La collezione di bovidi donati dall’ing. Pio Pigorini al Museo Civico di Scienze Naturali “E. Caffi” di Bergamo nel 2013 rappresenta certamente un unicum nel suo genere. L’interesse da lui rivolto alla conoscenza delle popolazioni di Ovicaprini a livello mondiale ha consentito di raccogliere, nell’arco di oltre 40 anni, una documentazione rappresentativa di questo gruppo sistematico. Fatta eccezione per un esemplare di Pecora del Pamir, naturalizzata in toto, i campioni sono trofei di caccia frutto di prelievi autorizzati dagli enti preposti alla conservazione di queste specie. Si tratta di 47 esemplari cacciati, tra il 1973 e il 2005, in Europa, Asia, Africa e America settentrionale. Una dettagliata iconografia illustra ciascuna specie seguita dall’analisi della sistematica e della distribuzione del taxon.
ISSN 0393-8700
Rivista del Museo Civico di Scienze Naturali “Enrico Caffi” di Bergamo Volume 30 - Bergamo 2016
Catalogo della collezione di trofei
di Bovidae Gray, 1821 dell’ing. Pio Pigorini
RIVISTA DEL MUSEO CIVICO DI SCIENZE NATURALI “ENRICO CAFFI” DI BERGAMO VOLUME 30 - BERGAMO 2016
RIVISTA MUSEO del CIVICO
SCIENZE NATURALI di
“ENRICO CAFFI”
BERGAMO 2016 volume
30
REGISTRATO PRESSO IL TRIBUNALE DI BERGAMO AL n. 19 (16 settembre 1999)
Tel. 035.286011 - Fax 035.286019 www.museoscienzebergamo.it [email protected]
Direttore Responsabile:
Marco Valle Redazione:
Paolo Pantini, Rossana Pisoni
Numero monografico
Rivista del Museo Civico di Scienze Naturali “Enrico Caffi” di Bergamo Volume 30
Catalogo della collezione di trofei di Bovidae Gray, 1821
dell’ing. Pio Pigorini
Premessa p. 7 di Marco Valle
Introduzione 9
Materiale e metodi 10
Ringraziamenti 13
Riassunto 14
Elenco sistematico dei reperti 15
Sottofamiglia: Alcelaphinae Gnu dalla barba bianca orientale (Eastern white-bearded wildebeest) 16
- Connochaetes albojubatus Sottofamiglia: Antilopinae
Antidorcade del Kalahari (Kalahari springbok) 17 - Antidorcas hofmeyri
Gazzella di Thomson orientale (Eastern Thomson’s gazelle) 18 - Eudorcas thomsoni
Gazzella persiana (Persian gazelle) 19
- Gazella subgutturosa
Gazzella del Turchestan orientale (Yarkand gazelle) 20 - Gazella yarkandensis
Gazzella di Grant (Grant’s gazelle) - Nanger granti 21 Sottofamiglia: Bovinae
Cudu maggiore dello Zambesi (Zambesi Kudu) - Strepsiceros zambiensis 22 Antilope alcina (Common eland) - Taurotragus oryx 23 Tragelafo del Chobi (Chobe bushbuck)- Tragelaphus ornatus 24 Sottofamiglia: Caprinae
Pecora crinita (Barbary sheep /Aoudad) - Ammotragus lervia 25 Capra selvatica o Egagro (Wild goat / Pasang) - Capra aegagrus 27
Stambecco del Caucaso orientale (Daghestan / East caucasian Tur) 29 - Capra cylindricornis
Markhor Capra falconeri 30
Stambecco delle Alpi (Alpine ibex) - Capra ibex 31 Stambecco nubiano (Desert or nubian ibex) - Capra nubiana 32 Stambecco iberico (Spanish ibex) - Capra pyrenaica 33 Stambecco asiatico (Asiatic ibex) - Capra sibirica 36 Tar himalayano (Himalayan tahr) - Hemitragus jemlahicus 37 Capra delle nevi (Rocky Mountain goat) - Oreamnos americanus 38 Muflone anatolico/armeno (Red Sheep) - Ovis gmelini 40 Muflone afgano (Afghan urial) - Ovis cycloceros 42 Pecora del Pamir o di Marco Polo (Marco Polo argali) - Ovis polii 45 Pecora del Tien Shan (Tienshan argali) - Ovis karelini 46 Pecora del Kazakhstan (Kazakhstan argali) - Ovis collium 47 Argali dell’Altai (Altay, Hangay argali) - Ovis ammon 48
Argali del Gobi (Gobi Argali) - Ovis darwini 49
Pecora delle nevi (Snow Sheep) - Ovis nivicola 50
Pecora di Dall (Thinhorn Sheep) - Ovis dalli 52
Pecora delle Montagne Rocciose (Bighorn sheep) - Ovis canadensis 53 Pecora del Tibet o Bahral (Blue sheep) - Pseudois nayaur 55 Sottofamiglia: Cephalophinae
Silvicapra (Bush, grey or common duiker) - Sylvicapra grimmia 56 Sottofamiglia: Hippotraginae
Orice dai pennelli (Fringe-eared oryx) - Oryx callotis 57 Sottofamiglia: Reduncinae
Lichi rosso (Red lechwe) - Kobus leche 58
Antilope dei canneti meridionale (Southern reedbuck) - Redunca arundinum 60
Bibliografia 61
PREMESSA
La donazione di una collezione rappresenta sempre un arricchimento per la collettività, molti musei, ed il nostro non fa eccezione, si sono costituiti grazie a donazioni e tra le proprie finalità hanno quella di conservare queste testimonianze e renderle fruibili al pubblico nel tempo.
Il materiale donato dall’ingegner Pio Pigorini rappresenta certamente un unicum nel suo genere e l’interesse da lui rivolto alla conoscenza delle popolazione di Ovicaprini a livello mondiale, ha consentito raccogliere nell’arco di oltre 40 anni una documentazione rappresentativa di questo gruppo sistematico.
Ritengo molto importante per un museo di scienze naturali l’acquisizione di tale materiale perché si tratta di specie di grande interesse zoologico e per gran parte viventi in areali molto ristretti, in aree montuose difficilmente raggiungibili. L’elevata qualità tassidermica rende inoltre i soggetti molto validi per il riconoscimento delle specie.
Fatta eccezione per un esemplare di Pecora del Pamir, naturalizzata in toto, i campioni sono trofei di caccia, una tipologia tassidermica che per certi versi contrasta con le attuali tendenze espositive museali, la proposta di accoglierli è stata pertanto valutata con grande attenzione anche in virtù del fatto che i trofei sono frutto di prelievi autorizzati dagli enti preposti alla conservazione di queste specie.
Grazie all’impegno ed alla competenza dell’amico Aldo Oriani, è stato possibile valorizzare appieno la collezione. Auspico che la realizzazione del presente volume possa costituire un valido supporto per la conoscenze di questo gruppo sistematico.
In noi tutti rimane il rimpianto per la prematura scomparsa dell’Ingegnere che non gli ha consentito di vedere la sua collezione esposta in un museo di scienze naturali a riprova del valore delle testimonianze raccolte.
Marco Valle direttore del Museo Civico di Scienze Naturali di Bergamo
INTRODUZIONE
Pio Pigorini nacque a Milano nel 1931. Conseguita la laurea in ingegneria chimica, venne assunto, nel 1957, alla Snamprogetti di Milano, Gruppo Eni, dove sviluppò una lunga carriera lavorativa e professionale in varie sedi in Medio Oriente, Sud America e in alcuni Paesi europei, fino ad essere nominato, nel 1981, amministratore delegato per le attività operative della società. Nel 1984 divenne vice presidente esecutivo dell’Agip e, l’anno successivo, presidente della Snam. Nel 1992 gli fu conferita l’onorificenza di Cavaliere del Lavoro. È deceduto a Milano il 16 dicembre 2013.
