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1 CAPITOLO SECONDO LE RADICI STORICHE DELLA MEDIAZIONE FAMILIARE 2.1 Nel mondo e in Europa: le esperienze più importanti

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CAPITOLO SECONDO

LE RADICI STORICHE DELLA MEDIAZIONE FAMILIARE

2.1 Nel mondo e in Europa: le esperienze più importanti1

Come base teorica nello sviluppo della mediazione familiare è interessante l’esperienza della Los Angeles County Conciliation Court che iniziò ad operare fin dal 1939 come un dipartimento della Corte Suprema di Los Angeles. Tra i suoi scopi vi erano quelli di “proteggere i diritti dei figli, promuovere il bene comune tramite la prevenzione, la promozione e la protezione della vita familiare e dell’istituzione matrimoniale, provvedere ai mezzi atti alla riconciliazione dei coniugi e agli accordi amichevoli delle controversie familiari” (codice della California, sezione 1730).

Negli Stati Uniti l’importanza della mediazione familiare è riconosciuta da lungo tempo. Pur non essendoci una disciplina nazionale sulla mediazione, anche a causa della natura federale del paese, quasi ogni Stato richiede che le parti in conflitto svolgano percorsi di mediazione ove vi siano minori coinvolti. Nel tentativo di dare una disciplina uniforme all’istituto della mediazione, 12 Stati hanno adottato un comune Uniform Mediation Act2. In Australia la mediazione familiare si è andata sviluppando dal 1963 con il Marriage Regulations Act. A partire dal 1975 con l’introduzione del Family Law Act, i magistrati delle Family Court sono obbligati a informare le parti della possibilità di rivolgersi a un centro di mediazione familiare prima di proseguire nell’iter giudiziario. Nel 1984 sono stati emanati i requisiti del mediatore (formazione, qualifica, esperienza) per poter esser accreditato quale “court mediator”3.

Per quanto riguarda i paesi latino-americani, un’esperienza interessante è quella dell’Argentina, dove la mediazione familiare viene applicata da oltre quindici anni. Nel 1992 è stato istituzionalizzato il piano nazionale della Mediazione, nel quale veniva definita l’applicazione sia ai conflitti giudiziali che extragiudiziali. La legge nazionale sulla mediazione fu applicata dai tribunali civili della capitale federale di Buenos Aires nel 1996, dando così la facoltà ai tribunali federali di regolamentare la materia secondo le

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I dati riportati in questa sezione sono tratti da Famiglia e minori, Guida al Diritto de il Sole 24 Ore, aprile 2008.

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Cfr: www.mondoadr.it/articoli/uniform_mediation_

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Il sistema nazionale di accreditamento della mediazione sta realizzando un progetto, che avrà termine nel 2009, dove verranno definiti i requisiti di accreditamento nazionale per il ruolo di mediatore e la definizione di standard per gli interventi.

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esigenze locali. La legge 8858 del 2000 istituisce il Centro giudiziario di mediazione e attraverso il programma ProMarc del Ministero di Giustizia, creando così un centro di mediazione extra-giudiziale per gli ambiti familiare, penale, civico, commerciale, nonché un programma di formazione continua per i mediatori. Per dare un’immagine della diffusione dello strumento in Argentina, basti pensare che nella sola provincia di Cordoba nel 2006 sono state attivate 6.000 mediazioni.

