21 October 2022
AperTO - Archivio Istituzionale Open Access dell'Università di Torino
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"Sanza speme"?
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DOI:https://doi.org/10.19272/202002203008 Terms of use:
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«SANZA SPEME»?
RIASSUNTO:
Il saggio indaga la concezione dantesca del limbo, in relazione con le ipotesi teologiche a partire dai Padri della Chiesa, fino a oggi. Gli ‘spiragli’ di apertura alla speranza creati da Dante, anche contro l’autorevole parere di alcuni teologi del suo tempo, precorrono esiti che saranno accettati solo nel XX-XXI secolo, pur in assenza di un pronunciamento ufficiale del Magistero. Nel canto quarto dell’Inferno, agli illustres viri, il poeta riserva un ampio spazio. La nominazione delle clarae matres e delle innuptae puellae (le «femmine» del limbo) allude a uno scenario molto vasto, che permette al lettore di scegliere se passare oltre o fermarsi. I pueri, le «turbe», la «selva»
di «spiriti spessi» rimangono senza volto e senza nome.
PAROLE CHIAVE:Dante, limbo, peccato, donne, speranza.
I. Il risveglio nel Limbo
La rottura dell’«alto sonno»1 a causa del «greve truono» che bruscamente risveglia Dante, nell’incipit del canto quarto dell’Inferno e della terzina, segna il cambiamento d’ambiente e di stato d’animo del viator. 2 Il terremoto, il vento e il lampo improvviso che si abbattono sull’orrido luogo provocano uno svenimento in Dante, che si desta sull’altra riva dell’Acheronte: il «sonno» determina una sospensione che cela il passaggio al di là del fiume infernale. L’impedimento della percezione diventa impedimento della narrazione: il poeta si serve dell’ineffabilità per tenere salda l’attenzione del lettore, topos molto diffuso nella letteratura, marcato (nei vv. 7-14)
1 If III si era chiuso con il sonno: «e caddi come l’uom cui sonno piglia» (If III, 136). Per le citazioni dalla Divina Commedia è impiegata l’edizione a cura di Enrico Malato, Roma, Salerno Editrice, 2018 («I Diamanti») posseduta da chi scrive. Per le altre opere dantesche, a causa delle restrizioni derivate dalla pandemia di Coronavirus, che hanno reso per lungo tempo impossibile l’accesso alle biblioteche (tuttora contingentato), è stato fatto ricorso all’edizione online:
https://www.danteonline.it/italiano/opere_indice.htm (ultima consultazione 11 aprile 2020). Sono adottate le seguenti abbreviazioni: If (Inferno), Pg (Purgatorio), Pd (Paradiso), VN (Vita Nova), Cn (Convivio), VE (De Vulgari Eloquentia), Mn (De Monarchia).
Il medesimo criterio è stato necessariamente seguito per gli altri testi citati, ragion per cui di alcune opere si fa riferimento all’edizione cartacea, di altre si ricorre a quella online. Della Vita Nuova si sarebbe consultata l’edizione di Donato Pirovano e Marco Grimaldi, con introduzione di Enrico Malato, Roma, Salerno Editore, 2015, ma non è stato possibile.
2 If IV, 1-12: «Ruppemi l’alto sonno ne la testa / un greve truono, sì ch’io mi riscossi / come persona ch’è per forza desta;
e l’occhio riposato intorno mossi, / dritto levato, e fiso riguardai / per conoscer lo loco dov’io fossi. / Vero è che ’n su la proda mi ritrovai / de la valle d’abisso dolorosa / che ’ntorno accoglie d’infiniti guai. / Oscura e profonda era e nebulosa / tanto che, per ficcar lo viso a fondo, / io non vi discernea alcuna cosa». I vv. 10-12 richiamano alla memoria il fumo che risale dal «pozzo dell’abisso» del libro dell’Apocalisse: «Il quinto angelo suonò la tromba: vidi un astro caduto dal cielo sulla terra. Gli fu data la chiave del pozzo dell’Abisso; egli aprì il pozzo dell’Abisso e dal pozzo salì un fumo come il fumo di una grande fornace, e oscurò il sole e l’atmosfera» (Ap, 9, 1-3).
dalla mancata possibilità di vedere e dallo spostamento dell’attenzione sulla terrificante percezione uditiva.3
II. Il Limbo degli «infanti», delle «femmine», dei «viri»: progenitori, poeti, filosofi
Nel Limbo è significativo l’ordine di «onranza» in cui Dante incontra gli spiriti;
ogni ‘gruppo’ ha un maestro, eccetto gli «infanti», le «femmine» e la «selva» di «spiriti spessi». I sospiri che si odono non sono dovuti ai tormenti fisici, ma al dolore delle anime che vivono nel desiderio di Dio, senza speranza di poterne mai godere – dice Virgilio.
Il primo incontro è con «molte e grandi» «turbe» «d’infanti e di femmine e di viri».4 «turbe» è termine attinto dal lessico biblico che indica una moltitudine disordinata e rumorosa: Dante infatti ode più che vedere, a causa della «nebulosa»
«oscura e profonda» che impediva di discernere «alcuna cosa». Egli incontra anime che non hanno peccato,5 ma non avendo avuto fede in Cristo, sono «tra color che son sospesi»:6
«ei non peccaro; e s’elli hanno mercedi, / non basta, perché non ebber battesmo, / ch’è porta de la fede che tu credi; / e s’e’ furon dinanzi al cristianesmo, / non adorar debitamente a Dio: / e di questi cotai son io medesmo. / Per tai difetti, non per altro rio, / semo perduti, e sol di tanto offesi / che sanza speme vivemo in disio”. / Gran duol mi prese al cor quando lo ’ntesi, / però che gente di molto valore / conobbi che ’n quel limbo eran sospesi».7
La chiusa della terzina, vv. 40-42, esprime il «disio»8 «sanza speme»;9 dall’incipit della terzina successiva, vv. 43-45, si arguisce, in maniera speculare, il dolore che Dante
3 Per l’ineffabilità nella Commedia vedi GIUSEPPE LEDDA, La guerra della lingua. Ineffabilità, retorica e narrativa nella
«Commedia» di Dante, Ravenna, Longo Editore, 2002, in particolare le pp. 182-185. GIUSEPPE LEDDA,Teologia e retorica dell’ineffabilità nella Commedia di Dante, in Le teologie di Dante, a cura di Giuseppe Ledda, introduzione di Giuseppe Mazzotta, Ravenna, Centro Dantesco dei Frati Minori Conventuali, 2015, pp. 261-292.
4 If IV, 28-30. La terzina riecheggia l’Eneide, VI, 305-307: «Huc omnis turba ad ripas effusa ruebat, / matres atque viri […] pueri innuptaeque puellae» («Là tutta una folla riversata sulle rive accorreva: le madri e i mariti […] i fanciulli e le fanciulle mai maritate»). Dante fonde insieme le «madri» e le «fanciulle non maritate» di Virgilio nelle «femmine».
5 ANDREA BATTISTINI, La retorica del peccato nei primi canti dell’Inferno, in Dante e la retorica, a cura di Luca Marcozzi, Ravenna, Longo Editore, 2017, pp. 139-150. Vedi inoltre Peccato, penitenza e santità nella Commedia, a cura di Marco Ballarini, Giuseppe Frasso, Francesco Spera, con la collaborazione di Stefania Baragetti, Accademia Ambrosiana, Classe di Italianistica, Roma, Bulzoni, 2016; in particolare vedi il saggio di CLAUDE CAZALÉ BÉRARD, Il poeta e la sua scrittura come strumento della redenzione, alle pp. 165-191: 170.
