e Tedeschi ed una intermi- nabile scia di sangue, morte, distruzione, sfollamenti.

Nel mezzo tante altre cittadine pontine nel concorrere al triste, originale primato di una Provincia nata neanche dieci anni prima eppure al centro di due grandi fuochi, dei quali è ancora vivo il ricordo.

Da questo contesto e dall’esigenza di un simbolo forte di unità, dinanzi alla tragedia di allora, è partito il progetto della Medaglia d’Oro al Merito Civile conferita al Gonfalone della Provincia di Latina e quel Percorso della

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Vittorio Tartaglia) e di tanti altri ragazzi, ai quali una pallottola, un’esplo- sione, un naufragio o un abbattimento in volo hanno fermato la vita.

Quelle narrazioni che hanno coinvolto la gente, entusiasmato i ragazzi delle scuole, fatto apprezzare i nostri soldati sono raccolte in questo lavoro in- sieme al racconto di cosa avvenne settant’anni fa da Aprilia a Castelforte.

E con esse una breve sintesi di oltre 3.000 fotografie, scattate nel corso degli eventi, sono il corredo di ogni singola narrazione, che accompagna un percorso, anche culturale ed artistico, con la Fonderia Marinelli di Agno- ne, autrice delle steli, delle campane e delle opere in bronzo erette in tanti Comuni della Provincia, così onorando, con Parole, Simboli e Segni del- le Memoria l’impegno del giovane presidente, con l’allora Presidente della Repubblica Carlo Azeglio Ciampi e di consegnare al prossimo una testimo- nianza di natura documentale.

Il Percorso della Memoria è stato possibile per la sensibilità dello Stato Maggiore Esercito e del 2° Comando Forze di Difesa, dello Stato Maggiore Aeronautica e del 6° Stormo <Alfredo Fusco>, dello Stato Maggiore della Marina Militare, delle famiglie dei caduti e per lo spirito di servizio e di collaborazione di colleghi come Ada Balestra, Delia Farina, Michela For- te, Cinzia Marroni, Stefania Sassu, Angela De Meo, Raffaella De Bonis, Graziella Cicconi, Cristina Battisti, Wanda Mustica, Alessandro Pannone, Manfredo Fantozzi con la squadra del Settore Viabilità dell’Ente; per il pre- zioso il contributo dell’Ing. Orlando Giovannone e delle sue collaboratrici, Arch. Emanuela Vitarella, Geometri Angela Rasile ed Angelica Filosa, del Primo Maresciallo dell’Aeronautica Militare Marco Costa, del Comandante dei Vigili Urbani di Santi Cosma e Damiano, Enzo Ciavolella. Un’attesta- zione di stima alla <voci> degli eventi del Percorso della Memoria: Eleonora Verzin e Pasqualina Fusco.

Un ringraziamento particolare a Giampaolo Grazian e Peter Gazzetta del Ser- vizio Cerimoniale della Camera dei Deputati per la sensibilità con la quale hanno contribuito ai risultati di ciascun evento del Percorso della Memoria.

A tutti, ancora grazie. Di cuore! È stata un’esperienza dura, bella. Irripetibi- le, purtroppo. Resta lo spirito e il messaggio che abbiamo inteso trasmettere e condividere con tutti: essere patrioti di un nuovo Risorgimento all’inse- gna della libertà, della democrazia e della pari dignità di tutti gli italiani.

Memoria, intrapreso poco dopo, per raccontare storie di uomini in divisa nati nei nostri Comuni e distintisi per valore, onore, fedeltà al Paese e al Tricolore risorgimentale.

Lo abbiamo fatto cercando negli archivi, ascoltando racconti di anziani, rac- cogliendo immagini ingiallite, lettere con grafie bellissime e parole semplici e profonde e trasformando il tutto in eventi, monumenti, mostre e libri.

Il Percorso della Memoria ha compiuto gran parte del tragitto, ma i tagli alla spesa pubblica hanno interessato anche la Provincia di Latina, nonostante i conti fossero a posto. Così non ci è stato dato il tempo di affermare il dirit- to della Città di Formia (e cosi Cisterna, Gaeta e Terracina) ad avere quella stessa Medaglia d’Oro al Valor Civile riconosciuta a Castelforte e Santi Co- sma e Damiano. Non ci è stato dato il tempo per affermare che gli attestati di benemerenza pubblica, conferiti ai Comuni di Ventotene e Ponza, non rendono ragione dei circa 70 morti del piroscafo S. Lucia (primo atto di guerra in Provincia) e della storia del confino politico durante il ventennio fascista; non ci è stato dato il tempo per sottolineare, che anche Sezze me- riterebbe pari riconoscimento di Priverno, Cori, Fondi fregiati di Medaglia d’Argento al Merito Civile.

Forse altri, in futuro, potranno proseguire il Percorso della Memoria per far conoscere ai giovani le storie del Ten. Col. Adalgiso Ferrucci (formiano, Medaglia d’Oro al Valor Militare alla memoria), del capitano Riccardo De Angelis (due Medaglie d’Argento al Valor Militare) di Sonnino e del suo armiere di Sezze, Sergente Ubaldo Piccaro (Croce di Guerra), di altri mi- litari, che non abbiamo fatto in tempo a raccontare con lo stesso stile, che ha permesso di <trasformare> un giovane presidente di Provincia, Arman- do Cusani, nell’appassionato narratore delle storie di <Maria e le altre>, dell’<Aquila Disubbidiente> (Alfredo Fusco), del carabiniere Angelo Di Tano, de <Il santo dal cappello piumato> (Mario Musco), de <Il Bersagliere laureato alla Memoria (A. Quartulli), dei <Simboli di marinai coraggiosi>

(Alfonso di Nitto ed Osvaldo Uttaro) de <L’ultima carica del lanciere di Lenola> (Mario Rosario Liguori), de <Le Dodici Gavette di Ghiaccio> di Minturno (Domenico De Filippis; Angelo De Meo; Pasquale Conte; Augu- sto di Costanzo: Giovanni Fedele; Mario La Serra; Antonio Mauro; Giu- seppe Pensiero; Nicola Rotelli; Antonio Stella; Pasquale Zenobio; Mario

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LA LINEA GUSTAV

Gli Alleati entrano a Formia

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ciato l’8 settembre 1943. Il giorno successivo, gli Alleati sbarcano a Salerno e si dirigono verso Napoli. Alle prime ore del mattino del 9 settembre, il re, con la sua famiglia e il suo Governo, fugge da Roma e si rifugia a Brindisi, sotto la protezione degli Alleati. Il Paese è allo sbando e regna l’anarchia completa. In pratica, è consegnato ai Tedeschi, i quali, da alleati, diven- gono dominatori. In pochi giorni essi assumono il controllo del territorio frettolosamente abbandonato, impossessandosi dei comandi militari, delle industrie, delle infrastrutture e dei punti strategici; sono decisi ad arresta- re la risalita delle forze angloamericane nella piana del Garigliano. A tale proposito approntano sul fiume Volturno una linea di difesa, denominata Bernhard, per ritardarne la risalita e avere, così, il tempo di predisporre, più a nord, un fortificato baluardo difensivo: la Linea Gustav. Questa linea si estende dal Mar Tirreno al Mare Adriatico, da Gaeta ad Ortona, lungo le valli dei corsi dei fiumi Garigliano, Rapido e Sangro; comprende i Monti Aurunci situati a sud della Provincia di Littoria. Con questo sbarramento difensivo il territorio nazionale è diviso in due. Sulla zona a nord della linea Gustav, i Tedeschi ormai esercitano il dominio assoluto, con l’avallo della Repubblica Sociale Italiana. In pratica è un territorio di occupazione, su cui vige la legge di guerra. In conseguenza di tali eventi, la Provincia di Littoria per i Tedeschi assume un ruolo strategico di grande rilevanza; infatti, nel suo ambito si svolgeranno epici e cruenti scontri tra i contrapposti eserciti, che porteranno, dopo otto lunghi mesi, alla liberazione di Roma e alla svol- ta decisiva della guerra in Italia a favore degli Alleati.

La Provincia di Littoria, situata a nord di tale linea, che comprende an- che parte del suo territorio, costituito dai Monti Aurunci, subisce pesanti conseguenze con gli scontri che vi si svolgono, divenendo importante teatro di guerra.

