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APITOLO 2
Architettura del data logger
Abbiamo visto quali siano i compiti che questo data logger deve assolvere per permetterci di raggiungere i nostri obiettivi; ora cerchiamo di capire quale sia l‟architettura che questo deve avere. Vedremo il diagramma a blocchi del data logger, specificando la funzionalità di ognuno di essi. In seguito saranno analizzate le fasi principali della MCDD, per capire quale sia il comportamento tipico del motociclista e del motoveicolo all‟atto della svolta; questo permetterà di individuare quali grandezze fisiche la caratterizzino in modo più significativo. Si farà poi una rassegna più dettagliata della parte sensoristica, osservando i principi di funzionamento dei sensori che potrebbero essere utilizzati nell‟implementazione del data logger e mettendo in evidenza le loro caratteristiche principali.
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2.1 Diagramma a blocchi del data logger
Analizziamo i vari blocchi del data logger presenti nello schema a blocchi della figura 2.1.
Figura 2.1 - Diagramma a blocchi del data logger
ALIMENTAZIONE:
l‟idea è quella di alimentare il data logger utilizzando la batteria del motoveicolo (12 VDC). Abbiamo anche una parte dedicata alla protezione; in particolare sono stati previsti degli accorgimenti di protezione per evitare che l‟inversione di polarizzazione della batteria, in seguito ad un errato assemblaggio, o le sovratensioni, spesso possibili in automotive, possano danneggiare la centralina.
CONTROLLO:
questa sezione ha il compito di controllare l‟intero sistema: in una prima fase del progetto gestisce il logging delle grandezze fisiche di interesse,
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ossia riceve i segnale provenienti dai sensori e li invia al data storage, mediante il blocco di comunicazione. In una seconda fase tale sezione si farà carico anche di gestire l‟algoritmo di controllo del sistema, che permetterà la disattivazione automatica degli indicatori di direzione.
COMUNICAZIONE:
questo blocco funzionale permette la comunicazione tra i vari componenti della scheda. I protocolli supportati sono quelli più diffusi in ambito automotive, come SPI, UART, CAN, etc… La sua implementazione non sarà tuttavia, cosi ben definita, dato che sarà integrata nei vari blocchi: avremo l‟interfaccia di comunicazione tra sensori e controllo, tra controllo e datastorage e tra datastorage e una possibile unità esterna. Possiamo anche considerare come particolare tipo di comunicazione, quella tra sensori e mondo esterno, pur non esistendo una vera e propria interfaccia tra quelli che sono i segnali di ingresso del data logger e il data logger stesso.
DATASTORAGE:
questa è la sezione di memorizzazione dei dati, che comprende, oltre alla memoria a bordo del data logger, anche un hard-disk esterno (come ad esempio quello di un notebook o di un palmare) per non avere limiti in termini di capacità di memorizzazione.
SENSORI:
è la sezione che caratterizza il data logger. I dispositivi inclusi in questo blocco, come è ovvio, variano secondo le esigenze e le finalità del progetto di ricerca. Nel caso specifico le grandezze di interesse sono quelle che caratterizzano la MCDD.
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2.2 Scelta delle grandezze significative
Lo scopo di questo data logger è quello di immagazzinare più informazioni possibili dallo scooter, per comprendere quali siano le grandezze fisiche che subiscono maggiori variazioni durante la svolta e che quindi possono essere utilizzate come indicatori del termine di essa. Esistono numerosi studi, in ambito di dinamica dei veicoli, sulla motocicletta in fase di curva e sulla variabilità di alcune grandezze fisiche, ma non vi è stata una prova rigorosa e sperimentale della loro efficacia nella determinazione dell‟informazione “MCDD terminata” [1].
Osserviamo una tipica manovra di svolta in tutti i suoi momenti ed evidenziamo quali siano le grandezze maggiormente soggette a variazione. Pensiamo a un motociclista che, a bordo della sua moto, sta percorrendo una strada e ad un certo punto decide di cambiare direzione.