6 If II, 52.
7 If IV, 34-45. «ei non peccaro»: su questo punto le interpretazioni teologiche sono diverse, sebbene i punti di riferimento siano la Summa Theologiae di Tommaso (suppl. III, LXIX a. 6) e il trattato Contra Julianum di Agostino. Vedi almeno:
FIORENZO FORTI,Il Limbo e i megalopsicoi della Nicomachea, in IDEM,Magnanimitade. Studi su un tema dantesco, premessa di Emilio Pasquini, Roma, Carocci, 2006, p. 15; LUCIA BATTAGLIA RICCI,Inferno IV, in Lectura Dantis Bononiensis, Accademia delle Scienze dell’Istituto di Bologna, Classe di Scienze Morali, I,a cura di Emilio Pasquini, Carlo Galli, Bologna, Bononia University Press, 2011, pp. 77-102: 89.
8 Vedi almeno il testo di ERMINIA ARDISSINO, L’umana “Commedia” di Dante, Ravenna, Longo Editore, 2016.
9 Dante ci dice che cos’è la ‘speranza’ in Pd XXV, 67-68: «“Spene”, diss’io, “è uno attender certo / de la gloria futura».
La definizione coincide con quella di Pietro Lombardo: «Est enim spes certa expectatio futurae beatitudinis» (PIETRO
prova per questi spiriti: «Gran duol mi prese al cor quando lo ’ntesi, / però che gente di molto valore / conobbi che ’n quel limbo eran sospesi».10 Ne consegue che i due versi 42-43 costituiscono un punto fondamentale del canto, in cui è palpabile e da cui si irradiano, in tutto il poema, il dramma e la sofferenza di coloro che sono esclusi dalla Grazia.11 Il desiderio è rattristato dal dolore in cui sono sospese le anime, delle quali si percepisce l’inquietudine.
Il poeta fiorentino domanda alla sua guida se «uscicci mai alcuno, o per suo merto / o per altrui, che poi fosse beato?».12 Diversi commentatori antichi e moderni ritengono impertinente la domanda, che invece risulta legittimata sia dallo ‘stato’
(‘luogo’) più opportuno in cui egli si trova per chiedere conferma a un’anima che ha assistito direttamente allo straordinario disegno del cielo, sia dallo stile di tutta la Commedia, che procede per chiarire e confermare questioni di fede, con la tecnica della domanda e risposta, già esperita da Tommaso. Dante si serve della spiegazione di Virgilio, per confermare con la poesia13 l’esistenza del Limbus patrum, sciolto per sempre da Cristo quando, risorto, è disceso agli inferi,14 per liberare i padri e renderli beati in eterno.
LOMBARDO, Sententiarum Libri Quatuor, III, dist. 26, a. 1, https://www.documentacatholicaomnia.eu/02m/1095- 1160,_Petrus_Lombardus,_Sententiarum_Libri_Quatuor,_MLT.pdf). Su Pietro Lombardo maestro di Dante, vedi ultra.
10 If IV, 43-45.
11 Vedi Pg III, 37-45; Pg XXI-XXII (incontro con Stazio, sua conversione al cristianesimo, suo battesimo – tenuti segreti e rivelati a Dante nel canto XXII); di Tommaso d’Aquino vedi almeno: Scriptum super libros Sententiarum magistri Petri Lombardi Episcopi Parisiensis, II, dist. 33, a. 3; IDEM, Summa Theologiae III, q. 52, Supplementum q. 69 passim https://www.corpusthomisticum.org/iopera.html; Sententiarum Libri Quatuor di Pietro Lombardo, in cui si trova l’immagine della sospensione per coloro che sono nel Limbo II, dist. 33, a. 3, https://www.documentacatholicaomnia.eu/02m/1095-
1160,_Petrus_Lombardus,_Sententiarum_Libri_Quatuor,_MLT.pdf; Commentaria in quattuor libros sententiarum Magistri Petri Lombardi di Bonaventura da Bagnoregio, in cui si trova il commento alla dist. 33 del Lombardo di cui sopra: II, dist. 33, a. 3, q. II,https://archive.org/stream/doctorisseraphic02bona#page/768/mode/2up – ultima consultazione 6 aprile 2020; di Bonaventura vedi anche l’Itinerarium mentis in Deum.
12 If IV, 49-50.
13 SONIA GENTILI,Poesia e verità in Dante: una questione retorica?, in Dante e la retorica, cit., pp. 89-105. Vedi anche VITTORIO RUSSO,Tecniche e forme della poesia dottrinale di Dante, in Dante e la scienza, a cura di Patrick Boyde, Vittorio Russo, Ravenna, Longo Editore, 1995, pp. 173-189; Le ragioni della commedia tra passato e futuro, Atti dei Convegni Lincei, 322, Roma, 14-15 dicembre 2016, Accademia Nazionale dei Lincei, Bardi Edizioni, 2018; GIUSEPPE
MAZZOTTA,Reading Dante, New Haven and London, Yale University Press, 2014, pp. 23-37.
14 A proposito della discesa di Cristo agli inferi hanno deliberato più concilii: il IV Concilio di Toledo del 633 (http://www.vatican.va/archive/catechism_it/p122a5p1_it.htm – ultima consultazione 11 aprile 2020), il Concilio di Roma del 745 (vedi De descensu Christi ad inferos, http://www.clerus.org/bibliaclerusonline/it/fn5.htm#bhk – ultima consultazione 11 aprile 2020). In un tempo più prossimo a Dante, la questione della discesa di Cristo agli inferi (già introdotta nel cosiddetto Simbolo di Aquileia) entra definitivamente nell’insegnamento dei concilii, precisamente con il Lateranense IV del 1215 e con il II Concilio di Lione del 1274, nella professione di fede dell’imperatore bizantino Michèle
VIII Paleologo (https://web.archive.org/web/20070509064859/http://www.totustuus.biz/users/concili/ – vedi in
particolare: I, La fede cattolica;
https://web.archive.org/web/20070519065712/http://www.totustuus.biz/users/concili/lione2.htm;
http://www.treccani.it/enciclopedia/michele-viii-paleologo-imperatore-d-oriente/;
https://www.scrutatio.it/DizionarioTeologico/articolo/880/concilio-lione-II; ultima consultazione 11 aprile 2020). Nel commento all’Inferno di Anna Maria Chiavacci Leonardi (Milano, Mondadori, 1991, «I Meridiani», vol. I,p. 131) si legge che la vicinanza temporale dello svolgimento del Concilio di Lione del 1274 con il tempo di Dante, rende più comprensibile la sua domanda a Virgilio, poiché «il nuovo articolo di fede non aveva appoggio nella Scrittura, ma solo nel Vangelo Apocrifo di Nicodemo». In realtà, i riferimenti alla Scrittura non mancano: At 2, 31; Rm 10, 7; Ef 4, 8-10;
Ap 1, 17-18; Mt 27, 59 passim; Gv 19, 40-42; Mc 15, 37; Mt 12,40; 1Pt 3, 18-19; 1Pt 4-6; Eb 2, 14-15; Ap 1, 17-18. Vedi altresì la Summa Theologiae di Tommaso, III,q. 52, a. 6.