I Tedeschi, intanto, si insediano in tutti i punti strategici della provin- cia. Nei giorni precedenti lo sbarco di Salerno, gli Alleati effettuano bom- bardamenti aerei e navali su vari centri, tra i quali Castelforte, Minturno, Fondi, Formia, Gaeta, Itri, Spigno Saturnia e Terracina. I bombardamenti, soprattutto terrestri nelle zone di prima linea, nel corso delle ostilità sono estesi a tutti i paesi della provincia, con pesanti distruzioni e gravi perdite di vite umane. Gli Alleati, che hanno la supremazia incontrastata del mare di Ezio D’Aprano

Vite Disperse

F

orse non è sufficientemente evidenziato, nei reportage di guerra e nei manuali di storia, che la Provincia di Littoria è stata teatro di importan- ti avvenimenti bellici ed ha pagato il suo non trascurabile tributo di sangue e di rovine. Neppure il dramma della sua popolazione, trovatasi al centro dei combattimenti, ha meritato la giusta attenzione da parte degli studiosi dei fatti di guerra. La gente di Littoria, in quel tragico periodo, è stata co- stretta ad abbandonare la propria casa e la propria terra, volontariamente o d’autorità, a seguito dell’incalzare dei tragici eventi e dei conseguenti ordini di sgombero o dei numerosi rastrellamenti attuati dai soldati tedeschi. Per diverse zone si è trattato di un esodo biblico.

Con la disfatta delle forze dell’Asse in Nord-Africa e il successivo sbarco degli Alleati in Sicilia, avvenuto il 10 luglio 1943, la situazione del Paese diviene drammatica. In precedenza gli effetti della guerra erano visibili solo con i bombardamenti aerei sulle grandi città; ora il nemico è giunto sul ter- ritorio nazionale. Il 19 luglio il quartiere di San Lorenzo di Roma è sotto- posto ad un violento bombardamento. Nel Paese lo scoramento è generale;

si diffonde la convinzione che la guerra ormai è persa e che bisogna evita- re ulteriori distruzioni ed inutili lutti, sollecitando la caduta del Fascismo, colpevole della disfatta militare. Sull’onda di tale convinzione, il 25 luglio 1943 Mussolini è destituito. Cade il Regime fascista dopo circa un venten- nio. Il re affida l’incarico di formare il Governo al Maresciallo Badoglio. La situazione del Paese peggiora con il passare dei giorni. Gli Alleati intensifi- cano i bombardamenti delle città, per fiaccare ulteriormente il morale della popolazione e indurla ad esercitare una forte pressione sul Governo, per convincerlo a chiedere la resa.

Nel Paese il caos è indescrivibile e la situazione diviene sempre più in- sostenibile con l’incalzare degli avvenimenti. Al Governo non resta che chiedere l’armistizio incondizionato agli Alleati. L’armistizio, firmato non troppo segretamente a Cassibile (Siracusa), cinque giorni prima, è annun-

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deschi, in base all’accordo stipulato con il Governo Fascista, emanano un proclama con il quale ingiungono a tutti gli uomini appartenenti alle classi 1900-25, che sono capaci a portare le armi e lavorare, di presentarsi al lo- cale Comando militare, minacciando gravi provvedimenti nei confronti dei disubbidienti. Il giorno 11 settembre 1943 eseguono a Gaeta e Formia un massiccio rastrellamento degli uomini civili e militari. Tali rastrellamenti si attuano anche negli altri comuni della provincia: 23 settembre a Castelfor- te, 4 ottobre a Lenola e Campodimele, 8 ottobre a Priverno e Roccagorga, 10 ottobre a Littoria, 25 ottobre a Cori e nei paesi dei Monti Lepini; degli altri comuni mancano riscontri sulla loro effettuazione. Questa operazione è da considerare come primo esodo forzato dei cittadini della Provincia di Littoria. Gran parte degli uomini catturati sono condotti in Germania e internati nei lager per essere impiegati nei lavori lasciati liberi dagli operai tedeschi, chiamati ad integrare gli organici della Wermacht, dopo la defe- zione dell’esercito italiano a seguito dell’armistizio. Gli altri, invece, sono adibiti ai duri lavori di approntamento della barriera difensiva, soprattutto nella zona di Cassino.

Intanto la Quinta Armata americana attacca la Linea Bernhard, sul Vol- turno, tra il 7 e il 14 ottobre 1943; poi si dirige verso la piana del Gari- gliano, completandovi lo schieramento intorno alla metà di novembre. Da questa data gli scontri si fanno durissimi con gravi perdite da ambo le parti.

È una anacronistica guerra di posizione, tipica della prima guerra mondia- le, combattuta con gli strumenti moderni di morte. I paesi che si affacciano sul Golfo di Gaeta si trovano in prima linea e sono i più esposti alle azioni di guerra. La popolazione, pur di fronte all’ordine di sgombero, tranne sporadici casi, non abbandona la propria terra, decide di restare. D’altron- de, è facile indulgere all’ottimismo, vista la travolgente avanzata delle forze alleate fino alla piana del Garigliano, dopo lo sbarco in Sicilia del 10 luglio 1943. La popolazione cerca di mettere al sicuro i propri beni e quanto ha di prezioso e si allontana dai centri abitati, esposti ai bombardamenti, per trasferirsi nelle colline e, soprattutto, nei monti adiacenti. Ora tali località brulicano di gente, che si sistema nelle poche casupole dei contadini, nelle capanne, negli stazzi, negli ovili, nelle grotte, se non occupate dai solda- e del cielo e dispongono di enormi mezzi di distruzione e di morte, posso-

no colpire ogni angolo della provincia. La popolazione cerca di mettersi al sicuro, si allontana dai centri abitati e si trasferisce in campagna, nelle zone collinari e montane. È un segnale eloquente che la guerra è giunta in Pro- vincia di Littoria, coinvolgendo l’intera popolazione.

A Roma, dichiarata città aperta il 15 agosto 1943, sono istituiti Centri di raccolta e accoglienza per profughi e sfollati presso la Caserma La Mar- mora in Trastevere, Caserma Vespucci in Santa Croce in Gerusalemme, nell’ex Stabilimento Breda al quartiere Casilino, nello Stabilimento cine- matografico di Cinecittà, nonché a Cesano e Narni. Il Comando militare tedesco mette a disposizione della popolazione, che intende allontanarsi dalla zona e trasferirsi a Roma, camion militari e treni. Purtroppo, rispet- to alla popolazione interessata, in pochi approfittano della possibilità. È difficile abbandonare la propria casa e i propri beni con la consapevolezza di non trovare nulla al ritorno! Infatti, il fenomeno dello sciacallaggio, del saccheggio dei beni incustoditi, è molto diffuso in concomitanza di guerre e di calamità naturali.

I Monti Aurunci, che fanno da cornice alla piana del Garigliano, che è solcata con grandi anse dall’omonimo fiume e attraversata dalla strada stata- le Appia, per la loro conformazione orografica e per la morfologia del ter- ritorio, costituiscono l’ambiente ideale per i Tedeschi per sbarrare la strada alle forze alleate dirette a Roma. In questa zona le poderose forze alleate rimangono impantanate fino a metà maggio 1944, nonostante lo sbarco di Anzio avvenuto il 22 gennaio 1944. Gli eventi bellici incalzano. Nella fase iniziale delle ostilità, la guerra investe in particolar modo la zona sud della provincia, subendo le prime gravi conseguenze.