Fin da ragazzo dimostrò uno spiccato interesse per la natura, passione che, all’epoca, assai frequentemente si estrinsecava con la pratica dell’attività venatoria che, con il trascorrere degli anni, lo portò a dedicarsi alla caccia agli ungulati sulle Alpi, in particolare ai camosci in Piemonte. Una delle sue prime esperienze venatorie all’estero ebbe luogo in Spagna, nel 1973, sulla Sierra de Cazorla, poi, tra il 1978 ed il 1982, effettuò alcuni safari nell’Africa australe in Namibia ed in Botswana. Nel 1980, durante una caccia alla pecora di Dall, nella zona del monte McKinley in Alaska, venne “colpito dalla sheep fever” (S.C.I., 2011); si rese conto cioè che la sua vera passione era la caccia in montagna nei grandiosi, spettacolari e sconfinati ambienti naturali. Ogni volta che si trovava a parlare di questa sua grandissima passione, dalle sue parole e dal suo sguardo trapelava un entusiasmo immenso per quelle avventure dalle quali aveva tratto grandi soddisfazioni e forti emozioni. Dopo l’Alaska, cominciò a percorrere le catene montuose del globo. Cacciò sull’alto Altai mongolo nel 1982 e sui monti del Deserto del Gobi nel 1983. In quello stesso anno tornò in Spagna sulle Sierre Espuña e de Ronda. Nel 1985 sulle Alpi svizzere del Vallese, sulla Sierra de Gredos, in Spagna centrale, e sulle Montagne Rocciose della British Columbia. Nel 1987 cacciò in Messico, sui monti della Baja California, in Iran, sul Kopet Dagh, e in Nepal nella zona del Dhaulagiri. L’anno successivo nuovamente in Iran, sui monti Elbruz, in Tajikistan, sull’altipiano del Pamir, e in Spagna, sulla Sierra di Tortosa-Beceite, a sud di Barcellona, e su quella di Tejeda, a nord di Malaga. Nel 1989 si dedicò soprattutto alle catene montuose dell’Asia centrale; tornò nuovamente in Tajikistan, ma questa volta nel sudovest verso il confine afgano, ed effettuò altre spedizioni venatorie sui monti Tarbagatai in Kazakhstan, sugli altipiani del Kirghizsatn ed in Cina sulla catena del Tien Shan. Nello stesso anno si recò anche sulle Montagne Rocciose dell’Alberta e della British Columbia. Nel 1990 cacciò nel Qatar, sui monti del Belucistan pakistano ed in Turchia, sui monti di Antalya. Nel 1991, dopo una nuova breve parentesi di caccia africana in Tanzania, il richiamo delle cacce in montagna lo spinse nella Siberia orientale sui monti Khabarovsk. Nel 2001 si recò nuovamente in Iran, nella zona di Esfahan. Nel 2003 fu sulla catena vulcanica della penisola di Kamchtka ed infine nel 2005 effettuò una caccia sui monti dell’Isola di Mallorca. Non solo queste furono le sue spedizioni venatorie; ne compì anche sui monti del Sahara algerino, sul Caucaso orientale ed in Patagonia.
Complessivamente, nel corso di questa intensissima attività venatoria, protrattasi per oltre un quarantennio, effettuò cacce in 44 diversi Paesi campionando quasi cento differenti taxa, 34 dei quali appartenenti alla sottofamiglia Caprinae. In ambito venatorio, proprio per questa peculiarità della sua raccolta, per le sue esperienze, la sua considerazione e dedizione alla conservazione e salvaguardia della natura e per la sua opera in difesa della caccia, è stato insignito del Diamond Award e gli è stato conferito l’Italian Chapter Award 2011, il massimo
riconoscimento per un socio dell’Italian Chapter del Safari Club International (S.C.I., 2011).
Come presidente della Snam, tra il 1986 ed il 1988, sponsorizzò vari progetti di tutela ambientale nelle Oasi WWF di Orbetello e di Vanzago, nel Parco Nazionale del Gran Paradiso e nel Parco Nazionale d’Abruzzo dove venne realizzato un sistema di telecontrollo nella Riserva integrale della Camosciara ed allestito un centro visita a Lecce dei Marsi (Nirenstein, 1988; S.C.I., 2011). Per questi interventi venne conferito alla Snam dal WWF il “panda d’oro”. In Patagonia finanziò personalmente progetti universitari (S.C.I., 2011) e studi sulle conseguenze di un’eruzione vulcanica sulle popolazioni di cervo europeo introdotte (Flueck & Smith-Flueck, 2013 a, b).
Nel febbraio 2013 presero inizio gli accordi per la donazione di parte della collezione Pigorini al Museo Civico di Scienze Naturali “E. Caffi” di Bergamo. La collezione era ospitata in una dimora dell’Oltrepò pavese e comprendeva, oltre il materiale descritto nel seguente catalogo, molti altri trofei: decine di camosci (Rupicapra rupicapra) tra i quali una testa proveniente dall’Austria particolare per la irregolare cromia del pelame, di alcuni frontali con corna di cervi (Cervus elaphus) e trofei di caribù (Rangifer tarandus), di stambecco del Caucaso orientale (Capra cylindricornis), di stambecco asiatico (Capra sibirica), di stambecco iberico (Capra pyrenaica), di muflone d’Anatolia (Ovis gmelini anatolica), di alcelafo di Coke (Alcelaphus buselaphus cokii) e di molti impala (Aepyceros melampus). La collezione comprendeva anche una testa di orice meridionale (Oryx gazella), una di cinghiale (Sus scropha), una di puma (Puma concolor), una di gatto delle Pampas (Leopardus colocolo), una di otarda maggiore (Otis tarda) ed una splendida di markor del Cashmir (Capra falconeri cashmirensis), oltre a vari esemplari appartenenti a specie rappresentate anche nella raccolta donata al Museo come uno stambecco delle Alpi (Capra ibex), un egagro del Sind (Capra aegagrus blythi) ed una pecora crinita (Ammotragus lervia) dall’Algeria.
La sua passione per la caccia è stata felicemente trasmessa alla moglie Cenzi ed ai figli Luigi, Maria Piera e Paolo, con i quali ha condiviso diverse entusiasmati avventure.
Nella seduta del 23 ottobre 2013 la Giunta comunale decise di accettare con animo grato la donazione al Comune di Bergamo per l’Istituto di Zoologia del Museo Civico di Scienze Naturali consentendo di ampliare e valorizzare con importanti esemplari di ottima preparazione il patrimonio del Museo. Per sottolineare l’importanza della donazione, il 14 dicembre, il Comune di Bergamo conferì all’ing. Pigorini, in una pubblica cerimonia presso il Teatro Donizetti, un attestato di benemerenza.
MATERIALI E METODI
La collezione Bovidae, donata da Pigorini al Museo, è, senza dubbio, una della più rappresentative raccolte pubbliche italiane per la sottofamiglia Caprinae.
In Museo si è provveduto ad esaminare tutto il materiale effettuando una revisione critica ed aggiornando la nomenclatura alla luce della più recente tassonomia (Groves & Leslie, 2011). Sono stati controllati i dati relativi alle località di provenienza e, ove possibile, individuata la riserva di caccia dove è avvenuto l’abbattimento. Purtroppo la prematura morte dell’ing. Pigorini ha impedito di condurre più approfondite verifiche e riscontri. Le
Alcelaphinae Antilopinae Bovinae Caprinae Cephalophina Hippotraginae Reduncinae
Azerbajan 1 1
Botswana 2 2 4
Canada 3 3
Cina (Xinjiang) 1 1
Iran 1 2 3
Kazakhstan 1 1
Kirghistan 1 1
Messico 1 1
Mongolia 1 4 5
Namibia 1 1 1 3
Nepal 2 2
Pakistan 2 2
Quatar 1 1
Russia 2 2
Spagna 8 8
Svizzera 1 1
Tadjikistan 2 2
Tanzania 1 2 1 4
Turchia 1 1
USA (Alaska) 1 1
1 5 3 34 1 1 2 47
preparazioni sono state effettuate da Ezio e Paolo Moro di Senna Comasco, da Branosera di Madrid e due rispettivamente da Corrado Gambotti e dalla canadese Peace Taxidermy di Fort St. John.