II.1Il limbo degli «infanti»
Dante incontra «turbe […] d’infanti».15 Con il solo termine «infanti» egli racchiude ipotesi teologiche oggetto di dispute durate secoli e suggella, con la poesia, temi di fede ancora non completamente definiti ai giorni nostri.16
Il Limbo è stato materia di studio fin dai primi secoli del cristianesimo. Il problema è meno sentito in Oriente, ove non sorgono particolari controversie. Per i Padri greci, il peccato è un atto libero e personale, ragione per cui pochi hanno affrontato il problema della salvezza dei bambini morti senza avere ricevuto il battesimo, però si sono interessati del loro status post mortem. I Padri molto avvertono la tensione tra la volontà divina di salvezza universale e l’insegnamento evangelico della necessità del battesimo, come ‘porta’ per entrare nella vita eterna. Lo Pseudo Atanasio sostiene che i bambini e gli uomini non battezzati non possono entrare nel regno di Dio, però i bambini non si perdono, perché non hanno peccato.17 Atanasio del Sinai afferma chiaramente che i bambini non battezzati non vanno nella Geenna, ma sono affidati alla misericordia di Dio.18
Tra i Padri greci, Gregorio di Nissa, nel De infantibus praemature abreptis libellum,19 distingue la sorte dei bambini da quella degli adulti che hanno condotto una vita virtuosa: «La morte prematura dei bambini appena nati non costituisce motivo per presupporre che essi soffriranno tormenti o che saranno nel medesimo stato di coloro che in questa vita sono stati purificati grazie a tutte le virtù».20 Il Nisseno basa la sua tesi sull’amore di Dio, che sa trarre il bene anche dal male: «La contemplazione apostolica fortifica la nostra indagine, poiché Colui che ha fatto bene tutte le cose, con sapienza, sa trarre il bene dal male».21
Gregorio Nazianzeno non argomenta in merito al luogo e allo stato dei bambini morti senza battesimo, ma amplia i confini della discussione sostenendo il principio che questi non ricevono lodi né punizioni, perché non hanno arrecato alcun danno, piuttosto lo hanno subìto.22
I Padri latini e la Scolastica medievale hanno come punto di riferimento il magistero di Agostino secondo il quale i bambini morti senza battesimo finiscono
15 If IV, 30-31.
16 Sulla questione della salvezza dei bambini vedi almeno: LUCIA BATTAGLIA RICCI,Inferno IV, in Lectura Dantis Bononiensis, cit.; AMILCARE A.IANNUCCI,Il limbo dei bambini, in Sotto il segno di Dante. Scritti in onore di Francesco Mazzoni, a cura di Leonella Coglievina, Domenico De Robertis, indici a cura di Giuseppe Marrani, Firenze, Le Lettere, 1998, pp. 153-164; FRANCESCA FAVARO,Di fronte al mistero: Dante e i bambini, «Rassegna della
letteratura italiana», 2017, 121, 1, pp. 44-49.
17 PSEUDO ATANASIO,Quaestiones ad Antiochum ducem, q. 101, in Patrologia Graeca, 28, col. 660, C.
18 ATANASIO DEL SINAI,Quaestiones et responsiones, q. 81, in Patrologia Graeca, 89, col. 709, C.
19 GREGORIO DI NISSA,De infantibus praemature abreptis libellum, in IDEM,Gregorii Nysseni Opera, vol. III, pars II, Leiden-New York-KØbenhavn-Köln, 1987, pp. 65-97.
20 Ivi, p. 96.
21 Ivi, p. 97.
22 GREGORIO NAZIANZENO,Oratio XL: In sanctum baptisma, https://www.corpuschristianorum.org/ccsg-cccn (ultima consultazione 11 aprile 2020).
all’inferno, ma patiscono una «mitissima poena».23 In Occidente, la questione dei bambini morti senza battesimo è oggetto di grande riflessione teologica durante le controversie del V secolo, in cui si trovano Pelagio e Agostino, come protagonisti di primissimo piano. All’insegnamento pelagiano che nega gli effetti del peccato originale sui suoi discendenti, e ritiene completamente innocenti i bambini appena nati, si oppone il Concilio di Cartagine nel 418, pur non accettando in toto alcune posizioni agostiniane. Agostino, fedele interprete della Bibbia, ammette di non trovare una ragione del tutto soddisfacente. Per questo egli rimane ‘dentro’ i confini di ciò che comprende della Scrittura: per non correre il rischio di scalfire l’autorità divina, preferisce fermarsi a una restrittiva visione della volontà di salvezza universale, comunque aperta alla misericordia infinita del Padre e all’azione libera della Grazia, di cui non dubita. Riconoscendo la finitudine dell’intelletto umano, egli esclama con San Paolo:
O profondità della ricchezza, della sapienza e della conoscenza di Dio! Quanto insondabili sono i suoi giudizi e inaccessibili le sue vie! Infatti, chi mai ha conosciuto il pensiero del Signore? O chi mai è stato suo consigliere? O chi gli ha dato qualcosa per primo? Tanto da riceverne in contraccambio? Poiché da lui, per mezzo di lui e per lui sono tutte le cose.24
La maggior parte degli autori medioevali successivi, a partire da Pietro Abelardo, ha focalizzato l’attenzione sulla bontà divina e ha interpretato la «mitissima poena» di Agostino nella «carentia visionis Dei».25
Subito la questione è di tale interesse da essere oggetto di importanti studi. Ne parla Pietro Lombardo nelle sue Sentenze,26 testo che costituisce ‘il’ manuale di teologia a cui tutti fanno riferimento per almeno tre secoli. Nel 1201 papa Innocenzo
III nella lettera Maiores Ecclesiae causas a Imberto, Arcivescovo di Arles, sostiene che la pena del peccato originale è la carenza della visione di Dio, mentre la pena del peccato attuale consiste nel tormento dell’inferno eterno:
Asserunt enim, parvulis inutiliter baptisma conferri [...] Respondemus, quod baptisma circumcisione successit [...] Unde, sicut anima circumcisi de populo suo non peribat (Gn 17, 14), sic, qui ex aqua fuerit et Spiritu sancto renatus, regni caelorum introiturn obtinebit (Jo 3, 5) […] Etsi originalis culpa remittebatur per circumcisionis mysterium, et damnationis periculum vitabatur, non tamen perveniebatur ad regnum caelorum, quod usque ad mortem Christi fuit omnibus obseratum; sed per
23 AGOSTINO AURELIO, De peccatorum meritis et remissione et de bapstimo parvulorum, in Corpus scriptorum ecclesiasticorum latinorum (CSEL), http://earlymedievalmonasticism.org/Corpus-Scriptorum-Ecclesiasticorum- Latinorum.html (ultima consultazione 11 aprile 2020). Vedi altresì ANSELMO DI CANTERBURY,De conceptu virginali et de originali peccato, in IDEM,Opera omnia, ad fidem codicum recensuit Franciscus Salesius Schmitt, Stuttgart, Fromann, 1968, t. II, 28, pp. 170-171; UGO DI SAN VITTORE,Summa Sententiarum, tractatus V, cap. 6, Patrologia Latina, 176, col.
132.
24 Rm 11, 33-36. Vedi anche AGOSTINO AURELIO, De peccatorum meritis et remissione et de baptismo parvulorum, in Corpus scriptorum ecclesiasticorum latinorum (CSEL), 60, 10-20; 25; 54; 63; 137-139;
http://earlymedievalmonasticism.org/Corpus-Scriptorum-Ecclesiasticorum-Latinorum.html (ultima consultazione 11 aprile 2020). Di Agostino vedi anche il De Trinitate.