Vediamo le azioni che dovrà compiere per effettuare la MCCD:
attivare con un congruo anticipo l‟indicatore relativo alla direzione prescelta;
rallentare più o meno intensamente, a seconda che debba fermarsi ad un incrocio per dare la precedenza ad altri veicoli oppure possa svoltare senza arrestare la propria marcia;
inclinare leggermente il motoveicolo verso destra o verso sinistra, in funzione della direzione prescelta, per inserirsi nella curva o comunque per iniziare la svolta;
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riportare il motoveicolo in posizione verticale, annullando l‟angolo di rollio;
riprendere il percorso rettilineo.
Osservando tutte le varie fasi della manovra che viene eseguita dal motociclista, si comprende, come già accennato in precedenza, la diversità tra la svolta effettuata con un motoveicolo e tra la stessa manovra eseguita con un autoveicolo, nel quale è sufficiente girare il volante e quindi le ruote anteriori nella direzione.
In figura 2.2 viene immortalato un motociclista durante una manovra di curva; inoltre vengono rappresentati l‟angolo di rollio e di imbardata, che sono grandezze importanti durante la MCDD.
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Pensando alle grandezze fisiche che variano nelle manovre suddette, si può affermare che ci sarà una continua variazione dell‟angolo di imbardata e di quello di rollio, e cambiamenti nella velocità e nell‟accelerazione. Molto utile sarà anche rilevare il segnale degli indicatori di direzione e quindi conoscere lo stato di essi, per fare in seguito un confronto tra l‟operato del motociclista (disattivazione frecce) e quello del nostro sistema. Questo ci permette di scegliere le grandezze da monitorare e i tipi di sensori che dovremo montare sul data logger per la nostra applicazione:
1) posizione geografica, angolo di imbardata → sensore di posizione;
2) velocità → sensore di velocità;
3) accelerazione → sensore di accelerazione;
4) angolo di rollio → sensore di inclinazione;
5) stato frecce → soluzione meccanica o elettrica;
Nel seguito ci soffermeremo maggiormente sul sensore di posizione, essendo quello che ci fornisce l‟informazione più significativa per la comprensione del termine della MCDD del motoveicolo. Infatti studiando opportunamente la variazione della posizione di esso, si può comprendere quando il motoveicolo inizia a spostarsi dalla traiettoria rettilinea per iniziarne una curvilinea e viceversa.
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2.3 Sensori di posizione
Parlando di posizione si fa di solito riferimento alla determinazione delle coordinate di un oggetto rispetto ad un punto e queste possono essere angolari o lineari.
Esistono sensori di posizione di vario tipo, ma noi possiamo dire in maniera più precisa di essere interessati alla variazione dell‟angolo di imbardata ovvero dell‟angolo sul piano orizzontale compreso tra la direzione di avanzamento e una direzione di riferimento, come evidenziato in figura 2.2. Utilizzando il nord magnetico come riferimento possiamo calcolare l‟azimuth del motoveicolo, inteso come l‟angolo compreso tra la direzione di avanzamento del motoveicolo e il nord magnetico. Quindi nella vasta gamma dei sensori di posizione ci concentreremo sui sensori magnetici. Inoltre, dal momento che l‟esigenza di un basso costo sarà uno delle specifiche della nostra scheda, cercheremo di fare un confronto tra un sensore magnetico molto semplice e meno accurato, e un sistema più complesso per verificare la possibilità di utilizzare il primo nel progetto finale.
2.3.1 Sensori magnetici
I sensori magnetici sono utilizzati da oltre 2.000 anni e le loro applicazioni più remote erano in ambito di navigazione, in genere per scoprire la posizione e la direzione di avanzamento. La loro efficacia è evidenziata dal fatto che ancora oggi sono uno dei mezzi principali per la navigazione, ma allo stesso tempo si sono diffusi anche in molte altre applicazioni.
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La tecnologia per il rilevamento di campi magnetici si è evoluta nel tempo, per andare incontro alle necessità di maggiore sensibilità, di minori dimensioni e per diventare compatibile coi sistemi elettronici.
Un aspetto unico dei sensori magnetici è che di norma la misura del campo magnetico non è lo scopo primario; solitamente le grandezze o le informazioni di interesse sono altre, come la velocità di una ruota, la presenza di un inchiostro magnetico, la rilevazione di un veicolo o la determinazione di una direzione (rotta).