In Europa4 la mediazione familiare inizia a diffondersi negli anni Ottanta. Il primo Paese europeo in cui si è sviluppata è stato l'Inghilterra (e Galles)5 in cui si fa risalire la nascita di questa tecnica già a metà degli anni '70, quasi contemporaneamente agli U.S.A. In un autorevole rapporto commissionato dal Governo inglese nel 1974, il Rapporto Finer sulle famiglie monogenitoriali, viene definito lo scopo della “conciliation” e la differenza con la “reconciliation” (la conciliazione aveva infatti lo stesso significato della mediazione), esso suggerì che la conciliazione avrebbe dovuto costruire la modalità preferita per aiutare le coppie in via di separazione a trovare soluzioni ai problemi derivanti dalla separazione o dal divorzio, ricorrendo il meno possibile alle vie legali. Il Rapporto Finer incoraggiò l’iniziativa di un piccolo gruppo di professionisti della città di Bristol (avvocati specializzati in diritto di famiglia, operatori sociali e un docente universitario) che nel 1978 fondarono il primo servizio di mediazione familiare del Regno Unito. Tale servizio fu attivato con lo scopo di aiutare i genitori in procinto di separarsi o di divorziare a raggiungere un accordo sull’affidamento dei figli e sui diritti di visita dei figli. Sulla scia di quest’esperienza, durante gli anni ’80, sempre in Inghilterra, cominciarono a diffondersi servizi simili indipendenti di mediazione familiare, sostenuti per lo più da donazioni benefiche. Nel 1983, i membri dei primi servizi di mediazione familiare del Regno Unito iniziarono a formare un’associazione finalizzata a definire le norme per la formazione e l’esercizio della pratica: è stato quindi formulato il primo Code of Practice for Family Mediation. Risale al 1988 la fondazione dell’Associazione dei Mediatori Familiari: la Family Mediatore Association. Nel 1996, dopo un ventennio di pratica, sia per far fronte all'elevato numero di divorzi (oltre 50.000 ogni anno), viene emanata una nuova legge sul divorzio, il Family Law Act (FLA). Questa legge si colloca al termine di un percorso legislativo cominciato nel 1969 con il Divorce Reform Act, che mira a cambiare la procedura di divorzio, e consolidatosi nel 1989 col Children Act, per la tutela dei minori, in cui si parla di parental responsability, responsabilità genitoriale e non di potestà

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A questo proposito, cfr: PARKINSON 1995, MARZOTTO 1994.

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genitoriale e di parenting plan, progetto genitoriale. Sia nel Family Law Act del 1996 che nell’Access to Justice Act del 1999 si prevede il ricorso alla mediazione ogni volta in cui si chieda una revisione degli accordi in una separazione non consensuale.

In Francia6 negli anni Ottanta, basandosi sull’esperienza canadese, Annie Babu ha fondato l’Association puor la Promotion de la Mèdiation Familiale (Apmf), con l’obbiettivo di promuovere la mediazione familiare nei paesi francofoni.

Nel 1992, grazie all’attività portata avanti dall’Apmf, è stata redatta la Charte européene de la formation des médiateurs familiaux exercant dans les situation de divorce et separation, il primo codice deontologico contenente i tratti fondamentali dell’identità del mediatore, al fine di garantire coerenza e professionalità in un panorama caratterizzato da un proliferare disomogeneo d’iniziative. Alla Carta europea aderiscono numerosi Paesi quali la Francia, La Svizzera, la Gran Bretagna, il Belgio, la Germania e l’Italia. Attraverso forme di coordinamento a livello nazionale ed europeo, cercano di superare le divergenze, allo stesso tempo valorizzare le differenze tra i diversi modelli. Infatti, non si può ancora dare per scontata una condivisione del significato da attribuire al termine “mediazione familiare” e ai suoi criteri applicativi. Grazie alla sinergia francese, un'altra pietra miliare nel conseguimento di una definizione unitaria a livello europeo del significato di mediazione familiare è stata posta a Marsiglia nel 1997 con la costituzione del Forum Europeo per la formazione e la ricerca in mediazione familiare. Si tratta di un'associazione composta da più di 75 centri di formazione di diversi paesi europei, il Forum Europeo fa parte del World Mediation Forum, fondato nel 1993 e promotore di congressi internazionali di cui il terzo si è svolto in Italia nel 2000 (CROVETTI, SALARIS 2000). In Spagna la Ley de Divorcio 30/1981 del 7 luglio introduce la separazione e il divorzio consensuali. Ma perché si possa parlare espressamente di mediazione familiare bisogna attendere il 1990 quando il Ministiero de Asuntos Sociales approva il Programma di Mediazione per la separazione e il divorzio. Nel 1992 è istituito il Servizio di Mediazione familiare di Barcellona (SMFB) alle dipendenze dell'Institut de TreballSocial y Serveis Socials (INTRESS).

Negli anni '90 la mediazione familiare si diffonde anche in Germania, Paese che si distingue dagli altri per varie peculiarità. Qui la mediazione familiare non è nata come tecnica a sé stante ma viene inserita tra le varie tecniche di risoluzione dei conflitti ed è esercitata prevalentemente da avvocati o comunque sempre alla presenza di un legale,

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Codici di deontologia della mediazione familiare (Francia e Belgio) Rassegna Forense, 1997, pp.879-885.