25 PIETRO ABELARDO,Commentaria in Epistolam Pauli ad Romanos, II,5,19,https://www.corpuschristianorum.org/cccm (ultima consultazione 11 aprile 2020).
26 PIETRO LOMBARDO, Sententiarum Libri Quatuor, II, dist. 33, a. 5:
https://www.documentacatholicaomnia.eu/02m/1095-
1160,_Petrus_Lombardus,_Sententiarum_Libri_Quatuor,_MLT.pdf (ultima consultazione 11 aprile 2020).
sacramentum baptismi Christi sanguine rubricati culpa remittitur, et ad regnum caelorum etiam pervenitur, cuius ianuam Christi sanguis fidelibus suis misericorditer reseravit. Absit enim, ut universi parvuli pereant, quorum quotidie tanta multitudo moritur quin et ipsis rnisericors Deus, qui neminem vult perire, aliquod remedium procuraverit ad salutem [...] Quod opponentes inducunt, fidem aut caritatem aliasque virtutes parvulis, utpote non consentientibus, non infundi, a plerisque non conceditur absolute [...], aliis asserentibus per virtutem baptismi parvulis quidem culpam remitti, sed gratiam non conferri; nonnullis vero dicentibus, et dimitti peccatum, et virtutes infundi, habentibus illas quoad habitum, non quoad usum, donec perveniant ad aetatem adultam.... Dicimus distinguendum, quod peccatum est duplex: originale scilicet et actuale: originale, quod absque consensu contrahitur, et actuale, quod committitur cum consensu. Originale igitur, quod sine consensu contrahitur, sine consensu per vim remittitur sacramenti; actuale vero, quod cum consensu contrahitur, sine consensu minime relaxatur [...] Poena originalis peccati est carentia visionis Dei, actualis vero poena peccati est gehennae perpetuae cruciatus.27
Da questa lettera si evince che, per il Papa, il peccato originale non viene punito con la pena dei sensi, bensì con la pena del danno, per cui si pensa che ai bambini morti senza battesimo sia riservato un luogo ‘intermedio’ tra l’immeritato inferno e il non completamente meritato paradiso. Anche Alberto Magno accetta l’esistenza di questo stato delle anime, questione che viene ampiamente trattata dal suo discepolo Tommaso d’Aquino. Con le dissertazioni dell’aquinate, il termine ‘limbo’ diventa di uso comune e viene considerato la terza via possibile, dove si gode di una felicità naturale, poiché il peccato originale è vizio della natura, mentre il peccato attuale è vizio della persona.
Inoltre la pena dei sensi non è dovuta a una disposizione al peccato, ma a un atto di peccato (perché ci sia peccato occorrono piena consapevolezza e deliberato consenso).
Per Tommaso d’Aquino i bambini morti senza battesimo non hanno la capacità di raggiungere la piena gloria del cielo, perché non godono del libero arbitrio,28 necessario per compiere un atto di fede. Così come per la mancanza del libero arbitrio non possono
27 INNOCENT III, Epistula ‘Maiores Ecclesiae causas’ ad Ymbertum, Enchiridion Symbolorum, Denzinger, http://catho.org/9.php?d=g1#ke (ultima consultazione 11 aprile 2020): «Affermano, infatti, che il battesimo viene conferito inutilmente ai bambini piccoli [...] Rispondiamo che il battesimo è il compimento della circoncisione [...]
Quindi, così come l'anima del circonciso non veniva separata dal suo popolo (Gen 17, 14), così chi è rinato dall'acqua e dallo Spirito Santo, otterrà l'ingresso nel regno dei cieli (Gv 8, 5) [...] Anche se, attraverso il mistero della circoncisione, il peccato originale è stato perdonato ed evitato il pericolo di condanna; tuttavia, non si poteva raggiungere il regno dei cieli, che fino alla morte di Cristo è stato chiuso a tutti; ma attraverso il sacramento del battesimo, siglato dal sangue di Cristo, si perdona la colpa e si arriva anche al regno dei cieli, la cui porta il sangue di Cristo ha misericordiosamente aperto a tutti i fedeli. Non avvenga infatti che tutti i bambini, di cui muore ogni giorno una moltitudine così grande, periscano, senza che Dio misericordioso, che non vuole che nessuno perisca, procuri un qualche rimedio per la loro salvezza [...] al contrario, che i bambini piccoli, per mancanza di consenso, non siano intrisi di fede e carità e altre virtù, la maggior parte degli autori non lo concede affatto [...]; altri affermano che, in virtù del battesimo, la colpa è perdonata, ma la grazia non è loro conferita; ma altri dicono che non solo la loro colpa è perdonata, ma che sono infuse delle virtù che hanno in termini di disposizione, non in termini di utilizzo, fino all'età adulta [...] Diciamo che bisogna fare dei distinguo. Il peccato è duplice: originale e attuale. L'originale è quello che viene contratto senza consenso; mentre quello attuale viene commesso con il consenso. L'originale, quindi, che si contrae senza consenso, senza consenso è perdonato in virtù del sacramento; quello attuale, invece, che con consenso si contrae, senza consenso non si perdona in alcun modo [...] La pena del peccato originale è la mancanza della visione di Dio; la punizione del peccato attuale è il tormento dell'inferno eterno».
28 Il De libero arbitrio di Agostino è un testo fondamentale a cui Dante fa riferimento per l’argomento.
aver commesso peccato, per lo stesso motivo non hanno la capacità di scegliere liberamente di credere, perché morti prima di raggiungere l’uso della ragione.29
Il pensiero di Agostino è oggetto di studio anche nel XVI secolo, e una delle conseguenze di questo rinnovato interesse è il giansenismo, contrario alla teoria del limbo. Ciò richiede l’intervento dei pontefici Paolo III, Benedetto XIV, Clemente XIII, Pio VI,che tutelano di fatto la libertà delle scuole cattoliche di affrontare tale delicato argomento: sicché la teoria del limbo non è dottrina di fede, tuttavia fa parte della dottrina cattolica; la questione è irrisolta e la discussione prosegue.
L’interesse è così vivo che, in occasione del Concilio Vaticano I viene riformulato lo schema della costituzione dogmatica De doctrina catholica, che non viene sottoposta al voto dei Padri conciliari: la sorte dei bambini morti senza battesimo è ‘sospesa’, accomunata in parte a quella dei dannati e in parte a quella delle anime del purgatorio e dei beati: «Etiam qui cum solo originali peccato mortem obeunt, beata Dei visione in perpetuum carebunt».30
Il problema rimane aperto anche nel XX secolo. Nelle fasi preparatorie del Concilio Ecumenico Vaticano II ci sono molte attese e speranze sulla possibile definizione di questo spinoso punto, ma la Commissione Centrale Preparatoria rigetta la proposta, in quanto ritiene che i tempi non siano ancora maturi, pur nella consapevolezza della necessità di esprimersi o, quanto meno, di proporre ipotesi che tengano conto delle riflessioni teologiche, ma anche del raggiunto status fidelium.