Per quanto riguarda i nomi italiani delle specie si è fatto riferimento, per quanto possibile, a Cagnolaro (1982). Qualora il nome italiano, o inglese, siano di diretta derivazione da un idioma locale questo è stato riportato in corsivo, tra parentesi quadre. La nomenclatura italiana a livello sottospecifico, ed in minor misura quella in inglese, se non rilevabili dalle pubblicazioni consultate, sono state realizzate integrando il nome della specie con un termine geografico correlato alla distribuzione.
Per ogni taxon si è provveduto a delineare la distribuzione geografica, le caratteristiche morfologiche e lo status di conservazione che, salvo diversa indicazione, è quello indicato da IUCN nella Red List of Threatened Species, version 2013.2. La tabella riepiloga per stati di provenienza e per sottofamiglie gli esemplari donati.
Nella stesura del catalogo le sottofamiglie, i generi e le specie sono elencate in ordine alfabetico in base ai nomi specifici. Per la trattazione a livello specifico è stata adottata la classificazione proposta da Groves & Leslie (2011) riportando anche le classificazioni precedentemente adottate da altri autori. Le fotografie dei trofei riportano una barra di scala pari a 20 centimetri.
Tutti gli esemplari, corredati da un cartellino riportante nome specifico, informazioni sul reperto e numero di catalogo, sono conservati presso le collezioni del Museo di Scienze Naturali di Bergamo. In occasione della donazione è stata realizzato negli spazi espositivi del museo un allestimento con gran parte degli esemplari donati.
RINGRAZIAMENTI
Si ringraziano il direttore Marco Valle e tutto il personale del Museo Civico di Scienze Naturali
“E. Caffi” di Bergamo per la costante collaborazione accordata fin dal primo sopralluogo alla collezione Pigorini. Un doveroso grazie è rivolto anche alla signora Cenzi Zorzoli e al dott.
Bruno Pigorini rispettivamente moglie e fratello dell’ing. Pigorini, senza il cui aiuto non sarebbe stata possibile la stesura di questo lavoro.
RIASSUNTO
Viene presentato il catalogo della collezione di bovidi donati nel 2013 dall’ing. Pio Pigorini al Museo Civico di Scienze Naturali “E.Caffi” di Bergamo. Si tratta di 47 esemplari cacciati, tra il 1973 e il 2005, in Europa, Asia, Africa e America settentrionale. L’analisi della sistematica, della distribuzione dei taxa presenti e una breve descrizione dell’attività venatoria di Pio Pigorini completano il catalogo.
ABSTRACT – Catalogue of Dr. Pio Pigorini’s collection of Bovidae Gray, 1821 trophies The catalogue of the collection of Bovidae donated in 2013 by Dr. Pio Pigorini to the “E.
Caffi” Natural Science Museum of Bergamo is now being displayed. It contains 47 specimens that were hunted between 1973 and 2005 in Europe, Asia, Africa and North America. The catalogue is completed with an analysis of the system, the distribution of the taxa present and a brief description of Pio Pigorini’s hunting activity.
KEYWORDS: Bovidae, Pio Pigorini, Pigorini collection.
DEI REPERTI
Sottofamiglia: Alcelaphinae Rochebrune, 1883 Genere Connochaetes Lichtenstein, 1812
Il genere comprende cinque specie (Groves & Leslie, 2011: 707-709) di grandi antilopi gregarie delle savane aperte dell’Africa orientale e meridionale.
Gnu [Khoikhoi - Africa sudoccidentale] dalla barba bianca orientale - Connochaetes albojubatus (Thomas, 1892) - Eastern white-bearded wildebeest
Una recente revisione sistematica, basata su caratteri morfologici, genetici e sulla distribuzione geografica, ha elevato a rango specifico quattro sottospecie dello gnu comune (Groves &
Leslie, 2011: 707-709). Si tratta dello gnu dalla barba bianca orientale (C. albojubatus Thomas, 1892), molto simile a quello dalla barba bianca del Serengeti (C. mearnsi Heller, 1913) da cui è separato geograficamente dalla barriera naturale della Rift Valley, dello gnu azzurro (C. taurinus Burchell, 1823) con l’areale distributivo più meridionale e più vasto e dello gnu del Mozambico (C. johnstoni Sclater, 1896) che vive nel Mozambico settentrionale e nella Tanzania sudorientale con una popolazione isolata nella valle del Luangwa, nello Zambia orientale che alcuni autori (Meester & Setzer, 1971: 51; Kingdon, 1997: 431) considerano tassonomicamente separata (C. cooksoni Blaine, 1914).
Sono tutte considerate a basso rischio soprattutto grazie alle misure protezionistiche. Le popolazioni sono in contrazione a causa della caccia e delle progressive modifiche ambientali conseguenti all’allevamento del bestiame ed alle pratiche agricole. In Mozambico e Malawi lo gnu è in pericolo e localmente estinto (Rodgers & Swai, 1988: 62).
Lo gnu dalla barba bianca orientale è caratterizzato, oltre che dalla tipica barba, anche dal colorito più pallido rispetto a quello del Serengeti. Vive nelle savane del Kenya meridionale e
della Tanzania centro-settentrionale ad est della Rift Valley. In Tanzania, oltre a questa specie, sono presenti quello dalla barba bianca del Serengeti, nel Masailand occidentale, e quello del Mozambico, nel sud del Paese. La popolazione di quest’ultimo che vive nella zona del Fiume Rufiji (C. rufijianus de Beaux, 1905), presenta caratteri intermedi tra C. albojubatus e C.
johnstoni (Meester & Setzer, 1971: 51). In Tanzania le tre specie contano popolazioni consistenti e sono ben tutelate all’interno di parchi e riserve di caccia (Rodgers & Swai, 1988: 62).
In collezione la testa di un maschio adulto (n° 2015) dalla zona di Arusha (Tanzania, 1989) preparata da Ezio Moro.
Sottofamiglia: Antilopinae Gray, 1821 Genere Antidorcas Sundevall, 1847
Il genere comprende tre specie (Groves & Leslie, 2011: 629-630) di antilopi di media taglia delle praterie e dei semideserti dell’Africa sudoccidentale dette antidorcadi o antilopi saltanti.
Antidorcade del Kalahari - Antidorcas hofmeyri Thomas, 1926 - Kalahari springbok
Nel complesso le popolazioni di antidorcadi sono stabili e considerate a basso rischio, ma dipendono dai programmi protezionistici. Ne sono state descritte una dozzina di forme non geograficamente separate e neppure particolarmente differenziate se non per il fatto che le popolazioni sudoccidentali sono di taglia inferiore rispetto e quelle nordorientali. Erano ritenute un’unica specie con tre sottospecie (Ellerman et al., 1953: 196; Meester & Setzer, 1971: 58; Cain et al., 2004) alle quali alcuni autori (Kingdon, 1997: 420) non attribuivano
alcuna validità. Attualmente le tre sottospecie sono state elevate a rango specifico (Groves &
Leslie, 2011: 629). Nel complesso è l’antilope più abbondante dell’Africa meridionale ed è ben gestita nei parchi e nelle riserve private che ospitano più della metà degli effettivi (IUCN SSC, 2008).
L’antidorcade del Kalahari è distribuita a nord del fiume Orange, in Sudafrica, Namibia e Botswana centroccidentale, e la sua distribuzione è contigua a sud con quella del Capo (A.
marsupialis Zimmermann, 1780) ed a nord con quella dell’Angola sudoccidentale (A. angolensis Blaine, 1922), che ha segnato marcate riduzioni delle popolazioni (IUCN SSC, 2008).