Figura 2.3 – Sensori tradizionali confrontati con sensori magnetici [S5]
Come si può osservare in figura 2.3, queste grandezze non possono essere misurate direttamente, ma possono essere estratte da cambiamenti o disturbi sul campo magnetico da esse indotti. Altri tipi di sensori come quelli di temperatura, di pressione, di luce o di sforzo meccanico, hanno in uscita tensioni o correnti proporzionali al parametro desiderato. Nel caso dei sensori magnetici si rilevano direzioni, presenze, rotazioni, angoli o altri parametri solo indirettamente. Per prima cosa la grandezza in questione deve creare o modificare un campo magnetico; basta ad esempio una corrente in un filo, un magnete permanente o anche il rilevamento del campo magnetico terrestre per
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avere questo campo iniziale. Una volta che il sensore magnetico lo rileva, o perlomeno ne capta una sua variazione, il segnale di uscita richiede uno stadio di elaborazione del segnale, per tradurre l‟uscita del sensore nel valore della grandezza di nostro interesse. Questo rende i sensori magnetici più difficili da utilizzare in alcune applicazioni, ma permette anche di rilevare in maniera accurata e affidabile parametri difficilmente ricavabili in modo differente [S5] . Il campo magnetico è una grandezza vettoriale, caratterizzata quindi da ampiezza, direzione e verso; i diversi tipi di sensori misurano questa grandezza in vario modo: i sensori scalari misurano esclusivamente l‟ampiezza, i sensori uni-direzionali l‟ampiezza della componente del campo magnetico lungo il loro asse sensibile; quelli bidirezionali aggiungono a tale informazione la direzione; i sensori magnetici vettoriali hanno 2 o 3 sensori bidirezionali; altri tipi di sensori sono provvisti internamente di una soglia di lavoro e forniscono un‟uscita solo se la si supera.
Vediamo ora alcuni tipi di sensori magnetici e i principi fisici che vi stanno alla base, con particolare riferimento ai sensori ad effetto Hall.
Magnetometri SQUID (Superconducting Quantum Interference Device):
sono quelli più sensibili a bassi valori di campo magnetico, dal momento che riescono a percepire campi dell‟ordine di alcuni femto-Tesla (fT) fino a qualche Tesla, quindi un range di ben 15 ordini di grandezza. Sono realizzati con due strati di materiale superconduttore, separati da un sottile strato isolante, e risultano particolarmente adatti per il settore medico; basti pensare che il campo neuro magnetico del cervello umano è dell‟ordine dei 100 fT (10-13 T) e quindi circa 10-8 volte più piccolo del campo magnetico terrestre. Purtroppo richiedono tecniche di raffreddamento con elio liquido perché
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lavorano a temperature dell‟ordine dei 4 °K; tuttavia si stanno sviluppando tecniche per utilizzarli in condizioni ambientali meno proibitive [S6].
Magnetometri FluxGate :
sono i sensori più diffusi nell‟ambito dei sistemi per la navigazione, cioè per la realizzazione di compassi magnetici. Un dispositivo di questo tipo è costituito da due bobine, una primaria e una secondaria, avvolte intorno ad un comune nucleo ferromagnetico ad alta permeabilità. Una corrente alternata viene fatta passare attraverso la bobina primaria, portando il nucleo in un ciclo variabile di saturazione magnetica, cioè passando attraverso stati di “magnetizzazione”, “non magnetizzazione” e “magnetizzazione inversa”. Questa variazione del campo induce nella seconda bobina una corrente elettrica, che viene misurata da un rivelatore. In un ambiente magneticamente neutro la corrente in ingresso e in uscita coincideranno; tuttavia in presenza di un campo esterno la corrente indotta in uscita non sarà coincidente con quella di ingresso, ma risulterà alterata. La misura di questa alterazione dipenderà dalle caratteristiche del campo esterno, poiché potrà allinearsi col campo generato dalla corrente in ingresso od opporsi ad esso. Con alcune tecniche di analisi del segnale e conoscendo la corrente fornita alla bobina primaria si risale al valore del campo magnetico esterno, che è quello di interesse. Si riescono a rilevare campi dell‟ordine dei 100 pF. Questi sensori tendono generalmente ad avere un basso costo, ma anche ad essere fragili e a far registrare lenti tempi di risposta (2-3 s) [S7].