I Tedeschi il 9 settembre occupano i comandi militari di Sabaudia, Lit- toria, la piazza di Gaeta, nonché le località strategicamente rilevanti della provincia. Il giorno 12 settembre 1943 il Comando militare tedesco ordi- na l’evacuazione di Minturno, Formia e Gaeta. L’ordine si estende il 20 settembre a Sperlonga e Terracina, il 4 ottobre a Lenola, il 16 ottobre a Castelforte (all’epoca era aggregato il comune di Santi Cosma e Damiano), il 10 gennaio 1944 a Campodimele, il 10 e 11 febbraio a Littoria. I Te-

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merci o bestiame, dopo lunghi ed estenuanti viaggi, che durano anche una settimana, sono condotti e sistemati nelle località del Nord Italia, non po- tendo essere più ospitati nelle strutture di Roma, la cui capienza è satura. Il Governo repubblicano emana disposizioni ai podestà per organizzare, nei loro comuni, l’accoglienza e la permanenza degli sfollati d’autorità dalle zone invase, mediante l’Ente Comunale di Assistenza, appositamente tra- sformato in Assistenza Fascista. A Viadana (Mantova), in base ai documenti conservati nell’Archivio Storico Comunale, si è potuto riscontrare che vi sono stati ospitati ben quattrocento sfollati di Castelforte, Gaeta, Formia, Minturno, Spigno Saturnia, Coreno Ausonio (Frosinone) e di altre località del Sud Italia. Le zone più note di accoglienza degli sfollati di Littoria, di cui si hanno notizie, sono: Brescia (Rovato), Mantova (Gonzaga, Ostiglia, Viadana, Villimpenta), Padova (Montagnana, Saonara), Reggio Emilia (Bo- retto, Brescello), Rovigo (Castelmassa, Castelnovo Bariano), Terni (Narni), Treviso (Altivole, Asolo), Verona (Casaleone), Vicenza (Mason Vicentino).

Molti cittadini delle zone degli Aurunci, sfuggiti ai vari rastrellamenti, pochi mesi prima della rottura della Linea Gustav, riescono ad attraversare la pericolosissima linea di fuoco, rischiando la vita nell’attraversamento dei campi minati; si mettono in salvo oltre il Garigliano, in territorio alleato, ove la guerra può considerarsi finita. I profughi, raggiunta la salvezza, dopo alcuni giorni di permanenza nei Centri di raccolta predisposti dagli Alleati a Sessa Aurunca, Mondragone e Capua, sono trasferiti nelle varie località del Sud Italia, precisamente: Caltanissetta (Mussomeli), Caserta, Cosen- za (Castrovillari, Corigliano Calabro, Fagnano Castello), Matera (Pisticci), Messina, Napoli, Palermo, Potenza (Carbone, Maratea), Reggio Calabria (Cittanova, Siderno), Salerno (Sala Consilina).

Lo sbarco degli Alleati ad Anzio, a nord della Linea Gustav, effettuato il 22 gennaio 1944, coglie i Tedeschi di sorpresa, ma non sortisce l’effetto desiderato, cioè mettere in crisi il loro sbarramento difensivo dalla foce del fiume Garigliano a Cassino. Infatti i Tedeschi riescono a rintuzzare l’attacco e ad approntare una efficace linea di difensiva imperniata su Anzio-Nettu- nia-Aprilia-Campoleone-Cisterna. I quattro attacchi, lanciati dagli Alleati alla predetta linea il 29-31 gennaio 1944, il 3-12 febbraio, il 16-22 febbraio ti; si costruiscono capanne e rifugi di fortuna. Purtroppo la sistemazione,

che si auspicava temporanea, col passare dei giorni si prospetta lunga, con inimmaginabili conseguenze; vivere in quelle condizioni è impossibile in un autunno inoltrato, che peraltro si manifesta inclemente e rigido, con abbon- danti piogge accompagnate da scrosci di grandine. Inoltre, la sistemazione in montagna degli abitanti dei paesi dei Monti Aurunci è anche pericolosa; in- fatti, tali zone, come i centri urbani, sono sottoposte a frequenti cannoneg- giamenti da parte degli Alleati per demolire le fortificazioni e le postazioni dei Tedeschi. Per tale motivo, ai disagi della vita all’addiaccio si aggiungono i pericoli dei bombardamenti in un territorio, il quale, tranne le grotte, non offre alcuna protezione. Pertanto, escluso gli uomini, che sono soggetti ai continui rastrellamenti dei Tedeschi, gli altri ritornano in paese.

Il Governo si rende conto che la popolazione, se caparbiamente rima- ne in zona operativa, rischia lo sterminio. Il Ministero degli Interni della Repubblica Sociale Italiana, di concerto con il Comando militare tedesco in Italia, predispone un piano di sgombero d’autorità per allontanare le popolazioni da tutte le zone invase e sistemarle in appositi luoghi di acco- glienza. A tale proposito, nei comuni dei Monti Aurunci si attuano improv- visi rastrellamenti in massa della popolazione, eseguiti dai soldati tedeschi, coadiuvati da civili italiani, probabilmente repubblichini, che fungono da interpreti.

Dopo la dichiarazione di guerra del 13 ottobre 1943 dell’Italia all’ex al- leata Germania, i Tedeschi manifestano un atteggiamento di ostilità, di ri- sentimento e di disprezzo anche nei confronti della popolazione; infatti, durante le operazioni di rastrellamento, sono brutali, sbrigativi, violenti e pronti a ricorrere alle maniere forti e, nei casi di ritardata esecuzione degli ordini, che spesso la popolazione non comprende, ad usare anche le armi.

In provincia si registrano casi di persone trucidate durante i rastrellamen- ti. L’operazione di sgombero è imponente, poiché riguarda una popola- zione numerosa, residente in una vasta zona del fronte. È anche rischiosa, poiché durante i rastrellamenti avvengono anche bombardamenti improv- visi da parte alleata. I rastrellati sono trasferiti nelle stazioni ferroviarie di Ceprano, Ferentino e Priverno Fossanova, ove con treni composti di carri

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di ricominciare a operare per un futuro migliore. Purtroppo molte località sono distrutte o gravemente danneggiate. Per viverci è necessario effettuare la ricostruzione e avviare la ripresa delle attività economiche e sociali. In tali zone non è possibile accogliere tutti i cittadini rientrati dalle località di sfollamento; possono restarvi soltanto le persone utili alla loro rinascita.

Per tale motivo, la popolazione non attiva è invitata a trasferirsi a Roma e nei Centri di raccolta per sfollati, e ritornare quando le condizioni lo con- sentiranno.

Il 25 aprile 1945 termina la guerra. Subito dopo inizia anche il rientro degli sfollati dalle località del Nord. Anche costoro sono invitati a lasciare il proprio paese e trasferirsi nei Centri di accoglienza di Roma o in quelli di Gaeta e Latina. Per la popolazione è un altro allontanamento dalla propria terra; è un nuovo esodo, sia pure volontario. Molti cittadini non ritornano nei loro paesi; rimangono nelle zone di accoglienza oppure si trasferiscono nelle città del Nord Italia, nei paesi europei e nei paesi d’oltremare, in par- ticolare Stati Uniti, Canada e Australia.

Le località interne della Provincia si spopolano a causa dell’accentuato flusso migratorio; invece quelle costiere e in pianura, investite dal processo di industrializzazione in atto nel Paese, registrano un intenso sviluppo ur- bano e demografico. In pratica, la guerra, oltre ad arrecare lutti e distruzio- ni, che hanno richiesto anni di duro lavoro e l’impiego di notevoli risorse economiche, ha originato lo stravolgimento dell’assetto socio-economico della Provincia. Per dirla con lo storico Annibale Folchi, la guerra ha deter- minato anche la fine di Littoria (Latina dal 9 aprile 1945) e la nascita della Provincia di Latina.

I Tedeschi si insediano a Castelforte

Con lo sbarco degli Alleati in Sicilia, avvenuto il 10 luglio 1943, la guerra ormai era giunta nel territorio nazionale e velocemente risaliva la Penisola.

Gli eventi precipitarono velocemente. Era convincimento generale che l’I- talia non era nelle condizioni di continuare la guerra a fianco dei Tedeschi.

Per uscire dalla situazione, che si era determinata nel Paese, il Maresciallo e il 29-4 marzo, non riescono a fiaccare l’agguerrita resistenza nemica. Gli

scontri finiscono con pesanti perdite da ambo le parti e con gravi conse- guenze per gli abitanti. Adesso, anche in quest’altro lembo della provincia, la guerra ristagna, come sul fronte del Garigliano. Dopo lo sbarco, le Forze alleate, impiegheranno altri quattro mesi di cruenti scontri, a nord e sud, per travolgere la Linea Gustav a metà maggio 1944 e liberare l’intera Pro- vincia di Littoria. La liberazione di Roma avviene il 4 giugno 1944. Subito dopo gli Alleati iniziano l’inseguimento dell’esercito tedesco in ripiega- mento verso l’Italia Settentrionale.