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inoltre si applica oltre ai coniugi anche ad altri membri familiari, in modo particolare ai figli. Tra le organizzazioni principali di mediazione familiare bisogna ricordare la BAFM (Bundes-Arbeitsgemeinschaft Fur Familien-Mediation, Associazione Federale per la Mediazione Familiare), che certifica coloro che seguono un corso di formazione di duecento ore e le associazioni federali degli avvocati (DAV, BRAK), che propongono corsi più brevi.

2.1.1 Altre esperienze in Europa

Le esperienze di mediazione familiare citate nel precedente paragrafo riguardavano quei paesi in cui la mediazione è stata pioniera adesso verranno analizzate le esperienze successive. In Belgio, come in Germania, si preferisce la figura dell'avvocato per l'esercizio della mediazione, essa è svolta sia dal settore pubblico che da quello privato. La mediazione familiare belga si presenta come un servizio molto flessibile ed orientato ai bisogni delle famiglie ovvero non si attende che le famiglie si rivolgano agli operatori, ma sono gli operatori che ricercano le situazioni conflittuali, anche dove nessuno sa cosa sia la mediazione familiare e quindi dove nessuno ne fa formale domanda. Anche se nella pratica la mediazione ha un'applicazione molto vasta, il legislatore belga, come quello francese, ha disciplinato solo quella giudiziaria con la "Loi relative à la médiation en matière familiale dans le cadre d'une procédure judiciaire" entrata in vigore il 1° ottobre 2001. In Olanda si ha notizia della mediazione familiare già dagli anni '70, questa è volontaria e quella pubblica è prevalentemente parziale, ovvero tratta solo le questioni relative ai figli; in generale la mediazione sembra non avere una grande diffusione. In altre realtà, quali Grecia e Bulgaria, la mediazione è scarsamente conosciuta ma sta suscitando interesse. La sensibilità in Europa verso la mediazione familiare ha portato nel 1997 l'Unione Europea a promuovere un'iniziativa denominata Daphne, contenente un programma (giunto alla seconda edizione nel 2004) che prevede il finanziamento di progetti di promozione della mediazione familiare e di tutela delle donne e dei minori. L'Italia, in collaborazione con Spagna e Germania, ha aderito ad un sotto progetto, il Progetto Matilde, il cui obbiettivo principale è quello di “procedere ad un raffronto dell’esperienza in alcuni paesi europei circa la normativa, i servizi sociali attivati e gli interventi promossi dal volontariato in tema di mediazione familiare intesa come una possibile alternativa relazionale in fase di dissolvimento della famiglia (scioglimento del legame coniugale, compreso quello delle

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famiglie di fatto)”7. Dalla ricognizione si può quindi desumere che gli Stati membri non forniscono né una stessa definizione della mediazione familiare nè un’identica disciplina dell’istituto. In particolare, alcuni Stati come Francia, Austria, Belgio, Polonia, Malta, Ungheria e Slovacchia hanno dedicato una normativa specifica alla mediazione. In Irlanda e in Inghilterra il legislatore ha inteso la mediazione come una cultura da promuovere, talvolta obbligando gli avvocati a informare i propri clienti in via preliminare sulla possibilità della mediazione. Altri Stati ancora (Francia, Austria, Polonia, Repubblica Slovacca) hanno definito criteri standard per la legittimazione del ruolo di mediatore, dei centri di mediazione e di formazione. L’esperienza norvegese può essere utile per riflettere sulle potenzialità della mediazione: la mediazione preliminare e obbligatoria ha dimezzato il ricorso al contenzioso giudiziale dopo tre anni dalla sua introduzione (EKELAND 2000).

2.2 Il panorama italiano

La mediazione familiare in Italia si è sviluppata con qualche anno di ritardo rispetto ad altri Paesi europei, anche a causa della tardiva introduzione del divorzio nel nostro paese. Proprio a fronte della constatazione del disagio conseguente alla sempre maggiore diffusione di modelli familiari nuovi, gli operatori del settore sono andati alla ricerca di uno strumento che potesse prevenirlo o almeno limitarlo.

Le prime esperienze sono state l’apertura del Centro GeA (Genitori Ancora) nel 1987 a Milano e la costituzione nel 1988, a Roma, di una collaborazione fra l’Ufficio Tutele della Pretura di Roma e il Centro di studi di Psicologia giuridica dell’età evolutiva e della famiglia dell’Università La Sapienza.