Magnetometri AMR (Anisotropic MagnetoResistive):
Sono molto adatti per rilevare il campo magnetico terrestre e quindi per effettuare misure di posizioni, lineari e angolari, oltre che di spostamento. Sono costituiti da alcune sottili piste resistive di una speciale lega di ferro e nichel
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depositate su un wafer di silicio; la proprietà di questi sensori è quella di variare la propria resistenza del 2-3 % in presenza di un campo magnetico. In base all‟orientamento e all‟intensità del campo magnetico avremo variazioni maggiori o minori della resistenza del materiale; con un‟opportuna circuiteria di condizionamento del segnale si può risalire al valore del campo magnetico. Si arrivano a rilevare campi dell‟ordine dei 100 µT e i tempi di risposta sono dell‟ordine del microsecondo [S6].
Magnetometri GMR (Giant MagnetoResistive):
Il principio fisico è il medesimo degli AMR, ma si riescono ad ottenere variazioni della resistenza anche del 70 %; questo è possibile alternando sottili strati di materiali ferromagnetico e di materiale non ferromagnetico.
Magnetometri ad effetto Hall:
Il nome di questi sensori discende dal ricercatore Edwin Hall, che nel 1879 osservò il fenomeno fisico che poi avrebbe portato il suo nome. Nonostante sia stato scoperto più di un secolo fa, i primi sensori ad effetto Hall sono stati sviluppati nei primi semiconduttori intorno agli anni „50.
L‟esperienza fatta da Hall consisteva nell‟osservare la corrente che scorre in una lamina di metallo in due situazioni differenti: la prima nel caso in cui non sia presente campo magnetico, situazione di figura 2.4 a, la seconda nel caso in cui la lamina risenta dell‟effetto di un campo magnetico perpendicolare, situazione di figura 2.4 b. Nel primo caso la corrente entrante nella lamina, generata da un‟ipotetica batteria, scorre in maniera omogenea, vale a dire senza addensarsi in particolari zone della lamina, e la tensione ai capi di essa è nulla.
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Figura 2.4 a – Effetto Hall senza la presenza di campo magnetico [S8]
Nel secondo caso, in virtù della presenza di un campo magnetico B perpendicolare alla lamina, gli elettroni sono sottoposti alla forza di Lorentz:
𝑭 = 𝑞𝒗 × 𝑩
(1) Tale forza è il risultato del prodotto vettoriale espresso dalla formula (1), per cui sarà perpendicolare sia al campo magnetico che alla corrente; l‟effetto di questa forza sarà quello di alterare la distribuzione degli elettroni, facendoli addensare da una parte o dall‟altra della lamina, in funzione del verso del campo magnetico e della corrente. A causa di questo addensamento di elettroni avremo ai capi della lamina, come evidenziato in figura 2.4 b, una differenza di potenziale (d.d.p.) [S10].34
L‟elemento sensibile dei sensori di Hall è rappresentato da un sottile strato di materiale conduttivo, nel quale le connessioni per l‟uscita sono perpendicolari al flusso della corrente. In questi sensori l‟obiettivo è la misura di un ipotetico campo magnetico B; quando sono sottoposti ad esso rispondono con un‟uscita in tensione proporzionale alla componente del campo stesso lungo la perpendicolare al chip. L‟uscita in tensione è molto piccola, dell‟ordine dei microvolt, perciò dell‟elettronica di condizionamento del segnale è indispensabile.
Le parti elettroniche fondamentali da aggiungere all‟elemento di Hall sono un regolatore e uno stadio di amplificazione, come in figura 2.5. Il regolatore, esterno o interno che sia, serve per alimentarlo e fornirgli una corrente costante; corrente questa che sarà dimensionata con un corretto compromesso tra autoriscaldamento e necessità di un elevato segnale di Hall in uscita. Inoltre mi permette di avere una corrente nota e quindi di far dipendere il campo magnetico sotto misura dalla sola tensione di uscita del sensore.
