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1. LA PIU’ GRANDE LEGGENDA DI TUTTI I TEMPI ERA VERA: ALESSANDRO MAGNO TRA MITO E REALTA’

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1. LA PIU’ GRANDE LEGGENDA DI TUTTI I TEMPI ERA VERA: ALESSANDRO MAGNO TRA MITO E REALTA’

“The storie of Alisaundre is so commune That every wight that hath discrecioun Hath herd somwhat or al of his fortune. This wyde world, as in conclusioun, He wan by strengthe, or for his hye renoun They weren glad for pees unto hym sende”

Geoffrey Chaucer, Canterbury Tales-The monk’s Tale, vv. 743-748.

1.0. Introduzione

La vita di Alessandro Magno si presta, per la sua eccezionalità, ad essere la base di romanzi e di cicli avventurosi che lo vedono come protagonista. E’ difficile parlare di realtà storica di fronte alle poche fonti che ci sono pervenute, tutte posteriori alla morte del Macedone e in alcuni casi contenenti elementi che si intrecciano a credenze e a racconti di carattere mitologico. In questo capitolo sarà fornita una descrizione delle principali fonti storiche e romanzesche sulla biografia di Alessandro Magno che sarà utile per comprendere quale filone di queste fonti è stato maggiormente seguito e rielaborato nel Medioevo, periodo storico in cui prende vita il testo che verrà poi analizzato più dettagliatamente, l’Alessandreide antico ceca.

1.1. I testimoni diretti della spedizione in Asia del Macedone: Callistene di Olinto, Tolomeo Lago, Clitarco, Aristobulo di Cassandrea

Come accennato nel paragrafo precedente, le fonti riguardanti la vita del Macedone che sono giunte fino ai giorni nostri sono tutte posteriori alla sua morte e non sono pervenuti per intero gli scritti di storici a lui contemporanei. Dalle testimonianze citate negli scritti che ci sono pervenuti, si ha notizia di storici coevi

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al Macedone le cui opere vengono citate tra i materiali a disposizione di questi autori, di cui si hanno a disposizione alcuni frammenti raccolti dal filologo tedesco Felix Jacoby (1876-1959) nella sua raccolta intitolata Fragmente der

griechischen Historiker, di cui erano previsti cinque volumi: il primo riguardante

gli autori di mitologia e di cronaca, il secondo gli storici, il terzo le autobiografie, il quarto le biografie e la letteratura antica, il quinto la geografia storica. Di questi cinque volumi sono stati completati e pubblicati soltanto i primi tre, che restano una fonte imprescindibile per lo studio della storia greca e per la ricostruzione almeno ipotetica delle testimonianze andate perdute ma di cui resta traccia negli autori successivi.

Lo schema sottostante mostra come le fonti primarie costituite dall’opera di Callistene di Olinto e dai resoconti dei soldati di Alessandro andati perduti siano state poi riprese da Tolomeo, Aristobulo e Clitarco, a cui hanno poi attinto anche Arriano, Plutarco e Curzio Rufo. Tutti condividono la stessa cronologia e gli stessi nomi di ufficiali. Anche il secondo livello di fonti, costituito da Tolomeo, Aristobulo e Clitarco è andato perduto, ma ne resta notizia negli altri autori, cioè Arriano, Plutarco, Curzio Rufo e Diodoro Siculo1.

1 Lo schema riportato in questo paragrafo è ripreso da: J. LENDERING, Callisthenes of Olinthus,

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Sulla biografia di Callistene (ca. 370 a.C. -327 a.C.) le fonti sono concordi e divergono solo in piccoli dettagli2 si sa che era originario di Olinto, una città della Grecia del Nord, ed era cugino di Aristotele3, col quale aveva studiato a Stagira. Prende parte alla spedizione in Asia di Alessandro Magno nel 334 a. C., su consiglio di Aristotele, in qualità di storico ufficiale. Da questa esperienza avrà origine il resoconto della spedizione di Alessandro in Asia, fondamentale, come abbiamo visto dallo schema, per gli storici successivi4. Inoltre, insieme ad Aristotele, Callistene prende parte alla stesura di una lista di vincitori dei giochi pitici5. Arriano, Plutarco e Curzio Rufo riportano degli aneddoti riguardanti

2 Cfr. L. PEARSON, The lost histories of Alexander the Great, American Philological Association,

New York 1960, pag. 21-22.

3 Sul grado di parentela che legava Callistene ed Aristotele non c’è unanimità nelle fonti: “Vari

autori ricordano, con diversi gradi di precisione, il legame familiare che univa Callistene ad Aristotele: Diogene Laerzio (...) si limita a definire Callistene συγγενής mentre Seneca (...) che la Suda (...) parlano di lui come un cugino di secondo grado del filosofo e Plutarco (...) precisa che la parentela consisteva nell’essere figlio di Erò, cugina di Aristotele. (...) Plutarco aggiunge anche il particolare che Callistene sarebbe vissuto (non si sa per quanto) presso lo stesso Aristotele proprio a motivo di questa parentela” (L. PRANDI, Callistene-uno storico tra Aristotele e i re macedoni, Jaca Book, Milano 1985, pag. 12 ).

4 Cfr. W. SMITH, Dictionary of Greek and Roman biography and Mythology, vol. I, ed. C. Little

and J. Brown, boston 1870, pagg. 575-576.

5 I giochi pitici erano competizioni di carattere musicale inaugurate a Delfi nel 582 a. C., alle quali

vennero poi aggiunte competizioni ginniche e ippiche, che si svolgevano dapprima ogni otto anni, poi, seguendo i giochi olimpici, ogni quattro anni. Era dato rilievo alla musica e alla poesia in quanto si trattava di una celebrazione in onore di Apollo, che nei pressi di Delfi aveva ucciso il serpente Pitone.

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Callistene che sono fondamentali per poter almeno ipotizzare quelle che erano le caratteristiche del suo stile e della sua opera e per ricostruirne la biografia. Tutti e tre gli storici riportano infatti l’argomentazione di Callistene per opporsi alla volontà di Alessandro di introdurre il costume persiano dell’adorazione (proskynesis)6, facendosi portavoce della volontà dei Macedoni e dei Greci, che riservavano questo atto ai soli dei7. Per questa sua aperta opposizione alla volontà di Alessandro e per il suo coinvolgimento nella congiura dei paggi ordita contro il Macedone e poi scoperta8, Callistene fu messo a morte. Sulla sua morte ci sono

6 La proskynesis aveva un diverso significato per i persiani e per i greci. Per i primi essa consisteva

nel prostrarsi, mentre per i greci implicava il portarsi una mano alle labbra per venerare una divinità, e non poteva mai essere rivolta agli uomini. Come si legge in Radet: “Dal momento in cui Alessandro assunse la grande Regalità Achemenide, la sola ch’egli riconoscesse come vera e piena sovranità, egli dovette, logicamente, pretendere la proskynesis quale segno esteriore di questo supremo potere. Dai persiani non poteva sollevarsi alcuna difficoltà, perché concedevano semplicemente all’erede dei loro principi il segno tradizionale del culto dinastico. Ma per i Macedoni tale pretesa era oggetto di scandalo e irritava gli animi” (G. RADET, Alessandro Magno, trad. it., BUR, Milano 2005, pag. 210). Cfr anche: R. LANE FOX, Alessandro Magno, trad. it., Einaudi, Torino 2004, pagg. 91-93, H. BENGSTON, L’antica Grecia, Il Mulino, Bologna 1989, pagg. 357358 e 365-366.

7 Cfr. ARRIANO, Anabasi di Alessandro,trad. it. con testo a fronte, BUR, Milano 1998, vol. II

pagg. 353-359, dove lo scrittore giudica il comportamento di Alessandro prepotente e quello di Callistene rozzo, sostenendo: “non ritengo immotivato che Callistene sia venuto in odio ad Alessandro sia per l’inopportuna libertà di parola sia per l’esagerata rozzezza” (Ivi, pag. 361). Cfr. anche: Q. CURZIO RUFO, Storie di Alessandro Magno, trad. it. con testo a fronte, BUR, Milano 2005, pagg. 845-857. Qui l’autore riporta il discorso di Callistene, che giudica errata l’acquisizione di costumi barbari. Si fa inoltre portavoce del concetto classico secondo cui la divinizzazione degli uomini inizierebbe dopo la morte: “Intervallo enim opus est, ut credatur deus, semperque hanc gratiam magnis viris posteri reddunt” (Ivi, pag. 852). Cfr. inoltre PLUTARCO, Vite parallele: Alessandro e Cesare, trad. it. con testo a fronte, Newton Compton, Roma 2005, dove l’autore mette in evidenza il coraggio e la schiettezza di Callistene nel disapprovare apertamente questa usanza dell’adorazione ripresa dal popolo persiano: “si rifiutò di inginocchiarsi di fronte ad Alessandro, e fu l’unico a dichiarare apertamente ciò che tutti i migliori e i più anziani dei macedoni deploravano senza avere però il coraggio di dirlo” (Ivi, pag. 137).