I cittadini di Littoria, Aprilia, Cisterna, con lo sbarco, si trovano in pri- ma linea, tra due fuochi, nella medesima situazione della popolazione degli Aurunci. Il Comando tedesco il 9 febbraio ordina l’evacuazione di Aprilia, Cisterna, Littoria, dell’Agro Pontino, dei Comuni di Cori, Norma, Ser- moneta, Bassiano, Sezze, Pontinia, fino al confine con Terracina. È una operazione di vasta portata, effettuata in una zona di prima linea, con grave rischio per l’incolumità della popolazione. Il problema dell’incolumità del- la popolazione riguarda anche gli Alleati. Infatti, con lo sbarco, parte della popolazione di Anzio, Nettunia, Aprilia, Cisterna e alcuni Borghi di Lit- toria, si trova tra due fuochi. L’operazione di sgombero è particolarmente complicata, poiché la zona è completamente circondata dall’esercito tedesco e l’unico sbocco è costituito dal mare. Per tale motivo, l’evacuazione della popolazione può avvenire solo via mare. Gli sfollati, radunati sulle spiagge di Nettunia ed Anzio, sono traghettati con le barche fino alle navi ancorate al largo, con le quali sono condotti nelle località della Calabria, dove già sono presenti molti profughi volontari degli Aurunci.

Con la liberazione di Roma terminano le vicissitudini della guerra per la popolazione della Provincia di Littoria. La guerra, invece, continua a Nord della Linea Gotica. I governatori militari alleati, nei territori liberati, si attivano per il ripristino dell’attività amministrativa per avviare la ricostru- zione e la ripresa della vita.

I cittadini della Provincia di Littoria, ospitati nelle località del Sud, sono i primi a rientrare nei loro paesi, con la tenue speranza di ritrovare qualcosa di ciò che frettolosamente avevano dovuto abbandonare, ma con la volontà

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torio nazionale, dalla Sicilia fino alla Linea Gustav, era stato liberato dagli Alleati. La popolazione di quel territorio poté trarre un sospiro di sollievo per la fine della guerra. Invece nel restante territorio, la guerra continuò.

I Tedeschi, con il sostegno della Repubblica Sociale di Salò, erano deter- minati a contrastare in Italia l’avanzata degli Alleati. Il loro atteggiamento, nei confronti della popolazione, divenne sprezzante e molto risentito per l’affronto del secondo tradimento subito dagli Italiani.

Le vicissitudini della popolazione di Castelforte iniziarono a partire dal giorno 9 settembre 1943. Un segnale eloquente si ebbe quando nella mat- tinata in paese apparve un camioncino, carico di soldati tedeschi armati di tutto punto e con una grossa mitragliatrice, bene in vista, collocata sul tetto della cabina di guida. I soldati, con il loro camioncino, effettuarono più volte il giro delle principali vie del centro, con atteggiamento spavaldo e minaccioso. Il loro intento era di intimorire e far capire alla popolazione, che ormai nel suo territorio vigeva la loro legge di guerra.

In paese, dopo qualche giorno, giunsero numerosi soldati tedeschi, che si acquartierarono nei locali della scuola elementare di Via Risorgimento e della scuola media di Via San Rocco. I Tedeschi, ormai, da alleati si erano trasformati in occupanti arroganti e adirati nei confronti degli Italiani. Sot- to la minaccia delle armi requisirono animali da soma e da macello, e tutto ciò di cui avevano bisogno. Guai ad opporsi alla loro volontà. Inoltre obbli- garono molti uomini al lavoro coatto per approntare le strutture difensive, per il trasporto del materiale e dei beni requisiti ai cittadini.

Alcuni cittadini, che avevano osato opporsi alla razzia dei loro beni, fu- rono percossi e anche trucidati, senza esitazione, dai soldati tedeschi. Tra le vittime della loro barbarie ci furono anche dei ragazzi e giovani, i quali a causa dell’età e dell’inesperienza, non si erano resi conto del pericolo che avrebbero corso opponendosi alla requisizione degli animali avuti in affido dai loro genitori.

Con il passare dei giorni le intenzioni dei Tedeschi divennero più evi- denti. Infatti il 18 settembre ingiunsero ai cittadini di consegnare tutte le armi in loro possesso, di qualsiasi tipo. Il giorno 23, infine, dopo aver bloc- cato tutte le vie d’uscita del paese, intimarono agli uomini, civili e militari, Badoglio, l’8 settembre 1943, alle ore 19:45, per via radio, annunciò alla

Nazione l’armistizio, firmato a Cassibile (Siracusa) 5 giorni prima, senza impartire precise direttive alle forze armate dislocate nel territorio nazio- nale ed oltremare, su come comportarsi con gli ex Alleati.

La situazione divenne tragica ed estremamente confusa, se non grot- tesca. Da un lato sembrava che la guerra fosse finita, almeno per l’Italia, dall’altro si percepivano i segni dell’immane tragedia, che si stava abbat- tendo. I tragici eventi incalzavano con il passare dei giorni. I cittadini avevano la consapevolezza che il Paese era allo sbando e senza un Governo, che impartisse loro precise disposizioni per fronteggiare la situazione che si era determinata con l’armistizio.

Il 9 settembre ci fu lo sbarco degli Alleati a Salerno; lo stesso giorno, alle ore 5:10, il re, la famiglia, il suo seguito e i membri del Governo, di soppiatto, abbandonarono Roma diretti a Brindisi, per mettersi in salvo in territorio occupato dagli Alleati.

Il 1° ottobre i Tedeschi abbandonarono Napoli e si attestarono sul fiume Volturno, per ritardare l’avanzata degli Alleati ed avere il tempo di appron- tare, più a monte, una linea difensiva, nota come Linea Gustav. Castelforte divenne un importante caposaldo di tale linea, con la presenza su tutto il suo territorio di numerosi reparti tedeschi.

Gli Alleati, verso la metà di ottobre 1943, dopo aver superato lo sbar- ramento approntato dai Tedeschi sul Volturno, si diressero nella piana del Garigliano. Per consolidare le posizioni conquistate effettuarono, nella prima decade di novembre, intensi bombardamenti, da terra e dal mare, su Castelforte, Santi Cosma e Damiano e Minturno, che causarono le prime distruzioni e le prime vittime tra la popolazione.

Il X Corpo d’Armata inglese, il 15 novembre completò lo schiera- mento lungo la sponda sinistra del Garigliano. A partire da questa data iniziarono i quotidiani cannoneggiamenti sui centri abitati degli Au- runci, sia per distruggere le fortificazioni difensive, sia per preparare l’attacco alla Linea invernale (Winter line), antistante la Linea Gustav.

Castelforte si trovò in territorio di prima linea, con gravissime conse- guenze per i cittadini e per il centro abitato.

Per l’effetto di tali eventi, dalla fine del mese di ottobre 1943, il terri-

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limentazione era costituita solo di pane raffermo, legumi, grano, grantur- co, noci, fichi secchi, carrube, lupini ed olive.

Durante il giorno era pericoloso accendere il fuoco in collina, dato che il fumo poteva richiamare l’attenzione dei Tedeschi o indurre gli Alleati a bombardare la zona. Solamente quando era buio pesto si poteva cucinare qualcosa, schermando la fiamma.

Periodicamente i cittadini dovevano scendere in paese per le provviste alimentari, che avevano nascosto. Purtroppo, spesso trovavano le dispense e i nascondigli svuotati. Alcuni, per tutelare i loro beni, lasciarono nelle case le persone anziane o inferme, che non potevano affrontare i disagi della vita in collina. L’espediente si dimostrò inutile.

I soldati tedeschi, con la complicità di alcuni compaesani collabo- razionisti, depredavano le abitazioni, soprattutto quelle dei cittadini benestanti, razziando vino, salumi, generi alimentari, biancheria e og- getti preziosi.

Con il tempo le condizioni di vita in collina divennero insostenibili.

Infatti la fame, le malattie, le pessime condizioni igieniche, le molestie dei parassiti, la carenza di acqua potabile, l’assenza di farmaci e di cure mediche indussero la popolazione a rientrare alla spicciolata in paese.