In collezione la testa di un maschio adulto (n° 2016) dalla Namibia (agosto 1978), dove la specie è comune nelle savane e nelle zone desertiche che coprono gran parte del territorio e dove consistenti popolazioni prosperano all’interno di parchi e riserve private (Van der Walt, 1988: 40). Preparazione Branosera di Madrid.
Genere Eudorcas Fitzinger, 1869
Il genere comprende cinque specie (Groves & Leslie, 2011: 648-650) di piccole antilopi delle praterie e savane del Sahel e dell’Africa orientale.
Gazzella di Thomson orientale - Eudorcas thomsoni Günther, 1884 - Eastern Thomson’s gazelle
La gazzella di Thomson è la più caratteristica gazzella di piccola taglia. Vive in Africa orientale dal Kenia centrale alla Tanzania centro settentrionale. Alcuni autori (Kingdon, 1997: 412) la ritenevano una sottospecie, geograficamente disgiunta, della gazzella fronte rossa (Eudorcas rufifrons Gray, 1846), altri (Meester & Setzer, 1971: 91; Rodgers & Swai, 1988: 64) la consideravano una specie con due sottospecie, non molto differenziate morfologicamente (Lydekker, 1914b: 85),
ma geograficamente separate dalla Rift Valley, la nominale ad est e E. t. nasalis Lönnberg, 1914 ad ovest. Grover & Leslie (2011: 649) attribuiscono il livello specifico a queste due sottospecie.
La gazzella di Thomson compie migrazioni stagionali, ma è meno resistente alla siccità della gazzella di Grant e, di conseguenza, in alcuni territori soffre a causa della progressiva desertificazione. Anche altre modifiche ambientali, quali la diffusione di vegetali esotici invasivi ed il crescente impatto antropico, hanno prodotto contrazioni nelle popolazioni che vivono al di fuori delle aree protette. La specie è ritenuta prossima ad essere riconosciuta come minacciata (IUCN SSC, 2008). In Tanzania è abbondante nei parchi e nelle riserve, pur con locali situazioni di riduzione. Sembra che la competizione alimentare con gli gnu possa incidere negativamente riducendo l’ampiezza delle migrazioni di queste gazzelle che, nella stagione secca, restano nelle pianure aperte senza più spingersi a nord (Rodgers & Swai, 1988: 64).
In collezione la testa di un maschio adulto (n° 2017) dalla zona di Arusha (Tanzania, 1989), preparata da Ezio Moro.
Genere Gazella de Blainville, 1816
Il genere comprende venti specie (Groves & Leslie, 2011: 637-648) di antilopi di piccole e medie dimensioni dell’Africa e dell’Asia centrale ed occidentale.
Gazzella persiana - Gazella subgutturosa (Güldenstaedt, 1780) - Persian gazelle
Gazzella di taglia medio grande con femmine generalmente acorni, ad esclusione di alcune popolazioni dell’Iran occidentale (Humphreys & Kahrom, 1995: 60). In passato, in base ai caratteri morfologici e distributivi, si ritenevano sue sottospecie (Ellerman & Morrison-Scott, 1951: 390- 391) G. seistanica Lydekker, 1910 dell’Iran orientale e del Beluchistan, G. yarkandensis Blanford, 1875 del bacino del Tarim, G. sairensis Lydekker, 1900 della Zungaria, G. hillieriana Heude,
1894 del Gobi e G. reginae Adlerberg, 1931del Tsaidam alle quali erano andate aggiungendosi (Wilson & Reeder, 1993: 397; Kingswood & Blank, 1996) G. marica Thomas, 1897 dei deserti siriani ed arabici e G. gracilicornis Stroganov, 1956 dell’Asia centrale. Attualmente G. marica, G. gracilicornis e G. yarkandensis sono state elevate a livello specifico (Groves & Leslie, 2011).
La gazzella persiana viveva un tempo in branchi numerosi nei deserti e nelle steppe comprese tra il fiume Tigri, l’Afganistan meridionale e le limitrofe zone del Pakistan centrale (Habibi, 2001: 127).
Le popolazioni più occidentali, tra il Tigri ed i monti Zagros sono morfologicamente differenziate e forse ascrivibili ad una diversa sottospecie (Hemami & Groves, 2001: 118; Karami et al., 2002:
30-31), probabilmente intermedia tra G. subgutturosa e G. marica. Un areale disgiunto interessava, fino ad un secolo fa, la Transcaucasia dove questa gazzella risaliva le valli dell’Arasse e del Kura, rispettivamente fino a Yerevan e Tbilisi (Heptner et al., 1989: 611); attualmente non restano che due piccoli popolamenti isolati in Azerbaijan: nella Shirvan State Reserve e nel Gerchay Protected Area (Shchadilov & Hadjiev, 2001: 130-131). La specie è minacciata dalle modifiche ambientali conseguenti alla conversione agricola di vaste aree, che impediscono le migrazioni stagionali, dalla competizione col bestiame domestico e dalla caccia incontrollata per l’approvvigionamento di carne (Mallon, 2008). Questi fattori hanno progressivamente frazionato la distribuzione della specie che ormai è quasi completamente scomparsa dall’Afganistan (Groves & Leslie, 2011: 638) ed è in rapido declino in Pakistan (Habibi, 2001: 128). In Iran è ritenuta vulnerabile (Hemami &
Groves, 2001: 118); si stimava ne vivessero alcune migliaia di individui quasi esclusivamente all’interno di aree protette e su alcune isole del Golfo Persico, ma il bracconaggio mieteva vittime anche in queste zone (Mallon, 2008).
In collezione è presente la testa di un maschio adulto (n° 2018) proveniente dalla zona di Esfahan (Iran, luglio 2001), preparata da Paolo Moro.
Gazzella del Turchestan orientale - Gazella yarkandensis Blanford, 1875 - Yarkand gazelle
Simile alla gazella persiana; le corna, presenti esclusivamente nei maschi, sono però più corte e robuste (Groves & Leslie, 2011: 639). Abita le steppe, le praterie ed i semideserti del Gobi, del Nei Mongol centroccidentale, del Gansu e dello Shaanxi settentrionale (G.
hillieriana Heude, 1894), della Zungaria (G. sairensis Lydekker, 1900) e popolazioni isolate sono presenti nel bacino Qaidam (G. reginae Adlerberg, 1931) (Heptner et al., 1989: 617;
Jiang & Sung, 2001: 170) ed in quello del Tarim (G. yarkandensis Blanford, 1875) (Smith &
Xie, 2008: 469).
Tutte le popolazioni sono in declino e con una distribuzione ormai discontinua a causa della caccia incontrollata e della degradazione dell’habitat. I cambiamenti climatici in atto potranno avere pesanti conseguenze sulle gazzelle del Qaidam e sulla distribuzione delle altre popolazioni cinesi che tenderà a frammentarsi ulteriormente (Wu & Zhou, 2011). Attualmente si sono già registrate estinzioni locali sull’altipiano Ordos (Smith & Xie, 2008: 469). In Mongolia, dove viveva il maggior numero di capi, la maggior parte dei branchi più numerosi è scomparsa (Lerp et al. 2013: 68) ed è ritenuta vulnerabile (Mallon, 2008) a causa della caccia illegale, seguita al collasso del regime comunista, e della competizione col bestiame domestico che occupa permanentemente le abbeverate (Lhagvasuren et al., 2001: 162).
In collezione la testa di un maschio adulto (n° 2019) dal Deserto del Gobi (Mongolia, 1983) preparata da Ezio Moro.
Genere Nanger Lataste, 1885
Il genere comprende cinque specie (Groves & Leslie, 2011: 635-636) di antilopi di media taglia diffuse nelle praterie, nei semideserti e nelle savane del Sahel e dell’Africa orientale.