8 La cosiddetta “congiura dei paggi” risale al 327 e fu ordita da Ermolao insieme ad altri oppositori

di Alessandro. Cfr. A. MONTESANTI, Alessandro Magno-Alessandro III di Macedonia, Dissensi parte XII, in InStoria-Rivista on line di Storia e informazione, n. 17, Ottobre 2006, http://www.instoria.it/home/alessandro_magno_XIII.htm: “Durante una battuta di caccia un giovane Ermolao, aveva abbattuto un cinghiale, che sembra stesse per caricare lo stesso gruppo del Re, ma che a sua volta aveva già “mirato” la bestia prima di scoccare la saetta che lo avrebbe ucciso. L’atto di Ermolao, figlio di Sopoli, venne interpretato come un travalicamento della figura reale, un affronto alla dignità, che portarono al giovane una fustigazione pubblica. (…) Il giovane, che faceva parte delle guardie del reali, dopo aver costituito un gruppo di fedelissimi definì il piano (…) i giovani dell’alta nobiltà Macedone, addetti alla cura della sua persona, avevano deciso di pugnalarlo mentre dormiva. Imprevedibilmente, proprio quella notte, il Sovrano rimase alzato a bere fino all'alba e non richiese le sentinelle, che si trovarono totalmente spaesate.

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molte discordanze anche tra gli scrittori a lui contemporanei, che riportano diverse versioni su come effettivamente fossero andate le cose: Aristobulo sostiene che fosse stato imprigionato e che fosse morto di stenti, mentre Tolomeo ritiene che sia stato torturato e poi crocifisso9.

Per quanto riguarda l’opera di Callistene sulla vita del macedone, il titolo presunto è Άλεξάνδρου πράξεις. Come si legge nello studio di L. Prandi, il termine πράξεις “rivela un legame con le idee filosofiche di Aristotele: dell’interpretazione e dell’uso del termine (...) nel senso di “azioni coronate dal successo” viste in stretta connessione con il βίος πολιτικός”10. Due terzi delle citazioni delle πράξεις sono contenute nell’opera di Strabone, non solo per il carattere geografico dell’opera ma anche per il fatto che Strabone aveva trattato della vita di Alessandro nella sua opera storica11. Inoltre, come si legge nello studio di L. Pearson, una caratteristica dell’opera di Callistene che si può ricavare dai frammenti pervenuti è che “Callisthenes followed in the footsteps of earlier historians; like his literary contemporaries, he did not confine himself to modern history, but was keenly interested in mythology and geography”12.

Oltre che nell’opera storica di Strabone, il maggior numero di citazioni da Callistene è riportato nell’opera di Plutarco, di cui parleremo in seguito. I frammenti a noi pervenuti di questa opera riguardano la battaglia del Granico del 33413 e il massacro dei Branchidi in Battriana14 avvenuto probabilmente nel 329

Indipendentemente dal fatto che il Re abbia avuto il sentore o sia stato avvertito dell’accaduto, con il tempo, uno dei giovani cospiratori si lasciò sfuggire qualcosa con il fratello, un tal Caricle, che riportò tutto al sovrano. (…) le fonti, che appunto da adesso in poi escludono lo storico ufficiale, concordano sul fatto che il gruppo fosse influenzato da Callistene e che Ermolao fosse addirittura il suo prescelto”.

9 Cfr. W. SMITTH, cit., pag. 576. 10 L. PRANDI, cit., pag. 75. 11 Cfr. Ibidem.

12 L. PEARSON, cit., pag. 28.

13 Il Granico è un fiume dell’Asia minore presso il quale venne combattuta la prima delle battaglie

di Alessandro Magno contro l’impero persiano. Come si legge in H. Bengston, “da parte persiana la guerra in Asia Minore fu demandata dapprima ai singoli satrapi, senza la nomina di un comandante supremo (...) nella battaglia al fiume Granico (circa maggio-giugno del 334) il loro errore tattico e lo slancio dei Macedoni assicurarono ad Alessandro una vittoria decisiva. I mercenari greci, che combattevano nelle file persiane, furono sterminati tutti fino all’ultimo uomo” [H. BENGSTON, cit., pag. 346.]

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e, dall’analisi di questi contenuti è stato possibile ricavare due diverse interpretazioni dell’opera:

“la prima è l’interpretazione della spedizione di Alessandro come un cammino che ripercorreva le tracce dei suoi antenati. (...) Per ognuna delle località [dell’Asia Minore] Callistene ricordava l’appartenenza ad un popolo della coalizione troiana e l’affermazione della discendenza di Alessandro da Andromaca, che alla συγγένεια con Troia dava significato, offriva al Macedone di giustificare la sua conquista come un recupero di territori che gli spettavano per eredità.”15.

La seconda interpretazione, invece,

“è il tentativo operato da Callistene di mostrare che Alessandro e la sua spedizione si trovavano sotto la protezione di Apollo. Lo testimoniano (...) lo spazio e (...) l’attenzione dedicata agli oracoli dei Branchidi sulla filiazione divina e sulle vittorie di Alessandro”16.

Queste linee interpretative mettono in luce non solo l’aspetto storico delle imprese di Alessandro, ma già contengono in nuce quelli che sono gli elementi che aggiungono un tocco mitologico alla figura del Macedone: l’origine divina e il destino eroico a cui viene data rilevanza attraverso l’attenzione agli oracoli e ai segni, un esempio per tutti l’episodio del viaggio di Alessandro verso l’oasi di Ammone, situata a Siwa, nel deserto libico, di cui il solo Plutarco tratta nella sua

14 La Battriana era una regione dell’Asia centrale, satrapia dell’impero persiano. Il satrapo di

questa regione, Besso, aveva organizzato una ribellione dei satrapi per riconquistare la sua satrapia e per questo, una volta trovato da Tolomeo mentre era in fuga abbandonato dai suoi, fu giustiziato. Mentre Tolomeo consegnava Besso per il giudizio ai notabili persiani, l’esercito giunse in una cittadina abitata da una comunità di origine greca, forse discendenti dei branchidi, che nel 479 erano stati ricompensati da Serse per avergli consegnato il tempio di Didima. Nonostante la resa immediata, il villaggio fu sterminato e saccheggiato per ordine di Alessandro, proprio per lavare la colpa di aver consegnato a Serse il tempio di Didima. (Cfr. A. MONTESANTI, Ai confini del mondo: Bactriana e Sogdiana-Parte XII, in InStoria-Rivista on line di Storia e informazione, n. 16, Settembre 2006, http://www.instoria.it/home/alessandro_magno_XII.htm).

15 L. PRANDI, cit., pag. 106. 16Ivi, pag. 107.

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biografia del Macedone dichiarando esplicitamente che la fonte a cui ha attinto è quella di Callistene17. Come si legge in L. Pearson:

“He knew how to turn events in such a way that they flattered the vanity of Alexander, emphasizing his heroic ancestry, his emulation of heroic models, his courage and self confidence in danger. This indeed was rhetorical brilliance (…) but (…) it antagonized the Macedonian officers if they were given no credit for their work (…)”18.

Dunque la figura di Callistene è una figura complessa, che se da una parte si attira l’odio degli ufficiali macedoni per la sua enfasi retorica delle gesta del loro sovrano, dall’altra si attira l’odio dello stesso sovrano a causa della sua opposizione all’adozione di costumi barbari. Nella sua opera sul Macedone non si ha notizia degli eventi successivi alla battaglia di Gaugamela e “if he had continued his story, he would have been obliged to modify his picture of Alexander transforming him from a Hellenic hero (…) into an Oriental monarch”19.

Un’altro testimone diretto della spedizione in Asia è Tolomeo Lago (367 a. C ca.-323 a.C.), il cui nome deriva dal presunto padre, “a macedonian of ignoble birth”20. La madre Arsinoe era concubina di Filippo e per questo si credeva che il padre fosse in realtà lo stesso Filippo21. Si ha menzione di lui prima della morte di Filippo come uno della cerchia di confidenti del principe Alessandro e sia Plutarco22 che Arriano23 riportano l’episodio che lo vede mandato in esilio per aver preso parte all’intrigo finalizzato a far prendere in moglie ad Alessandro la

17 Cfr. L. PEARSON, cit., pagg. 34-35. 18 Ivi, pag. 48.

19 Ivi, pag. 49.

20 W. SMITH, cit., vol. III, pag. 580.

21 Cfr, Q. CURZIO RUFO, cit., pag. 1044: “quidam Philippo genitum esse credebant; certe paelice

eius ortum constabat”. Filippo II di Macedonia è nato nel 359 a. C., dunque è probabile, visto che diversi autori parlano di questa diceria, che Tolomeo Lago sia in realtà nato in un periodo successivo (Cfr. W. SMITH, cit., vol. III, pag. 580).