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Lo stadio di amplificazione serve, come già anticipato, per avere livelli di tensione più facilmente gestibili. Basti pensare che un campo di 1 Gauss fornisce in un‟uscita al sensore una tensione dell‟ordine dei 30 µV. [S8]
2.3.2 GPS (Global Positionig System)
Il Global Positionig System, la cui denominazione completa è NAVSTAR GPS, abbreviazione di “Navigation Satellite Timing And Ranging Global Positioning System” (sistema di posizionamento globale mediante misure di tempo e distanza rispetto a satelliti per navigazione), fu sviluppato dal Dipartimento di Difesa degli Stati Uniti all‟inizio degli anni settanta e fu inizialmente pensato come un sistema militare ad alte prestazioni. Nel 1991 gli USA aprirono al mondo il servizio con il nome SPS (Standard Positioning
System), con specifiche differenziate da quello militare denominato PPS
(Precision Positioning System). In pratica veniva introdotta la cosiddetta
Selective Availability (SA), che introduceva errori intenzionali nei segnali
satellitari allo scopo di ridurre l'accuratezza della rilevazione, consentendo precisioni solo nell'ordine di 100-150 m.
Il principio di funzionamento si basa su un metodo di posizionamento sferico, che consiste nel misurare il tempo impiegato da un segnale radio a percorrere la distanza satellite-ricevitore. Conoscendo questo tempo e l'esatta posizione di almeno 3 satelliti per avere una posizione 2D (bidimensionale), o di 4 satelliti per avere una posizione 3D (tridimensionale), è possibile determinare la posizione nello spazio del ricevitore stesso.
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Figura 2.6 – Metodo di posizionamento sferico [S9]
Un ricevitore GPS fornisce utili informazioni, tra le quali le principali sono:
Posizione: il GPS fornisce la posizione in 3 dimensioni: latitudine, longitudine e altitudine. L‟accuratezza nei ricevitori consumer non è molto buona, risulta entro i 15 metri il 95% delle volte; tuttavia vi sono metodi per migliorare questo valore e ne parleremo nel prossimo capitolo.
Tempo: un ricevitore GPS riceve informazioni relative al tempo, l‟ora volgarmente parlando, da orologi atomici, in modo da ottenere informazioni molto più accurate rispetto ad un orologio da polso; si arriva ad accuratezze dell‟ordine dei microsecondi o delle centinaia di nanosecondi.
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Velocità: con accuratezze dell‟ordine del decimo di m/s.
Direzione di viaggio: l‟unità GPS può indicare la direzione di viaggio, l‟azimuth e altre informazioni magnetiche, cioè tratte dal campo magnetico terrestre presente in una certa posizione [S9].
2.4 Sensore di velocità
Esistono vari tipi di sensori di velocità, che si basano su principi differenti. Abbiamo sensori piezoelettrici, nei quali un materiale piezoelettrico è compresso in base alla velocità e genera una tensione che viene poi misurata; spesso sono utilizzati in misure di vibrazioni. Altri sistemi si basano sull‟effetto Doppler, dove si risale alla velocità dalla differenza di frequenza di onde radar trasmesse dal sensore, riflesse da un‟opportuna superficie e nuovamente ricevute dal sensore. Spesso tale principio viene utilizzato in ambito biomedico, utilizzando però gli ultrasuoni. Esistono poi sensori magnetici che misurano la velocità di un motoveicolo dai giri della ruota; in particolare vengono posti su di essa alcuni magneti e un sensore che rileva il loro passaggio. Dal numero di giri nell‟unita di tempo e dalle dimensioni della ruota si risale alla velocità dello scooter [3].
Altre possibilità di effettuare la misura di velocità nell‟ ambito del nostro progetto sono:
utilizzare il contachilometri del motoveicolo, che solitamente supporta anche tale tipo di misura mediante un tachimetro. Ovviamente a seconda che l‟uscita sia già digitalizzata o meno sarà richiesta l‟aggiunta di un convertitore.