Gazzella di Grant - Nanger granti Brooke, 1872 - Grant’s gazelle
È la più piccola delle grandi gazzelle del genere Nanger, ma il suo trofeo è il più vistoso. Fino a tempi recenti si consideravano appartenenti a questa specie, altamente polimorfica pur in un areale distributivo non particolarmente ampio, da quattro (Kingdon, 1997: 414) a nove sottospecie (Lydekker, 1914b: 88-95; Meester & Setzer, 1971: 88) distinguibili in base alla conformazione del trofeo ed alla colorazione del manto. Groves & Leslie (2011: 635-636) ne hanno elevate tre a livello specifico: la gazzella di Grant, quella di Bright (N. notatus Thomas, 1897) e quella di Peters (N. petersii Günther, 1884). La Grant si distingue per il trofeo dei maschi particolarmente imponente e con andamento lirato ed è distribuita più a sud, nelle piane aride e nelle savane alberate dal Kenya meridionale alla Tanzania centrale. La popolazione più occidentale, da taluni (Lydekker, 1914b: 91; Meester & Setzer, 1971: 88; Kingdon, 1982: 417; Kingdon, 1997: 414) ritenuta una sottospecie (N. g. robertsi Thomas, 1903), vive in un ristretta zona ad est del Lago Vittoria ed è caratterizzata dal trofeo dei maschi molto divaricato con l’apice delle corna rivolto in basso. Le popolazioni minacciate dal bracconaggio e dalla competizione del bestiame domestico in continuo incremento numerico (IUCN SSC, 2008) sono localmente in contrazione. In Tanzania, dove la specie risulta comune in varie riserve ed abita tutto l’originale areale distributivo, se pure con consistenze differenti, sembra beneficiare delle mutate condizioni ambientali indotte dal sovrappascolo del bestiame domestico (Rodgers & Swai, 1988: 64).
In collezione la testa di un maschio adulto (n° 2020) dalla zona di Arusha (Tanzania, 1989), preparata da Ezio Moro.
Sottofamiglia: Bovinae Gray, 1821 Genere Strepsiceros C.H. Smith 1827
Il genere comprende quattro specie (Groves & Leslie, 2011: 614-616) di antilopi di grandi dimensioni delle savane alberate dell’Africa subsahariana. Solo i maschi sono provvisti di corna.
Cudu [Ottentotto] maggiore dello Zambesi - Strepsiceros zambiensis (Lorenz, 1894) - Zambesi Kudu
In passato (Lydekker, 1914b: 198), e fino ad anni recenti, questo taxon era considerato (Ellerman et al., 1953: 209; Meester & Setzer, 1971: 25; Kingdon, 1997: 360) sinonimo del cudu maggiore (Strepsiceros strepsiceros Pallas, 1766) che attualmente sopravvive solo in alcuni residui areali isolati del Sudafrica centrale e sudorientale. Recenti analisi genetiche e valutazioni sul materiale museale hanno dimostrato (Groves & Leslie, 2011: 614-616) che esistono quattro specie di cudu maggiore. Oltre a quella dello Zambesi e quella del Capo sono assurte a livello specifico anche quella occidentale (S. cottoni Dollman & Burlace, 1928) e quella settentrionale (S. chora Cretschmar, 1826).
Il cudu maggiore un tempo abitava, probabilmente in continuità geografica, le boscaglie e le foreste aperte dal Chad meridionale all’Eritrea ed al Capo di Buona Speranza. Attualmente l’areale è discontinuo e la maggior parte delle popolazioni residue sono geograficamente isolate e minacciate dalle modifiche ambientali, conseguenti al sovrappascolo del bestiame domestico, e dalle epizoozie da questo trasmesse.
La specie dello Zambesi era originariamente diffusa dalla Tanzania all’Angola, Namibia, Botswana e Sudafrica settentrionale. Grazie alla gestione dei parchi nazionali e delle riserve private, le popolazioni attualmente risultano stabili e sono considerate a basso rischio (IUCN SSC, 2008), nonostante la consistente riduzione degli effettivi avvenuta in passato. Si differenzia dagli altri cudu maggiori per un maggior numero di strisce sul dorso e per il colore di fondo meno brillante. In Namibia risulta ampiamente diffusa e comune su quasi tutto il territorio, la quasi totalità degli effettivi vive all’interno di riserve private dove l’industria della caccia a pagamento ne assicura l’esistenza (Van der Walt, 1988: 36-37; IUCN SSC, 2008).
In collezione la testa di un maschio adulto (n° 2021) dalla Namibia (1978) preparata da Ezio Moro.
Genere Taurotragus Wagner, 1855
Questo genere comprende due specie (Groves & Leslie, 2011: 617-618) di cui fanno parte le antilopi africane di maggiore taglia con ambedue i sessi provvisti di corna.
Antilope alcina - Taurotragus oryx (Pallas, 1766) - Common eland
Grande antilope delle praterie e savane boscose dell’Africa orientale e meridionale. Le popolazioni sono generalmente stabili, benché localmente si siano registrate estinzioni, al di fuori delle aree protette, causate dalle modifiche ambientali e dalla caccia incontrollata per l’approvvigionamento di carne. All’interno dei parchi e delle riserve private le popolazioni sono in aumento e complessivamente la specie è ad un basso livello di rischio, non è minacciata ed è stata introdotta in vari Paesi, anche al di fuori del suo areale originario, dove viene anche allevata per la produzione di carne, pellami e latte (Pappas, 2002: 3-4; IUCN SSC, 2008).
In Botswana è ampiamente distribuita nella parte centrale ed orientale del Paese e lo stato delle popolazioni è soddisfacente con un gran numero di capi all’interno delle riserve private (Spinage et al., 1988: 45).
Se ne distinguono due sottospecie (Groves & Leslie, 2011: 617): la nominale, dal manto chiaro e senza striature, presente in Namibia, Botswana, Mozambico meridionale e piccole zone limitrofe del Sudafrica, e quella di Livingstone (T. oryx livingstonii Scalter, 1864), ora geograficamente disgiunta, che abita più a nord fino al Kenya. In passato, quando la distribuzione era continua dall’Uganda al Sudafrica, se ne consideravano valide fino a sei sottospecie (Lydekker, 1914b: 211-215) alcune delle quali altro non erano che popolazioni dai caratteri intermedi (Meester & Setter, 1971: 26-27).
In collezione la testa di un maschio adulto (n° 2022) della sottospecie nominale dall’area del fiume Okavango (Botswana, 1992) prepata da Ezio Moro.
Genere Tragelaphus de Blainville, 1816
Il genere comprende quindici specie (Groves & Leslie, 2011: 597-610) di antilopi di media e grande taglia dell’Africa subsahariana. I maschi sono provvisti di corna spiralate.
Tragelafo del Chobi - Tragelaphus ornatus (Pocock, 1900) - Chobe bushbuck
Questa antilope di media taglia era ritenuta una delle numerose sottospecie del tragelafo (Tragelaphus sciptus Pallas, 1766), l’antilope con la piu vasta distribuzione in tutta l’Africa sudsahariana e presente sia nelle foreste dense che nelle savane boscose, dal livello del mare al limite superiore della vegetazione arborea. La vastità della distribuzione geografica e la notevole diversità di ambienti spiegano le differenze di taglia e di ornamentazione del manto che hanno giustificato, in passato, la descrizione di oltre quaranta taxa (Lydekker, 1914b: 152-179; Ellerman et al., 1953: 209; Meester & Setzer, 1971: 24; Kingdon, 1997: 352). L’attuale classificazione (Groves & Leslie, 2011: 597-602), sulla base di analisi molecolari e morfometriche, riconduce queste sottospecie ad otto specie una delle quali è il tragelafo del Chobi che vive nel bacino del Congo, nel Burundi occidentale, in Tanzania occidentale, Angola, Zambia, Malawi, Mozambico nordoccidentale, Striscia di Caprivi, Botswana nordoccidentale e Zimbabwe nordorientale. È caratterizzato dal manto rossastro scuro tendente al bruno-nerastro sulle zampe con cresta dorsale bianca ed è geneticamente differenziato dagli altri tragelafi che abitano le aree limitrofe. Le popolazioni di tragelafo sono in generale stabili nella maggior parte dell’areale distributivo. Nelle zone più antropizzate, tuttavia, si rilevano decrementi che possono, a livello locale, farle ritenere prossime ad essere minacciate (IUCN SSC, 2008). In Botswana è presente nelle zone boscose nei pressi dei corsi d’acqua permanenti nel Delta dell’Okavango, lungo i fiumi Linyanti/Chobe e Boeti e lo stato delle popolazioni risulta soddisfacente (Spinage et al., 1988: 44).