Il Concilio degli anni Sessanta del Novecento non può rispondere direttamente all’interrogativo sempre più urgente, però si premura di guidare la riflessione teologica, richiamando l’attenzione sulla volontà salvifica universale di Dio, con riferimenti biblici e magisteriali, che evidenziano il fine ultimo dell’uomo (Dio),31 nonché l’infinita bontà misericordiosa del Padre nei confronti delle creature, fatte a sua immagine e somiglianza, le quali hanno come desiderio naturale la comunione con il Creatore: Cristo è morto per tutti, nessuno escluso.32
Nel 1985, il cardinale Joseph Ratzinger, allora Prefetto della Congregazione della Dottrina della Fede (ex Sant’Uffizio), nel libro Rapporto sulla fede afferma che il
limbo non è mai stata verità definita di fede. Personalmente – parlando più che mai come teologo e non come Prefetto della Congregazione – lascerei cadere questa che è sempre stata soltanto un’ipotesi teologica. Si trattava di una tesi secondaria a servizio di una verità che è assolutamente primaria per la fede: l’importanza del battesimo. […] Si lasci pure cadere il concetto di “limbo”, se è necessario
29 Vedi la Summa Theologiae di Tommaso, I, II,89. 6a; 3 sent. 22.2.1.2c; 4 sent. 45.1.2.3c; 3 sent. 22.2.1.2c. – Per quanto riguarda il peccato, vedi https://www.corpusthomisticum.org/tlp.html#peccatum (ultima consultazione 11 aprile 2020).
Vedi altresì il De malo di Tommaso, q. 5, a. 3 (sempre nel Corpus Thomisticum).
30 Schema reformatum constitutionis dogmaticae de doctrina catholica, in Acta et Decreta Sacrorum Conciliorum Recentiorum, Collectio Lacensis, Friburgi, Brisgoviae, 1890, t. 7, p. 565.
31 Vedi almeno Nostra aetate, 1, https://www.vatican.va/archive/hist_councils/ii_vatican_council/documents/vat-
ii_decl_19651028_nostra-aetate_it.html; Lumen gentium, 16,
http://www.vatican.va/archive/hist_councils/ii_vatican_council/documents/vat-ii_const_19641121_lumen- gentium_it.html (ultima consultazione 11 aprile 2020).
32 Vedi almeno Gaudium et spes, in particolare capitoli 19 e 22,
http://www.vatican.va/archive/hist_councils/ii_vatican_council/documents/vat-ii_const_19651207_gaudium-et- spes_it.html (ultima consultazione 11 aprile 2020).
(del resto, gli stessi teologi che lo sostenevano affermavano al contempo che i genitori potevano evitarlo al figlio con il desiderio del suo battesimo e la preghiera).33
Qualche tempo dopo, il teologo cappuccino Raniero Cantalamessa, Predicatore della Casa Pontificia, dice che dobbiamo dimenticare
l’idea del limbo, come il mondo dell'irrealizzato per sempre, senza gioia e senza pena, dove finirebbero i bambini non battezzati, insieme con i giusti morti prima di Cristo. Questa dottrina, che pure è stata comune per secoli, e che Dante ha accolto nella Divina Commedia, non è stata mai ufficializzata e definita dalla Chiesa. Era una ipotesi teologica provvisoria, in attesa di una soluzione più soddisfacente e, come tale, superabile grazie a una migliore comprensione della parola di Dio. Il bambino non nato e non battezzato si salva e va a unirsi subito alla schiera dei beati in paradiso. La sua sorte non è diversa da quella dei Santi Innocenti che festeggiamo subito dopo Natale. Il motivo di ciò è che Dio è amore e “vuole che tutti siano salvi”, e Cristo è morto anche per loro!».34
Più di recente la Commissione Teologica Internazionale, organo costituito all’interno della Congregazione per la Dottrina della Fede, ha espresso una posizione del tutto simile in un documento ufficiale approvato da papa Benedetto XVI (il cardinale Joseph Ratzinger), pubblicato il 20 aprile 2007, in cui è scritto che il tradizionale concetto di limbo – luogo dove i bimbi non battezzati vivrebbero per l’eternità senza comunione con Dio – riflette una «visione eccessivamente restrittiva della salvezza».35 L’ipotesi teologica dell’esistenza del Limbus puerorum è ritenuta superata dall’autorevolezza di coloro che si sono espressi, sebbene non sia ufficializzato da Santa Romana Chiesa che esso non è esistito e non esiste.
II.2Il limbo delle «femmine»
Dante e Virgilio continuano il loro cammino, giungendo alla «lumera», che
‘esprime’ la luce della mente, dell’intelletto e persino quella divina. Il termine viene ripreso in Paradiso per indicare Tommaso d’Aquino, fonte ispiratrice di questo passo, nonché dell’intera sequenza.36 Essi pervengono ai piedi di un «nobile castello», «sette volte cerchiato d’alte mura» e difeso da un «bel fiumicello».37 Oltre al «nobile castello», di creazione dantesca, per sottolineare la somma dignità degli spiriti che lo abitano, si badi alle sette cerchia di mura, numero che nel linguaggio biblico indica l’infinito, e al «bel fiumicello» indice, probabilmente, delle tentazioni umane che
33 VITTORIO MESSORI,Rapporto sulla fede. Vittorio Messori a colloquio con il cardinale Joseph Ratzinger, Cinisello Balsamo, Edizioni Paoline, 1985, pp. 154-155.
34 RANIERO CANTALAMESSA,Gettate le reti. Riflessione sui vangeli, Casale Monferrato, Piemme, 2001, pp. 68-69.
35 Vedi http://www.vatican.va/roman_curia/congregations/cfaith/cti_documents/rc_con_cfaith_doc_20070419_un- baptised-infants_it.html [data consultazione: 5 aprile 2020].
36 «E io senti’ dentro a quella lumera / che pria m’avea parlato, sorridendo / incominciar, faccendosi più mera» – Pd XI, 16-18. Il termine è impiegato una volta nell’Inferno (If IV, 103) per illuminare quel luogo e quegli spiriti sapienti e degni d’onore con un raggio di luce del Paradiso, e tre volte in Paradiso (Pd V, 130; Pd IX, 112; Pd XI, 16).
37 If IV, 106-108.
separano dalle virtù,38 a giudicare dalla facilità con cui i due poeti lo oltrepassano, come se fosse terra asciutta, giungendo in un «prato di fresca verdura»,39 dove si trovano anime dall’aspetto autorevole, che parlano poco, in modo pacato e con voci «soavi».40
Dante e Virgilio incontrano eroi ed eroine troiani e latini, personaggi della storia di Roma, in cui rientra anche quella di Troia. La scelta è dettata dal valore provvidenziale e profetico che Roma e l’Impero hanno per Dante nella storia del mondo:41 Elettra («con molti compagni»),42 Ettòr, Enea, Cesare, Camilla, Pantasilea, il re Latino con sua figlia Lavinia, Lucio Giunio Bruto, Lucrezia, Iulia, Marzïa, Corniglia,43 il Sultano d’Egitto,già citato nel Convivio come esempio di liberalità44 e qui nella Commedia come exemplum unicum delle virtù civili tra coloro che non hanno conosciuto Cristo.
Le donne che compaiono nell’Inferno sono citate prevalentemente con il nome proprio e provengono dal mondo storico, mitologico, biblico; alcune sono nominate attraverso perifrasi.45 La loro citazione, per inciso, allude a uno scenario molto vasto, che mette il lettore nella condizione di poter scegliere se passare oltre, oppure fermarsi.
