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Narrare l’immagine Descrive l’immagine

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Academic year: 2021

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Narrare l’immagine

Descrive l’immagine Cristina Casoli, Storico dell’arte Impressioni di Laura Brusadin e Giancarlo Biasini

Édouard Manet, «Il bar delle Folies-Bergère», 1881-82, olio su tela, 130 x 96 cm, Londra, Courtauld Somerset House

«Manet è importante per noi quanto Cimabue e Giotto per gli ita- liani del Quattrocento, poiché il Rinascimento è con lui che si pre- para» (Renoir)

«Il bar delle Folies-Bergère», opera che rivela lo straordinario vir- tuosismo pittorico del maestro francese Edouard Manet, rappre- senta una scena d’interni in uno dei locali più alla moda nella Parigi del XIX secolo. Il proprietario, Léon Sari, lo aveva dota- to di luci elettriche, comode poltrone e palchi isolati da cui gli ospiti potevano godersi lo spettacolo senza confondersi con la gente che accalcava la pista e il bar. Una giovane barista al cen- tro della tela si appoggia al bancone in attesa della prossima or- dinazione: è l’inglese Suzon, bionda, bella, moderna, annoiata.

Quegli occhi dicono tutto, dicono tanto. Nella tela si ritrovano molte delle componenti della pittura di Manet: l’ossessione per la luce, l’ambientazione parigina, la padronanza tecnica manife- sta nella strepitosa natura morta in primo piano, tra mandarini, bottiglie di Champagne e di liquore. Manet gioca sapientemen- te sulla contrapposizione tra la candida pelle e la giacca nera, ma anche, e in modo estremamente innovativo, sulla posizione dell’osservatore all’interno dello spazio dipinto. Si intreccia così un corto circuito; un dialogo particolarmente suggestivo tra chi

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guarda e chi viene guardato, e il cliente col cilindro, visibile solo dal riflesso dello specchio, sembra coincidere con l’osservatore stesso. Lo specchio, metafora della vana apparenza, contribuisce a dilatare lo spazio del locale, offrendo una visione caleidoscopi- ca del luogo. Edouard Manet fu un rivoluzionario della pittura, pur rimanendo tenacemente all’interno della tradizione e delle istituzioni ufficiali. Non partecipò mai alle mostre degli amici impressionisti, ma divenne in ogni caso la loro guida, il loro rife- rimento quasi per naturale designazione. Lo stesso Renoir giunse ad affermare: «Manet è importante per noi quanto Cimabue e Giotto per gli italiani del Quattrocento, poiché il Rinascimento è con lui che si prepara». Il bar delle Folies – Bergèr fu l’ultimo lavo- ro al quale il maestro mise mano. Manet morì l’anno successivo, il 30 aprile del 1883, a soli cinquantuno anni. Due anni prima, ottenuta la medaglia per il secondo posto al Salon e la nomina a cavaliere della Legion d’onore, era arrivato il successo tanto am- bito in vita, giunto troppo tardi per essere interamente goduto.

Cristina Casoli [email protected]

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Narrare l’immagine

Giovane donna in primo piano dallo sguardo che colpisce, ma subito la mia attenzione va all’impianto del dipinto. Magistrale la soluzione che l’artista adotta per proporci la situazione. Ricerco e metto insieme i vari dettagli per ricostruire, secondo la mia inter- pretazione, ciò che sta accadendo. Il soffuso rossore delle guance fa pensare a imbarazzo, a disagio, forse l’uomo non è stato corte- se o forse la giovane è intimidita da un uomo adulto. Mentre lo sto guardando è vicino a me una amica, lo osserva con me. Il suo primo sentimento è di tristezza, pensa ad una ragazza costretta ad un lavoro che non ama e dal quale si estranea. Personalmente non provo tristezza, ma concordo che la ragazza ha uno sguardo perso in altro. Sembra vivere un momento di straniamento, i suoi pensieri sono rivolti a qualcosa di personale, che sta da qualche parte fuori da quel locale. La giovane età mi riporta alla mente anche quella fase della vita in cui ti senti estraneo al mondo, fino a che arriva il momento in cui ti rendi conto che vi appartieni anche tu e lo sguardo cambia.

Laura Brusadin [email protected]

Certo la prima impressione è guidata dalla barista appoggia- ta al banco, affascinante anche se dallo sguardo sconfortato. A me pare però che, trovandoci al tempo dell’impressionismo, il

“must” del quadro possa essere la luce. Lo specchio ritrae un

mondo illuminato dalla modernità che, per quei tempi, signifi- cava l’illuminazione elettrica con il grande lampadario centrale e soprattutto con i primi globi luminosi preparati dagli artigiani del tempo che seppero trasformare i principi nati all’interno dei laboratori tecnico-scientifici in manufatti per le case ed i loca- li. E’ la Seconda Rivoluzione Industriale ragazzi! Viene dopo la prima di fine settecento, che aveva interessato le fabbriche e i suoi lavoratori. Questa Seconda Rivoluzione interessa case, locali pubblici, i cittadini quindi. E’ la rivoluzione che sta alla base della Belle Époque. L’elettricità allunga la notte e, qui, illumina la sala fino in fondo di una luce omogenea e non più a piccoli focolai come in qualche opera di Toulouse Lautrec. E’ una sorta di plein air notturno. E’ il tempo della Seconda Esposizione universale che dichiarava finito il tempo dei candelabri che sporcavano le case e poi delle lampade ad olio e poi dell’uomo del gas che pas- sava ad accendere le lanterne ad una ad una con il rischio del- le esplosioni; lo stesso rischio che teneva il gas inesorabilmente fuori dagli interni. Ora con un giro di manopola la luce si accen- deva e i locali come le Folies Bergère allungano la notte con il chiaro artificiale del giorno che trionfa omogeneo fino al fondo della sala permettendo quella larga visione notturna prima im- possibile. Siamo all’oggi. Manca solo un telefono sul banco della barista che appare dietro una vetrina di Hopper.

Giancarlo Biasini [email protected]

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Cosa ho visto, cosa ho sentito

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