22 Cfr. PLUTARCO, cit., pagg. 50-53. 23 Cfr. ARRIANO, cit., pagg. 244.

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figlia maggiore di Pissodaro, re di Caria. Non appena Alessandro salì al trono nel 336 a. C., però, fu richiamato dall’esilio. Fu lui ad arrestare il satrapo Besso e a guidare una parte importante dell’esercito durante il soffocamento della rivolta di Sogdiana. Durante le varie spedizioni di Alessandro Tolomeo era al suo fianco alla guida di importanti sezioni dell’esercito e ricoprì la carica di guardia del corpo del sovrano. Tentò anche di fermare Alessandro mentre, in preda all’ubriachezza, si scagliò contro Clito uccidendolo poiché essendo anch’esso ubriaco, aveva manifestato con parole troppo sfrontate il suo dissenso al sacrificio ai Dioscuri anziché a Dioniso e aveva lodato le imprese di Filippo denigrando invece Alessandro24. Dopo la morte di Alessandro e la spartizione del suo impero tra coloro che erano stati i più fedeli e valorosi generali del Macedone, Tolomeo ottenne la provincia egiziana e mirò a consolidare la sua posizione all’interno di questa25, come si legge in W. Smith:

“He appears to have been the only one among the generals of Alexander who foresaw from the first that the empire of that conqueror must inevitably be broken up, and who wisely directed his endeavours to secure for himself the possession of an

24 Cfr. ARRIANO, cit., pagg. 347-349, Q. CURZIO RUFO, cit., pagg. 813-815 e PLUTARCO,

cit., pagg. 129-135. Le versioni dei fatti riportate dai tre autori non sempre coincidono. Come si legge in T. S. BROWN, Callisthenes and Alexander, in AA.VV., Alexander the Great- The main problems, Heffer, Cambridge 1966, pagg. 236-238: “Arrian tells us that Alexander neglected the feast day of Dionysus, sacrificing instead to the Dioscuri, and holding a celebration in their honor. (...) Then Clitus, who had been drinking heavily, made an angry speech praising Philip, and giving the lion’s share of the credit for Alexander’s deeds to the Macedonian soldiers. Alexander lost his temper, eventually running Clitus through with a spear. (…) There seems insufficient reason for Clitus’ outbreak and for the towering rage of Alexander. When we read on in Arrian we learn that Aristobulus gave no details at all, but merely says that Clitus was entirely to blame. Arrian is not following Aristobulus then. The motivation may have come from Ptolemy. (…) Turning to Curtius Rufus (…) the dialogue is extremely lively (…) Plutarch gives the feast of Dionysus due prominence, so that he cannot be following the unreliable tradition of the vulgate. But unlike Arrian his motivation for the quarrel is convincing psychologically. As the drinking progresses, a poem was recited ridiculing the generals for their recent defeat at the hands of the barbarian (…) Clitus continued his abusive language, whereupon Alexander threw an apple at him, and his friends led him away. When Clitus broke loose and returned to quote a barbed line from Euripides, the king killed him with a spear”.

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important and valuable portion, instead of wasting his strength in idle attempts to grasp the whole”26.

La corte egiziana di Tolomeo I fu frequentata da molti intellettuali e uomini di lettere dell’epoca e lui stesso fu autore di testi letterari andati perduti, tra cui il resoconto delle spedizioni di Alessandro di cui si ha testimonianza soprattutto attraverso Arriano, mentre Curzio Rufo lo cita una sola volta e Plutarco lo cita soltanto in opposizione ad altri storici27. Arriano, come si legge in W. Smith, “repeatedly praises Ptolemy for the fidelity of his narrative and the absence of all fables and exaggerations, and justly pays the greatest deference to his authority, on account of his personal acquaintance with the events which he relates”28. Tuttavia resta problematica la definizione delle caratteristiche dell’opera di Tolomeo perché il solo autore che lo cita frequentemente è appunto Arriano e, inoltre, a volte lo cita solo per fornire dei dettagli e non è chiaro se Tolomeo sia la fonte dell’intero episodio che sta narrando o meno. Per esempio, per quanto riguarda il resoconto della battaglia sul Danubio contro la tribù dei Triballi29, si legge in Arriano:

“tremila caddero nella fuga, mentre pochi furono presi vivi perché davanti al fiume c’era una fitta boscaglia e il calare della notte tolse ai Macedoni la possibilità di

26 W. SMITH, cit., pag. 584. 27 Cfr. L. PEARSON, cit., pag. 188.

28Ibidem. Cfr anche D. AMBAGLIO, Introduzione a ARRIANO, cit., pag. 27: “Arriano,

dichiarando sin da principio la sua totale dipendenza da Tolomeo e Aristobulo, rivela che i suoi sono libri costruiti su altri libri (quelli di Tolomeo e Aristobulo appunto, e non solo quelli), marcati da una forte impronta letteraria”.

29 I Triballi erano una popolazione tracia la cui patria originaria è stata fissata nella zona di

confluenza tra i fiumi Angro e Bongro, nell’attuale Moravia sud-occidentale. Il loro territorio comprendeva la regione dell’odierno Kosovo in Serbia. Nel 339 a. C., durante la campagna di Filippo II contro gli Sciti i Triballi lo ostacolarono sul monte Hemo minacciando di non farlo passare qualora non avessero ricevuto metà del bottino. Ne seguirono duri scontri, ma Filippo ne uscì vincitore (cfr. H. BENGSTON, cit., pag. 332). Si ribellarono anche contro Alessandro nel 334 ed esso li combatté alla foce del Danubio. I Triballi fecero poi atto di sottomissione.

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un puntiglioso inseguimento. Tolomeo dice che dei Macedoni perirono undici cavalieri e circa quaranta fanti”30.

Dunque, da quello che si può desumere, probabilmente Tolomeo descriveva la battaglia e la spedizione che Arriano ha poi rielaborato31.

Per quanto riguarda il periodo di composizione dell’opera e le intenzioni che Tolomeo aveva scrivendola, non sono pervenuti testi che commentino la cronaca di Tolomeo, ma, nonostante questo, si sono ricavati alcuni punti fermi riguardanti questi due aspetti. Come si legge in L. Pearson, infatti:

“despite this distressing lack of evidence it is generally agreed that he wrote towards the end of his long life perhaps even only a year or two before his death in 283 (…) It is also commonly assumed that he was trying to correct an existing story, to clear away the fog of romance and gossip which had accumulated round the figure of Alexander (…) Here again the attitude would be natural enough if he wrote before Aristobulus and after Cleitarchus; but we cannot use the one hypothesis as an argument in support of the other”32.

Di Tolomeo Arriano dice che è una fonte attendibile in quanto partecipe alla spedizione in Asia del Macedone, non ci informa sul suo stile narrativo in quanto ritiene che la sua testimonianza sia più autorevole rispetto alle altre. Infatti come scrive L. Pearson:

“since he never attempted to control all Alexander’s empire and had no need of literary propaganda to establish himself as Alexander’s legitimate heir, he had no personal interest in interpreting Alexander’s political ambition in one way or another”33.

30 ARRIANO, cit., pag. 51.

31 Cfr. L. PEARSON, cit., pag. 190. 32 Ivi, pag. 193.

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Inoltre, visto che Arriano cita Tolomeo come principale fonte quando deve riportare episodi militari, e visto che Tolomeo stesso è stato uno dei più fedeli generali del Macedone, si presume che la sua opera ponga l’accento soprattutto sulle battaglie e sulle spedizioni militari di Alessandro34.

Altro partecipante alla campagna d’Asia fu Aristobulo di Cassandrea35, che vi prese parte non come combattente ma probabilmente in qualità di tecnico36, perché “ricevette dal Macedone in persona l’incarico di ristrutturare la tomba di Ciro il Grande”37. Oltre ad Arriano38, il cui contributo è fondamentale per una ricostruzione ipotetica dell’opera di Aristobulo in quanto è una delle sue fonti principali, gli altri autori che lo citano sono Strabone, soprattutto per le descrizioni geografiche dell’India, e Plutarco.

Dalle citazioni dirette che si ritrovano in Arriano, si può desumere che Arsitobulo avesse una propensione alla descrizione minuziosa dei territori, arricchita con dati precisi sul corso dei fiumi, sul numero di abitanti e sulle costruzioni; unita ad una tendenza apologetica che si può riscontrare nell’elencazione dei meriti di Alessandro che Arriano attribuisce ad Aristobulo e che riporta nella sua Anabasi39. Tuttavia questa elencazione di caratteristiche

positive segue il ritratto che Senofonte fa di Ciro il Grande40, dunque anche se i

giudizi che Arriano riporta possono concordare con quelli di Aristobulo, non è detto che la citazione sia diretta, bensì la fonte è stata rielaborata usando lo stile di Senofonte41. Inoltre, Arriano non cita mai Aristobulo nella descrizione delle battaglie, probabilmente perché “his accounts of these battles were neither

34 Ivi, pag. 196.

35 Come si legge in L. PEARSON, cit., pag. 151: “The birthplace of Aristobulus is not recorded;

Plutarch and Athenaeus call him “a man from Cassandrea””.

36 Ivi, pag. 42.

37 Ibidem, cfr. anche L. PEARSON, cit., pag. 151.

38 Per i punti in cui Arriano cita esplicitamente Aristobulo Cfr. ARRIANO, cit., pagg. 154-155,

156-157, 184-185, 236-239, 256-257, 310-311, 318-319, 338-339, 348-349, 364-365, 366-367, 438-439, 454-455, 470-471, 530-531, 560-561, 576-577, 580-581, 582-583, 594-595, 622-623, 636-637, 640-641, 652-553, 656-657, 662-663,664-665.

