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CAPITOLO 1: DALL’INTRODUZIONE DELL’IRAP ALLA SENTENZA DELLA CORTE COSTITUZIONALE N. 156/2001

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CAPITOLO 1: DALL’INTRODUZIONE DELL’IRAP ALLA

SENTENZA DELLA CORTE COSTITUZIONALE N. 156/2001

Con l’articolo 3, commi 143 e 144, della legge 23 dicembre 1996, n. 6621 il Parlamento ha delegato il Governo ad emanare uno o più decreti legislativi contenenti disposizioni volte al fine di semplificare e razionalizzare gli adempimenti dei contribuenti, ridurre il costo del lavoro2 e il prelievo complessivo che gravava sui redditi di lavoro autonomo e di impresa minore, il tutto nel rispetto dei principi costituzionali del concorso alle spese pubbliche in ragione della capacità contributiva3 e dell’autonomia politica e finanziaria degli enti territoriali.

A tal fine il Parlamento, attraverso le disposizioni sopra citate, ha delegato il Governo ad istituire un nuovo tributo regionale gravante sulle attività produttive. Dopo quasi un anno di gestazione, ha finalmente visto la luce il decreto delegato in materia di imposta regionale sulle attività produttive, quest’ultima introdotta a far data dal 1° gennaio 19984 nell’ambito degli interventi strutturali di riforma voluti dall’allora Ministro delle finanze On. Vincenzo Visco per mezzo del D.Lgs. 15 dicembre 1997, n. 4465 così strutturato:

- TITOLO I (art. 1-45) relativo all’istituzione e alla disciplina dell’Irap

1 In Gazzetta Ufficiale n. 303 del 28 dicembre 1996.

2 Principalmente ad opera dell’abolizione dei contributi sanitari, il cui gettito avrebbe comunque essere

assicurato dal nuovo tributo regionale.

3 Il riferimento al rispetto del principio della capacità contributiva sembra lasciar supporre che,

nell’opinione del legislatore delegante, il principio del beneficio che caratterizza la ratio del nuovo tributo, possa considerarsi non incompatibile con il precetto costituzionale di cui all’art. 53.

4 Per la precisione l’Irap è entrata in vigore dal 1°gennaio 1998 per quanto attiene ai soggetti aventi

l’esercizio coincidente con l’anno solare, per quelli che hanno l’esercizio non coincidente, la data di effetto decorre a far tempo dalla data di inizio del predetto esercizio ove il periodo d’imposta in corso al 1°gennaio 1998 sia iniziato dopo il 30 settembre 1997.

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2 - TITOLO II (art. 46-50) riguardante la revisione degli scaglioni, delle aliquote e l’istituzione dell’addizionale regionale all’imposta sul reddito delle persone fisiche.

- TITOLO III (art. 51-64) relativo al riordino della disciplina dei tributi locali

- TITOLO IV (art. 65-66) riguardante le disposizioni comuni.

Tale decreto, dato il potere attribuito al Governo di emanare provvedimenti correttivi entro al secondo anno rispetto a quello di entrata in vigore della nuova imposta (cioè entro il 31 dicembre 2000), è stato poi modificato ad opera dei decreti e delle leggi di seguito elencate:

- D.Lgs. 23 marzo 1998, n. 566;

- D.Lgs. 10 aprile 1998, n. 1377 con cui è stato introdotto il principio di correlazione, secondo il quale alla formazione dell’imponibile concorrono anche i proventi e gli oneri classificabili in voci diverse da quelle espressamente indicate negli articoli 5, 6, 7 del D.Lgs. 446/19978, se ed in quanto correlati a componenti positivi e negativi del valore della produzione riferiti a periodi d’imposta precedenti o successivi;

- D.Lgs. 19 novembre 1998, n. 4229; - D.Lgs. 10 giugno 1999, n. 17610;

- D.Lgs. 23 dicembre 1999, n. 50611 con il quale si sono in parte ravvicinate le regole di determinazione della base imponibile del nuovo tributo a quelle già esistenti in materia di imposte sui redditi;

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In Gazzetta Ufficiale del 25 marzo 1998 n. 70.

7 In Gazzetta Ufficiale n. 107 dell'11 maggio 1998. 8 Da Codice Tributario SEAC, edizione 2005 pag. 194. 9 In Gazzetta Ufficiale del 9 dicembre 1998, n. 287. 10 In Gazzetta Ufficiale n. 306 del 31 dicembre 1999 . 11 In Gazzetta Ufficiale n. 306 del 31 dicembre 1999 .

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3 - Legge 23 dicembre 1999, n. 48812;

- Legge 23 dicembre 2000, n. 38813;

- Legge 27 dicembre 2002, n. 289 (61 bis)14

1.1 Gli obiettivi perseguiti con l’introduzione dell’Irap

Nella relazione redatta a conclusione dei lavori da parte della Commissione Gallo si legge che: “l’idea del nuovo tributo deve riconnettersi all’evoluzione degli ordinamenti tributari verso forme di tassazione dei fattori produttivi allo stadio dove si forma la loro remunerazione, prendendo atto della globalizzazione delle economie moderne e delle difficoltà di tassare, in tale contesto, i cespiti più volatili e mobili (in particolare le attività finanziarie)”.

La stabilità del gettito rispetto alle variazioni del ciclo economico, infatti, ha reso il tributo particolarmente adatto ad essere utilizzato per le seguenti finalità:

a) semplificare e razionalizzare il sistema dei prelievi; b) dotare le regioni di un’autonoma capacità impositiva;

c) sciogliere l’irrisolto problema del finanziamento della sanità;

d) perseguire una maggiore neutralità del sistema tributario riguardo all’impiego dei fattori.

12 In Gazzetta Ufficiale n. 302 del 27-12-1999

.

13 In Gazzetta Ufficiale n. 302 del 29 dicembre 2000. 14 In Gazzetta Ufficiale n. 305 del 31 dicembre 2002.

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1.1.1 La semplificazione del sistema tributario

La semplificazione del sistema tributario è derivata dal fatto che l’istituzione dell’IRAP è stata accompagnata dall’abolizione di diversi tributi e contributi, quali:

- Contributo al servizio sanitario nazionale (assicurazione

obbligatoria contro le malattie, invalidità, vecchiaia e la cosiddetta “tassa sulla salute”) di cui all’art. 31 della legge 28 febbraio 1986, n. 4115, all’art. 1, comma 3, della legge 31 dicembre 1961, n. 144316, e all’art. 27 della legge 9 marzo 1989, n. 8817;

- L’imposta locale sui redditi (ILOR) di cui all’art. 116 e seguenti del DPR 917/8618;

- L’imposta comunale per l’esercizio di imprese arti e professioni (ICIAP) di cui al DL 2 marzo 1989, n. 6619 convertito con modificazioni della legge 24 aprile 1989, n. 14420;

- La tassa di concessione governativa per l’attribuzione della partita Iva di cui all’art. 24 della tariffa allegata al DPR 641/7221;

- L’imposta sul patrimonio netto delle imprese di cui al DL 30 settembre 1992, n. 39422, convertito con modificazioni, dalla legge 26 novembre 1992, n. 46123 (anche se la sua abolizione era già stata sancita a decorrere dal 1998, dall’art. 3, comma 110, della legge 28 dicembre 199524);

15 In Gazzetta Ufficiale n. 49 del 28 febbraio 1986. 16 In Gazzetta Ufficiale n. 15 del 18 gennaio 1962. 17 In Gazzetta Ufficiale n. 60 del 13 marzo 1988. 18

Da Codice Tributario SEAC, edizione 2005, pag. 22.

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In Gazzetta Ufficiale n. 51 del 2 marzo 1989.

20 In Gazzetta Ufficiale n. 96 del 26 aprile 1989. 21 Da Codice Tributario SEAC, edizione 2005, pag. 586. 22 In Gazzetta Ufficiale n. 230 del 30 settembre 1992. 23 In Gazzetta Ufficiale n. 281 del 28 novembre 1992. 24 In Gazzetta Ufficiale n. 302 del 29 dicembre 1995.

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5 - Le tasse per l’occupazione di suolo pubblico di cui al capo II del

D.Lgs. 15 novembre 1993, n. 50725 e all’art. 5 della legge 16 maggio 1970, n. 28126.