I Tedeschi, dopo aver valutato la difficile situazione in cui si trovava la popolazione in territorio di guerra, decisero di allontanarla con rastrella- menti in massa, effettuati in modo sbrigativo, senza consentire di portare qualcosa per il viaggio. Nel raggruppare i rastrellati non tenevano conto della composizione dei nuclei familiari o del grado di parentela, accentuan- done il dolore e la disperazione per la separazione.

I soldati non parlavano l’italiano, impartivano gli ordini nella loro in- comprensibile lingua, che nessuno capiva. Si facevano intendere con le percosse, i calci, le spinte dietro la schiena con le loro armi. In segno di disprezzo dicevano: “Italiani scheiss!” Non esitavano a percuotere anche bambini e anziani, che non capivano i loro intenti. Avevano ricevuto dai loro superiori ordini perentori di evacuare la popolazione in poco tempo e senza indugio. Non dovevano perdere tempo, dato il gran numero di cit- tadini che dovevano allontanare. Per tale motivo non esitavano ad aprire il fuoco in caso di disubbidienza o ritardata esecuzione delle loro disposizio- abili al lavoro, compresi nella fascia d’età 1900-25, di radunarsi nel pome-

riggio in località San Lorenzo, minacciando gravi sanzioni nei confronti dei renitenti e delle loro famiglie. Molti cittadini, per timore delle rappresaglie minacciate, soprattutto nei confronti delle loro famiglie, si presentarono;

altri furono catturati con i rastrellamenti effettuati in tutte le località del paese, dopo aver bloccato ogni via d’uscita.

I pochi cittadini sfuggiti alla cattura si rifugiarono nelle colline retro- stanti, vivendo alla macchia come latitanti. Centinaia di cittadini furono internati nei lager della Germania fino alla fine della guerra. Le donne do- vettero sostituirsi agli uomini, svolgendo i lavori dei padri, dei mariti, dei fratelli; in particolare dovettero provvedere alle necessità e alla protezione delle loro famiglie, in territorio di guerra.

L’atteggiamento ostile e insolente dei Tedeschi, si accentuò dopo il 13 ottobre 1943, quando il Governo dell’Italia del Sud dichiarò guerra alla Germania.

Con il trascorrere dei giorni per i cittadini la situazione peggiorò ulte- riormente. Infatti il 16 ottobre il Comando tedesco ordinò lo sgombro to- tale della popolazione entro ventiquattro ore. A tale proposito, è doveroso ribadire, che per alcuni giorni il Comando tedesco mise a disposizione dei cittadini dei camion per raggiungere Roma, ove sarebbero stati ospitati in apposite strutture. Stranamente solo in pochi accolsero l’invito.

Gli altri cittadini, per timore di perdere tutti i loro averi, non intesero abbandonare il paese. Pur rischiando di incorrere in gravi sanzioni, non eseguirono l’ordine di sgombro e restarono in paese, nella vana illusione che gli Alleati avrebbero agevolmente ricacciato i Tedeschi in pochi giorni.

La decisione di restare fu una follia! Difatti la zona di Castelforte di- venne importante caposaldo della linea Gustav e territorio di prima linea per otto lunghi mesi. Il paese era sottoposto a quotidiani bombardamenti, divenendo teatro di scontri tra gli opposti schieramenti.

Gli abitanti, dopo aver interrato o murato i loro beni negli scantinati e nei sottoscala, si trasferirono in collina. La popolazione viveva nelle ca- panne di strame e frasche, nelle caselle, nelle mànnere (fienili di montagna costruiti con muri di pietra), in pratica all’addiaccio, nel periodo autunnale caratterizzato da un tempo inclemente, con freddo, piogge e grandine. L’a-

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Quando si esaurirono le disponibilità di accoglienza di Roma, gli sfollati furono trasferiti nelle località vicine, poi in quelle del Nord Italia, in Emilia Romagna, Lombardia e Veneto. Alle stazioni di partenza i soldati tedeschi affidavano gli sfollati al personale civile italiano.

A causa delle incursioni aeree e dell’interruzione della rete ferrovia- ria, il viaggio durava quattro o cinque giorni. Il disagio degli sfollati era accentuato anche dalla inadeguatezza dei mezzi di trasporto. Infatti erano utilizzati treni con carri merci e bestiame, con uno strato di paglia sui pia- nali, infestati di pulci e pidocchi. Gli sfollati, inoltre, pativano la fame e il freddo, per il fatto che non avevano potuto portare con sé il necessario per il trasferimento.

L’offensiva di Gennaio

Il X Corpo d’Armata inglese, per valutare la capacità difensiva dei Tede- schi, il 30 dicembre 1943 effettuò un attacco tra Castelforte e Minturno, con modesti risultati strategici e subendo gravi perdite.

Dal 17 al 31 gennaio 1944, alle ore 21:00, vi fu il primo attacco in forze alla Linea Gustav denominato Offensiva invernale, pianificato dal X Corpo d’Armata britannico, con l’impiego delle Divisioni 5a, 46a e 56a. Nel setto- re di Castelforte operò la 56a Divisione di fanteria, composta dalle Brigate 167a, 168a, 169a e 201a, con l’intento di occupare:

- Castelforte e proseguire in direzione di Ausonia e S. Giorgio a Liri;

- Colle Salvatito e Santi Cosma e Damiano;

- Suio, Monte Valle Martina, Monte Fuga, Monte Ornito e Monte Maio.

I bombardamenti effettuati in preparazione dell’attacco provocarono la quasi totale distruzione dell’abitato di Castelforte, con molti feriti e morti tra i civili.

I Tedeschi si trovarono in enorme difficoltà a fronteggiare l’assalto delle unità inglesi. Difatti erano sul punto di capitolare. I soldati tedeschi, che avevano iniziato la ritirata, quando si imbattevano nei civili, chiedevano l’indicazione della strada per Ausonia. La popolazione viveva la situazione con grande trepidazione. Da un lato temeva per la propria vita a causa dei devastanti bombardamenti, dall’altro auspicava fortemente che le loro sof- ni. Durante i rastrellamenti, alcuni cittadini, che avevano osato allontanarsi

dal loro gruppo per ricongiungersi ai familiari aggregati a un altro, a pochi metri di distanza, furono trucidati senza esitazione.

I Tedeschi, per evacuare la popolazione effettuarono tre grandi ra- strellamenti in massa, precisamente il 23 novembre, il 2 e il 26 dicembre 1943. Nel rastrellamento del 23 novembre, quando i cittadini rientrava- no in paese dalle colline retrostanti, ne allontanarono circa quattromila!

Dopo attuarono solo improvvise e limitate catture di cittadini, fino ai pri- mi giorni di aprile 1944.

I rastrellamenti furono disposti dal Comando militare tedesco in Italia, di concerto con il Governo della Repubblica Sociale di Salò. L’attuazio- ne dei rastrellamenti richiedeva una attenta pianificazione per l’impiego di mezzi, di soldati, nonché per predisporre le strutture di accoglienza nelle varie località. I Tedeschi, con l’effettuazione dei rastrellamenti, intende- vano ribadire che loro svolgevano un’azione umanitaria, allontanando la popolazione dalle zone di guerra, mentre gli Alleati la decimavano con i bombardamenti delle città e dei paesi.

I Castelfortesi, purtroppo, non capirono l’intento di quei rastrel- lamenti, sia pure effettuati con modi decisi e violenti. La paura di per- dere i loro averi, condizionò il loro comportamento. In quel periodo i cittadini erano terrorizzati alla vista dei soldati tedeschi. Quando ne vedevano uno, anche da lontano, fuggivano o si nascondevano, poiché temevano di essere catturati.

Gli sfollati erano radunati in contrada Arole di Santi Cosma e Damiano;

da qui, con camion o a piedi, erano condotti a Coreno Ausonio, ove erano ospitati nella Chiesa di Santa Margherita, trasformata in centro di raccol- ta. L’indomani erano avviati alle stazioni ferroviarie di Ceprano, Ferentino e Priverno Fossanova, dove con treni merci e bestiame erano trasferiti a Roma, e sistemati nelle apposite strutture di assistenza.