39 Cfr. ARRIANO, cit., pagg. 664-665. 40Cfr. L. PEARSON, cit., pag. 185. 41 Cfr. Ivi, pag. 186.

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remarkable nor unhorthodox; they may indeed have been based on the account of Callisthenes”42. Ancora da Arriano si può desumere che a volte in Aristobulo mancano le informazioni per narrare un avvenimento completo e Arriano supplisce a questa mancanza attingendo a Tolomeo.

Nella sua Anabasi Arriano tace sullo stile di Aristobulo, sull’estensione della sua opera e sulla sua qualità letteraria, ma il fatto che Aristobulo non avesse mai riscosso interesse in un qualche circolo di retorica fa pensare che il suo stile fosse sobrio e privo di ornamenti retorici e che non avesse un gusto particolare per l’esagerazione, ad eccezione che nelle descrizioni di sintomi di malattie43. Il suo resoconto è inoltre fedele ed accurato per quel che riguarda la natura e i costumi dei luoghi, come suddetto, per il suo interesse di tecnico.

Per quanto riguarda i fatti straordinari o miracolosi, Aristobulo, sempre per ciò che possiamo desumere dalla lettura di Arriano, questi non vengono del tutto taciuti ma ridimensionati nel loro carattere sensazionale e la versione che offre è per questo meno eclatante44. Per esempio, per quanto riguarda l’episodio dell’incontro di Alessandro con la regina delle Amazzoni, questo non viene taciuto da Aristobulo e anche da Tolomeo, come si legge in Arriano:

“Dicono che là [nella piana di Nisa] Atropate, satrapo della Media, gli fece dono di cento donne, dicendo che si trattava di Amazzoni, dotate dell’equipaggiamento dei cavalieri maschi (...) Alessandro le allontanò dall’esercito, perché da parte dei Macedoni o dei barbari non si tramasse qualche violenza ai loro danni; ordinò però di annunciare alla loro regina che egli si sarebbe recato da lei per procreare un figlio. Questo tuttavia non l’hanno scritto né Aristobulo né Tolomeo né alcun altro che sia all’altezza di costruire una prova su argomenti del genere”45.

42 L. PEARSON, cit., pag. 162. 43 Cfr. Ivi, pag. 186.

44 Cfr. Ibidem.

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Ciò però non significa che Aristobulo negasse l’esistenza delle Amazzoni, ma, come si legge in L. Pearson: “he was free to leave the Amazons in their more familiar territory not far from Colchis”46. Dunque Aristobulo ridimensiona ciò che altri avevano riportato in quanto colloca le Amazzoni in un’area geografica diversa e per questo non inserisce l’incontro di Alessandro con la loro regina in quell’occasione. Oltre a questo ridimensionamento, anche nelle descrizioni dei luoghi Aristobulo non concede niente al fantastico e al gusto per l’esotico, ma, proprio per il suo stile sobrio e per i suoi interessi geografici, fornisce dettagli che servono a collocare nello spazio il luogo e a definirne le caratteristiche. Ad esempio, si legge in Arriano la descrizione del Caucaso:

“Il monte Caucaso, secondo Aristobulo, è alto come qualsiasi altro dell’Asia, ma per lo più spoglio (...) Il Caucaso infatti si estende assai in lunghezza, cosicché anche il monte Tauro, che segna il confine di Cilicia e Panfilia, dicono che sia una parte del Caucaso”47.

Un altro partecipante, probabilmente, alla spedizione in Asia, che però si distacca molto da Tolomeo e Aristobulo è Clitarco, originario di Alessandria e figlio dello storico Dinone. Per quanto riguarda la sua effettiva partecipazione alla campagna d’Asia, i frammenti che sono pervenuti non forniscono indicazioni precise, in quanto il padre Dinone era autore di una storia sugli imperi orientali intitolata Persikà e dunque la conoscenza del popolo persiano e delle vicende riguardanti l’Oriente non è una indicazione sufficiente per dire che effettivamente Clitarco abbia seguito il Macedone durante la sua spedizione48.

Del suo resoconto sulla campagna del Macedone G. Porta scrive:

“La sua opera, verosimilmente intitolata Storia di Alessandro-come minimo in 12 libri, pubblicati verso il 310 a. C.- accompagnava il Macedone dall’ascesa al trono

46 L. PEARSON, cit., pag. 165. 47 ARRIANO, cit., pag. 311. 48 Cfr. L. PEARSON, cit., pag. 216.

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fino (probabilmente) alla morte, e contribuì non poco a tramandarne un’immagine mitizzata”49.

Clitarco inaugura la cosiddetta tradizione della Vulgata, ovvero di quella tradizione che non si rifà ad Aristobulo e Tolomeo ma appunto a Clitarco stesso. Dunque la Vulgata si configura come una tradizione che, a differenza di quella che fa capo alle opere degli storici Tolomeo e Aristobulo, riporta degli elementi nella descrizione delle vicende del Macedone che sono del tutto dissonanti con la versione fornita da Arriano citando appunto Tolomeo e Aristobulo50. Vengono considerati facenti parte di questa tradizione, ovvero della Vulgata, Curzio Rufo e Diodoro Siculo.

Dell’opera di Clitarco sono pervenuti solo 36 frammenti51 ed è per questo impossibile un’analisi approfondita che consenta di verificare quanto sia effettivamente mitizzata la figura di Alessandro. Si può dedurre molto dal giudizio di Quintiliano, autore dell’opera Institutio Oratoria, un manuale di pedagogia e retorica per la formazione dei retori, lo include tra gli storici e il suo giudizio è che “si doveva apprezzare più per il talento (...) che non per la sua attendibilità storica”52. Nonostante questo è possibile riconoscere un apporto significativo dell’opera di Clitarco in Curzio Rufo e Diodoro Siculo53.

Di Clitarco sappiamo che era molto popolare a Roma all’epoca di Cicerone in quanto viene spesso citato non solo dallo stesso Cicerone ma anche da Plinio, Diodoro, Diogene Laerzio e Apollonio Rodio54. Egli era di Alessandria, anche se

forse non di origine, e per questo “he might think himself obliged to flatter the royal house in some degree”55.

49 G. PORTA, Introduzione a Q. CURZIO RUFO, cit., pag. 31.

50 Cfr. N.G. L. HAMMOND, Three historians of Alexander the Great-the so-called Vulgate

authors, Diodorus, Justin and Curtius, Cambridge University Press, Cambridge 1983, pagg. 1-3.

51 Per una sintesi degli episodi contenuti nei singoli frammenti cfr. L. PEARSON, cit., pagg.

215-216.

52 G. PORTA, cit., pag. 32. 53 Ivi, pagg. 32-33.

54 Cfr. L. PEARSON, cit., pag. 213. 55 Ivi, pag. 214.

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Per comprendere come Clitarco si differenziasse da Tolomeo e Aristobulo occorre ricordare che l’episodio delle Amazzoni, non riportato dagli altri due autori, si ritrova invece in Clitarco, come testimonia Plutarco nella sua Vita: “In Scizia andò a fargli visita la regina delle Amazzoni: così dicono molti storici, fra cui Clitarco”56. Come si legge inoltre in L. Pearson: “he also elaborated the theme of Alexander following the footsteps of Dionysus on the journey to India”57. Inoltre Clitarco fornisce descrizioni che concedono molto al meraviglioso e al fantastico per quanto riguarda la descrizione della flora e della fauna dell’India, di cui si ha testimonianza in Diodoro Siculo58.

Da questi cenni sui testimoni diretti delle spedizioni del Macedone possiamo intravedere alcune tendenze diverse nel riportare le loro testimonianze: se Tolomeo, ad esempio, viene lodato da Arriano per la sua schiettezza e la mancanza di esagerazioni ed alterazioni della realtà di cui è stato testimone, così come Aristobulo, mentre Clitarco concede uno spazio maggiore agli aspetti apologetici e mitizzanti e alle descrizioni fantastiche dei luoghi esotici dell’Asia. Queste due tendenze inscindibili faranno sì che le vicende del Macedone si prestino alla rielaborazione in chiave romanzesca e all’accentuazione dell’aspetto mitico e favoloso della figura di Alessandro, come vedremo succederà con lo Pseudo-Callistene e le varie traduzioni ed adattamenti di questo.