Come risultato la riduzione del numero di tributi e di adempimenti fiscali avrebbe dovuto produrre, per le imprese, un’ evidente riduzione dei costi amministrativi e di gestione. Dall’altro lato, un effetto positivo doveva interessare anche le amministrazioni pubbliche, che avrebbero osservato a loro volta una riduzione del numero di adempimenti burocratici con una conseguente riduzione dei costi di gestione e un’ importante semplificazione del meccanismo di controllo.

Inoltre, attraverso l’Irap, è stata attuata una redistribuzione del carico fiscale tra le varie categorie socio-economiche dei contribuenti, che sono rappresentate da lavoratori dipendenti, pensionati, esercenti attività produttive (imprenditori e professionisti) e redditieri (cioè coloro che percepiscono redditi di capitale e fondiari).

I lavoratori dipendenti hanno ottenuto un’agevolazione dall’eliminazione della quota di contributi sanitari a loro carico e i pensionati hanno tratto un notevole vantaggio dalla scomparsa della tassa sulla salute, mentre i redditieri hanno conseguito un apprezzabile risparmio grazie all’abrogazione della tassa sulla salute e dell’Ilor.

Poiché il Governo mirava alla parità di gettito tra Irap e tributi abrogati, è evidente che se i lavoratori dipendenti, i pensionati e i redditieri hanno beneficiato di questa semplificazione, questa ha comportato uno spostamento del carico fiscale verso le categorie produttive (imprese e professionisti), con una conseguente elevazione del carico tributario per le stesse.

25 In Gazzetta Ufficiale n. 288 del 9 dicembre 1983. 26 In Gazzetta Ufficiale n. 127 del 22 maggio 1970.

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1.1.2 L’Irap e l’autonomia finanziaria regionale

Secondo quanto sostenuto in dottrina27, l’Irap (assieme all’addizionale regionale all’Irpef) ha avuto un ruolo fondamentale nel dotare le regioni di un’effettiva autonomia finanziaria, essendo uno degli strumenti attraverso i quali è stato perseguito il federalismo fiscale.

All’inizio degli anni novanta le regioni erano sostanzialmente enti di finanza derivata, poiché, gestivano trasferimenti statali, a vincolo di destinazione, decisi e contrattati anno per anno. Sull’utilizzo dei fondi lo Stato interveniva in modo molto pervasivo; quindi le fonti di entrata propria erano di importo modesto, con scarse possibilità per l’esercizio di autonomia

impositiva ed i trasferimenti statali erano caratterizzati da incertezza sull’entità delle risorse trasferite e da eccessiva settorializzazione delle fonti di finanziamento.

In sostanza, le regioni mancavano di risorse proprie, ricevevano fondi settorializzati a destinazione vincolata, finalizzati a finanziare le funzioni devolute dallo Stato, incerti nell’ammontare, e non erano in grado di gestire un’autonoma politica di bilancio.

La continua contrattazione, anno per anno, delle risorse trasferite dal bilancio dello Stato alle regioni, da un lato privava queste ultime di qualsiasi certezza e quindi della possibilità di programmazione finanziaria pluriennale, dall’altro, induceva lo Stato a ricorrere sistematicamente al taglio dei trasferimenti per contenere il disavanzo pubblico complessivo, anche al di là di quanto era realistico finanziariamente, inducendo le regioni a ricorrere a crediti con fornitori e banche, che conducevano a periodici ripiani ex-post, soprattutto nel settore della sanità.

Dal lato delle regioni, la scissione tra le decisioni di spesa e le fonti di finanziamento induceva alla “deresponsabilizzazione”, l’assenza di tributi propri e l’aleatorietà dei trasferimenti statali, insieme alla consapevolezza di interventi di ripiano ex-post, non incoraggiavano certo l’assunzione di comportamenti

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7 “virtuosi” nella programmazione e nella gestione efficiente delle funzioni di spesa.

L’assetto, quindi, era marcatamente centralistico e alle regioni non era riconosciuto un ruolo autonomo di policy, ma svolgevano una funzione di decentramento di competenze, la cui titolarità politica e finanziaria restava saldamente nelle mani dello Stato.

Da ciò scaturiva la necessità di un robusto rafforzamento dell’autonomia finanziaria, attraverso l’istituzione di tributi propri significativi, l’assegnazione di compartecipazioni al gettito dei tributi statali e la riduzione dei trasferimenti statali, con l’abbandono della destinazione vincolata.

L’opinione prevalente, si fondava sul fatto che il rafforzamento dell’autonomia finanziaria doveva basarsi in primo luogo sui tributi propri, ma anche sulle compartecipazioni.

In base a ciò che stabilì la Commissione di studio per il decentramento fiscale nel 1996 i tributi propri, a differenza delle compartecipazioni, consentivano, attraverso la manovra delle aliquote, un’ effettiva manovrabilità dei bilanci, una piena autonomia finanziaria e comportavano una maggiore responsabilizzazione degli attori delle scelte politiche locali, sia dal lato degli eletti, sia dal lato degli elettori (utenti).

È importante che i tributi locali siano distinti da quelli statali, chiaramente individuabili da parte del contribuente e deve essere chiaro quale livello di governo aumenta o riduce le imposte, e perché.

Il sistema delle compartecipazioni avrebbe reso le responsabilità del prelievo indistinguibili e oscure le scelte dei diversi livelli di governo, “ingannando” il cittadino utente-contribuente.

Con l’istituzione dell’Irap e dell’addizionale regionale all’Irpef le regioni sono state dotate di un’autonomia impositiva ampia.

La manovra delle aliquote dei due tributi ha consentito uno spazio finanziario notevole.

La riforma dei tributi propri (Irap e addizionale Irpef) ha lasciato inizialmente invariato il sistema dei trasferimenti regionali, con l’esplicito intento di non

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8 complicare una riforma già complessa sommandovene un’altra di ampia portata. Fino al 2000 il fondo sanitario è stato quindi alimentato dall’Irap (al 90 per cento) e dall’addizionale Irpef, anziché dai soppressi contributi sanitari.

Il passaggio dai fondi speciali a destinazione vincolata ai trasferimenti generali è stato completato con la riforma attuata all’inizio del 2000 (D.Lgs. n. 56/200028), che ha abolito il Fondo sanitario nazionale.

1.1.3 L’Irap e il finanziamento della sanità

Con l’introduzione dell’Irap e dell’addizionale regionale all’Irpef che sono destinate al finanziamento del bilancio regionale senza vincolo di scopo, si è reso possibile riformare il finanziamento della sanità affrancandolo da entrate, quali i contributi sanitari, che per loro natura debbono avere un vincolo di destinazione. La riforma tributaria ha costituito la premessa per il completamento della riforma della finanza regionale, verso un sistema con bilancio unitario e senza vincoli di destinazione.

Si è aperta la prospettiva di ricondurre la gestione della sanità (finanziamento e spesa) all’interno del bilancio regionale, avviando al superamento dei problemi che hanno condotto periodicamente allo sforamento delle spese rispetto alle dotazioni del fondo sanitario, alla formazione di disavanzi “sommersi” e ai ripiani a piè di lista da parte dello Stato.

1.1.4 La maggiore neutralità del sistema tributario

Quando l’Irap è stata introdotta, nel nostro paese si avvertiva una forte necessità di recuperare un adeguato grado di neutralità dell’apparato fiscale rispetto alle scelte imprenditoriali, perché ci si trovava di fronte ad un sistema fiscale ormai destrutturato da un insieme di provvedimenti scollegati, presi sotto il segno

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9 dell’emergenza finanziaria, in cui alcuni contribuenti subivano un carico eccessivo e altri erano in condizioni di evitarlo e nel quale la neutralità fiscale era considerata totalmente persa.

La maggiore neutralità è stata perseguita attraverso un’aliquota tendenzialmente uniforme29 sul valore aggiunto d’impresa e dunque sulle sue componenti lavoro e capitale, invece di imposte e contributi caratterizzati da una molteplicità di incidenze molto differenziate per settore, area geografica, tipo di qualifiche e livello delle retribuzioni, livello del patrimonio netto, superfici immobiliari occupate ed altre numerose caratteristiche non considerabili qui compiutamente. Come risultato, la maggiore neutralità si è tramutata in una consistente azione redistributiva, che ha portato ad appesantire il carico su alcuni segmenti precedentemente favoriti (chi non era soggetto all’ILOR, ad esempio, ed era fortemente agevolato per i contributi sanitari).

Quindi con l’introduzione dell’imposta si voleva fornire un incentivo dal lato fiscale alla patrimonializzazione delle imprese, nel tentativo di conseguire, in ultimo, un rafforzamento finanziario del sistema produttivo; tale obiettivo è stato raggiunto in parte, dato che in qualche misura, c’è stata una riduzione del vantaggio fiscale per il finanziamento con debito, rispetto a quello con capitale proprio.