Come osservato da Claudio Giunta, Dante conosce i personaggi della Commedia vissuti nei tempi antichi attraverso i libri, le voci e i pettegolezzi sul loro conto, a cui aggiunge delle minuzie di sua mano per muovere l’actio; a loro concede uno spazio in secondo piano. L’autore del poema si ferma a parlare, invece, con gli uomini e le donne del suo tempo. La rappresentazione dei personaggi per lui è precipua rispetto all’insegnamento morale (esortazione, ammonimento): l’attenzione è focalizzata e
38 Come leggono Jacomo della Lana, Benvenuto e altri commentatori.
39 Vedi i Campi Elisi virgiliani fonte del passo dantesco (Eneide, VI, 638-639).
40 La fonte di questo passo dantesco è Tommaso d’Aquino nel commento all’Etica Nicomachea (IV, 1, X).
41 Questi, insieme con il gruppo dei filosofi e dei poeti, raffigurano le virtù morali e intellettuali dell’uomo, il più alto grado di onore e dignità (infatti sono «magnanimi» – vedi supra), però, purtroppo «s’elli hanno mercedi, / non basta, perché non ebber battesmo, / ch’è porta de la fede» (If IV,34-36). In Purgatorio Virgilio precisa che «Non per far, ma per non fare ho perduto» (Pg VII, 25). Sulla virtù della magnanimità vedi FIORENZO FORTI,Magnanimitade, in IDEM, Magnanimitade. Studi su un tema dantesco, cit., pp. 9-48.
42 If IV, 121.
43If IV, 121-128: Elettra: madre di Dardano, fondatore di Troia, dalla quale discendono i Troiani. Attorno a lei, infatti, Dante ne vede molti e riconosce i primi due nobili eroi, Ettore ed Enea, ricordati insieme anche nel De Monarchia, II, iii, 9(If IV, 121). Camilla: già citata in If I, 107, vergine guerriera, qui citata con il re del Lazio, Latino, e con sua figlia Lavinia (If IV, 126), sposa di Enea e progenitrice dei Romani (If IV, 124). Pantasilea: regina delle Amazzoni, morta a Troia per mano di Achille e qui ricordata accanto a Camilla. Entrambe sono donne guerriere, morte in battaglia.
Dall’umiliazione della sconfitta doveva nascere Roma (If IV, 124. Per il parallelismo virgiliano, vedi Eneide, XI, 659- 663). Lucrezia (If IV, 128): moglie di Collatino, morta suicida perché disonorata da Sesto Tarquinio, figlio di Tarquinio il Superbo. La sua fine segna l’inizio della rivolta contro i Tarquini. In Pd VI, 41 il poeta la ricorda come il principio della storia della potenza di Roma. Per questo motivo, oltre che per le sue doti di magnanimità e pudicizia, pur essendo suicida, è collocata nel Limbo, nonostante il parere contrario di Agostino (del quale vedi il De civitate Dei, I,19). Iulia (If IV, 128):
figlia di Cesare e moglie di Pompeo. Marzia (If IV, 128): moglie di Catone Uticense, ricordata anche in Pg I, 79-80; in Convivio IV, xxviii, 13-19è figura allegorica della «nobile anima». Cornelia (If IV, 128): figlia di Scipione, madre di Tiberio e Caio Gracco (citata anche in Pd XV, 129 come esempio di donna virtuosa). Riguardo a tale identificazione, non tutti i critici sono concordi: qualcuno ritiene che Dante intenda Cornelia come la seconda moglie di Pompeo (ricordata la Lucano insieme a Marzia nella Pharsalia, II 344-349, proprio come Dante in questo passo): resta l’incertezza. Anna Maria Chiavacci Leonardi, nel suo commento, in questo punto asserisce che «da una parte sta l’autorità del testo di Lucano, da cui dipendono anche Giulia e Marzia; dall’altra la quasi unanimità degli antichi per la prima Cornelia, la citazione del Paradiso, e il fatto (ricordato dal Mazzoni) che la seconda appare nella Pharsalia come figura moralmente discutibile»
(vedi il commento della Chiavacci Leonardi al canto IV,dell’Inferno, cit., p. 125).
44 Cn IV, xi, 14. Le imprese del Sultano (Salah-ed-Din, If IV, 129) sono divenute leggendarie nel Medioevo (vedi Novellino
XXIII;GIOVANNI BOCCACCIO,Decameron I,3; X,9).
45 Come per esempio Didone: «colei che s’ancise amorosa, / e ruppe fede al cener di Sicheo» (If V, 62-63).
porta il lettore a focalizzarsi non sul peccato in sé, ma sul peccato commesso da un individuo concreto, che acquista, pertanto, sapidità reale. I personaggi incontrati sono defunti, già giudicati da Dio, ma conservano la loro individualità storica, diversamente dal ruolo che hanno rivestito, divenuto ininfluente e irrilevante. Dante li conosce perfettamente dal punto di vista storico, e con pari indefettibilità conosce la loro sorte post mortem, come Dio la conosce.46
Nel Limbo si trovano molte donne: oltre alle otto menzionate – dieci se si considera che, insieme con Adamo e i progenitori c’è Rachele ed è lecito ipotizzare che ci sia anche Eva (entrambe si ritroveranno in Paradiso)47 – vanno aggiunte quelle che nomina Stazio nel canto XXII del Purgatorio: Antigone, Deïfile, Argia, Ismene, Isifile, la figlia di Tiresia (Manto), Teti, Deïdamia e le sue sorelle.48 La critica è divisa sulla nominazione, attraverso perifrasi, dell’indovina Manto, come cittadina del Limbo. Il Torraca e il Parodi propendono per un errore di trascrizione (Nereo > Tereo
> Tiresia) proponendo di leggere «la figlia di Nereo, Teti», chiamata «la Nereide» sia nell’Achilleide sia nell’Eneide.49 Anna Maria Chiavacci Leonardi dichiara che, pur ritenendo valida la proposta, ipotizzando anche un possibile errore di Dante, ma non trovando un riscontro nei codici, mantiene la lezione del Petrocchi.50 Manto è dannata all’Inferno tra gli indovini (If XX, 55), però, come più recentemente sostiene Enrico Malato, con il quale chi scrive concorda, ella «viene riproposta in prospettiva nuova, con allusione cursoria (la figlia di Tiresia), tra gli spiriti del limbo (non per “svista”
del poeta, come si è a lungo ritenuto, ma per indubbia scelta intenzionale)».51 Forse Dante voleva contrastare gli spazi, a volte troppo ampi, riconosciuti al peccato, ricordando lui perfettamente che all’origine della vicenda umana non vi è, secondo la Bibbia, il peccato, ma l’amore, sia del Creatore sia delle creature. Nel libro del Genesi, infatti, nel racconto della creazione, al termine di ogni giornata, viene ricordato che
«Dio vide che era cosa buona».52 Esso (l’amore) è più originale del peccato, anche in senso etimologico: perché sta all’origine, al principio ed è il principio di tutto. L’uomo
46 Vedi CLAUDIO GIUNTA,Quello che non c’era prima di Dante, «Belfagor. Rassegna di varia umanità», 67, 1, 2012, pp.
61-73.
47 Vedi infra.
48 Antigone (figlia di Edipo, sorella di Ismene, condannata a morte da Creonte per aver dato pietosa sepoltura al fratello Polinice), Deïfile (moglie di Tideo, uno dei sette re di Tebe, sorella di Argia), Argia (sposa di Polinice, sorella di Deïfile), Ismene (figlia di Edipo, sorella di Antigone), Isifile (mostra ai sette re in marcia contro Tebe la fonte Langìa e lascia incustodito sull’erba il figlio Licurgo, morto per il morso di un serpente; condannata a morte, è salvata dai due figli), Manto (l’indovina che Dante nomina attraverso perifrasi «la figlia di Tiresia») – fin qui tutti personaggi della Tebaide di Stazio –Teti (dea marina, madre di Achille), Deïdamia (figlia di Licomede, re di Sciro, amata da Achille e abbandonata per la guerra di Troia) e le sue sorelle sono personaggi dell’Achilleide di Stazio (Pg XXII,110-114).Per quanto riguarda la nominazione dei personaggi, vedi almeno: EMILIO PASQUINI,Le favole antiche e la biblioteca di Dante: il mito delle
«Atene celestiali», in IDEM,Dante e le figure, Milano, Mondadori, 2001, pp. 73-121. Diverso parere è espresso nel saggio di LUCIANO GARGAN, Per la biblioteca di Dante, «Giornale Storico della Letteratura Italiana», vol. CLXXXVI,2009, pp.