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utilizzare il GPS che, come citato in precedenza, fornisce in particolari frasi del protocollo NMEA anche il parametro di velocità.
2.5 Sensore di accelerazione
Nella maggior parte degli accelerometri, il principio di funzionamento è il medesimo e si basa sulla rilevazione dell'inerzia di una massa di prova, quando questa viene sottoposta ad una accelerazione. La massa viene sospesa ad un elemento elastico, mentre un qualche tipo di sensore ne rileva lo spostamento rispetto alla struttura fissa del dispositivo. In presenza di un'accelerazione, la massa, dotata di una propria inerzia, si sposta dalla propria posizione di riposo in modo proporzionale all'accelerazione rilevata. Il sensore trasforma questo spostamento in un segnale elettrico acquisibile dai moderni sistemi di misura. Una classificazione degli accelerometri si può così fare suddividendoli a seconda del principio di funzionamento del sensore di posizione. Vediamo i principali tipi di accelerometri:
accelerometri capacitivi: sfruttano, come principio per la rilevazione dello spostamento della massa di prova, la variazione della capacità elettrica di un condensatore al variare della distanza tra le sue armature. In questi accelerometri, la massa di prova, realizzata con materiale conduttivo, costituisce un'armatura, mentre l'altra è realizzata sulla struttura fissa del dispositivo, nell'immediata prossimità della massa. La massa viene sospesa su un elemento elastico relativamente rigido, tipicamente una membrana. Un apposito circuito rileva la capacità del condensatore così realizzato e genera un segnale elettrico proporzionale alla posizione della massa. Sono sensori di dimensioni ridotte e sono
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poco sensibili agli effetti della temperatura; richiedono però una circuiteria di condizionamento del segnale piuttosto complessa, perché i valori della capacità che portano informazione sono molto piccoli dell‟ordine dei femtoFarad [S12].
accelerometri piezoresistivi: in questo caso si utilizzano elementi piezoresistivi connessi alla massa di prova, in modo che variando la lunghezza degli stessi a causa di uno spostamento della massa stessa varino la propria resistenza. Si rilevano le variazioni delle resistenze con classiche tecniche a ponte di Wheatsone. Inconvenienti si possono avere a causa del rumore termico introdotto dalle resistenze; inoltre i livelli dei segnali in uscita sono piuttosto bassi.
accelerometri piezoelettrici: il principio per la rilevazione dello spostamento della massa sfrutta il segnale elettrico generato de un cristallo piezoelettrico, quando è sottoposto ad una compressione. In questi accelerometri la massa di prova viene sospesa sul cristallo piezoelettrico, che, in questo caso, costituisce sia il sensore che l'elemento elastico; in presenza di un'accelerazione la massa comprime il cristallo, il quale genera un segnale elettrico proporzionale alla compressione. Questi sensori hanno sensibilità relativamente bassa e possono rilevare accelerazioni elevatissime senza danneggiarsi, arrivo anche fino a 1000 g. Un limite di essi è legato a compressioni permanenti sul cristallo, poiché il segnale generato da esse tende a dissiparsi dopo un breve periodo. In conseguenza di ciò questi accelerometri non sono in grado di rilevare un'accelerazione continua e statica, poiché dopo qualche secondo dall'applicazione di una tale accelerazione, il segnale si dissipa e in uscita non sarà presente nessun segnale. Questi accelerometri trovano impiego in applicazioni dove si
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deve rilevare accelerazioni dinamiche come quelle che si generano nelle vibrazioni e nei shock meccanici [3,4].
accelerometri LVDT: in questo caso abbiamo sensori LVDT per la rilevazione dello spostamento della massa di prova; la massa stessa costituisce il nucleo ferromagnetico del sensore LVDT e scorre, sospesa su un elemento elastico, all‟interno di in un canale attorno al quale sono avvolte destinate alla rilevazione della posizione della massa di prova, tramite un apposito circuito [S12].