In tema di neutralità va però considerato negativamente l’effetto dell’indeducibilità. dell’Irap dal reddito.

Tale indeducibilità, introdotta per evitare che le prerogative delle Regioni in tema di aliquote e basi imponibili Irap potessero alterare ripetutamente ed in misura percettibile il gettito erariale, ha però comportato articolati e difficilmente individuabili impatti redistributivi, che tendono comunque a non premiare le imprese che fanno e dichiarano utili.

29 Il progetto di riforma prevedeva una iniziale differenziazione in sole tre aliquote - 4,25%, 5,4%, 1,9%,

rispettivamente per la generalità dei soggetti, per il settore del credito ed assicurazioni, per l’agricoltura - destinate però a confluire nell’aliquota ordinaria in breve tempo, salvo limitate differenziazioni regionali.

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1.2 Le problematiche sollevate circa la legittimità costituzionale dell’imposta

E’ necessario procedere ad un esame, sia pur schematico e generale, della normativa fondamentale relativa all’imposta regionale sulle attività produttive, al fine di evidenziarne la morfologia e di considerare le problematiche ad essa connesse.

1.2.1 Le caratteristiche dell’imposta

L’Irap è un imposta locale, in quanto colpisce le attività produttive svolte nel territorio delle regioni ed è prioritariamente destinata a finanziare gli Enti pubblici territoriali; è reale perché la capacità contributiva è determinata in modo autonomo rispetto alle condizioni personali del contribuente ed il prelievo viene effettuato isolatamente sul valore aggiunto, senza ricostruire la posizione tributaria complessiva della persona che ha prodotto il valore aggiunto stesso, la tassazione è quindi aggiuntiva e separata rispetto a quella personale fondata sulla combinazione dei diversi elementi reddituali e degli oneri ammessi in deduzione. Inoltre è indeducibile sia dal reddito d’impresa che di lavoro autonomo, al fine di non ridurre il gettito statale, in conseguenza di futuri aumenti dell’aliquota Irap decisi in sede regionale.

Il presupposto del tributo in questione viene identificato, all’articolo 2 del D.Lgs. 15 dicembre 1997, n. 44630, nell’ “esercizio abituale di una attività autonomamente organizzata diretta alla produzione o allo scambio di beni, ovvero nella prestazione di servizi”, aggiungendosi che costituisce in ogni caso presupposto d’imposta l’attività esercitata da società ed enti, compresi gli organi e le amministrazioni dello Stato.

Il primo essenziale problema posto dalla norma è quello della rispondenza del presupposto, così delineato, al principio fondamentale di capacità contributiva di

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11 cui all’art. 53 della Costituzione31, atteso che l’esercizio di un’attività (ancorché economica), in se considerato, e quindi senza riferimento al suo risultato, non manifesta alcuna attitudine alla contribuzione e quindi alla partecipazione alle spese pubbliche ex art. 53 sopra citato.

1.2.2 I soggetti passivi Irap

L’art. 3 del D.Lgs. 446/199732 stabilisce che i soggetti passivi Irap sono tutti i contribuenti che svolgono un attività autonomamente organizzata di produzione e scambio di beni, o di produzione di servizi o che esercitano abitualmente arti e professioni in una o più regioni in Italia, ovvero:

a) le società e gli enti di cui all’articolo 87, comma 1, lettere a) e b), del testo unico delle imposte sui redditi, approvato con D.P.R. 22 dicembre 1986, n. 91733; b) le società in nome collettivo e in accomandita semplice e quelle ad esse equiparate, nonché le persone fisiche esercenti attività commerciali di cui all’articolo 51 del medesimo testo unico;

c) le persone fisiche, le società semplici e quelle ad esse equiparate esercenti arti e professioni di cui all’articolo 49, comma 1, del medesimo testo unico;

d) i produttori agricoli titolari di reddito agrario;

e) gli enti privati di cui all’articolo 87, comma 1, lettera c), del citato testo unico n. 917 del 198634, nonché le società e gli enti di cui alla lettera d) dello stesso comma;

e-bis) le Amministrazioni pubbliche di cui all’articolo 1, comma 2, del decreto legislativo 3 febbraio 1993, n. 2935, nonché le amministrazioni della Camera dei

31

Secondo tale principio:“tutti sono tenuti a concorrere alle spese pubbliche in ragione della loro capacità contributiva”.

32 Da Codice tributario SEAC, edizione 2005, pag. 194. 33 Da Codice tributario SEAC, edizione 2005, pag. 22. 34 Da Codice tributario SEAC, edizione 2005, pag. 22.

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12 deputati, del Senato, della Corte costituzionale, della Presidenza della Repubblica e gli organi legislativi delle regioni a statuto speciale.36

Resta, però, difficile scorgere una capacità contributiva per gli enti pubblici, visto che questi per svolgere le attività istituzionali che gli vengono demandate e per l’erogazione dei servizi essenziali alla collettività, si avvalgono di dipendenti e di collaboratori che vengono remunerati con salari, stipendi e compensi di altra natura.

La capacità contributiva, in effetti, non risiede nell’ente pubblico, ma in coloro che percepiscono i salari, gli stipendi e i compensi.

1.2.3 Un’analisi della base imponibile alla luce del principio di capacità contributiva

L’incompatibilità del tributo rispetto al principio della capacità contributiva, emerge soprattutto alla luce di un’attenta analisi della sua base imponibile, disciplinata dall’art. 3 del D.Lgs. 446/199737, secondo cui, essa è costituita dal valore della produzione netta derivante dall’attività svolta dal soggetto passivo nel territorio di una o più regioni in Italia. Il legislatore tributario ha differenziato le modalità di determinazione della base imponibile facendo riferimento alla tipologia di soggetto passivo, al regime contabile e all’attività svolta:

Gazzetta Ufficiale del 25 maggio 1998 n. 98/L S.O.

36 Sono invece soggetti esclusi dall’Irap i lavoratori dipendenti, i soggetti che svolgono prestazioni di

collaborazione coordinata e continuativa, i lavoratori autonomi occasionali, i G.E.I.E.di cui al D.Lgs. 23 luglio 1991, n. 240, i fondi comuni di investimento, i fondi pensione, soggetti in liquidazione volontaria o sottoposti a procedura fallimentare, se non vi è esercizio provvisorio dell’impresa e le società poste in regime di amministrazione straordinaria se non è autorizzato l’esercizio provvisorio dell’attività, i titolari di reddito agrario di cui all'art. 29 del TUIR, con volume d'affari annuo non superiore a 2500 € (ovvero 7500 € se operano in lavori montani), esonerati dagli adempimenti agli effetti IVA e i soggetti non residenti almeno che non abbiano svolto la loro attività per almeno tre mesi sul territorio nazionale mediante stabile organizzazione, base fissa o ufficio.

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13 • Per le società di capitali38, le società cooperative, di mutua assicurazione, altri enti commerciali residenti, società in nome collettivo, società in accomandita semplice e imprenditori commerciali individuali la base imponibile si determina come differenza tra valore e costi della produzione di cui alle lettere A) e B) del conto economico:

A) VALORE DELLA PRODUZIONE:39

 Ricavi delle vendite e delle prestazioni

 Variazioni delle rimanenze di prodotti finiti, semilavorati e in corso di lavorazione

 Variazioni di lavori in corso su ordinazione  Incrementi di immobilizzazioni per lavori interni  Altri ricavi e proventi

B) COSTI DELLA PRODUZIONE:

 per materie prime, sussidiarie, di consumo e di merci;  per servizi;

 per godimento di beni di terzi;  ammortamenti e svalutazioni:

- ammortamento delle immobilizzazioni immateriali; - ammortamento delle immobilizzazioni materiali;  variazioni delle rimanenze di materie prime, sussidiarie, di

consumo e merci;

 oneri diversi di gestione.

38 In “Irap, imposta regionale sulle attività produttive”, di E. Cintolesi, G. Mocci e C. Oneto, Giuffrè

editore, pag. 22.

39 La Legge Finanziaria 2008 ha però modificato la determinazione degli elementi rilevanti per il

computo dell’imposta regionale sulle attività produttive con lo scopo di trasformarla da tributo erariale a tributo regionale.