In collezione la testa di un maschio adulto (n° 2023) dal Delta dell’Okavango (Botswana, 1992), prepata da Ezio Moro.
Sottofamiglia: Caprinae Gray, 1821 Genere Ammotragus Blyth 1840 Il genere è monospecifico (Groves & Leslie, 2011: 71).
Pecora crinita - Ammotragus lervia (Pallas, 1777) - Barbary sheep /Aoudad
La specie era originariamente diffusa, con popolazioni isolate, sui massicci dell’Africa settentrionale e del Sahara dal livello del mare fino a 4.000 metri. Gran parte degli autori concorda nel distinguere sei sottospecie (Gray & Simpson, 1980; Kingdon, 1997: 444; Groves
& Leslie, 2011: 714) soprattutto in base alla distribuzione nonostante che non sia chiaramente delineata (Meester & Setzer, 1971: 71; Cassinello, 1998: 150, 155). Permangono quindi dubbi sulla validità delle sottospecie (Kowalski & Rzebik-Kowalska, 1991: 200; Wacher et al., 2002) le cui differenze morfologiche non sono ben definite e presentano apparenti aree di ibridazione (Cassinello et al., 2013).
Si possono individuare:
• la nominale presente sulla catena dell’Atlante, dal Marocco centrale alla Tunisia;
• A. l. saharensis Rothschild, 1913 dei rilievi sahariani occidentali, dove è probabilmente estinta (Cassinello et al., 2013), e del Marocco meridionale fino al Niger e al Chad;
• A. l. angusi Rothschild, 1921 dal Niger centrale al Chad nordoccidentale;
• A. l. blainei Rothschild, 1913 presente sui monti della Libia sudorientale, del Chad nordorientale e del Sudan fino al Mar Rosso. È stata introdotta in una riserva presso la sesta cateratta del Nilo (Cassinello, 1998: 155);
• A. l. fassini Lepri 1930 della Tripolitania e delle limitrofe zone tunisine;
• A. l. ornatus Geoffroy Saint-Hilaire, 1827 dei monti ad est del Nilo che, ritenuta estinta allo stato libero, è stata recentemente segnalata nell’estremo sudest egiziano (Wacher et al., 2002).
L’ammotrago, nelle aree d’origine, dove complessivamente sono stimati tra i 5.000 ed i 10.000 capi con tendenza al decremento, è considerato una specie vulnerabile per la perdita di habitat dovuta al pascolo del bestiame domestico e al bracconaggio (Cassinello et al., 2008).
Questa specie ha le caratteristiche tipiche di un invasore: un’elevatissima capacità di insediarsi, moltiplicarsi ed ampliare la sua distribuzione (Cassinello et al., 2006) entrando in competizione, sia per gli spazi che per i foraggi, con gli ungulati selvatici autoctoni. È potenziale veicolo di epizoozie (Groves & Leslie, 2011: 715). Molte sono le situazioni di questo genere che si sono verificate nel recente passato.
Varie immissioni più o meno volontarie, effettuate da privati tra il 1950 ed il 1957, in diverse zone montuose desertiche del New Mexico (BISON-M, 2014), della California e del Texas (Gray & Simpson, 1980; Cassinello, 1998: 157; Davis & Schmidly, 1994) hanno generato popolazioni che complessivamente assommano ormai ad oltre 16.000 unità (Groves &
Leslie, 2011: 715) in competizione con le pecore delle Montagne rocciose (Ovis canadesis), recentemente reintrodotte nelle loro località di origine (Davis & Schmidly, 1994). Anche nel Messico settentrionale, a seguito di introduzioni a scopo venatorio, complessivamente se ne contano un migliaio di capi (Groves & Leslie, 2011: 715) che, su alcuni gruppi montuosi, sono in competizione con le pecore delle Montagne rocciose, recentemente reintrodotte (Espinosa et al., 2006).
In Spagna furono effettuate introduzioni, a scopo venatorio, sulla Sierra Espuña nel 1970, da qui gli ammotraghi si sono ampiamente diffusi nella parte sudorientale della penisola entrando in competizione con le popolazioni autoctone di stambecco iberico (Capra pyrenaica). Un secondo nucleo, originatosi indipendentemente dal primo, si è naturalizzato nella provincia di Alicante ed altre popolazioni sono state introdotte in riserve di caccia private dell’Andalucia e Castilla-La Mancha (Cassinello, 1998: 157; Calabuig et al., 2005).
Nel 1972, alcuni esemplari provenienti dalla Sierra Espuña sono stati introdotti nel Parco Nazionale Caldera de Taburiente, sull’isola di La Palma, nelle Canarie (Cassinello, 2012)
dove si sono naturalizzati e costituiscono una grave minaccia per la flora endemica isolana (Orueta, 2003: 117).
In Italia, in seguito ad una fuga da un recinto privato, l’ammotrago si è insediato, dal 1993, con una piccola colonia, sul versante varesino del Lago Maggiore; un altro piccolo nucleo è segnalato in un’azienda faunistico-venatoria dell’alessandrino (Gagliardi et al., 2008).
In collezione la testa di maschio adulto (n° 2024) dalla Sierra Espuña (Murcia, Spagna, 1983) preparato da Branosera di Madrid.
Genere Capra Linnaeus, 1785
Il genere comprende nove specie (Groves & Leslie, 2011: 719-725) di capre selvatiche del Paleartico e dell’Africa nordoccidentale.
Capra selvatica o Egagro - Capra aegagrus (Erxleben, 1777) - Wild goat / Pasang [Persiano]
n° 2026 n° 2025
L’egagro è il progenitore delle capre domestiche. Originariamente era diffuso nelle zone montane, sia rocciose che alberate, dall’Anatolia e dal Caucaso fino all’Afganistan centrale ed al Pakistan sudoccidentale. Popolazioni morfologicamente molto vicine al fenotipo selvatico sono presenti a Creta (C. a. cretensis Brisson, 1756), sulle isole di Giura (C. a. dorcas Reichenow, 1888), Antimilos (C. a. picta Erhard, 1858) e Montecristo e derivano da individui introdotti in epoche molto remote (Masseti, 2007). Groves & Leslie (2011: 719) definiscono la specie monotipica, altri autori (Lydekker, 1898: 264; 1913: 159; Ellerman & Morrison-Scott, 1951: 405; Heptner et al., 1989: 766-768; Weinberg, Fedosenko et al., 1997: 180) riconoscono validità sottospecifica alla capra selvatica del Sind (C. a. blythi Hume, 1874) distribuita dall’Iran sudorientale fino all’Indo.
Questa forma, differenziata morfologicamente dalla nominale per la taglia minore, il colorito più pallido e le corna dei maschi più sottili, più arcuate e con una meno accentuata presenza di protuberanze, è da considerare frutto di un adattamento climatico e non giustificherebbe quindi una definizione a livello sottospecifico (Couturier, 1962: 637-638). Popolazioni con caratteri simili vivono nel Turkmenistan meridionale al confine con l’Iran (C. a. turcmenica Zalkin, 1950). La capra del Chiltan (C. a. chialtanensis Lydekker, 1913: 171) che, a causa della caccia incontrollata, sopravvive solo nel Hazarganji-Chiltan National Park, in Pakistan centroccidentale (Hess et al., 1997: 249), si è probabilmente originata dall’ibridazione naturale dell’egagro con il markhor (Capra falconeri Wagner, 1839) del quale, fino a qualche tempo, fa era considerata sottospecie (Groves & Leslie, 2011: 719). L’egagro, nel complesso, è ritenuto vulnerabile: le popolazioni sono in contrazione a causa del bracconaggio e delle alterazioni ambientali conseguenti ai diboscamenti ed alla competizione col bestiame domestico (Weinberg et al., 2008). Per queste ragioni la specie si è estinta in Siria e Libano (Serhal, 1997a, b) e non è più segnalata neppure sui monti dell’Oman dove, sembra, fosse presente in passato (Harrison, 1968: 338), si nutrono anche seri dubbi sulla sua sopravvivenza in Iraq (Weinberg et al., 2008).