Secondo alcune testimonianze, quando i rastrellati erano raggruppati in stazione, in attesa del treno, si verificarono delle incursioni aeree degli Alleati, con lancio di bombe, che determinavano il panico e il fuggifuggi generale. Alcuni, nel parapiglia, coglievano l’occasione per ritornare ca- parbiamente in paese.

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ricolo da affrontare era costituito dalle mine e dalla stretta sorveglianza dei soldati tedeschi, i quali aprivano il fuoco su coloro che attraversavano quelle zone. Tale rigore era dovuto al fatto che i cittadini, giunti in territorio alle- ato potessero fornire preziose informazioni sulla consistenza e dislocazione dei loro reparti in paese.

Molti cittadini persero la vita nell’attraversamento dei campi minati, uccisi dai Tedeschi o saltati sulle mine. I loro corpi, assieme a quelli dei soldati tedeschi e alleati, rimasero sul terreno sino alla liberazione del paese. L’attraversamento di Rio Rave provocò il maggior numero di vit- time civili, tanto da essere ricordato come Il percorso della morte o La valle della morte.

I Tedeschi, che presidiavano il paese, stranamente, nei giorni 13, 14 e 15 febbraio del 1944, permisero ai cittadini di attraversare, in assoluta sicu- rezza, la linea del fronte per raggiungere la zona occupata dagli Alleati. In pratica consentirono l’esodo della popolazione per metterla in salvo.

Dopo tale esodo, in paese rimasero in pochi, soprattutto vecchi e malati, quelli che non erano nelle condizioni di superare una zona accidentata e difficile da percorrere.

Nella Piana del Garigliano, all’inizio della primavera del 1944, fu di- sposto l’avvicendamento tra il X Corpo d’Armata britannico e il II Corpo d’Armata americano, a cui era aggregato il Corpo di Spedizione Francese, costituito da soldati coloniali del Nord Africa, che erano tristemente famosi per la loro brutalità.

Alcuni soldati tedeschi, che ben conoscevano la ferocia delle truppe co- loniali francesi, fecero capire ai cittadini, soprattutto quelli che avevano famiglie con donne e ragazze, che dovevano assolutamente abbandonare il paese, per non subire la loro violenza e la loro crudeltà.

Gli sfollati nel Nord e nel Sud Italia

Nelle zone di destinazione del Nord Italia gli sfollati furono assistiti dall’ECA, trasformata in Ente Assistenza Fascista. Durante i primi giorni dall’arrivo, le famiglie del luogo ospitarono nelle loro case gli sfollati, ferenze finissero con la definitiva disfatta del Tedeschi. Purtroppo alcuni

reparti della 29a Divisione Panzergrenadier, giunti di rinforzo dall’inter- no, riuscirono ad evitare la resa.

L’Offensiva invernale nel settore di Castelforte si concluse il 19 gennaio 1944. Gli Inglesi, pur non riuscendo a travolgere lo sbarramento difensivo nemico, ottennero un importante successo sul piano strategico. Infatti ri- uscirono ad attestarsi sulla piana, a destra del fiume Garigliano, occupando importanti zone del territorio di Santi Cosma e Damiano e Castelforte:

Grunuovo, Campomaggiore, Colle Salvatito, San Lorenzo, Rio Rave (tratto terminale), Petrete, Ripitella, San Cataldo, Viaro, Suio, Valle di Suio, Suio Terme, i rilievi da Colle Cimprone a Monte Castelluccio, i Monti Furlito, Fuga, Purgatorio e Ornito. Praticamente gli Alleati arrivarono a ridosso dei centri abitati di Castelforte e Santi Cosma e Damiano. I Tedeschi, per pro- teggere il loro territorio, approntarono ampie zone con mine e reticolati.

La situazione della popolazione, dopo la conclusione dell’Offensiva in- vernale, divenne insostenibile, senza prospettive per il futuro. L’abitato era sottoposto a giornalieri bombardamenti, con l’impiego anche delle terribili bombe Sharapnel, per snidare i Tedeschi arroccati tra le macerie, nono- stante gli Alleati fossero a conoscenza che vi erano rimasti molti cittadini.

Infatti una bomba Sharapnel, nei primi giorni di marzo 1944, in località Capo di Ripa, provocò nel cortile interno di uno stabile, la morte di sette persone e il ferimento di una ottava.

Le abitazioni, ormai, erano distrutte o danneggiate; le scorte alimentari erano esaurite. Inoltre, l’assenza di cure mediche, le malattie da raffredda- mento ed infettive, le molestie dei parassiti, le infezioni cutanee e le pessime condizioni igieniche resero impossibile vivere a Castelforte. La popolazio- ne, ormai ridotta allo stremo, si rese conto che era stato un grave errore restare, non abbandonare il paese.

Ai cittadini non restò che tentare una disperata sortita, attraverso la pe- ricolosissima linea del fronte, protetta dai campi minati, per recarsi al di là del fiume Garigliano.

In paese tutti conoscevano i sentieri che conducevano verso la salvezza, cioè nel territorio occupato dagli Alleati: San Martino (Sciesa), Capanna (Petrete), Santo (attuale Campo Sportivo), Rio Rave e Colle Salvatito. Il pe-

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Le stalle erano moderne, ampie, pulite e con l’illuminazione a luce elet- trica. Al loro interno i contadini potevano manovrare i carri e i mezzi mec- canici per il trasporto del foraggio, dei bidoni del latte e per la rimozione del letame. Durante i pomeriggi e le sere invernali i contadini e le loro fa- miglie si radunavano nelle stalle per riscaldarsi e conversare piacevolmente al tepore irradiato dai corpi dei bovini.

In quel periodo l’agricoltura nel Nord Italia era già abbastanza mecca- nizzata e avanti alcuni decenni rispetto a quella del Meridione. Molti sfollati furono ospitati anche nelle fattorie, le cosiddette Corti, tipiche della zona.

In ciascuna Corte vivevano il proprietario (non sempre), il fattore e una de- cina di famiglie di contadini. Era assimilabile a una piccola comunità con- tadina, ove si coltivavano i campi e si allevavano bovini, suini e animali da cortile. Dal punto di vista alimentare era una comunità autosufficiente. Per il foraggio dei bovini i contadini coltivavano estesi campi di rape e bietole.

Alcune sfollate chiedevano ai contadini se potevano raccogliere un po’ di verdura per cucinarla. L’assenso era accompagnato da stupore, poiché essi non la utilizzavano come alimento e non conoscevano i modi di cucinarla.

Ma il loro stupore fu enorme, quando videro alcune donne che, secondo la tradizionale usanza del Meridione, dopo la mietitura del grano, andavano nei campi a spigolare. A quelle donne dicevano che non c’era bisogno di raggranellare le spighe, poiché avrebbero potuto dar loro la quantità di gra- no che desideravano.

I cittadini, che riuscirono a raggiungere la salvezza al di là del fiume Ga- rigliano, la sponda sinistra, erano accolti dagli Alleati con gentilezza, puliti e rifocillati, ma dovevano sottoporsi a degli interrogatori tendenti ad ot- tenere da loro informazioni sul dislocamento dei Tedeschi in paese e sui sentieri sicuri per aggirare i campi minati. Inoltre dovevano fornire le loro generalità, che erano trascritte in appositi registri. Al termine del colloquio marcavano il loro braccio con un timbro. Questa operazione faceva venire in mente la marcatura del bestiame.

Gli Alleati erano molto diffidenti nei confronti dei profughi giovani e di età media, poiché ritenevano che potessero essere dei sabotatori o spie dei Tedeschi. Le persone sospette erano trattenute per alcuni giorni in apposite fin quando non furono sistemati negli alloggi che erano stati predisposti.

Gli sfollati di Castelforte e delle zone vicine ebbero la fortuna di essere stati trasferiti in un territorio molto sviluppato economicamente, nel quale i contadini avevano raggiunto un tenore di vita ben diverso da quello del Meridione. In tali zone poterono rifocillarsi e recuperare le energie, dopo tante sofferenze, soprattutto con l’aiuto della popolazione, che fu ospitale, solidale e generosa nei loro confronti. Ma in quelle zone, purtroppo, era ancora in atto la guerra.