Nel maggio 1993 si è tenuto a Roma, presso l’Università La Sapienza, il primo convegno internazionale sulla “Mediazione familiare nella separazione e nel divorzio” durante il quale si è svolto un proficuo confronto sulla situazione attuale e sulle prospettive future della mediazione familiare.

Nel 1995 viene fondata la Società Italiana di Mediazione Familiare (SIMeF) di cui sono soci fondatori l’Associazione GeA di Milano, il Centro per l’età evolutiva di Roma, la

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CASELLI 2008 “La mediazione familiare come ambito di interventi sociali a sostegno del diritto

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scuola genovese di formazione alla mediazione familiare, il Centro studi e ricerche sulla famiglia dell’Università Cattolica di Milano e l’Irmef8 di Roma.

Nello stesso periodo viene fondata anche l’Associazione Internazionale Mediatori Sistemici (Aims), che riunisce gli operatori d’impostazione sistemica9. All’Aims aderiscono l’Iscra di Modena, Eteropoiesi e Punto Famiglia di Torino, l’Istituto di terapia familiare di Firenze e il Nuovo centro studi G.Bateson di Milano.

Le associazioni Simef e Aims, pur condividendo gli intenti, presentano diversi criteri che distinguono i rispettivi approcci. Gli aderenti alla SIMeF tendono a privilegiare la presa in carico di tutti gli aspetti legati alla genitorialità, mentre gli iscritti Aims ritengono fondamentale considerare altri ambiti oltre a quello genitoriale, ad esempio quello patrimoniale ed un’eventuale presenza dei figli nella stanza di mediazione, mentre la maggior parte dei mediatori aderenti alla SIMeF lavorano solo con le “rappresentazioni” che di essi fanno i genitori.

2.2.1 Riferimenti normativi

La Convezione di Strasburgo del 1996 (entrata in vigore in Italia nel 2003) “Convenzione Europea sui diritti dei bambini” promuove “la mediazione familiare ed ogni altro metodo di risoluzione dei conflitti e la loro utilizzazione per concludere un accordo”.

Nel 1998 il Comitato dei ministri del Consiglio d’Europa ha inviato agli Stati membri la Risoluzione del Consiglio d’Europa 616/98 in base alla quale “alla luce dei risultati dello studio sull’uso della mediazione in paesi diversi, la mediazione familiare ha delle potenzialità volte a migliorare la comunicazione tra le parti, ridurre il conflitto, creare rapporti amichevoli, dare continuità alle relazioni tra genitori e figli, ridurre i tempi di separazione e divorzio…” viene quindi raccomandato agli Stati membri di introdurla e promuoverla, dettando anche principi e metodi da applicare alla mediazione, “in considerazione del superiore interesse del fanciullo e del suo benessere… specialmente tenendo presente i problemi che pongono la separazione e il divorzio”10. La risoluzione sottolinea inoltre che il mediatore non deve avere il potere di imporre una soluzione alle

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L’IRMeF è un’associazione culturale fondata nel 1995 sulla base dell’esperienza maturata nella Sezione di Mediazione Familiare attivata dal 1989 presso il dipartimento di Psicologia dei Processi di Sviluppo e Socializzazione della Facoltà di Psicologia dell’Università “La Sapienza”. di Roma. I soci fondatori dell’IRMeF sono inoltre soci fondatori della Società Italiana di Mediazione Familiare (SIMeF).

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Per i modelli di mediazione ai quali aderiscono le associazioni qui nominate v. cap. 3, par. 3.4.

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parti e che “ le discussioni che hanno luogo nell’ambito della mediazione sono a carattere confidenziale e non possono essere utilizzate successivamente”.

L’Europa quindi mette formalmente in evidenza l’importanza della mediazione familiare fin dal 1998. Da allora sono passati dieci anni ma in diversi paesi europei tra cui l’Italia manca ancora un intervento legislativo che chiarisca e definisca i contorni e gli obbiettivi della materia.

2.2.2 Progetti di riforma in Italia

Negli ultimi anni anche in Italia si è discusso sempre più della necessità di inquadramento normativo della materia anche nell’ambito dei conflitti coniugali e familiari che avvengono nel contesto della separazione e del divorzio11 e, in questa direzione, vanno le proposte di riforma del diritto di famiglia.

Il primo importante riconoscimento legislativo nazionale è avvenuto con la L. 28 agosto 1997 n. 285, art. 4.12, nella quale i comuni favoriscono il finanziamento dei progetti in favore della mediazione familiare.