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14 Ai fini dell’incompatibilità tra Irap e principio di capacità contributiva, è importante sottolineare che tra i costi deducibili non sono compresi i costi per il personale, e dato che non vengono prese in considerazione le voci del conto economico attinenti alla gestione finanziaria e straordinaria dell’impresa, non possono essere dedotti neppure gli interessi passivi.

• Per gli esercenti arti e professioni il valore della produzione netta è costituito dalla differenza tra i compensi percepiti e le spese sostenute nell’esercizio dell’arte o professione includendo gli ammortamenti ma escludendo anche in tal caso gli interessi passivi e le spese per il personale;

• Per i produttori agricoli la determinazione del valore della produzione netta avviene effettuando la differenza tra il totale dei corrispettivi e il totale degli acquisti destinati alla produzione.

• Per la determinazione del valore della produzione netta degli enti non commerciali residenti e non residenti e organi ed amministrazioni dello stato si fa riferimento a quanto previsto dall’art. 10 del D.Lgs. 446/199740.

L’art. 11 stabilisce le disposizioni comuni per la determinazione del valore della produzione netta e prevede oltre alla indeducibilità dei compensi per il personale dipendente e per le prestazioni assimilate e di collaborazione coordinata e continuativa:

- La indeducibilità dei costi per prestazioni di lavoro occasionale, degli utili erogati agli associati in partecipazione, qualora l’apporto sia costituito esclusivamente dalla prestazione di lavoro, nonché della componente finanziaria dei canoni di leasing;

- La integrale deducibilità per le assicurazioni obbligatorie contro gli

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15 infortuni sul lavoro e delle spese relative agli apprendisti, e la parziale deducibilità (nella misura del 70%) delle spese per il personale assunto con contratti di formazione lavoro;

- L’applicabilità delle regole dettate dal TUIR41 in relazione ai componenti positivi che entrano a comporre la base imponibile Irap. Ciò significa che le variazioni in aumento o in diminuizione, determinate dall’applicazione delle regole fiscali in materia di imposte sui redditi, determineranno un aumento o una diminuizione della base imponibile Irap, qualora si tratti di componenti rilevanti ai fini di quest’ultima 42;

- La prevalenza della classificazione dei componenti positivi e negativi secondo corretti principi contabili, rispetto alla loro collocazione nel conto economico.

Dopo aver effettuato un esame della normativa sulla determinazione della base imponibile, è possibile domandarsi se l’Irap può considerarsi un tributo razionale e rispondente ai principi fondamentali della Costituzione.

La dottrina prevalente43 critica l’Irap perché ritene che sia un tributo privo di giustificazione in termini di capacità contributiva, ovvero di quel principio sancito dall’articolo 53 della Costituzione, che è stato introdotto con lo scopo di porre limiti incisivi alla discrezionalità del legislatore tributario.

Tali limiti si sostanziano nella imprescindibile necessità che alla radice

41 Da Codice tributario SEAC, edizione 2005, pag. 22.

42 Dal periodo d’imposta 2008 la base imponibile del tributo regionale è costituita dai valori civilistici del

bilancio e pertanto nessuna rilevanza verrà attribuita alla normativa prevista per le imposte dirette, quindi non sussisterà più parallelismo tra i componenti rilevanti ai fini IRAP e quelli per le imposte dirette.

43

In tal senso si vedano Grassi, “ L’Irap.Un tributo che esige una lettura poco convincente dell’articolo 53 della Costituzione” in Il Fisco, 1999, pag. 1136, R.Schiavolin, “Sulla dubbia conformità dell’Irap al principio di capacità contributiva”, in Riv. Dir. Trib.,1998, pag. 737, F. Moschetti “Profili costituzionali dell’Irap, imposta disattenta alla persona e alla tutela del lavoro”, in Riv. Dir. Trib. 1999, I, pag. 735, R. Baggio “Profili di Irrazionalità ed illegittimità costituzionale dell’imposta regionale sulle attività produttive”, in Riv. Dir. Trib, anno 1997, I , pag. 633.

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16 dell’imposizione vi sia un’idoneità effettiva del contribuente ad eseguire la prestazione impostagli coattivamente, idoneità desumibile dall’esistenza di un presupposto economico cui la prestazione deve necessariamente collegarsi44. La legittimità dell’imposizione, pertanto, potrà riconoscersi esclusivamente quando essa si fondi sull’idoneità del contribuente a sopportarne il sacrificio economico, ovvero su manifestazioni di ricchezza di qualsiasi consistenza essa sia45.

La dottrina prevalente46 non sostiene però, che solo il reddito possa essere l’indice di ricchezza idoneo a giustificare la tassazione sotto il profilo della capacità contributiva, ma si limita a dare un giudizio negativo sulla razionalità delle scelte fatte in merito al calcolo della base imponibile e dell’imposta.

L’Irap colpisce (nei limiti del valore della produzione netta) la remunerazione dei fattori produttivi, cioè i profitti (remunerazione del capitale di rischio), gli interessi (remunerazione del capitale di prestito) e i salari (remunerazione del capitale umano), e quindi il cosiddetto valore aggiunto, una forma di manifestazione di ricchezza che non era mai stata chiamata alla contribuzione.

44 Cfr. Corte Cost., 10 luglio 1968, n. 97 in De Mita, Fisco e Cost. I, pag. 273: in tema di esenzione dei

redditi minimi, laddove la Corte precisava che la capacità contributiva costituisce presupposto legittimo d’imposta soltanto se effettiva, per cui chi possegga un reddito che si riveli appena sufficiente a far fronte ai bisogni della vita deve essere dal legislatore esentato dall’obbligo d’imposta, non consistendo la capacità contributiva nella percezione di qualsiasi reddito.

45 Cfr. Corte Cost. 28 luglio 1976, n. 200, in “Giur. Imp.”1976, pag 267, laddove si afferma che l’art. 53

della Costituzione risponde all’esigenza di garantire che ogni prelievo tributario abbia cause giustificatrici in indici concretamente rivelatori di ricchezza dai quali sia razionalmente deducibile l’idoneità soggettiva all’obbligazione d’imposta.

46

In tal senso si vedano R. Schiavolin, “Sulla dubbia conformità dell’Irap al principio di capacità contributiva”, in Riv. Dir. Trib.,1998, pag. 737,F.Battistoni Ferrara, “L’irap è un’imposta anticostituzionale”,in Riv. Dir. Trib., 2000, pag. 95, F. Moschetti “Profili costituzionali dell’Irap, imposta disattenta alla persona e alla tutela del lavoro”, in Riv. Dir. Trib. 1999, I, pag. 735, A. Salvati, “Alcuni spunti in tema di costituzionalità dell’Irap”, in Rass. Trib., 1998, pag. 1627, R. Baggio “Profili di Irrazionalità ed illegittimità costituzionale dell’imposta regionale sulle attività produttive”, in Riv. Dir.

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17 Secondo Lupi47, il problema di costituzionalità non riguarda la parte dell’Irap relativa ai profitti, che comunque si giustificherebbe con la produzione di un reddito da parte dello stesso soggetto colpito dall’imposta, ma riguarda la parte dell’Irap relativa agli interessi passivi e ai redditi di lavoro perché i critici48 ritengono che questi dovrebbero essere tassati in capo ai loro percettori e non a colui che li eroga.

In definitiva quel che riesce difficile comprendere è come il semplice esercizio di un’attività organizzata, il mero combinarsi di fattori della produzione, possa di per sé essere assunto a indice di capacità contributiva in aggiunta agli indici attuali: il reddito, il patrimonio, il consumo o le altre manifestazioni di potenzialità economica già alla base dei tributi vigenti49.

Sotto questo profilo la relazione della Commissione Gallo50 aveva ipotizzato una giustificazione molto sofisticata dell’imposta.

Secondo questa concezione l’imposta avrebbe dovuto giustificarsi con l’oggettiva attitudine di una organizzazione, non necessariamente imprenditoriale, a produrre reddito, a prescindere dal fatto che tale reddito fosse davvero prodotto in concreto. A monte di questa tesi c’è una concezione della capacità contributiva, vista non solo come sinonimo di ricchezza, ma anche come forza economico-organizzativa.51

47

Cfr. R.Lupi, “L’Irap tra giustificazioni costituzionali e problemi applicativi”, in Rass. Trib., 1997, pag. 1407.

48 A tal proposito A. Salvati, “Alcuni spunti in tema di costituzionalità dell’Irap”, in Rass.Trib. 1998, pag.

1627.