161-193. Il contributo è stato accolto dai critici con ampie riserve, in parte spiegate nel volume LUCIANO GARGAN, Dante, la sua biblioteca e lo studio di Bologna, Padova, Antenore, 2014.
49 Vedi l’Achilleide di Stazio, I,158, e l’Eneide di Virgilio VIII, 383.
50 ANNA MARIA CHIAVACCI LEONARDI,Commento al Purgatorio, II,Milano, Mondadori, 1994 («I Meridiani»), canto
XXII, p. 664.
51 Manto, s.v., in Dizionario della Divina Commedia, a cura di Enrico Malato, Roma, Salerno Editrice, 2018 («I Diamanti»), prima ristampa riveduta. In questa sede, Malato rimanda al suo saggio Il problema di Manto, «Rivista di studi danteschi», 2016, pp. 355-364.
52 Gen 1, 4.10.12.18.21.25.31.
porta in sé la ferita del peccato originale, per cui in ciascuno vi è la presenza di un vero e proprio peccato che precede gli atti liberi e coscienti della vita personale. Ciò che per un lungo periodo è stato interpretato come un possibile errore di Dante, appare a chi scrive come una perla di sapienza teologica che il poeta, ancora una volta, conferma attraverso la poesia. Egli intuisce (o meglio: conosce) questa delicata questione delle conseguenze del peccato originale, con così largo anticipo (già nel suo tempo), da
‘confondere’ molti dei suoi più grandi interpreti e commentatori.
Il Limbus patrum comprende anche le donne e Dante, come si diceva sopra, dimostra attenzione per loro. Tra gli «spiriti magni»53 che egli desidererebbe tanto salvare, ci sono anche queste donne, fatte ‘rivivere’ nella Commedia. Con pochi versi egli ci richiama alla memoria l’importanza del loro ruolo, tutt’altro che secondario rispetto a quello degli uomini e, in maniera sottile e implicita, sempre attraverso la poesia, suggella un altro dato scritturistico: così come a causa di un uomo (e di una donna: Eva) il peccato e la morte sono entrati nel mondo, a causa di Cristo, Verbo incarnato in Maria, è venuta in soccorso la salvezza.54 Eva, per un motivo meno nobile, Maria, per uno nobilissimo, sono entrambe corredentrici. La «felix culpa» dei progenitori giova a tutto il genere umano.55
II.3Il limbo dei «viri» (progenitori, poeti, filosofi)
II.3.1I progenitori
Dopo aver domandato a Virgilio se dal luogo in cui si trovano sia mai uscito qualcuno,56 avendo inteso il maestro il parlare allusivo di Dante, spiega che «“Io era nuovo in questo stato, / quando ci vidi venire un possente, / con segno di vittoria coronato. / Trasseci l’ombra del primo parente, / d’Abèl […] Noè, […] Moïsè […]
53 Anime dei magnanimi che, consapevoli «della propria interiore grandezza» hanno fatto «cose grandi nel campo del pensiero come nel campo dell’azione» e hanno esercitato le virtù morali e intellettuali (vedi FIORENZO FORTI,Il Limbo e i megalopsicoi della Nicomachea, in IDEM,Magnanimitade, cit., p. 43). La definizione richiama alla memoria TOMMASO,
Sententia libri Ethicorum, IV, viii: «videtur esse magnanimus qui dignum seipsum aestimat magnis, idest ut magna faciat et magna ei fiant, cum tamen sit dignus».
54 Rm 5, 12-20.
55 Vedi Praeconium paschale, Exultet. La «felix culpa» del Praeconium paschale richiama alla memoria la «felix ruina quae reparatur in melius» di cui parla S. Ambrogio nelle Enarrationes in XII Psalmos Davidicos, in Psalmum XXXIX
Enarratio: «Et Adam ut caderet, a serpente deceptus est, et flexus est ab uxore. Ideo jam nullae in paradiso nuptiae, sed omnes erunt sine celebritatibus nuptiarum, sicut angeli in coelo. Non dixerat Adae: “Mecum eris;” quia sciebat illum esse casurum, ut redimeretur a Christo. Felix ruina, quae reparatur in melius. Ideo jam pius pastor, bonus negotiator gregem suum, et mercem propriam non reliquit. Erit quidem ed adhuc in paradiso cum angelis pugna serpenti, dones dejiciatur:
sed qui cum Christo est, timere non poterit. Adam cum Christo non fuit, quando deceptus est. Nam si cum Christo fuisset, et in ejus praeceptione permanisset, perire utique non potuisset. Non mansit in Christo, quia non in ejus sermone permansit. Denique audi, qui maneat in Christo. “Si manseritis, inquit, in me et verba mea in vobis manserint;
quodcumque volueritis, petetis; et fiet vobis. […] Ille omnes suos vult esse, quos condidit et creavit. Utinam, tu homo, non fugias, et te ipse a Christo non abscondas! Ille etiam fugientes requirit, et absconditos non vult perire, sed clamat dicens: “Adam, ubi es?” Hoc est, homo, ubi es? Ego te in lumine posui, tu tenebras requisisti» (cfr. Sancti Ambrosii, Medionalensis Episcopi, Enarrationes in XII Psalmos Davidicos, in Psalmum XXXIX Enarratio, in Patrologia Latina, coll.
1116-1117). Vedi anche la Summa Theologiae di Tommaso, III,q. 1, a. 3, ad 3.
56 Vedi supra.
Abraàm […] Davíd […] Israèl con lo padre e co’ suoi nati […] Rachele […] e altri molti, e feceli beati. / E vo’ che sappi che, dinanzi ad essi, / spiriti umani non eran salvati”».57 Dante nomina Adamo, ma non fa cenno a Eva (probabilmente la
‘comprende’ in Adamo, così come dalla sua costola è stata tratta), eppure ella è stata liberata dal Limbo, infatti la pone in Paradiso, ai piedi di Maria: «Ritenuta bellissima, in quanto creatura diretta di Dio (senza l’intermediazione della natura), venne poi salvata da Cristo e assunta in cielo, collocata nella candida rosa súbito sotto Maria Vergine».58 Unica donna a essere nominata tra i progenitori è Rachele, che si ritrova beata e seduta in Paradiso accanto a Beatrice: questo potrebbe essere uno dei motivi per cui il poeta la cita (vedi ultra).
II.3.2I poeti
In ordine di importanza, come si diceva, dopo aver incontrato i patriarchi, è il momento dei poeti: «O tu ch’onori scïenzïa e arte, / questi chi son c’hanno cotanta onranza, / che dal mondo de li altri li diparte?».59 Il «mondo de li altri» è costituito da
«la selva […] di spiriti spessi»,60 dalla quale gli illustri si distinguono per l’onore e la fama; sono in un luogo appartato, illuminato da un «foco» (v. 68) che, nelle tenebre dell’Inferno, permette di vedere un «emisperio» (v. 69).61 Con questa luce comincia la seconda parte del canto, tanto cara a Dante.