1.2. Le fonti storiche pervenute sulla vita del Macedone: Diodoro Siculo

Sulla vita di Diodoro Siculo, autore della Biblioteca Historica, si sa soltanto ciò che viene affermato da lui stesso all’interno della prefazione della sua opera, come leggiamo in F. Chamoux: “L’auteur indique là que, pour préparer n l’enterprise ambitieuse qu’il avait en projet, il voyagea beaucoup, visitant une

56 PLUTARCO, cit., pag. 121. 57 L. PEARSON, cit, pag. 215. 58 Cfr. Ivi, pag. 217.

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grande partie de l’Europe et de l’Asie, au prix de beaucoup de peine et de dangers”59, si legge infatti in Diodoro: “poiché le lezioni tratte dalla nostra esperienza personale ci rendono in grado, attraverso molti pericoli e molte pene, di discernere in tutte le cose ciò che è utile”60

Il testo in questione viene presentato dallo stesso autore come una storia universale e viene espressa anche la finalità dell’opera, ovvero offrire una testimonianza della storia antica che possa fungere da lezione per i contemporanei:

“E’ giusto che tutti gli uomini provino una viva gratitudine verso gli scrittori che hanno composto delle storie universali, poiché essi hanno consacrato tutte le loro attenzioni a servire, con i loro sforzi personali, gli interessi comuni della società. Le loro opere, che senza dubbio offrono un insegnamento di ciò che è utile, forniscono ai loro lettori la più preziosa delle esperienze”61.

Il periodo che l’autore ricopre con la sua opera è quello che va dalle origini del mondo alle campagne di Cesare in Bitinia e alla stesura di questa Diodoro Siculo avrebbe dedicato trent’anni, nel periodo che va dal 60 a.C. al 30 a.C.62.

Dalle varie fonti che parlano della sua opera, si desume che questa fosse costituita da quaranta libri, di cui fino a noi sono giunti soltanto i libri I-V, che trattano della mitologia, dell’antico Oriente e della Grecia al tempo della guerra di Troia; e i libri XI -XX, che trattano il periodo compreso tra il 480 e il 301 a. C63. Di questi il libro XVII è quasi del tutto dedicato ad Alessandro Magno, in quanto tratta degli anni dal 335 al 323 a. C., e lascia intravedere che la fonte principale a cui l’autore ha attinto per la stesura dell’opera è rappresentata da Clitarco per le

59 F. CHAMOUX, Introdution générale à D. DE SICILE, Bibliothèque Historique, trad. francese,

Le Belles Lettres, Paris 1993, pag. IX.

60 D. DE SICILE, cit., pag. 11, traduzione nostra. 61 Ibidem, traduzione nostra.

62 Cfr. F. CHAMOUX, cit., pag. VIII: “Il y a vint au monde vers 90 avant notre ère, date

approximative qu’on peut déduire de celle de son voyages d’études en Egypte, qui eut lieu dans les années 60-56”.

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forti analogie nel lessico e nella struttura della frase riscontrate confrontando il XVII libro della Bibliotheca Storica con i frammenti pervenuti dell’opera di Clitarco64, menzionato esplicitamente come fonte soltanto per quanto riguarda la descrizione di Babilonia, riportata non nel libro riguardante il Macedone ma nel libro II65. Nonostante questo nel XVII libro nessuna fonte è menzionata esplicitamente, contrariamente a quanto avviene negli altri libri che ci sono pervenuti66.

A proposito dell’opera di Diodoro Siculo W. Smith scrive:

“The work of Diodorus is constructed upon the plan of annals, and the events of each year are placed by the side of one another without any internal connection. In composing his Bibliotheca Diodorus made use (…) of all sources which were accessible to him (…) But Diodorus did nothing but collect that which he found in his different authorities: he thus jumbled together history, mythus and fiction”67.

Nel giudizio dato da Smith a proposito delle caratteristiche della Bibliotheca di Diodoro si può riscontrare ciò che Quintiliano aveva già contestato a Clitarco: il fatto di non curarsi delle fonti e della veridicità storica del proprio resoconto. In realtà il rapporto di Diodoro Siculo e della sua narrazione con la mitologia e con gli episodi fantastici è più complesso:

“Dans ce domaine, son comportament varie: tantôt il exerce sa critique sur tel ou tel le mythe et le considère formellement comme une fable, tantôt il en rend compte avec une précision attentive, en distinguant soigneusement les diverses versions, qu’il s’efforce de concilier parfois avec un rationalisme naïf.”68.

64 Cfr. Ibidem. Cfr. anche W. SMITH, cit., vol I, pag. 1016 e L. PEARSON, cit., pag. 217.

65 Cfr. C. BRADFORD WELLES, Introduction to C. BRADFORD WELLES, a cura di, Diodorus

of Sicily with an English translation of C. Bradford Welles in twelve volumes, William Heinemann Ltd, London 1963, vol. VIII, pag. 6.

66 Per un’elenco delle fonti menzionate esplicitamente da Diodoro negli altri libri si veda F.

CHAMOUX, cit., pag. XXIV.

67 Cfr. W. SMITH, cit., vol. I pag. 1017. 68 F. CHAMOUX, cit., pag. XIV.

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Accanto agli interessi mitologici di Diodoro, uno dei temi che fa da filo conduttore alla sua opera è quello dei ritratti dei grandi uomini. Oltre alla figura del Macedone, infatti, si ritrova quella di Filippo che viene trattata nel libro XVI, nel libro IV vengono nominati Ercole, Giasone, Teseo, Dedalo, nel libro XI Serse e Temistocle, nei libri XVIII e XIX invece viene dato spazio ai grandi diadochi quali Antigono e Tolomeo I69.

Per quanto riguarda più specificamente il libro XVII, di nostro interesse per la sua testimonianza sulla vita del Macedone, abbiamo già detto che le fonti non sono citate esplicitamente anche se ciò non significa, ovviamente, che non abbia per nulla attinto ad esse. Si legge a proposito nello studio introduttivo di C. Bradford Welles al libro XVII della Biblioteca:

“From Aristobulos and Callisthenes came a basic narrative, from Nearchus details of his own voyage and Indian experiences, and from Cleitarchus and Onesicritus various curiosities. Since all of these authors wrote systematic histories, it is clear that they all must have told much the same story, differing in detail. (…) Diodorus can best be supposed to have followed a single manuscript which contained all of this material. Little more can be asserted positively, in view of our lack of certainty as to Diodorus’s method of work in general”70.

Per quanto riguarda gli elementi che differenziano la narrazione di Diodoro da quella operata nelle opere degli altri storici a noi pervenuti, è possibile riscontrare degli episodi che non vengono trattati dagli altri autori ed altri che invece vengono trattati in maniera diversa71. Ad esempio, nel settimo capitolo viene riportata una descrizione del monte Ida e della campagna di Memnone nella Troade:

69 Cfr. Ivi, pag. L.

70 C. BRADFORD WELLES, cit., pag. 10. 71 Cfr. Ivi, pag. 14.

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“Dario (...) allestì un gran numero di navi da guerra e mise insieme numerosi e forti eserciti, scegliendo, al tempo stesso, i suoi generali migliori, tra i quali vi era Memnone di Rodi. (...) il re gli dette cinquemila mercenari e gli ordinò di marciare verso Cizico e di provare ad impossessarsene. Con queste forze, Memnone marciò verso il monte Ida (...) [il monte Ida] è la montagna più alta della regione dell’Ellesponto e nel mezzo di questa si trova una straordinaria caverna nella quale si dice che le dee furono giudicate da Alessandro”72.

Come si nota da questo breve passaggio, Diodoro inserisce un elemento che esula da quella che è la mitologia tradizionale: infatti le dee a cui Diodoro si riferisce sono Atena, Era e Afrodite e non sono qui giudicate da Paride bensì da Alessandro stesso.

Per quanto riguarda gli episodi presenti sia in Diodoro sia negli altri storici pervenuti, esempi significativi sono:

“His account of the siege of Thebes is longer than that of Arrian; the Thebans fight well, and Alexander’s victory is gained by a stratagem (chaps. 8-13) (…) At the Granicus Diodorus has Alexander cross the river unopposed in the morning, probably locating the battle downstream from Arrian (chap. 19)”73

Dunque la rielaborazione di Diodoro può essere considerata come una rielaborazione che fa uso in maniera del tutto personale di più fonti, a volte con delle incongruenze (come nel caso dell’episodio del monte Ida) e a volte trattando episodi tralasciati dagli altri storici che possono risultare paradossali o comunque inventati. Anche negli episodi che sono trattati negli altri storici vengono apportate modifiche che rendono peculiare il lavoro di Diodoro. Possiamo dunque dire che, proprio per queste caratteristiche, la sua opera contribuisce fornire quegli elementi favolistici e romanzati che vedremo confluire nel Romanzo di

Alessandro.

72 Ivi, pag. 135, traduzione nostra. 73 Ivi, pag. 16.

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1.3. Le fonti storiche pervenute sulla vita del Macedone: Arriano di Nicomedia

Arriano nacque a Nicomedia, capitale della Bitinia, tra l’85 e il 95 d. C..Studiò a Nicopoli alla scuola di filosofia dello stoico Epitteto, del quale raccolse le conversazioni e ne sintetizzò la dottrina in un manuale74. Non si conosce la data della morte di Arriano75.