Negli anni ’70 del secolo scorso l’egagro è stato introdotto nel New Mexico (BISON-M, 2014).
In collezione due teste di maschi adulti; una (n° 2026) dai monti di Antalya (Turchia, 1990), l’altra (n° 2025) dal Sind (Pakistan sudoccidentale, 1990); ambedue preparate da Ezio Moro.
Capra rinselvatichita di Maiorca - Capra aegagrus hircus (Linnaeus, 1758) - Feral Goat of Mallorca / Boc Balear
Su molte isole, in epoche anche molto remote, al fine di costituire riserve alimentari per i naviganti, furono introdotte capre che spesso tornarono allo stato selvatico originando popolazioni vitali e che, nel corso dei secoli, acquisirono caratteristiche morfologiche particolari adeguandosi all’ambiente che le ospitava. Anche sull’isola di Mallorca, dove la capra venne introdotta nel II millennio a.C. (Masseti, 2007; 178), si naturalizzò adeguandosi all’ambiente naturale ed è l’unico ruminante selvatico dell’isola. Quale elemento caratterizzante la biodiversità mallorquina ha acquisito un valore culturale e venatorio al punto da non essere considerato un animale alloctono. Abita la macchia mediterranea della Sierra de Tramuntana e delle penisole di Formentor, Alcudia e Artà lungo la costa Nord dell’isola (Orueta, 2003: 113; Masseti, 2007: 178).
In collezione la testa di un maschio adulto (n° 2027) dalla Sierra Tramuntana (Mallorca, Spagna, 2005) preparata da Ezio Moro.
Stambecco del Caucaso orientale - Capra cylindricornis (Blyth, 1841) - Daghestan / East caucasian Tur
Abita gli ambienti subalpini, alpini e subnivali a quote comprese tra gli 1.000 ed i 4.000 metri della parte centrale ed orientale del Caucaso ad est del monte Elbrus (Weinberg, 2002: 3). La specie è ritenuta vulnerabile a causa della contrazione numerica conseguente al bracconaggio e, in talune zone, alla competizione con il bestiame domestico sui pascoli (Weinberg, 2008); le popolazioni sono tuttavia ben gestite nei tre Stati che la ospitano:
in Georgia la sua caccia è proibita, mentre in Azerbajgian ed in Russia è regolamentata (Weinberg et al., 1997: 183). Le popolazioni più consistenti vivono nel Dagestan russo (Weinberg, 2008).
In collezione la testa di un maschio adulto (n° 2028) dal Dagestan (Russia, 1989) preparata da Paolo Moro. Un cartellino sul retro della preparazione riporta “Propr. Acquarone Domenico 25/1/05”.
Markhor - Capra falconeri Wagner, 1839
Abita le zone di steppa alpina arida e di foresta subtropicale semi sempreverde arida tra i 700 ed i 4.000 metri di quota (Ali, 2008: 16), evitando le zone con neve abbondante e temperature rigide. In inverno scende a quote inferiori ai 2.200 metri. Complessivamente sopravvivono poche migliaia di individui (Schaller & Khan, 1975) dei quali la maggior parte in Pakistan, dove vengono concessi abbattimenti a pagamento che consentono il coinvolgimento delle popolazioni locali nella conservazione del markhor e delle specie a lui associate (Ali, 2008; Bellon, 2008).
Alcuni autori distinguono fino a sette sottospecie (Ellerman & Morrison-Scott, 1951: 408-409) basandosi sulla forma del trofeo e sulla distribuzione geografica. Una di queste, C. f. chialtanensis Lydekker, 1913, è un ibrido tra il markhor e Capra aegagrus (Schaller, 1977: 29-33; Ali, 2008: 14). Couturier (1962: 667-668) ritiene che tutte le popolazioni locali siano frutto della
“insularizzazione”, causata dalla progressiva rarefazione, che ha prodotto diverse e particolari torsioni nei trofei, pur mantenendo una morfologia generale identica e costante. Schaller (1977:
35-37), escludendo le popolazioni della valle dell’Amu Darja che considera una sottospecie unitaria (Schaller, 1977: 29), ritiene che tutte le altre possano essere ricondotte a una sottospecie meridionale, di taglia più piccola con barba meno ricca e corna dritte con volute strettissime
“straight-horned” ed una settentrionale, di taglia maggiore, con barba più lunga e corna divergenti con ampie volute “flare-horned”. Tra i due fenotipi estremi ci sono popolazioni locali isolate con morfologia intermedia. Groves & Leslie (2011: 719) distinguono tre sottospecie:
• nominale, “flare-horned markhor”, caratterizzata dall’ampiezza del trofeo. Vive in Afganistan nordorientale (Schaller, 1977: 111), Pakistan settentrionale e nella parte più occidentale del Kashmir (Ranjitsinh et al., 2005; Bhatnagar et al., 2008 & 2009) dove la spirale particolarmente ampia del trofeo giustificò la descrizione della sottospecie C. f.
cashmiriensis Lydekker, 1898 attualmente ritenuta sinonimo della nominale. In Afganistan la popolazione è ridotta a qualche decina di capi (Habibi, 1997: 208), quella più consisente, circa 700 capi, vive nel Chitral Gol National Park nel Pakistan settentrionale (Ali, 2008: 3);
• C. f. megaceros Hutton, 1842, “straight-horned markhor”, raggruppa alcune popolazioni isolate del Pakistan, tra Peshawar e l’Afganistan, dove ancora nel 1978 questa sottospecie era presente fino a Kabul (Habibi, 1997: 208; Hess et al., 1997: 255). I markhor del Pakistan centroccidentale venivano definiti C. f. jerdoni Hume, 1874 (Khan et al., 2013), taxon ora considerato sinonimo della presente sottospecie;
• C. f. heptneri Zalkin, 1945 presenta anch’esso corna a spirale aperta. Abitava tre areali separati (Schaller, 1977: 55; Heptner et al., 1989: 866; Weinberg, Fedosenko et al., 1997: 183) sulla destra dei fiumi Amu Darja e Pyani: i monti Kugitang, tra Turkmenistan orientale e Uzbekistan meridionale (Weinberg, Valdez et al., 1997), dove venne descritta la sottospecie C. f.ognevi Zalkin, 1945, sinonimo di heptneri; i monti Babatag tra Uzbekistan sudorientale e Tajikistan sudoccidentale ed infine i monti dei distretti di Darvaz e di Shuroabad, nel Tajikistan meridionale al confine con l’Afganistan, che rappresentano il residuo areale più importante per questo markhor. Qui vivono varie popolazioni frazionate ed isolate che, attraverso il fiume Pyanj, sconfinano anche nel limitrofo Badakshan afgano (Schaller, 1977: 55; Habibi, 1997: 209; Weinberg, 2003; Michel, 2010; Michel et al., 2015). Couturier (1962: 650) menzionava anche la presenza del markhor sui monti attorno ad Hérat. Di questa sottospecie, negli anni ‘90 del secolo scorso, si stimava ne vivessero complessivamente meno di un migliaio di individui sottoposti al bracconaggio per l’approvvigionamento di carne e delle corna, ritenute medicamentose (Weinberg et al., 1997: 183), fortunatamente in anni recenti si è registrato un sensibile incremento delle popolazioni al confine tra Tajikistan ed Afganistan (Michel et al., 2015).