Nell’aprile del 1998 la Commissione Giustizia della Camera dei deputati, in sede di riforma in materia di divorzio e separazione propone di introdurre il “tentativo di mediazione”13. La legge 8 novembre 2000, n. 328 prevede che le regioni e gli enti locali, nell’ambito delle funzioni disciplinate dal sistema integrato di interventi e servizi sociali, prevedano l’attivazione di servizi per la mediazione familiare.

Nel 200114, con la proposta di legge 66, si è giunti al superamento del modello di affidamento esclusivo a favore dell’affidamento condiviso; in tale sistema si oscilla tra facoltatività e obbligatorietà della mediazione familiare.

Il progetto di legge della Camera dei Deputati n. 2594 del 2002 relativo all’Istituzione della figura professionale del mediatore familiare”, dà la possibilità al giudice, qualora ne riscontri l’esigenza, di invitare le parti ad avvalersi dell’attività di un mediatore familiare”. Emerge, in questo disegno di legge, la volontà di configurare un “tentativo facoltativo di mediazione”.

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Sull’argomento, cfr: SALARIS 2000.

12

“Disposizioni per la promozione di diritti e di opportunità per l’infanzia e l’adolescenza” all’art. 4 vengono nominati i servizi di mediazione familiare e di consulenza per le famiglie e per i minori, per il sostegno e il superamento delle difficoltà relazionali.

13

RONFANI 1999,p.102.

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Sempre nel 2001 con la legge 154, Misure contro la violenza nelle relazioni familiari, all’art. 2 si dice che “Il giudice può disporre, altresì, ove occorra l’intervento dei servizi sociali del territorio o di un centro di mediazione familiare…”.

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Nel 2003 è stato proposto un nuovo testo di sintesi, Testo unificato Paniz 1, intitolato “Affidamento condiviso” che prevedeva (all’art. 709 bis c. p. c. “Camera di mediazione”) che in tutti i casi in cui fosse disposto l’affidamento condiviso, (ecc… )essere inserito nel provvedimento, il nominativo di un centro o di un esperto di mediazione familiare, le parti hanno l’obbligo, prima di rivolgersi al giudice, salvo casi di assoluta urgenza, di rivolgersi per la risoluzione dei conflitti relativi all’esercizio della potestà o alle modalità di affido condiviso alla persona o al centro indicato. Solo dove la mediazione non produceva effetti, le parti potevano rivolgersi al giudice. Gli stessi concetti sono stati ripresi dal successivo testo di sintesi Paniz 2 del luglio del 2003. Rispetto ai progetti precedenti vi è un’evidente inversione di tendenza, nei progetti Paniz 1 e 2 lo scopo è quello di introdurre un “tentativo obbligatorio di mediazione”.

Le associazioni nazionali di mediazione familiare contrarie al “tentativo obbligatorio di mediazione”, hanno reagito a quest’ipotesi in modo deciso, in quanto ritengono fondamentale l’adesione volontaria dei genitori al percorso mediativo.

Nel testo dell’8 febbraio 2005, intitolato “Disposizioni in materia di separazione dei coniugi e affidamento condiviso dei figli” viene eliminato dall’art 709 bis15 CpC ogni riferimento alla mediazione familiare che era invece previsto dal Paniz.

Con la legge 54 del 2006, legge che va ad attuare il principio di bigenitorialità, si parla di mediazione familiare solo nell’art. 155 sexies del c.c., comma 2, in cui viene stabilito che “qualora se ne ravvisi l’opportunità, il giudice, sentite le parti e ottenuto il loro consenso, può rinviare l’adozione dei provvedimenti di cui all’art. 155 per consentire che i coniugi, avvalendosi di esperti, tentino una mediazione per raggiungere un accordo, con particolare riferimento alla tutela dell’interesse morale e materiale dei figli”. Il giudice quindi può e non deve attuare questa procedura, si tratta di una proposta, non si procede d’ufficio. Molte Regioni hanno reagito agli interventi del Parlamento, dando una più concreta attuazione ai principi costituzionali in materia e a quelli internazionali, fra le altre la Regione Liguria con la legge regionale n. 11/1994 e poi con la legge regionale del 9 settembre 1998 n. 30 "Riordino e programmazione dei servizi sociali". La Regione Toscana se ne è occupata per la prima volta con legge regionale n. 72 del 3 ottobre 1997 “Organizzazione e promozione di un sistema di diritti di cittadinanza e di pari opportunità: riordino dei servizi socio-assistenziali e socio-sanitari integrati”, la Regione valorizza e sostiene il ruolo sociale delle famiglie, come parte integrante di una rete informale di protezione sociale e favorisce lo sviluppo di attività a tal fine. A tale scopo la Regione

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finalizza i propri interventi verso il potenziamento delle politiche di sostegno alle responsabilità familiari, tenendo conto dei bisogni, dei diritti e dei rapporti fra i singoli soggetti nelle famiglie e fra famiglie e società nel suo complesso.