2.6 Sensore di inclinazione
Considerando il principio di funzionamento i sensori di inclinazione o inclinometri possono essere così suddivisi: a liquido e a pendolo, sia orizzontale che verticale. La diversa sensibilità di questi li divide ulteriormente in due gruppi: abbiamo quelli geofisici con una risoluzione di 10-8 - 10-9 ovvero 0,002'' - 0,0002'' di grado e poi quelli per applicazioni ingegneristiche che hanno risoluzioni minori dell‟ordine di qualche secondo di grado. Noi vediamo brevemente qualche modello del secondo gruppo, che è quello di nostro interesse. Abbiamo quelli che utilizzano un liquido elettrolitico, come la elettrolivella della British Aircraft Corporation; nel liquido è presente una bolla che si muove e tre elettrodi ne percepiscono il movimento. Si arriva a risoluzioni di 0,25'' di grado su un range di qualche minuto di angolo.
Quelli a pendolo sono basati sul principio del filo a piombo: una massa di prova sospesa e libera di oscillare si mantiene allineata con la forza di gravità ed un opportuno sensore ne misura lo scostamento da una direzione
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di riferimento. Un esempio è il Niveltronic inclinometro prodotto da Tesa S.A. che raggiunge una risoluzione ± 0,2'' in un range di 150''.
Molto diffusi sono poi i servo-accelerometri che svolgono la funzione di inclinometri sfruttando un pendolo orizzontale. Solitamente abbiamo una piccola massa orizzontale, che svolge la funzione del pendolo precedente, cercando di muoversi nella direzione dell‟inclinazione; ogni spostamento risultante è convertito in un segnale elettrico da un sensore di posizione. Sono molto robusti, durabili nel tempo e posso lavorare a basse temperature.
Un limite di questi sensori è legato al prezzo che solitamente è piuttosto elevato [4].
2.7 Stato delle frecce
Per rilevare questa informazione si possono prevedere soluzioni meccaniche o elettriche. Nel primo caso si preleva l‟informazione dall‟interruttore, dove un deviatore meccanico potrebbe rilevarne gli spostamenti, e poi con un‟opportuna elettronica di condizionamento ottenere un segnale elettrico. Nel secondo caso si ricava l‟informazione dall‟ indicatore vero e proprio, mediante un‟opportuna circuiteria elettronica; le soluzioni sono svariate, da un semplice comparatore ad un fotodiodo o ad un foto accoppiatore.
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2.8 Scelte dei tipi di sensore
Vediamo la scelte del metodo di misura che è stata fatta per ogni grandezza fisica di interesse.
Posizione: la soluzione del GPS, che svolge la funzione di termine di riferimento, ci è sembrata ottima in termini di accuratezza e di costo. Inoltre sono dispositivi che si stanno diffondendo sempre più sul mercato degli autoveicolo, diventando talvolta elementi di serie anche in modelli economici. Si può prevedere un futuro in cui anche nei motoveicoli vi sarà la possibilità di accedere ad un GPS, perciò ci è sembrata anche una soluzione innovativa.
Azimuth: (angolo di imbardata): la scelta ricade sui sensori ah effetto Hall, soprattutto per un ottimale rapporto qualità/prezzo, rispetto ai concorrenti sensori magnetici.
Velocità: la soluzione adottata è quella di ricavare tale informazione dal GPS, in modo da avere questa informazione senza spesa. Vedremo poi nelle specifiche che l‟accuratezza fornita è più che sufficiente.
Accelerometro: si è optato per un accelerometro capacitivo in tecnologia MEMS, che garantisce l‟integrazione dell‟elettronica di condizionamento del segnale all‟interno del chip. Abbiamo scelto questo per il basso costo, il basso consumo e ridottissime dimensioni, oltre che per il fatto che essendo triassiale consente di ottenere informazioni relative all‟inclinazione.
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Inclinazione: in questo caso vale il medesimo discorso fatto per la velocità; in quanto utilizzando le informazioni dell‟accelerometro, si può ricavare l‟inclinazione via software senza alcun costo.
Stato degli indicatori: abbiamo optato per la soluzione elettrica, per poter essere meno invasivi possibili sul motoveicolo e per non essere vincolati al tipo di interruttore presente su di esso.