Il markor era ritenuto in pericolo di estinzione: gli effettivi in natura complessivamente non raggiungevano le 2.500 unità in continuo declino e suddivisi in frammentate, esigue popolazioni isolate (Valdez, 2008 a), fortunatamente negli ultimi anni le prospettive di salvaguardia della specie sono migliorate ed il numero di individui in libertà viene stimato in 5.800 individui (Michel & Rosen Michel, 2015).
In collezione una testa di maschio adulto (n° 2029) della sottospecie heptneri dalle zone a sudovest di Kulob nel Tajikistan meridionale (1989), preparata da Ezio Moro.
Stambecco delle Alpi - Capra ibex Linnaeus, 1758 - Alpine ibex
Monotipica. Tutte le colonie esistenti derivano da quella del Gran Paradiso. Un tempo la specie era presente su tutta la catena alpina, ma nella seconda metà del XIX secolo sopravvivevano solo la popolazione del Gran Paradiso ed alcuni individui sul Monte Bianco che furono abbattuti nel 1870 per ordine di Vittorio Emanuele II (Boccazzi-Varotto, 1977: 29). A partire dai primi decenni del secolo scorso lo stambecco è stato reintrodotto su tutta la catena alpina dove si stima che ne vivano oltre 20.000 individui (Parrini et al., 2009: 9). Attualmente la specie non è minacciata, tutte le colonie sono ben tutelate, segnano un costante incremento numerico ed un progressivo ampliamento dell’areale, al punto che, ormai da decenni alcuni paesi ne autorizzano la caccia. È stato introdotto anche, fuori dall’originario areale, in Bulgaria negli anni Ottanta del secolo scorso (Spiridinov & Genov, 1997: 86; Aulagnier et al., 2008).
In collezione la testa di un maschio adulto (n° 2030) dai monti di Sion (Vallese, Svizzera 1985) preparata da Corrado Gambotti.
Stambecco nubiano - Capra nubiana F. Cuvier, 1825 - Desert or nubian ibex
Originariamente diffuso sui monti aridi lungo la costa africana del Mar Rosso, dall’Egitto all’Eritrea settentrionale, sul Sinai e nelle zone rocciose della Siria, della Palestina e, da qui, fino allo Yemen ed all’Oman. (Habibi, 1994: 46-49). In passato veniva riconosciuta la validità di tre sottospecie (Lydekker, 1913: 154-155) differenziate essenzialmente per la conformazione del trofeo, la colorazione del manto e per la distribuzione: lungo la costa africana del Mar Rosso la nominale, in Palestina, Siria e Sinai una seconda (C. n. sinaitica Hemprich & Ehrenherg, 1828) ed infine sui monti della penisola arabica la terza (C. n.
mengesi Noak, 1896). Analisi genetiche hanno comunque evidenziato differenze tra le diverse popolazioni (Granjon et al., 1990).
È definita vulnerabile con popolazioni in continua contrazione, globalmente stimate, in tutto il vasto areale originario, ormai notevolmente frazionato, in meno di 10.000 capi (Alkon et al., 2008). In alcune riserve saudite, tuttavia le popolazioni segnano incrementi (Wronski & Robinson, 2008) e sembra essere buona anche la situazione in Israele e stabile
in Giordania dove si è provveduto ad effettuare anche alcune reintroduzioni (Alkon et al., 2008). La perdita di habitat conseguente alla competizione con il bestiame domestico ed il bracconaggio minacciano ovunque la stabilità della specie. In Libano ed in Siria è estinta da decenni (Serhal, 1997a, b) ed è stata reintrodotta dagli israeliani sulle alture del Golan occupate (Kirshenbaum, 2005; Alkon et al., 2008).
In collezione la testa di un maschio adulto (n° 2031) dal Qatar (1990) preparato da Ezio Moro.
Il Qatar non ospita popolazioni autoctone di stambecco nubiano, tuttavia, nell’Al Wabra Wildlife Farm, è operativo un centro di ricerca e riproduzione per la fauna in pericolo, da cui probabilmente proviene l’esemplare in questione. La preparazione presenta una vistosa ferita da orecchio a orecchio probabilmente inferta dagli accompagnatori mussulmani che hanno sgozzato lo stambecco, colpito dal cacciatore, per poterlo utilizzare a fini alimentari.
Stambecco iberico - Capra pyrenaica Schinz, 1838 - Spanish ibex
n° 2032
n° 2033
n° 2034
n° 2035
n° 2036
Un tempo diffuso nelle foreste e boscaglie montane dei Pirenei e di tutta la penisola iberica, se ne distinguevano quattro sottospecie (Lydekker, 1913:139-140; Rossellò, 2011; Alados
& Escós, 2012) che Couturier (1962: 754-756) riteneva più corretto definire soltanto
“popolazioni locali”:
• la nominale, lo stambecco dei Pirenei, era la sottospecie di taglia maggiore diffusa sui due versanti dei Pirenei. In Francia scomparve nella seconda metà dell’Ottocento (Couturier, 1962: 723), mentre in Spagna l’ultima esigua popolazione viveva nel Parco nazionale di Ordesa fino al 2000, quando morì l’ultimo esemplare (Alados
& Escós, 2012);
• C. p. lusitanica Schlegel, 1848, abitava le montagne del Portogallo settentrionale e della Galizia. Già molto raro a metà Ottocento, si estinse nel 1892 (Couturier, 1962: 726);
• C. p. victoriae Cabrera, 1911, lo stambecco della Castiglia, ha rischiato anch’esso l’estinzione nel 1905 quando ne sopravviveva una decina di individui sulla Sierra di Gredos (Couturier, 1962: 728). Attualmente, grazie alla protezione accordata ed all’incremento costante della popolazione, è stato possibile reintrodurlo sui gruppi montuosi dove era scomparso: las Batuecas (Salamanca), nella Riserva Nazionale di Riaño (Leon), ed altre località (Rossellò, 2011). È stato introdotto, al di fuori del suo originario areale, in Galizia, da dove ha iniziato, nel 1998, la colonizzazione del Parco Nazionale portoghese di Peneda-Geres occupando gli areali un tempo abitati dalla sottospecie lusitanica (Moço et al., 2006);
• C. p. hispanica Schimper, 1848, è la maggiormente diffusa con numerose popolazioni isolate su vari gruppi montuosi dalla foce dell’Ebro a Gibilterra. A nord dell’Ebro, sul massiccio di Cardò, scomparve dagli anni Trenta del secolo scorso (Couturier, 1962: 731). Se ne distinguono tre razze locali: la settentrionale, di Beceite Tortosa, ha taglia maggiore e trofeo più massiccio, la sudorientale dei gruppi montuosi tra Valencia e Malaga e la meridionale, di Ronda, di taglia minore, presente sui monti a sudovest di Malaga: sulle sierre di Ronda, de las Nieves e de Grazalema (Rossellò, 2011).
La specie attualmente non è in pericolo ed è ritenuta abbondante. Gli effettivi, stimati in circa 50.000 individui sono suddivise in oltre 50 popolazioni, in espansione, favorite dal progressivo abbandono del territorio e dalla protezione accordata dalle aree protette e dalle riserve di caccia. Nelle zone in cui gli ammotraghi (Ammotragus lervia) introdotti vanno espandendo il proprio areale si potranno presentare presto problemi di competizione con gli stambecchi (Herrero & Pérez, 2008).
In collezione cinque teste montate di maschi adulti di cui uno appartenente alla sottospecie C. p. victoriae (n° 2032) dalla Sierra de Gredos (1985) e quattro appartenti a tre diverse popolazioni locali della sottospecie C. p. hispanica provenienti: due (n° 2033 e n° 2034) da Tortosa-Beceite (1988), uno (n° 2035) dalla Sierra di Ronda (1983) ed uno (n° 2036) dalla Sierra de Tejeda, tra Granada e Malaga (1988). L’esemplare della Sierra de Tejeda è stato preparato da Branosera, gli altri da Ezio Moro.