Sotto gli imperatori Traiano e Adriano troviamo Arriano impegnato nella vita politica e militare al servizio di Roma. Per quanto riguarda gli esordi della sua carriera, questi “restano oscuri fino al conferimento del rango senatorio: è ben fondata l’ipotesi che Arriano si sia distinto come ufficiale alle campagne partiche di Traiano (114-117 d. C.)”76. Dopo aver ricoperto varie cariche all’interno dell’impero, Arriano si trasferì ad Atene, dove intensificò la sua produzione letteraria ed ottenne la cittadinanza. Pare che risalga al periodo di permanenza ad Atene la sua opera su Alessandro Magno: l’Anabasi di Alessandro, anche se la datazione rimane incerta in quanto “gli elementi biografici di Arriano restano vaghi, soprattutto perché alcuni punti fermi nella cronologia non sono utili per distinguere le fasi e le spinte diverse nella vicenda umana di Arriano”77.

Nel proemio dell’Anabasi Arriano dichiara esplicitamente le fonti a cui ha attinto e il motivo per cui le ha scelte:

“Quante cose scrissero allo stesso modo Tolomeo figlio di Lago e Aristobulo figlio di Aristobulo intorno ad Alessandro figlio di Filippo, queste io trascrivo come assolutamente vere (...) Tolomeo e Aristobulo parvero a me più credibili nel racconto, l’uno, Aristobulo, perché partecipò alla spedizione con il re Alessandro, Tolomeo poi, perché, oltre ad aver partecipato alla spedizione, per lui che pure era re sarebbe stato

74 Cfr. D. AMBAGLIO, Introduzione a ARRIANO, cit., pag. 6. 75 Cfr. Ivi, pag. 8.

76 Ivi, pag. 6.

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più vergognoso che per chiunque altro mentire; entrambi infine perché scrissero dopo la morte di Alessandro, quando per loro era remota sia la costrizione sia la ricompensa nello scrivere qualcosa diversamente da come era accaduto”78.

Come si legge nella monografia scritta da A. Stadter, “the preface (...) is built on three topoi: the subject, the method, and the justification of the work”79. Come si nota dal passaggio sopra citato dell’Anabasi, gli storici a cui Arriano dichiara di attingere sono Aristobulo e Tolomeo, in quanto li ritiene i più attendibili. Oltre a queste fonti precise, Arriano riporta anche ciò che era stato detto da altri scrittori che non nomina, si limita invece a definire λεγόμενα (ciò che si diceva) questi fatti, di cui dice: “mi parvero memorabili e non del tutto incredibili”80.

Il passaggio citato è fondamentale per comprendere l’accuratezza del lavoro fatto dallo storico selezionando le fonti e avvertendo il lettore qualora non si sia potuta verificare appieno la veridicità dell’avvenimento riportato. In vari passaggi dell’opera, inoltre, Arriano confronta il discorso di Aristobulo con quello di Tolomeo e con quello degli “altri storici” qualora si trovi di fronte a versioni discordanti dei fatti. Per esempio, per quanto riguarda l’episodio del nodo di Gordio possiamo leggere:

“il nodo era di corteccia di corniolo e non se ne vedeva né la fine né l’inizio. Alessandro, poiché era in difficoltà nel trovare il modo di scioglierlo e d’altra parte non voleva lasciarlo legato, perché anche questo non producesse qualche disordine nella massa, con un colpo di spada, secondo alcuni, lo tagliò e disse che era sciolto; Aristobulo invece afferma che dopo aver estratto la caviglia del timone, cioè il chiodo che teneva il nodo e che era fatto passare nel timone da parte a parte, staccò il giogo dal timone. Su come siano andate le cose ad Alessandro riguardo a questo nodo non

78 ARRIANO, cit., pag. 43.

79 P. A. STADTER, Arrian of Nicomedia, The University of North Carolina Press, Chaper Hill

1980, pag. 61.

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posso avanzare certezze; ma certo con i suoi si allontanò dal carro come se la profezia sullo scioglimento del nodo si fosse compiuta”81 [sottolineature mie].

Per quanto riguarda il motivo per cui Arriano si accinge a scrivere la sua

Anabasi, nel primo libro dell’opera si legge:

“le sue gesta non furono degnamente celebrate tra gli uomini, né alcuno le raccontò dunque in prosa o in versi (...) non c’è un solo altro uomo che fra i greci o fra i barbari abbia mostrato tali e tante imprese per numero o grandezza. Da questa constatazione dico di essere partito per comporre quest’opera, avendo stimato me stesso all’altezza di illustrare agli uomini le gesta di Alessandro”82.

Al di là dell’intento esplicitamente dichiarato dall’autore, ovvero quello di tramandare le gesta del Macedone in quanto non degnamente celebrate, occorre considerare questo intento all’interno del contesto storico in cui Arriano scrive e la sua posizione sociale per comprendere a fondo quali fossero i destinatari dell’opera e perché l’autore si accingesse a riprendere la narrazione di fatti avvenuti cinque secoli addietro. Come si legge in D. Ambaglio: “la prima motivazione fornita dallo storico è quanto meno pretestuosa nella sua formulazione esagerata e la seconda è un topos frequentissimo nella letteratura e specialmente nella storiografia”83. Infatti la sua Anabasi era stata preceduta dalla

Biblioteca di Diodoro Siculo e Plutarco, suo contemporaneo, aveva dedicato una biografia al Macedone, così come poco tempo prima aveva fatto Curzio Rufo.

Dunque Arriano, citando Achille e Omero84, si inserisce tra coloro che avevano celebrato le grandi imprese della storia e sottolinea il fatto che gli altri storici che lo avevano preceduto non avevano trattato adeguatamente della vita e

81 Ivi, pag. 153-155. 82 ARRIANO, cit., pag. 87. 83 D. AMBAGLIO, cit., pag. 11.

84 Cfr. ARRIANO, cit., pag. 85: “Alessandro, come vuole un racconto, si felicitò con Achille che

gli fosse toccato in sorte Omero quale araldo per la memoria dei posteri. Soprattutto per questo Achille era da ritenere fortunato secondo Alessandro”.

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delle imprese del Macedone e che dunque la sua opera sarà migliore delle altre perché celebrerà degnamente Alessandro rendendolo più famoso85. Il resoconto storico di Arriano infatti, contrariamente a quello di Erodoto86, non vuole essere “the study of a war, or of a movement of peoples, but of a man”87. Il fatto che l’accento sia posto sull’individualità del Macedone e non sulle imprese di un popolo, di una collettività, rende l’opera di fondamentale importanza per la ricostruzione del ritratto di Alessandro Magno, le cui gesta eroiche forniscono il pretesto per delinearne la personalità.

Nell’epilogo dell’opera si ritrova infatti la già citata elencazione dei meriti del Macedone che Arriano attribuisce ad Aristobulo e che egli riprende nell’epilogo della sua opera come una sorta di elogio funebre del sovrano88:

“Alessandro (...) visse trentadue anni e otto mesi, come dice Aristobulo; regnò dodici anni e questi otto mesi; fu fisicamente molto bello, assai amante della fatica, intelligente, coraggioso, ambizioso, sprezzante del pericolo e rispettoso della divinità; fu molto padrone di sé nei piaceri del corpo, ma insaziabile in quelli dello spirito e della fama che comportano; fu abilissimo nel vedere quanto occorreva fare in una situazione ancora oscura, ben fortunato nel congetturare il verosimile sulla base delle apparenze ed espertissimo a schierare, armare ed equipaggiare un esercito; quanto poi a sollevare il morale delle truppe, a riempirle di buone speranze e a neutralizzare la paura nei pericoli con il suo ardimento, in tutto ciò fu eccellente. (...) Se Alessandro ha commesso qualche errore per troppo ardore i in preda all’ira o se si è lasciato trascinare per arroganza ad imitare i barbari, per parte mia non darei molto peso a

85 Cfr. P. A. STADTER, cit., pag. 62-63.

86 Leggendo il proemio di Erodoto alle sue Storie, si comprende appieno il distacco di Arriano:

“Questa è l’esposizione delle ricerche di Erodoto di Alicarnasso, perché gli eventi umani non svaniscano con il tempo e le imprese grandi e meravigliose, compiute sia dai Greci che dai barbari, non restino senza fama, in particolare perché essi si fecero la guerra” [ERODOTO, Storie, Mondadori, Milano 2003, pag. 29] Come si legge in questa introduzione, infatti, l’accento di Erodoto è posto sulle grandi gesta dei popoli, mentre Arriano, come viene detto subito dopo, si focalizza su un grande uomo, Alessandro Magno.

87 P. A. STADTER, cit., pag. 63.

88 Cfr. Ivi, pag. 88: “In this final evaluation Arrian lists the conqueror’s good qualities and

accomplishments and sets them off against his weaknesses, finally justifing both Alexander and his own presentation of Alexander’s deeds”.

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questo, se si considera con equilibrio la giovane età di Alessandro, la serie ininterrotta dei suoi successi e la gente che sta accanto ai re per favorire il loro piacere (...) so però che al solo Alessandro, almeno tra gli antichi re, capitò per la sua nobiltà d’animo di pentirsi degli errori commessi”89

Come si legge nello studio di P. A. Stadter:

“First and foremost in Arrian’s eyes Alexander was the personification of the ideal general, able to handle any military situation. (…) These words, coming at the end of the Anabasis, reflect the image of Alexander which Arrian has built up in the course of his narrative”90.