Gli sfollati, oltre a ricevere un sussidio giornaliero pro capite, detto di sfol- lamento, erano aiutati con altre forme di sostegno, quali la distribuzione di indumenti, il rilascio della tessera annonaria, le offerte di impiego o di lavoro, a seconda dell’istruzione e della condizione sociale. Agli artigiani fornirono gli strumenti necessari per svolgere il loro mestiere. Molti bambini furono ospita- ti dalle famiglie del luogo per l’intero periodo dello sfollamento.

I giovani e gli uomini abili alle armi, però, erano indotti ad arruolarsi nelle brigate nere della Repubblica Sociale di Salò, pena la immediata so- spensione degli aiuti alle loro famiglie. In quella situazione era impossibile il rifiuto di adesione.

Tra gli sfollati ed i residenti si instaurarono rapporti di sincera e affet- tuosa amicizia, che durarono per molti anni dopo la fine della guerra.

Nei primi tempi la comunicazione tra sfollati e residenti era difficile, per il fatto che ciascuno utilizzava il proprio dialetto, poiché la lingua italiana all’epoca era poco conosciuta dal ceto popolare. Solo poche persone erano in grado di utilizzarla, quelle che avevano ricevuto un certo livello di istru- zione. Per tale motivo nei primi tempi la comunicazione era soprattutto gestuale e mimica. Poi la situazione migliorò, poiché gli sfollati impararono i termini di uso comune del dialetto locale.

Gli sfollati ospitati nelle zone rurali dell’Emilia Romagna, Lombardia e Veneto furono impressionati dall’estensione dei campi, dai mezzi mecca- nici utilizzati, dall’abbondanza dei raccolti, dalla grandezza e dalla raziona- lità delle stalle. Per l’aratura dei campi utilizzavano trattori. Per le piccole estensioni di terreno, invece, adoperavano aratri trainati da buoi. Quando era il tempo della mietitura del grano, nelle aie delle fattorie, per alcuni giorni, si effettuava la trebbiatura con grosse trebbie meccaniche.

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a casa loro, piuttosto che restare nelle località di accoglienza. Il loro rientro avvenne alla spicciolata, con mezzi di fortuna e a proprie spese. Da Sessa Aurunca, Mondragone e altre zone vicine, tornarono a piedi. Trovarono il paese raso al suolo. Ovunque erano sparsi carri armati e automezzi fuori uso, cassette di munizioni, ordigni, armi, materiale militare di ogni genere.

Mancava l’acqua, poiché i pozzi erano stati distrutti o inquinati. Rovistava- no tra le macerie delle loro case, per recuperare tutto ciò che potesse essere utile. Sgombravano dalle macerie i piani terra delle abitazioni per rimediare un riparo, sia pure precario, in attesa dell’avvio della ricostruzione.

Gli sfollati dal Nord Italia, invece, rientrarono dopo il 25 aprile 1945, alla fine della guerra, in attuazione di un piano organizzato e gestito dal Governo e dal Comando alleato. Con camion militari, dalle zone di acco- glienza, furono condotti al Centro raccolta di Bologna, ove rimasero qual- che giorno. Poi in treno furono trasferiti a Roma. Da qui, con camion, attraverso la SS 7 Appia, finalmente ritornarono a Castelforte.

Al termine della battaglia il centro abitato era ridotto a un immenso cu- mulo di macerie, su cui svettava la Torre medievale, unico manufatto ri- masto in piedi. La folta vegetazione delle retrostanti colline, costituita di uliveti, querceti e macchia mediterranea, era scomparsa. Il paese era com- pletamente distrutto, con i pochi abitanti stremati dalla sofferenza, che si aggiravano tra le rovine come fantasmi.

Nei primi anni del dopoguerra, data la devastazione subita, si riteneva impossibile la ricostruzione e la rinascita del paese. Si pensò addirittura di ricostruirlo nella piana. La ricostruzione fu lenta e faticosa, durò alcuni decenni, con i segni della guerra impressi nella struttura urbana.

Le tracce della guerra sono state cancellate dalla laboriosità dell’uomo e dal trascorrere del tempo. Anche la risonanza degli eventi bellici e del- le vicissitudini della popolazione si è notevolmente attenuata, a causa della scomparsa di molti protagonisti. Di quel doloroso passato sopravvive il ri- cordo dei pochi testimoni ancora in vita, quelli che all’epoca erano ragazzi o giovani. Purtroppo, con il naturale avvicendamento delle generazioni, la loro memoria diretta, nel giro di pochi anni, scomparirà.

strutture e sottoposte ad accurate indagini, prima del rilascio. Al termine offrivano la possibilità di lavorare per loro con retribuzione e vitto.

Tutti gli sfollati erano condotti prima a Sessa Aurunca, poi nel Centro raccolta di Mondragone, ove erano sottoposti a disinfezione e, se malati, curati. Dopo erano trasferiti nelle altre località della provincia di Caserta, della Calabria, della Basilicata e della Sicilia.

I Castelfortesi, che si misero in salvo in territorio degli Alleati, a diffe- renza di quelli rastrellati dai Tedeschi, poterono portarsi dietro qualcosa, cioè gli effetti personali, i risparmi e gli oggetti più preziosi che possedeva- no. Con quelle poche risorse riuscirono a far fronte alle loro prime neces- sità nelle zone di accoglienza.

La sistemazione degli sfollati nel Sud Italia non era paragonabile a quella di coloro che furono rastrellati dai Tedeschi e condotti a Roma e alle località del Nord Italia. Difatti nel Sud non erano state predisposte le strutture di accoglienza gestite dalle Prefetture e dai Comuni. Nel Sud l’assistenza con- sisteva nella rara distribuzione di generi alimentari e indumenti.

La condizione precaria degli sfollati era accentuata anche dal fatto che l’economia locale era basata sul latifondo, con rapporti tra proprietari e contadini, che evocavano il medioevo. Inoltre i piccoli proprietari terrieri, per le loro condizioni economiche, non erano in grado di aiutare gli sfol- lati. Per tale motivo alcuni sfollati, non riuscendo a trovare un lavoro o a svolgere la loro attività, si ingegnarono per sopravvivere.

Alcuni, per reperire un po’ di risorse finanziarie, si dedicarono al com- mercio ambulante. Compravano olio e prodotti tipici locali e in treno si recavano a Napoli per venderli. Non potevano portare grandi quantità di merce, poiché i controlli erano frequenti. Se erano sorpresi rischiavano sanzioni previste dalla legge per la pratica del mercato nero, cioè del merca- to clandestino di prodotti vietati.

In base ad alcune testimonianze raccolte, gli sfollati, soprattutto in alcu- ne zone del Casertano, se raccoglievano nei campi la cicoria o altra verdura selvatica o qualche frutto, erano allontanati dai proprietari.

Per le difficili condizioni di vita, gli sfollati dal Sud iniziarono a rientrare appena seppero della liberazione di Castelforte. Preferivano una vita grama

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fiume Garigliano alla foce del fiume Sangro, cioè dal Tirreno all’Adriatico.

Difatti il suo esito consentì agli Alleati di occupare agevolmente Cassino, il successivo giorno 18, di liberare la Provincia di Littoria e di avanzare verso Roma e il Nord Italia.

Dalla ricca documentazione esistente negli archivi storici degli eserciti che parteciparono alla battaglia, e dalla puntuale ricostruzione effettuata dal generale Mario Puddu, nel suo libro “La battaglia di Castelforte”, si evince che i Tedeschi ritenevano rilevante la posizione strategica di Castelforte nel loro schieramento difensivo.

In previsione dello scontro finale, il piano difensivo tedesco, nel settore di Castelforte-Santi Cosma e Damiano, prevedeva l’impiego delle seguenti unità da combattimento:

- Reggimenti 211°, 194° e 191° della 71a Divisione di fanteria e del Reggi- mento 131° della 44a Divisione di fanteria.

Data l’importanza del fronte, ai reparti fu impartito l’ordine di resiste- re sino all’ultimo uomo, poiché Hitler non avrebbe più tollerato ulteriori ripiegamenti dell’esercito in Italia, dopo le ritirate dovute agli sbarchi degli Alleati in Sicilia e a Salerno, e dopo l’abbandono di Napoli.