49 Cfr. L.Ferlazzo Natoli e A. Colli Vignarelli, “Il meccanismo impositivo dell’Irap, dubbi di legittimità

costituzionale”, in Boll. Trib., 1998, pag. 649.

50 Commissione di studio per il decentramento fiscale, “Le proposte per la realizzazione del federalismo fiscale”, Roma, Marzo 1996.

51

A tale riguardo è importante citare la relazione finale della Commissione Gallo, in cui si afferma che “dal punto di vista giuridico costituzionale presupposto di questa versione dell’Irap sarebbe più puntualmente l’esercizio di attività organizzate che si esprimono in una sequenza di atti e comportamenti coordinati e programmati al conseguimento di fini unitari stabilmente perseguiti…..l’organizzazione si risolve, per il suo titolare, in disponibilità di beni e in prestazioni economicamente valutabili, corrispondenti alla potenzialità produttiva dell’organizzazione stessa. Sotto questo profilo l’esercizio di

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18 La Commissione concepiva la capacità contributiva come “potere di organizzazione” dell’imprenditore rispetto ai fattori della produzione trovandosi così costretta ad ipotizzare l’esistenza in capo all’unità produttiva, di una capacità contributiva autonoma, impersonale e di tipo reale, separata ed aggiuntiva rispetto a quella personale dei singoli percettori di redditi e basata sulla capacità produttiva che derivava dalla combinazione di diversi fattori. Tale concezione, però, è stata accolta solo da una ristretta cerchia di addetti ai lavori52 e non perché si scontrava con pregiudizi contrari ad una certa forma di ricchezza, quanto per la difficoltà di individuare la ricchezza sottostante a questa tassazione. Il potere organizzativo di cui si è detto appariva al massimo sufficiente a giustificare un’ imposta “di patente”, in cifra fissa o rapportata a indicatori materiali delle dimensioni dell’imprese.

L’Irap è invece determinata con criteri contabili, su grandezze precise e che non sempre rispecchiano, secondo il senso comune, l’effettivo potere delle imprese che la pagano.

Secondo Schiavolin53, è irrilevante, ai fini del principio di capacità contributiva, il semplice esercizio di un’attività, per quanto “organizzata”, non sembra idoneo a giustificare un prelievo, in capo a chi la esercita, commisurato non alla ricchezza trattane da questi, ma al valore aggiunto da essa prodotto.

Infatti, il principio di capacità contributiva implica che ciascun contribuente

attività autonomamente organizzate può essere assunto a indice di capacità contributiva, distinto dal reddito, dal patrimonio, dal consumo e dalle altre manifestazioni di potenzialità economica già assunte a fondamento dei tributi vigenti nell’attuale sistema”.

52 In tal senso P. Bosi “I tributi nell’economia italiana”, Bologna 1997, E. Narduzzi, “L’Irap stimola la

ricerca dell’efficienza economica” da Italia Oggi del 7 giugno, 1997, F.Gallo, “La tassazione dei redditi d’impresa: i difetti e le proposte di modifica” in Rass.Tib., 1997, pag. 121 nel quale l’autore sostiene che “sul piano giuridico-costituzionale, presupposto dell’imposta è, quindi, l’esercizio di attività organizzate che si esprimono in sequenze di atti e comportamenti coordinati e programmati al conseguimento di fini unitari stabilmente perseguiti. Dove è sufficiente per la tassazione, sotto il profilo della capacità contributiva, il semplice fatto che l’attività abbia rilevanza economica, sia collegata cioè a fatti e situazioni concretamente espressivi di potenzialità economica identificabili nei singoli fattori della produzione”.

53 Cfr. R. Schiavolin, “Sulla dubbia conformità dell’Irap al principio di capacità contributiva”, in Riv.dir.trib., 1998, pag. 737.

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19 concorra alle spese pubbliche soltanto in ragione di una forza economica riferibile a lui, e non di quella di altri54.

Il valore aggiunto esprime una ricchezza dell’esercente l’attività solo per la parte corrispondente al reddito, mentre per il resto si tratta di ricchezza riferibile ai lavoratori ed ai finanziatori cui è destinata. Se dunque l’Irap su questa quota di valore aggiunto resta a carico del soggetto passivo, finisce per colpire in realtà il suo reddito, o se il reddito non è sufficiente o se l’impresa è in perdita, il suo patrimonio.

Dunque Schiavolin afferma che”l’Irap è contraria al principio di capacità contributiva di cui all’art. 53 della Costituzione, laddove tassa il soggetto passivo in relazione ad una ricchezza altrui”.

Un’ulteriore giustificazione addotta a favore dell’Irap, è quella basata sul principio del beneficio, cioè del consumo di servizi pubblici che un’impresa provoca55.

Secondo Baggio56, tale giustificazione non ha però avuto riscontro nella collettività, perché sotto questo profilo, occorrerebbe un’imposta basata sulla funzione della produzione, sulla potenzialità degli impianti, sulla superficie occupata, sul numero dei dipendenti (e non sulle retribuzioni) o su altri indici extra contabili che diano un’idea dei servizi pubblici che l’impresa impone indirettamente di attivare; è invece facile vedere quanto tenue sia la relazione tra il suddetto consumo di servizi pubblici e l’ammontare degli interessi passivi o dei

54 Cfr. R. Schiavolin, “Il collegamento soggettivo”, in La capacità contributiva, a cura di F. Moschetti,

Padova 1993, pag. 67.

55 Secondo la relazione Gallo “ogni attività organizzata comporta la presenza e la circolazione delle

persone che ad essa concorrono, nonché dei loro familiari e la creazione od utilizzazione di strutture materiali, richiedendo quindi la realizzazione di infrastrutture e servizi a cui sono specificatamente deputati gli enti pubblici aventi competenza di gestione del territorio, urbanistica, sanità, trasporti e simili. In particolare l’esercizio di queste attività comporta diseconomie esterne e pregiudizio , in diverse forme, di interessi dell’intera collettività o diffusi tra i suoi membri, a tutela dei quali gli enti suddetti sono tenuti ad intervenire. La copertura di questi costi con un tributo locale si giustifica anche in termini di beneficio”.

56 Cfr. R. Baggio, “Profili di irrazionalità e illegittimità costituzionale dell’imposta regionale sulle attività

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20 salari erogati dall’impresa.

Inoltre, secondo il principio di capacità contributiva, le imposte non vengono prelevate in ragione dei benefici che il singolo ritrae dall’attività degli enti pubblici, ma sulla base della sua ricchezza effettiva57.

Su questo punto la dottrina e la giurisprudenza della Corte costituzionale sono concordi, anche perché se così non fosse l’introduzione dell’Irap sarebbe incoerente rispetto al principio di solidarietà di cui all’articolo 2 della Costituzione e i principali contribuenti dovrebbero essere le persone meno abbienti, gli indigenti, i disoccupati e le persone anziane, dato che tali soggetti sono quelli che accedono con maggiore frequenza ed intensità ai servizi erogati dallo Stato e dagli enti pubblici in generale.

Schiavolin58 ha affermato che “è irrilevante, ai fini del principio di capacità contributiva, giustificare l’Irap nella logica del beneficio, perché sul piano economico, è razionale osservare che alla produzione concorrono anche i beni e servizi pubblici indivisibili e dunque la Regione ha titolo per partecipare, tramite l’Irap alla distribuzione del valore aggiunto. Ma ciò non ha niente a che fare con la capacità contributiva, giacché, almeno nell’interpretazione assolutamente prevalente, questa non va collegata alla fruizione dei servizi pubblici, ma ad indici di ricchezza del contribuente”.

Benché le teorie del “potere di comando” e del “consumo di servizi pubblici”, siano state considerate per alcuni versi suggestive, per difendere la costituzionalità dell’Irap è stato necessario affiancarle a giustificazioni più tradizionali e solide agli occhi dell’opinione pubblica.

Una giustificazione esposta in questi termini è stata quella della ricchezza prodotta presso l’impresa e ripartita in retribuzioni, interessi e profitti.

Nell’ambito dei costi dell’impresa, alcuni sono sostenuti a fronte di beni e servizi in genere provenienti da altre imprese (materie prime, beni strumentali, ecc.), ci

57 Falsitta, L’Irap, cit; Manuale di diritto tributario, Padova, 1997, pag. 21; Moschetti, op. cit, pag. 246;

Lupi, Diritto tributario. Parte generale, Milano, 1995, pag. 66.

58 Cfr. R. Schiavolin, “Sulla dubbia conformità dell’Irap al principio di capacità contributiva”, in Riv.dir.trib., 1998, pag. 737.