Infatti nel corso della narrazione viene dato ampio spazio alla tattica militare, alla strategia con cui Alessandro dispone le sue truppe che serve a mettere in luce la superiorità del sovrano sugli avversari e la sua abilità personale alla guida dell’esercito. Un esempio è costituito dal dialogo di Alessandro con Parmenione prima della battaglia del Granico:

“Mi pare opportuno o re, nella presente circostanza porre il campo sulla riva del fiume, come ci troviamo. (...) sarà possibile all’alba varcare facilmente il fiume con l’esercito (...) li anticiperemo prima che quelli si siano schierati in ordine. Mi pare invece che adesso non senza pericolo affronteremo l’impresa, poiché non è possibile condurre l’esercito in linea attraverso il fiume. Si vedono infatti molti gorghi e, quanto alle rive, puoi notare che sono molto alte e ripide (...) Alessandro rispose: “So bene, o Parmenione, queste cose; tuttavia mi vergognerei se, dopo aver varcato agevolmente l’Ellesponto, questo, un piccolo fiume (...) ci impedirà di passare così come siamo (...) ritengo che i Persiani riprenderebbero coraggio nella convinzione di essere all’altezza dei Macedoni in combattimento, poiché sinora non hanno subìto nulla che suscitasse la loro paura”91.

89 ARRIANO, cit., pag. 666-667. 90 P. A. STADTER, cit., pagg. 89-90. 91 ARRIANO, cit., pagg. 91 e 93.

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Considerati tutti questi aspetti dell’opera di Arriano, è possibile concludere che l’Anabasi sia un’opera molto accurata dal punto di vista dell’analisi delle fonti e del confronto di esse, caratterizzata dall’attenzione alla dimensione umana delle imprese di Alessandro che non indulge all’esagerazione e agli elementi romanzeschi. Le descrizioni delle battaglie, la strategia militare e il rapporto di Alessandro con il suo esercito sono forniti attraverso il punto di vista di uno stratega militare e sono minuziose al fine di mostrare tutta l’abilità del sovrano e, come detto sopra, mostrare la sua intelligenza e le sue capacità nettamente umane, prive di qualsiasi trascendenza divina o dell’operato di una divinità.

1.4. Le fonti storiche pervenute sulla vita del Macedone: Quinto Curzio Rufo

Per quanto riguarda l’identità di Curzio Rufo negli scrittori antichi non si trova una chiara menzione di uno storico con tale nome. Nell’opera sulla vita di retori illustri di Svetonio, intitolata De Claris Rhetoribus e di cui ci sono pervenute solo cinque delle sedici biografie previste, si legge il nome di un Q. Curzio Rufo, che generalmente sembra coincidere con l’autore della biografia del Macedone92. Inoltre sono importanti le testimonianze di Plinio il Giovane e di Tacito, che parlano entrambi di un Curzio Rufo. Nel caso di Plinio il Giovane, nelle sue

Epistole egli riporta l’aneddoto di un comes chiamato appunto Curzio Rufo che

“mentre si trovava in Africa settentrionale, funzionario-comes del governatore di quella provincia, durante una passeggiata serale gli apparve una figura femminile, di maggior imponenza e bellezza rispetto a donna mortale. Presentatasi come l’Africa,

92 Cfr. W. SMITH, cit., vol. I, pag. 906 e SVETONIO, De Claris Rhetoribus, par. 15, consultabile

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disse di volergli predire il futuro: pronosticò che, rientrato a Roma, Curzio avrebbe intrapreso il cursus honorum e, ricoperte le più importanti cariche, dopo parecchi anni sarebbe ritornato come governatore proprio nella medesima provincia d’Africa”93.

Tacito invece, nei suoi Annales accenna “a un Curzio Rufo decorato delle insegne trionfali (...) dedica poi l’intero (...) cap. 21 all’alto ufficiale che potrebbe anche identificarsi col nostro storico (...) Segue poi l’episodio dell’apparizione-presagio attestato anche da Plinio il Giovane”94.

Per questo motivo sorgono problemi di datazione dell’opera e di collocazione dell’autore che gli studiosi hanno tentato di risolvere cercando all’interno dei dieci libri che sono pervenuti dei riferimenti a situazioni storiche che potessero essere utili a ricostruire il terminus ante quem e il terminus post quem della composizione dell’opera. Per esempio, per quanto riguarda il terminus post quem, nel libro conclusivo, al capitolo nono, Curzio Rufo scrive:

“Sed iam fatis admovebantur Macedonum genti bella civilia; nam et insociabile est regnum et a pluribus expetebatur. Primum ergo conlisere vires, deinde disperserunt; et cum pluribus corpus, quam capiebat, <capitibus> onerassen, cetera membra deficere coeperunt, quodque imperium sub uno stare potuisset, dum a pluribus sustinetur, ruit. (...) Absit modo invidia, excipiet huius saeculi tempora eiusdem domus utinam perpetua, certe diuturna posteritas”95.

L’ultimo libro dell’opera è dedicato, nella sua seconda parte, agli avvenimenti successivi alla morte del Macedone e alle lotte per la successione e per la spartizione dell’impero. Il fatto che in apertura del libro l’autore inserisca una sua considerazione sul fatto che un regno non potesse essere spartito tra molti e il fatto che successivamente, dopo aver narrato le lotte che imperversavano tra i Macedoni, inserisca una considerazione sulla sua epoca augurandosi che la casata

93 G. PORTA, cit., pag. 16. 94 Ivi, pag. 16.

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faccia sì che questo periodo evidentemente di pace duri per sempre, hanno fatto pensare che la sua opera fosse scritta “when the principate was well established and had survived the transition to a new emperor, thus Curtius must have written, or at least completed his work no earlier than Tiberius’ accession in A. D. 14”96.

Per quanto riguarda l’ipotesi su quale imperatore fosse regnante all’epoca in cui Curzio scrive le sue Historiae, si legge in J. E. Atkinson:

“the idea of the indivisibile monarchy was a commonplace and thus could have been repeated in several reigns, yet it would not have been appropriate at the times when the emperor of the day took a co-regent. Thus in the case of Claudius, the period from A. D. 50 would be inappropriate, for apparently after the adoption of Nero in A. D. 50, Claudius styled his wife, Agrippina Augusta (…) In the case of Vespasian the period of sole rule was even shorter: as early as February 71 Titus was spoken of as partner in the principate (…) Thus it seems that Curtius would have written “insociabile est regnum” in the period 41-50, if he wrote in Claudius’reign, and earlier or not much later than February 71, if he wrote in Vespasian’s reign”97.

Invece, per stabilire il terminus ante quem, sono utili i passi in cui Curzio Rufo parla dei territori che sono in mano al popolo dei Parti, inserendo dei riferimenti all’epoca in cui scrive. Per esempio, nel quarto libro, quando viene descritta la disposizione dell’esercito persiano, si legge: “Parthyaeorum deinde gens incolentium terras, quas nunc Parthi Scythia profecti tenent, claudebant agmen”98; nel quinto libro invece si legge: “Ille [Darius] iam Ecbatana pervenerat.

Caput Mediae urbs haec: nunc tenent Parthi, eaque aestiva agentibus sedes est”99

ed ancora nel sesto libro, parlando degli spostamenti dell’esercito persiano si dice che: “Hinc in Parthienen perventum est, tunc ignobilem gentem, nunc caput

96 J. E. ATKINSON, A commentary on Q. Curtius Rufus’ Historiae Alexandri Magni-Books 3 and

4, J. C. Gieben, Amsterdam 1980, pag. 19.

97 Ivi, pagg. 26-27.

98 Q. CURZIO RUFO, cit., pag. 368. 99 Ivi, pagg. 500 e 502.

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omnium, qui post Euphraten et Tigrim amnes siti Rubro mari terminatur”100. Queste indicazioni geografiche sugli abitanti di queste aree descrivono una situazione storica precedente al 224, poiché Curzio in diversi punti di riferisce ai Parti come al popolo più potente d’Oriente, per questo si pensa che egli scrivesse prima della sconfitta, da parte dei Sasanidi guidati da Ardashir I, del re dei Parti, stabilendo in tal modo una nuova dinastia di regnanti, l’ultima autoctona prima della conquista araba del 651101. Infatti Curzio menziona come residenza estiva della casata regnante dei Parti la città di Ecbatana, ignaro del fatto che sotto i Sasanidi la città di Ecbatana non è più menzionata nelle fonti, mentre Ctisifone fu ricostruita e rimase come residenza invernale102. Dunque, considerati questi esempi all’interno del testo, il periodo di composizione dell’opera che è stato stabilito sicuramente non è antecedente al 14 a.C. e non è successivo al 224; in particolare l’imperatore che sembra essere il più probabile dedicatario del panegirico sopra riportato, per le testimonianze di Tacito e di Plinio il Giovane e anche per quella di Svetonio, è Claudio, al potere dal 41 al 54103.