Sul fronte di Castelforte i reparti tedeschi furono messi a presidio dei seguenti settori:

- il 211° Reggimento schierato nella Valle dell’Ausente, nei pressi di Cerri Aprano, a difesa della SS 630 Formia-Cassino, il cui controllo avrebbe per- messo agli Alleati di raggiungere la SS 6 Casilina ed incunearsi nella Valle del Liri;

- il 194° Reggimento, collocato nell’abitato di Castelforte-Santi Cosma e Damiano per presidiare la strada che conduce a Coreno Ausonio e Ausonia, immettendosi poi nella SS 630;

- il 191° Reggimento posizionato ad est del bacino montano di Rio Grande, versante Monte Ceschito;

- il 131° Reggimento posto tra Monte Faìto e S. Ambrogio sul Garigliano.

I Tedeschi erano consapevoli che il cedimento del settore di Castelforte avrebbe consentito agli Alleati di raggiungere la SS 630, sia attraverso il lato sinistro del torrente Ausente, sia dall’abitato di Castelforte e Santi Cosma e Damiano. Difatti gli Alleati, in caso di sfondamento della linea difensiva in Ci vollero anni di sacrifici e di duro lavoro per la rinascita del paese.

La ricostruzione e la bonifica del territorio dagli innumerevoli ordigni bellici, specialmente dalle mine nei terreni agricoli, richiesero urgenti e specifici lavori.

Nel dopoguerra era pericoloso vivere in paese, soprattutto per i ragazzi, i quali, per la loro vivacità e irrequietezza, erano indotti a scorazzare e rovi- stare ovunque, a manipolare armi abbandonate e ordigni, con grave perico- lo per la loro incolumità. Per tale motivo alle famiglie, specialmente quelle con ragazzi e giovani, l’autorità comunale consigliò di trasferirsi nei campi profughi di Latina e Roma e ritornare quando le condizioni lo avrebbero consentito. Si trattò, per loro, di un altro periodo di sfollamento.

Il bilancio dei Castelfortesi, militari e civili, deceduti nei campi di bat- taglia, durante e dopo la guerra, fu molto pesante, intorno al 10% della popolazione! Di alcuni caduti si persero le tracce e non furono registrati.

Inoltre nel dopoguerra numerose persone rimasero mutilate a causa delle mine e dei residuati bellici, ma non fu compilato l’elenco.

Oggi, osservando Castelforte dalla piana o dai rilievi circostanti, sembra inverosimile che esso sia stato un importante punto strategico della Linea Gustav e teatro di cruente battaglie, per otto lunghissimi mesi.

Ora si auspica soltanto che la follia dell’uomo non determini una nuova ricaduta nella barbarie, con il ripetersi di una tragedia analoga a quella do- lorosamente patita nel passato e faticosamente superata. La lezione dell’ul- timo conflitto mondiale è stata molto severa. Si spera che almeno sia servita a far riflettere sul dramma e sulla follia delle guerre.

La Battaglia di Castelforte

Sono trascorsi settant’anni dalla battaglia di Castelforte, combattuta dall’11 al 13 maggio 1944, dopo otto mesi di assedio, che si concluse con la vittoria degli Angloamericani, ottenuta con il decisivo apporto del Corpo di Spedizione Francese. La battaglia contribuì allo sfondamento della Linea Gustav, poderoso baluardo difensivo approntato dai Tedeschi dalla foce del

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- la 3a Divisione di fanteria algerina, con il 4° Reggimento tiragliatori, un battaglione carri, un battaglione caccia carri e un battaglione da ricogni- zione Spahis, puntò su Castelforte da est (Colle Cimbrone, Colle Siola e S. Martino), da sud (Via Garibaldi e Tore Castelluccio) e da ovest (Monte Cianelli, Ventosa e Santi Cosma e Damiano);

- la 4a Divisione da montagna marocchina, partendo da Monte Fuga e Mon- te Furlito, affiancò prima la 3a Divisione algerina nella fase iniziale dell’at- tacco a Castelforte, poi proseguì in direzione di Monte Petrella, Monte Re- vole, Esperia e Monte d’Oro.

- La 88a Divisione americana, invece, iniziò a muoversi dalla Valle del tor- rente Ausente in tre direzioni:

- il 350° Reggimento da Colle Salvatito risalì la Valle sinistra del Torrente Ausente per occupare Monte Cerri, Monte Cianelli, Monte Rotondo, in modo da assicurare la protezione del fianco sinistro ai reparti della 3a Divi- sione algerina, che avanzavano verso Santi Cosma e Damiano e Castelforte, per procedere in direzione di Monte Civita;

- il 351° Reggimento puntò su Tame e Santa Maria Infante;

- il 349° Reggimento si mosse su S. Vito per attaccare da est la frazione di Tufo di Minturno.

In territorio di Minturno, dal torrente Ausente al mare, la 85a Divisione americana seguì tre direttrici di attacco:

- il 339° Reggimento si mosse in direzione di Tremensuoli, Colle S. Marti- no, Monte dei Pensieri, S. Domenico e Scauri;

- il 338° Reggimento, partendo da sud-ovest del cimitero di Minturno, procedette su Solacciano, Cave d’Argilla e verso la dorsale ovest.

- il 337° Reggimento si spinse a nord e a ovest del Colle S. Martino, per prepararsi ad attaccare Spigno Saturnia.

Dopo la prima giornata di combattimenti, cioè la sera del 12 maggio, gli Alleati avevano il controllo di gran parte dell’abitato di Castelforte e San- ti Cosma e Damiano, nonché del primo tratto della rotabile per Coreno Ausonio e Ausonia, a ridosso delle zone ove erano dislocati i comandi dei reggimenti tedeschi.

tale settore, avrebbero potuto immettersi con le loro poderose unità coraz- zate nella SS 6 Casilina, accerchiare la fortezza di Cassino e penetrare nella Valle del Liri per dirigersi verso Roma.

Il piano di attacco degli Alleati, da Monte Castelluccio (zona Suio Terme - Valle di Suio) alla Valle del torrente Ausente (Cerri Aprano), era affidato alle seguenti unità:

- la 1a Divisione motorizzata France Libre (Brigate 1a, 2a e 4a), la 2a Di- visione di fanteria marocchina (4° Rtm, 5° Rtm e 8° Rtm), la 3a Divisione di fanteria algerina (3° Rt algerino, 4° Rt tunisino e 7° Rt algerino), la 4a Divisione da montagna marocchina (Reggimenti 1°, 2° e 6°), Goumiers (Gruppi Tabors irregolari 1°, 3° e 4°) e la 88a Divisione americana (Reggi- menti 349°, 350° e 351°).

L’assalto alla Linea Gustav, noto come Operazione Diadem, scattò alle ore 23:00 precise, del giorno 11 maggio 1944, su tutto il fronte che si esten- deva dalla foce del fiume Garigliano a Cassino. L’ordine fu impartito in codice, via radio dalla BBC, a tutti i reparti. Simultaneamente, sulle posta- zioni tedesche, disposte lungo la linea, si abbatté un inferno di fuoco prove- niente dal mare e dalle vallate dei fiumi Garigliano e Rapido, con distruttive esplosioni. Il cielo, solcato da innumerevoli scie dei proiettili traccianti, fu illuminato a giorno da una miriade di bengala per guidare i tiri dell’arti- glieria. Era un fuoco preparatorio, effettuato con circa 1600 pezzi di arti- glieria, di vario calibro, per mettere fuori uso le postazioni nemiche prima dell’entrata in azione dei reparti di assalto, che coincise con il sorgere della luna, previsto per le ore 23:30 precise.

Al termine del cannoneggiamento, lungo tutto il fronte, le unità da combattimento alleate entrarono in azione, secondo il seguente piano:

- la 2a Divisione di fanteria marocchina, dalla zona di Suio e Valle di Suio, si mosse in direzione di Monte Faìto, Monte Garofano, Monte Feuci, Mon- te Maio, Monte Agrifoglio, Colle Castellone e Colle Cantalupo;

- la 1a Divisione motorizzata France Libre, inizialmente coprì il fian- co destro alla 2a Divisione di fanteria marocchina, poi procedette in direzione di Bosco Castelluccio, Conca di S. Andrea, S. Ambrogio sul Garigliano e S. Apollinare;

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