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21 sono poi acquisti che provengono dall’esterno del mondo imprenditoriale, come quelli relativi alla forza lavoro e al capitale di debito.

La differenza fra i ricavi e i costi per beni e servizi di impresa costituisce il valore della produzione netta (valore aggiunto) che poi viene ripartito tra salari, interessi ed eventuali profitti.

Secondo Lupi59, quindi è scorretto affermare che l’Irap colpisce salari e interessi come tali; è invece vero che interessi e salari non sono deducibili perché rappresentano componenti del “valore aggiunto”.

Lo stesso autore60ritiene che alla maggior parte dei critici è sfuggito che salari ed interessi non vengono colpiti come tali, ma solo nella misura in cui trovano capienza nel suddetto valore della produzione netta. Le eccedenze di interessi passivi e di salari rispetto al valore della produzione netta non sono invece tassate, perché non rappresentano valore aggiunto; in questi casi l’impresa distribuisce ai dipendenti e ai finanziatori una ricchezza che non è neppure riuscita a creare.

Ecco perché a parità di valore della produzione netta, si paga sempre la stessa imposta, anche se aumentano gli interessi passivi o le retribuzioni.

L’aumento di queste voci viene assoggettato all’Irap, ma siccome la produzione netta rimane la stessa, l’incidenza del tributo non cambia perché corrispondentemente il profitto d’impresa si riduce.

Quindi nel caso in cui un’impresa decida di assumere nuova manodopera o di prendere a mutuo ulteriori capitali sarà assoggettata ad una maggiore Irap solo nel caso in cui l’investimento sia produttivo di valore aggiunto ulteriore, mentre in caso contrario l’imposta dovuta sarà la stessa, pagata proporzionalmente di più sui salari e sugli interessi piuttosto che sui profitti.

Quindi l’Irap non tassa salari, interessi e profitti, ma tassa la produzione netta indipendentemente da come essa si scompone in salari, interessi e profitti.

59 Cfr. R.Lupi, “L’Irap tra giustificazioni costituzionali e problemi applicativi”, in Rass. Trib., 1997,

p.1407.

60 Cfr. R.Lupi, “L’Irap tra giustificazioni costituzionali e problemi applicativi”, in Rass. Trib., 1997,

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22 Se un’impresa ha costi industriali, professionali ed altri costi (deducibili ai fini Irap) che superano i ricavi, non crea ricchezza, ma la distrugge e perciò non solo non ha profitto, ma nemmeno valore aggiunto.

Da ciò si evince, nell’opinione di Lupi, la ragione per cui i costi industriali e professionali sono deducibili dalla base imponibile Irap, mentre gli interessi ed i salari non lo sono; finché il valore aggiunto riesce a sostenere interessi passivi e salari l’impresa crea ricchezza, sia pure in capo ad altri (lavoratori o finanziatori); quando invece i ricavi sono insufficienti a remunerare persino i costi per beni e servizi industriali e professionali, le remunerazioni erogate ai dipendenti e ai finanziatori non sono state create dal valore aggiunto dell’impresa, ma ne rappresentano un puro e semplice depauperamento. In questo caso, infatti, il conto economico dell’impresa, oltre a chiudere in perdita, non riesce a remunerare neppure il lavoro e il capitale di prestito.

In quest’ottica l’impresa è chiamata a pagare il tributo perché presso di lei si forma ricchezza (valore aggiunto), indipendentemente dal fatto che tale ricchezza sia destinata a remunerare l’imprenditore, i lavoratori o i terzi finanziatori.

Quindi il valore aggiunto distribuito ai fornitori collocati tipicamente61 all’esterno del mondo imprenditoriale (dipendenti e finanziatori) è tassato presso l’impresa, insieme ai profitti in senso stretto.

La tassazione Irap del costo del lavoro ha una ragione logica autonoma rispetto alla continuità col precedente regime dei contributi sanitari, perché mentre la tassa sulla salute era ormai diventata una vera e propria imposta sanitaria, il passaggio all’Irap ha formalizzato definitivamente il passaggio dal contributo-corrispettivo, a carico dei beneficiari del servizio sanitario, all’imposta gravante sulla fiscalità generale.

Inoltre, la tassazione degli oneri finanziari sostenuti dall’impresa, non è stato stabilito con la volontà di interferire sui processi di capitalizzazione delle imprese

61 L’avverbio “tipicamente” sta a significare che si tratta di acquisti che nella maggior parte dei casi

provengono dal mondo imprenditoriale, a prescindere dalle situazioni particolari di beni o servizi deducibili ai fini Irap, ma non provenienti da imprese (canoni di locazione riscossi dai privati, diritti di autore, etc.).

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23 per motivi pregiudiziali e dirigistici, ma con lo scopo di attenuare la posizione di vantaggio di cui beneficiano i redditi finanziari che per la loro volatilità, polverizzazione, per la globalizzazione dei mercati finanziari e la caduta delle frontiere, godono, in capo al percettore, di un’imposizione più mite di quella ordinaria.

Quindi, come osserva Lupi62, l’indeducibilità degli interessi passivi dalla base imponibile Irap è giustificata dal fatto che per lo stato è più facile inseguire le imprese eroganti piuttosto che milioni di investitori e quell’arricchimento che non può essere tassato appieno sul percettore, è oggetto di una tassazione aggiuntiva in capo all’impresa (che attraverso la rivalsa potrà traslare in parte l’onere dell’Irap sui propri finanziatori).

Questa funzione dell’imposta ha perso un po’ della propria purezza concettuale nella pratica, per l’evidente necessità di trattare tutti gli interessi passivi nello stesso modo, senza discriminare in base al percettore; l’Irap incide, infatti, su tutti gli interessi passivi, anche quelli erogati a imprese, per le quali (a differenza dei soggetti privati) l’interesse attivo è soggetto a tassazione piena. Inoltre, tale funzione si svolge nei limiti in cui l’interesse passivo trova capienza nel valore aggiunto.

Secondo Ferlazzo Natoli e Colli Vignarelli63, invece, gli interessi passivi ed i costi del personale sono “spese necessarie”sostenute dal soggetto per poter svolgere la propria attività e che non presentano quel possibile aspetto elusivo che legittima il legislatore fiscale a dettare delle norme sull’indeducibilità totale o parziale di determinati costi (ad esempio per autovetture, cellulari, etc.).

La norma appare punitiva nei confronti dei “meno virtuosi”che si indebitano, ma anche nei confronti di coloro che, per necessità, devono avvalersi di personale dipendente al fine di svolgere un’attività produttiva.

Tutto ciò non tiene conto del fatto che spesso l’indebitamento è fisiologico allo

62 R. Lupi, ''L'Irap tra giustificazioni e problemi applicativi'', Dottrina e Pratica Ragionata, 1997, pag.

1407.

63 L. Ferlazzo Natoli e A. Colli Vignarelli, “Il meccanismo impositivo dell’Irap:dubbi di costituzionalità”,

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24 svolgimento di un’attività, specialmente nella fase iniziale dell’attività stessa, come pure è indispensabile il ricorso al lavoro dell’uomo (che in alcuni settori produttivi può essere sostituito dalle macchine con difficoltà).

1.2.4 Le altre questioni relative all’incostituzionalità

Va comunque evidenziato che sono state sollevate altre questioni relative ad una presunta incostituzionalità dell’Irap.

L’ordine dei dottori commercialisti, ad esempio, ritiene sia incostituzionale l’equiparazione, implicita nella normativa dell’Irap, tra l’esercizio di arti e professioni e l’esercizio d’impresa: “i redditi di lavoro autonomo hanno la propria fonte nel lavoro e non nella combinazione di capitali e di lavoro come quelli di impresa”.

In effetti l’introduzione dell’Irap, in sostituzione tra l’altro dell’Ilor, ha portato al superamento della discriminazione qualitativa dei redditi derivanti dalla fonte “lavoro”, rispetto ai redditi derivanti dalla fonte “capitale”.

Un principio, quello della discriminazione qualitativa, che ha costituito una caratteristica tradizionale del nostro sistema impositivo e che ha trovato più volte consenso e sostegno anche nelle sentenze della Corte Costituzionale64.

Un'altra critica che è stata mossa nei confronti dell’imposta è riferibile al presunto carattere discriminatorio della sua introduzione, che aggraverebbe eccessivamente alcune imprese a favore di altre.