Egli domanda a Virgilio, poeta sapiente, chi sono le anime degne di «cotanta onranza»62 da essere separate, distinte da tutte le altre e illuminate.
Il primo grande tributo è per Virgilio. Dante mette sulle labbra di un’anima (non altrimenti nomata), foriera della deferenza condivisa, l’invito a rendere onore all’illustre mantovano, in virtù della sua grandezza poetica: «“Onorate l’altissimo poeta: / l’ombra sua torna, ch’era dipartita”».63 I due pellegrini incontrano prima Omero, il «poeta sovrano»,64 poi i più grandi rappresentanti dei tre principali generi letterari: l’umile Orazio,65 dal quale Dante attinge insegnamenti morali, cristianamente riletti, il comico Ovidio,66 principale fonte della Commedia per i miti antichi, il tragico Lucano,67 secondo grande modello epico, dopo Virgilio, presente in tutto il poema.
Questi poeti sono i medesimi che Dante indica nella Vita Nova come modelli per i
57 If IV, 52-63.
58 Pd XXXII, 5. «(quella ch’è tanto bella da’ suoi piedi [di Maria] / è colei che l’aperse e che la punse [la piaga che Maria richiuse e unse])» – vedi Eva s.v., in Dizionario della Divina Commedia, a cura di Enrico Malato, cit.
59 If IV, 73-75.
60 If IV, 66.
61 Vedi l’Eneide di Virgilio, I, 727: «et noctem flammis funalia vincunt» («le luci della fiamma vincono la notte»).
62 Per le anime degne d’onore, vedi l’Etica Nicomachea di Aristotele (IV, III), nonché il commento di Tommaso d’Aquino al riguardo.
63 If IV, 80-81.
64 «“Mira colui con quella spada in mano, / che vien dinanzi ai tre sì come sire: / quelli è Omero poeta sovrano» (If IV, 86-88).
65 Dante gli conferisce l’onore di «maestro», per l’Ars poetica, nel De Vulgari Eloquentia (vedi VE II, iv, 4).
66 Nel Medioevo, Ovidio è il poeta latino più famoso dopo Virgilio, molto caro a Dante, specialmente per le Metamorfosi, principale fonte della Commedia per gli antichi miti (vedi VE II, vi, 7).
67 Dante lo ricorda come «grande poeta» nel Convivio (vedi Cv IV, xxviii, 13; VE II, vi, 7).
rimatori volgari68 (manca all’appello Stazio, che si ritrova tra i salvati del Purgatorio).69 Nel momento del congedo dalla «bella scola» (v. 94), stretta intorno al maestro, si capisce che Dante ha la coscienza storica di essere il continuatore di Virgilio: «Da ch’ebber ragionato insieme alquanto, / volsersi a me con salutevol cenno, / e ’l mio maestro sorrise di tanto; / e più d’onore ancora assai mi fenno, / ch’e’ sì mi fecer de la loro schiera, / sì ch’io fui sesto tra cotanto senno».70 La fonte di questo passo è Ovidio, che nei Tristia71 si colloca quarto dopo i tre grandi elegiaci Tibullo, Gallo e Properzio. In quattro terzine il poeta fiorentino racchiude l’incontro tra Virgilio e Ovidio, il più importante di tutta la letteratura europea medievale, come sostiene Curtius nel suo testo Letteratura europea e Medioevo latino. In pochi versi Dante crea un ponte tra il mondo latino e quello medievale. Egli ha consapevolezza di essere il primo rinnovatore che non ha modelli precedenti (né avrà imitatori).72
II.3.3I filosofi
L’ultimo incontro nel Limbo, nel punto più alto del «nobile castello», è con i filosofi che si stringono intorno al loro maestro Aristotele: «Poi ch’innalzai un poco più le ciglia, / vidi ’l maestro di color che sanno / seder tra filosofica famiglia. / Tutti lo miran, tutti onor li fanno».73 Con Aristotele ci sono Socrate, Platone,74 Democrito, Dïogenès, Anassagora,75 Tale, Empedoclès, Eraclito, Zenone, Dïascoride di Cilicia, Orfeo, Tulïo, Lino, Seneca, Euclide, Tolomeo, Ipocràte, Avicenna, Galïeno, Averoís.
I poeti mitici dell’antica Grecia (Orfeo e Lino) sono menzionati tra i filosofi morali Cicerone e Seneca (gli unici due latini).76 Sull’ordine in cui Dante li nomina ci sono
68 Vedi VN XXV, 9. Se questi poeti, insieme ai filosofi citati in questo saggio, sono fonti importantissime per Dante, non meno magistri sono per lui Agostino, Paolo, lo Pseudo-Dionigi Areopagita, Ugo da San Vittore, Pietro Lombardo, Alberto Magno, Tommaso d’Aquino, Bonaventura da Bagnoregio, Duns Scoto, Guglielmo di Occam. Da sottolineare che Pietro Lombardo è l’ago della bilancia tra coloro che lo hanno preceduto e seguito. Da lui certamente Dante attinge molto. I Libri Quattuor Sententiarum del Lombardo sono stati un autorevole pronunciamento teologico, tanto da costituire, almeno per tre secoli, ‘il’ manuale di teologia su cui tutti si sono formati; tra questi si annovera il poeta fiorentino. Si deve ricordare tuttavia, che, se è pur vero che Dante ben conosceva i commenti dei grandi maestri, è altrettanto vero che, in primis, conosceva perfettamente i testi dei maestri. A questo proposito vedi il saggio di BRUNO PANVINI,La concezione tomistica della grazia nella «Divina Commedia», in Letture Classensi, 17, a cura di Nicolò Mineo, Ravenna, Longo Editore, 1988, pp. 69-85.
69 Stazio tiene compagnia a Dante a partire dal ventunesimo canto del Purgatorio.
70 If IV, 97-102. Vedi LUCIANO ANCESCHI,Leggere Dante: il canto IV dell’Inferno, in IDEM,L’esercizio della lettura, a cura di Liliana Rampello, introduzione di Guido Guglielmo, Parma, Edizioni Pratiche, 1995, pp. 19-31.
71 Vedi i Tristia di Ovidio, IV, 10, 54.
72 Sull’incoronazione di alloro di Dante vedi almeno: MIRKO TAVONI,Il nome di poeta in Dante, in Studi offerti a Luigi Blasucci dai colleghi e dagli allievi pisani, Lucca, Fazzi, 1996, pp. 545-577; LUCA CARLO ROSSI, Canto IV. Autoincoronazione poetica nel Limbo, in Lectura Dantis Romana, Cento canti per cento anni, I.Inferno, 1. Canti I-XVII, a cura di Enrico Malato, Andrea Mazzucchi, Roma, Salerno, 2003, pp. 131-161; ENRICO MALATO,L’«amato alloro» di Dante: il miraggio della incoronazione poetica. Una proposta per il settecentenario, «Rivista di studi danteschi», 1, gennaio-giugno 2019, pp. 3-20.
73 If IV, 129-133.
74 Vedi Cn IV, xi, 13-15.
75 Vedi Cn II, xvi, 6.
76 Vedi l’Ecloga IV, 55-57 di Virgilio, che pure li nomina insieme; Cn II, i, 3; Metamorfosi di Ovidio, XI, 1. Vedi inoltre Dante e la ‘bella schola? della poesia. Autorità e sfida poetica, a cura di Amilcare A. Iannucci, Ravenna, Longo, 1963, pp. 41-64.