Poiché la prefazione alle Historiae Alexandri Magni Macedonis non ci è pervenuta, così come i primi due libri dell’opera, non è possibile stabilire il motivo per cui l’autore abbia scelto quel determinato genere e quella determinata materia104, né si ritrova, a differenza di Arriano, una dichiarazione esplicita delle

fonti a cui Curzio ha attinto. Nonostante questo dalla lettura dell’opera si riscontra una forte impronta politica documentata dalla “costante attenzione alle variegate dinamiche del rapporto fra Alessandro e i suoi uomini”105. Un esempio è il resoconto dell’assemblea degli amici in seguito alla sventata congiura di Filota riportato nel libro VI al capitolo 8, che rappresenta anche una significativa testimonianza dell’atteggiamento del Macedone nei confronti dell’imputato Filota e della macchinazione effettuata da Cratero per eliminare l’avversario:

100 Ivi, pag. 554.

101 Cfr. J. E. ATKINSON, cit., pag. 20. 102 Cfr. Ivi, pag. 23.

103 G. PORTA, cit., pag. 21.

104Cfr. J. E. ATKINSON, cit., pag. 23 e G. PORTA, cit., pag. 12. 105 G. PORTA, cit., pag. 23.

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“Advocato tum consilio amicorum, cui tamen Philotas adhibitus non est, Nicomachum introduci iubet. Is eadem, quae detulerat ad regem, ordine exposuit. Erat Craterus regi carus in paucis et eo Philotae ob aemulationem dignitatis adversus, neque ignorabat saepe Alexandri auribus nimia iactatione virtutis atque operae gravem fuisse et ob ea non quidem sceleris, sed contumaciae tamen esse suspectum. Non aliam premendi inimici occasionem aptiorem futuram ratus odio suo pietatis praeferens speciem”106.

Oltre alle descrizioni delle dinamiche politiche e del rapporto tra il Macedone e i suoi consiglieri, nell’opera viene data ampia rilevanza ai rapporti tra la Macedonia e i territori dell’Asia e tra i Macedoni le popolazioni che abitavano questi territori, oltre che alla loro geografia. Un esempio è l’elencazione dei popoli che confluivano nell’immenso esercito persiano guidato da Dario, riportata nel libro IV al capitolo nono: “Bactriani Scythaeque et Indi convenerant; iam et ceterarum gentium copiae partibus simul adfuerunt”107. Nonostante questa attenzione,

“Curzio mostra i propri limiti topografici: valgano, per tutti, le descrizioni assai approssimative dei siti di Persepoli e Babilonia (si vedano rispettivamente, V, 1, 24-35 e IV, 5, 8), mentre incappa in “sviste” geografiche piuttosto gravi: è il caso di III, 1, 13 dove (...) sbaglia la collocazione di Gordio”108.

Per quanto riguarda le fonti che sono confluite nelle Historiae di Curzio, egli ne nomina tre esplicitamente: Clitarco, Tolomeo e Timagene di Alessandria. Quest’ultimo non era contemporaneo del Macedone bensì visse nel I secolo d.C.. Aveva frequentato la corte di Augusto, ma ne venne allontanato perché aveva

106 Q. CURZIO RUFO, cit., pag. 616. 107 Ivi, pag. 332.

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ecceduto nella libertà di linguaggio trattando dell’imperatore e della sua famiglia. Come si legge a proposito in G. Porta:

“Dopo la caduta della sua città natale in mano romana, nel 55 venne portato a Roma schiavo di Fausto Silla, il quale poi lo affrancò permettendogli così di tener scuola di retorica. Nella capitale scrisse, fra l’altro, una poderosa opera Sui re (...) che, dalle origini, giungeva per lo meno all’età cesariana, e un particolare approfondimento era dedicato alla figura di Alessandro”109.

Oltre alle fonti che vengono citate esplicitamente occorre però ricordare che “in Rufo affiora di continuo la molteplicità della tradizione concernente il Macedone”110, e che dunque si ritrovano punti di contatto anche con gli altri storici contemporanei al Macedone di cui si è trattato nel paragrafo precedente e le cui opere sono andate perdute.

L’immagine che viene data di Alessandro in quest’opera si può dedurre oltre che dalla narrazione delle sue imprese nel corso di tutto il testo, soprattutto dalle considerazioni che Curzio Rufo fa sulla figura del sovrano dopo la sua morte. Queste considerazioni non solo forniscono un semplice elogio del sovrano, ma servono anche come punto di partenza per la trattazione della situazione della Macedonia dopo la scomparsa di Alessandro e per il panegirico di cui abbiamo trattato precedentemente, in quanto si loda una situazione politica stabile in contrasto con quella della Macedonia dopo Alessandro :

“Et, hercule, iuste aestimantibus regem liquet bona naturae eius fuisse, vitia vel fortunae vel aetatis. Vis incredibilis animi, laboris patientia propemodum nimia, fortitudo non inter reges modo excellens, sed inter illos quoque, quorum haec sola virtus fuit, liberalitas saepe maiora tribuentis, quam a dis petuntur, clementia in devictos- tot regna aut reddita, quibus ea ademerat bello, aut dono data-, mortis cuius metus ceteros examinat, perpetua contemptio, gloriae laudisque ut iusto maior cupido,

109 G. PORTA, cit., pagg. 35-36. 110 Ivi, pag. 41.

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ita ut iuveni et in tantis sane remittenda rebus; iam pietas erga parentes , quorum Olympiada immortalitati consecrare decreverat, Philippum ultus erat, iam in omnes fere amicos benignitas, erga milites benevolentia, consilium par magnitudini animi et, quantam vix poterataetas eius capere, sollertia, modus immodicarum cupiditatum, veneris intra naturale desiderium usus nec ulla nisi ex permisso voluptas- ingenii profecto dotes erant. Illa fortunae: dis aequare se et caelestes honores accersere et talia suadentibus oraculis credere et dedignantibus et venerari ipsum vehementius quam par irasci, in externum habitum mutare corporis cultum, imitari devictarum gentium mores, quos ante victoriam spreverat. Nam iracundiam et cupidinem vini sicuti iuventa inritaverat, ita senectus mitigare potuisset”111.

Gli aspetti negativi della personalità del Macedone che nel corso dell’opera venivano riportati (ad esempio l’episodio della distruzione di Persepoli dopo aver troppo ecceduto nel bere riportato nel libro V, capitolo 7) vengono ridimensionati e visti come eccessi di gioventù che probabilmente la vecchiaia avrebbe potuto mitigare. Inoltre le qualità positive vengono attribuite alla sua natura, mentre quelle negative alla sorte e all’età. I toni sono dunque elogiativi anche se le caratteristiche negative del sovrano non vengono del tutto taciute, ma in un certo senso giustificate, e si possono riscontrare forti analogie con il passo di Arriano citato nel paragrafo precedente, che per questo confermano l’idea di una confluenza nell’opera di Curzio Rufo di tutta la tradizione riguardante il Macedone.

1.5. Le fonti storiche pervenute sulla vita del Macedone: Plutarco

Plutarco nacque a Cheronea, in Beozia, e le sue opere sono la fonte principale per apprendere notizie sulla sua vita in quanto non esiste una sua biografia antica, fatta eccezione per un breve articolo della Suda (o Suida), un lessico

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enciclopedico risalente al X secolo112. Non è possibile stabilire con esattezza l’anno di nascita di Plutarco, si è a conoscenza del solo fatto che:

“al tempo del soggiorno dell’imperatore Nerone in Grecia (...) cioè nel 66-67, Plutarco era allievo di Ammonio e si occupava con appassionato fervore di matematica, mentre sicuramente non molto tempo dopo rinunciò , quale discepolo dell’Accademia, a un’eccessiva specializzazione”113.

Da questo si può desumere che Plutarco avesse all’incirca vent’anni e che dunque fosse nato attorno al 50. Per quanto riguarda l’anno della morte, dalla testimonianza di Eusebio contenuta nel suo Chronicon, questo è stato fissato nel periodo “poco dopo il 120”114.

Prima della sua formazione filosofica all’Accademia di Ammonio, Plutarco aveva ricevuto anche un’istruzione retorica, poiché la retorica era parte integrante della formazione spirituale e culturale degli individui115.

Questo tipo di formazione si rifletterà poi nella sua produzione letteraria. Di questa si ha notizia attraverso il Catalogo di Lampria, attribuito per lungo tempo al figlio dello scrittore a causa di una lettera introduttiva dell’autore del catalogo in cui veniva espresso il desiderio di diffondere la conoscenza delle opere del padre. In particolare K. Ziegler ha dimostrato, attraverso l’analisi del manoscritto più antico che contiene il catalogo e non la lettera, il Parisinus Gr. 1678, del secolo XII, che la lettera è in realtà “è un falso del XIII o XIV secolo, e fu redatta tenendo presente l’articolo della Suida”116. Il Catalogo di Lampria cita in tutto 227 opere, ma ne sono pervenute soltanto 83 fino ai giorni nostri117.

Le opere di Plutarco che ci sono pervenute coprono gli ambiti più disparati; quelle che trattano temi di carattere filosofico, etico o politico sono state

112 Cfr. K. ZIEGLER, Plutarco, trad. It., Paideia, Brescia 1965, pagg. 11-13. 113 Ivi, pag. 11.

114 Ivi, pag. 13.

115 Cfr. Ivi, pagg. 26-27. 116 Ivi, pag. 80.

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