In particolare, come evidenziato da Nuzzo65, l’Irap, ha introdotto un’aliquota unica e generalizzata66, ad eccezione del settore agricolo e di quello bancario,

64

Cfr. Corte Cost., 26 marzo 1980, sentenza n. 42; Corte Cost., 1986, sentenza n. 87, da www.giurcost.org.

65 E.Nuzzo, Il decentramento fiscale costretto a segnare il passo, da Il Sole 24 Ore del 27/11/97.

66 In base all'art. 16 del D.Lgs. 446/97 l'imposta è determinata applicando al valore della produzione netta

l'aliquota del 4,25% (salvo quanto previsto dall'art. 45 dello stesso decreto) e le regioni hanno facoltà di variare l'aliquota, sino ad un massimo di un punto percentuale, anche differenziandola per settori di

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25 anche a carico di coloro che non beneficiavano dei vantaggi dell’abolizione dell’Ilor e dei contributi sanitari, senza aver considerato quella differenziazione (appunto di aliquote) da più parti giudicata necessaria e prevista dalla legge delega.

In effetti, con l’introduzione dell’Irap si registra, oltre all’abolizione dell’Ilor, anche la scomparsa di fatto di tutti i regimi di fiscalizzazione degli oneri sanitari, ad eccezione di quello per il Mezzogiorno e per le aree depresse, a fronte del quale è riconosciuto un abbattimento dell’Irap.

Aver azzerato di colpo tutta l’articolazione del prelievo da contributi sanitari, fa sì che a parità di altre condizioni le imprese si trovino svantaggiate o avvantaggiate dall’introduzione dell’Irap in relazione alla maggiore o minore aliquota di contribuzione sanitaria precedente.

Il Ministero delle Finanze ha giustificato la soluzione adottata, sostenendo che per riconoscere la preesistente fiscalizzazione si sarebbe dovuto creare un regime di aliquote e differenziazioni Irap molto complesso e che comunque “la progressiva apertura del mercato dei servizi e la caduta del protezionismo ha reso sempre meno significativa la diversificazione delle fiscalizzazioni dei contributi sociali.67Una posizione condivisa anche dal Presidente di Confindustria, Fossa, che ha ritienuto positivo il fatto che “tutta una serie di categorie che prima avevano dei privilegi oggi hanno privilegi ridotti68”.

attività o categorie di contribuenti.Per gli agricoltori la legge finanziaria 2007 (art. 1, c. 390) ha previsto un'aliquota corrispondente al 3,75% e per banche, altri enti e società finanziarie ed imprese di assicurazione l'aliquota dell'Irap è stata elevata di un punto percentuale e portata al 5,25% a decorrere dall'anno 2007.Con l’articolo 1, comma 50, lettera h) della Legge Finanziaria 2008 tali aliquote sono state modificate e l’aliquota Irap è stata ridotta dal 4,25% al 3,90% a decorrere dal periodo d’imposta successivo a quello in corso al 31 dicembre 2007.

67 Le risposte del Ministero delle Finanze ad alcuni quesiti posti da Il Sole 24 ore sono contenute ne Il

sole 24 ore del22/10/97.

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26

1.2.5 L’indeducibilità dell’Irap ai fini delle imposte sui redditi

Questa regola sancita dal comma 2 dell’articolo 1 del D.Lgs. 446/199769 ha contribuito, così come quelle analizzate nel precedente paragrafo, a far nascere dei dubbi circa la conformità dell’Irap al principio di capacità contributiva.

A tale riguardo M.A.Galeotti Flori70 ha fatto notare che l’incostituzionalità dell’Irap sarebbe relativa non solo al primo comma dell’art. 53 della Costituzione, ma anche al secondo comma, per il quale il sistema tributario è informato a criteri di progressività: “la disposta indeducibilità dell’Irap comporta che imprese, la cui gestione sia effettivamente in perdita (dovuta appunto alla componente negativa del reddito costituita dall’Irap), paghino ugualmente l’Irpef o l’Irpeg come se avessero prodotto un reddito e che imprese con gestione in utile vengano tassate con prelievo anche pari o superiore all’utile stesso; da ciò consegue una tassazione irrimediabilmente regressiva che va contro il principio dell’art. 53 comma 2”.

Secondo Schiavolin71, il reddito d’impresa (o di lavoro autonomo) va inteso al netto dei costi inerenti alla sua produzione, e l’Irap è uno di questi perché colpisce l’attività produttiva, o quantomeno si collega ad alcuni costi ad essa relativi, diminuendo quindi l’utile.

Né essa può rientrare nella previsione (art. 64 TUIR72) che esclude la deduzione delle imposte sui redditi non essendo questo il suo oggetto (anche se una parte del valore aggiunto corrisponde al reddito del soggetto passivo e di quelle per le quali è ammessa la rivalsa).

Una regola essenziale al concetto di reddito è stata dunque derogata senza una ragionevole giustificazione, violando così il principio di capacità contributiva. Infatti, negando la deduzione di una spesa inerente, si tassa non più il reddito

69

In Codice tributario SEAC, edizione 2005, pag. 194.

70 M.A.Galeotti Flori, “L’Irap inciampa anche sui costi dell’indeducibilità”, da Il Sole-24 Ore del

23/07/97.

71 Cfr. R. Schiavolin, “Sulla dubbia conformità dell’Irap al principio di capacità contributiva”, in Riv.dir.trib., 1998, pag. 737.

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27 netto, indice di capacità contributiva che giustifica l’applicazione di Irpef ed Ires, ma un reddito lordo che se ne allontana in maggiore o minor misura.

L’indeducibilità dalle imposte sui redditi era prevista anche per l’Ilor, e per l’imposta sul patrimonio netto, quindi non si può dire che questa discenda dalla natura dell’Irap.

Infatti l’indeducibilità dell’imposta è dovuta ad una scelta tecnico-politica che ha come obiettivo quello di ottenere l’invarianza del gettito globale dopo la riforma, mediante un aumento artificioso del reddito imponibile piuttosto che dell’aliquota Irap.73

La Commissione Gallo74 si era mostrata piuttosto indifferente al riguardo, non escludendo in via di principio la possibilità di ammettere la deduzione, ma ritenendo “preferibile”, per il momento, l’indeducibilità, per ragioni di semplicità amministrativa e di chiarezza nei rapporti tra Stato e Regioni.

Con la deducibilità, infatti, a parere della Commissione, si sarebbero creati disagi per i contribuenti e per il Fisco, derivanti da un aumento dei crediti d’imposta per Irpef ed Ires; si sarebbe dovuta aumentare l’aliquota Irap per conservare la parità di gettito e si sarebbe diminuita la prevedibilità del gettito delle imposte erariali sui redditi, in conseguenza delle maggiorazioni di aliquota da parte delle regioni. Si tratta però di spiegazioni insufficienti, in quanto la questione, non può essere liquidata sul piano delle opportunità, né su quello del confronto con la situazione precedente (se infatti non era deducibile l’Ilor, lo erano i contributi sanitari e l’Iciap).

73 Per i contribuenti la scelta legislativa tra una maggiore aliquota Irap e la deducibilità della stessa dal

reddito non è indifferente, giacché questa decisione penalizza chi ha spese più elevate per retribuzioni ed interessi passivi, a vantaggio di chi subisce l’Irap prevalentemente sui profitti.

74 Commissione di studio per il decentramento fiscale, “Le proposte per la realizzazione del federalismo fiscale”, Roma, Marzo 1996.

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28

1.3 La sentenza della Corte Costituzionale n. 156/2001

A seguito dell’acceso dibattito verificatosi dopo l’introduzione dell’imposta, un primo chiarimento è giunto con la sentenza della Corte Costituzionale n. 156 del 21 maggio 200175.

La Corte è stata chiamata in causa con ordinanza emessa il 6 ottobre 1999 dalla Commissione tributaria provinciale di Torino che ha sollevato, in riferimento agli artt. 3, 23, 53 e 76 della Costituzione, questione di legittimità costituzionale del Decreto legislativo 15 dicembre 1997, n. 44676 successivamente al ricorso, proposto da un contribuente, avverso il silenzio-rifiuto dell'Amministrazione su un'istanza di rimborso del primo acconto dell'imposta regionale sulle attività produttive per l'anno 1998.

La Commissione osservando che l'imposta si applica sul valore della produzione netta derivante dall'attività esercitata nel territorio della regione, ha ritenuto che questa sia in contrasto con l'art. 53 della Costituzione, in quanto assume come indice di capacità contributiva non il reddito ma l'attività produttiva in sé, e cioè una mera potenzialità di capacità contributiva.