Sempre la Regione Toscana si è occupata in maniera specifica di mediazione familiare con la legge regionale 24 febbraio 2005, n. 41 “Sistema integrato di interventi e servizi per la tutela dei diritti di cittadinanza sociale”. All’art. 52 si dichiara che le politiche per le famiglie consistono nell’insieme degli interventi e dei servizi volti a favorire l’assolvimento delle responsabilità familiari, a sostenere la genitorialità, la maternità e la nascita, ad individuare precocemente ed affrontare le situazioni di disagio sociale ed economico dei nuclei familiari, a creare reti di solidarietà locali. In particolare, oltre alle prestazioni erogate ai sensi dell’articolo 117 (comma secondo, lettera m) della Costituzione, sono compresi tra gli interventi e i servizi per le famiglie: i servizi e le attività di sostegno alla genitorialità ed alla nascita, di consulenza e di mediazione familiare, di sostegno alle persone nei casi di abuso e di maltrattamento.

I centri per la mediazione, finora sono stati finanziati prevalentemente con i fondi di leggi di settore relative alle politiche per la famiglia, come la l. 285/97, ma potrebbero incrementare il loro intervento nel quadro della competenza penale del giudice di pace (D.lgs. 274/00).

Se si esclude la produzione normativa di sostegno e promozione dell’attività di mediazione, ad oggi il vivace dibattito di cui si è dato conto, in ordine alla previsione di un intervento di mediazione familiare all’interno del procedimento di separazione o divorzio, si è risolto, da un punto di vista legislativo, unicamente nel veloce accenno contenuto nella disposizione di cui all’art. 155 sexies c.c. nel quale il ricorso allo strumento è lasciato alla più ampia discrezionalità del giudice.

Si tratta quindi di un intervento quasi residuale (la norma dice infatti che il giudicante vi ricorre “qualora ne ravvisi l’opportunità”) e peraltro non chiaramente articolato all’interno della procedura di separazione: il giudice dovrebbe infatti ricorrervi addirittura prima di pronunciare, in sede di udienza di comparizione dei coniugi, i provvedimenti temporanei ed urgenti di cui all’art. 155 c.c., rinviando quest’ultimi all’esito ed in attesa dello svolgimento di un percorso di mediazione familiare. Se da un lato la norma può essere intesa come una forte concessione di fiducia nelle potenzialità dei genitori, può al contempo risultare assai rischioso far permanere i coniugi/genitori in una situazione conflittuale priva di qualsiasi regolamentazione anche temporanea per tutto il percorso

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della mediazione, che per quanto breve non può essere istantaneo, andando così a rendere ancora più difficile il lavoro del mediatore.

Ad ogni modo, come si è detto, al di là delle possibili valutazioni in termini di efficacia ed effettività della previsione normativa in questione, sta di fatto che essa rimane l’unica che dia ingresso alla mediazione familiare all’interno di un procedimento di separazione coniugale finora lasciato alla esclusiva trattazione degli organi giudiziari.

Le ragioni di una tale “timidezza” nell’intervento del legislatore possono essere molteplici, a cominciare dalla stessa difficoltà ontologica di prevedere per legge un tipologia di percorso, che vede nell’adesione volontaria il suo stesso presupposto, ma alla base vi è soprattutto una perdurante ed obiettiva diffidenza dell’ordinamento a devolvere a sedi privatistiche e non contenziose la soluzione dei conflitti.

In quest’ottica appare dunque quanto più necessario ed auspicabile un intervento normativo che meglio riconosca alla mediazione il suo ruolo fondamentale nella trattazione della crisi familiare, seppur con la fondamentale esigenza di preservarne quelle caratteristiche (volontarietà e libertà nell’accesso e nell’interruzione, impossibilità di utilizzo giudiziario dei risultati della negoziazione ecc.) che la rendono strumento “adeguato” ad intervenire in tali situazioni.

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