Inoltre la Commissione riteneva che l’imposta, avendo come presupposto il mero svolgimento di un'attività produttiva, a prescindere dai risultati di tale attività, non avrebbe colpito alcun fatto espressivo di capacità contributiva e sottoponeva in particolare a critica la tesi secondo cui il fondamento costituzionale dell'imposta stessa dovrebbe rinvenirsi in una nozione oggettiva e non soggettiva della capacità contributiva, riferibile cioè all'organizzazione che svolge attività di impresa e non alla persona fisica dell'imprenditore.

La nozione di capacità contributiva, alla luce del consolidato orientamento della Corte Costituzionale, sarebbe, infatti, riferibile esclusivamente alle persone fisiche (e, forse, alle persone giuridiche) e non certo ad una organizzazione oggettivamente considerata.

75 In“Finanza & Fisco”, 2001, pag. 3194.

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29 L'Avvocatura, però, ha ribadito, nel ricorso n. 21700/0477, che l'Irap non è un'imposta sul reddito complessivo netto del soggetto passivo ma è bensì un'imposta "che colpisce, con carattere di realità, il valore della produzione e cioè incide sul valore aggiunto netto prodotto autonomamente presso ciascun soggetto passivo" in dipendenza dell'esercizio dell'attività organizzata imprenditoriale o professionale e ha ricordato, al riguardo, che la stessa Corte ha ripetutamente affermato che rientra nella discrezionalità del legislatore, con il solo limite della non arbitrarietà, l'individuazione dei singoli fatti espressivi di capacità contributiva, cosicché il giudizio di legittimità costituzionale delle norme denunciate, con riferimento al parametro di cui all'art. 53 della Costituzione, si risolve "nel verificare, nei limiti del controllo della razionalità che compete al giudice delle leggi, se l'Irap sia dal legislatore ricollegata e ragguagliata ad un ragionevole presupposto espressivo di forza economica e quindi significativo di attitudine alla contribuzione in colui che alla stessa è chiamato come soggetto passivo della corrispondente obbligazione tributaria". Il risultato di tale verifica non potrebbe che essere positivo.

Sarebbe, infatti, non irragionevole, in primo luogo, il collegamento del tributo all'esercizio abituale di attività di impresa o di lavoro autonomo che si attui attraverso l’ autonoma organizzazione dei fattori di produzione, in quanto espressione reale di potenzialità economica.

Sarebbe, altresì, non irragionevole la determinazione della base imponibile mediante il riferimento al valore della produzione netta evidenziatosi in conseguenza dell'attività organizzata esercitata dal soggetto passivo, e cioè al valore aggiunto, rappresentante la ripartizione su base individuale del prodotto interno netto (PIN) su base nazionale, destinato a sua volta a ripartirsi tra salari, interessi e profitti.

Non potrebbe, infine, dirsi irrazionale l'individuazione, quale soggetto passivo, del solo "gestore" dell'impresa o dell'attività professionale, proprio perché egli è il titolare dell'attività organizzata che produce il valore aggiunto al quale è

77

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30 commisurata l'imposta.

Il soggetto passivo dell'Irap, in ogni caso, avrebbe la possibilità di trasferire il peso economico dell'imposta, secondo le leggi di mercato, sia "all'indietro", sulle retribuzioni del capitale e dei lavoratori, sia "in avanti", sui prezzi dei prodotti e dei servizi, a nulla rilevando la mancanza di un'espressa previsione del diritto di rivalsa.

La Corte Costituzionale, inoltre, ha ritenuto infondate le questioni di illegittimità costituzionale dell’Irap rispetto agli articoli 3, 23, 53 e 76 della Costituzione e ha giustificato la sua decisione affermando che, è costante nella giurisprudenza della Corte stessa, l'affermazione secondo la quale rientra nella discrezionalità del legislatore, con il solo limite della non arbitrarietà, la determinazione dei singoli fatti espressivi della capacità contributiva che, quale idoneità del soggetto all'obbligazione di imposta, può essere desunta da qualsiasi indice che sia rivelatore di ricchezza e non solamente dal reddito individuale (sentenze n. 111 del 1997, n. 21 del 1996, n. 143 del 1995, n. 159 del 1995)78.

Nel caso dell'IRAP il legislatore, nell'esercizio di tale discrezionalità, ha individuato quale nuovo indice di capacità contributiva, diverso da quelli utilizzati ai fini di ogni altra imposta, il valore aggiunto prodotto dalle attività autonomamente organizzate.

La scelta di questo indice non può dirsi irragionevole, né comunque lesiva del principio di capacità contributiva, atteso che il valore aggiunto prodotto altro non è che la nuova ricchezza creata dalla singola unità produttiva, che viene, mediante l'IRAP, assoggettata ad imposizione ancor prima che sia distribuita al fine di remunerare i diversi fattori della produzione, trasformandosi in reddito per l'organizzatore dell'attività, i suoi finanziatori, i suoi dipendenti e collaboratori. L'imposta colpisce perciò, con carattere di realità, un fatto economico, diverso dal reddito, comunque espressivo di capacità di contribuzione in capo a chi, in quanto organizzatore dell'attività, è autore delle scelte dalle quali deriva la ripartizione della ricchezza prodotta tra i diversi soggetti che, in varia misura,

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31 concorrono alla sua creazione.

Secondo la Corte è irrilevante, ai fini della valutazione della conformità dell'imposta al principio di capacità contributiva, la mancata previsione del diritto di rivalsa da parte del soggetto passivo dell'imposta stessa nei confronti di coloro cui pure il valore aggiunto prodotto è, pro quota, riferibile (e cioè i lavoratori ed i finanziatori).

Come si verifica per qualsiasi altro costo (anche di carattere fiscale) gravante sulla produzione, l'onere economico dell'imposta potrà essere infatti trasferito sul prezzo dei beni o servizi prodotti, secondo le leggi del mercato, o essere totalmente o parzialmente recuperato attraverso opportune scelte organizzative.

Come vedremo nel prossimo capitolo, questa decisione ha offerto lo spunto per la proposizione di innumerevoli ricorsi alle Commissione Tributarie da parte di professionisti, che sostenevano di non operare nell'ambito di "attività autonomamente organizzate", e pertanto chiedevano il rimborso dell’imposta indebitamente pagata.

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CAPITOLO 2: DALLA SENTENZA DELLA CORTE

COSTITUZIONALE AI PIU’ RECENTI ORIENTAMENTI DELLA

CORTE DI CASSAZIONE

L’articolo 2 del D.Lgs. 15 dicembre 1997, n. 44679 stabilisce che il presupposto dell’Irap è: “l’esercizio di un’attività autonomamente organizzata diretta alla produzione o allo scambio di beni ovvero alla prestazione di servizi”.

La formulazione della disposizione dinnanzi considerata è frutto delle modifiche apportate al testo originario dall’articolo 1, comma 1, del D.Lgs. 10 aprile 1998 n. 13780, in forza della quale, all’interno della norma in esame, sono state inserite le parole “autonomamente organizzata“.

Con riguardo alla disposizione sopra riportata, la Corte costituzionale, con la sentenza 10 maggio 2001, n. 15681, ha affermato che: “mentre l’elemento organizzativo è connaturato alla nozione stessa di impresa, altrettanto non può dirsi per quanto riguarda l’attività di lavoro autonomo, ancorché svolta con carattere di abitualità, nel senso che è possibile ipotizzare un’attività professionale svolta in assenza di organizzazione di capitali o lavoro altrui”. Pertanto, secondo l’insegnamento della Consulta, a differenza dell’attività di impresa che non può prescindere dall’esistenza dell’elemento organizzativo, ad essa “connaturato”, le attività di lavoro autonomo, per quanto svolte con il carattere di abitualità, non si correlano necessariamente all’esistenza di una struttura organizzata potendo essere esercitate in assenza di quest’ultima.

La Corte ha quindi specificato che: “nel caso di un’attività professionale svolta in assenza di elementi di organizzazione, il cui accertamento, in mancanza di specifiche disposizioni normative, costituisce questione di mero fatto, risulterà mancante il presupposto stesso dell’imposta sulle attività produttive”.

Ha poi affermato che per i lavoratori autonomi sussiste autonoma organizzazione

79 Da Codice Tributario SEAC, edizione 2005, pag. 194. 80 In Gazzetta Ufficiale dell’11 maggio 1998, n. 107. 81 In“Finanza & Fisco”, 2001, pag. 3194.

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