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Giuseppe Pitrè tra cultura e tradizione nella filosofia di Giovanni Gentile

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Academic year: 2021

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DOI 10.1285/i22804250v9i2p409

http://siba-ese.unisalento.it, © 2020 Università del Salento

Maurizio Coppola

Università di Napoli “Federico II” / EHESS

Giuseppe Pitrè tra cultura e tradizione nella

filosofia di Giovanni Gentile

Abstract

This article investigates the links between the philosophy of Giovanni Gentile and the concepts of folk science of Giuseppe Pitrè, especially in the period 1913-1918. Indeed, the ideas of tradition and culture formulated by Gentile distance the Sicilian philosopher from a classical vision of anthropology and he achieves an aesthetic and political consideration of cultural facts which also influences his vision around Pitrè’s demopsicologia.

Keywords: Giovanni Gentile; Giuseppe Pitrè; folklore; Sicily.

Nei rapporti fra idealismo e scienze demoetnoantropologiche, la visione storiografica classica pone l’influenza di Benedetto Croce come l’artefice, nel bene o nel male, della particolare situazione italiana della prima metà del Novecento1.

Tuttavia, il ruolo dominante della figura di Croce è messo in discussione da alcuni recenti studi che danno minore risalto all’impatto del filosofo abruzzese nella cultura italiana di questo periodo. Come è stato evidenziato da Michele Ciliberto, pur rimanendo una figura importante, a partire dagli anni dieci la filosofia di Croce subisce una sorta di marginalizzazione da cui

1 Si deve principalmente al pensiero storiografico di Giuseppe Cocchiara

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si riprenderà soltanto all’inizio degli anni quaranta, quando sebbene la società italiana si poneva su nuovi indirizzi filosofici (Ciliberto 2012, 2016).

In effetti, l’idealismo che si afferma prepotentemente, fra gli anni dieci e trenta, è stato quello di Giovanni Gentile, il cui pensiero diverge per alcuni aspetti da quello crociano. Tra questi vi è il diverso rapporto che il filosofo siciliano ha assunto verso le discipline della cultura, come ad esempio gli studi demologici. Gentile si mostra più aperto a dialogare con concetti dall’alto valore sociale e antropologico come cultura e tradizione, poiché essi diventano dei punti fondamentali della sua visione politica della società. Tale valorizzazione si denota dallo spazio considerevole che dedica nella sua filosofia alla figura di Giuseppe Pitrè la cui critica permette di comprendere non soltanto il giudizio storiografico verso l’opera del folklorista ma anche il modo con cui Gentile interpreta lo studio delle società umane.

Pertanto, proprio alla luce di queste nuove considerazioni, in questo articolo, ci sembra lecito ritornare a riflettere sul dialogo che Gentile ha tessuto attorno alla figura di Pitrè e ad alcuni concetti chiave che permeano direttamente e indirettamente l’interpretazione della demopsicologia. Una parte dell’analisi verrà effettuata attorno al valore epistemologico del concetto di cultura il cui significato nella filosofia di Gentile è importante per comprendere il valore che egli attribuisce a tale disciplina. Storiograficamente, ci concentreremo sul periodo che ruota attorno alla pubblicazione dello studio, Il tramonto della cultura

siciliana, comparso per la prima volta nel 19172 e dedicato alla

2 In questo articolo utilizzeremo la seconda edizione, comparsa nel 1963, che

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memoria di Giuseppe Pitrè3. Tale studio risulta ancora più importante se si considera il fatto che esso si situa all’interno di un momento particolarmente intenso per la produzione filosofica di Gentile, poiché, quasi contemporaneamente, erano state date alla luce le sue teorie pedagogiche (1913-14) e la filosofia dell’attualismo (1916).

Inoltre, bisogna tener conto, che l’incontro fra demopsicologia e Gentile si inserisce in un periodo della storia politica e culturale del paese in cui il tema della tradizione e della cultura nazionale diventano l’oggetto dei dibattiti degli intellettuali e dei politici italiani. L’Italia di questo momento è traversata dal sorgere di movimenti nazionalisti e avanguardisti che si operano nell’idea di “rinnovare lo spirito della nazione”. Fra questi, ricordiamo ad esempio il Futurismo, o il gruppo della rivista La

Voce. A questo proposito, l’idealismo è preso come punto di

riferimento per stabilire una nuova idea di cultura che unisca presente e passato, più orientata in senso nazionale e modernista (Cfr. Gentile E. 2011).

In queste pagine, tralasceremo la storia biografica che Gentile ha intrattenuto con il folklore e di cui esistono degli studi illuminanti su questo tema4. Si tratta piuttosto di restituire la centralità teorica alla figura di Gentile all’interno della storiografia demologica in quanto essa influenzerà in modo diretto e indiretto la storia della disciplina nei decenni successivi.

3 Pitrè muore un anno prima (1916).

4 Si rimanda in particolare allo studio di Bruzzone che ha per oggetto il

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La conoscenza

Nel volume Sommario di pedagogia come scienza filosofica5, Gentile offre una considerazione particolare del significato di tradizione la quale rientra nel più ampio sviluppo della conoscenza.

Partendo da una visione idealista della realtà, egli concepisce la conoscenza come un processo continuo dell’attività dello spirito umano. Il sapere non è una semplice somma di contenuti astratti che esistono al di fuori del soggetto: esso è anche il frutto dell’atto stesso del pensare, che determina la realtà, intesa come un’attività spirituale dell’individuo. Per Gentile, l’uomo è quindi votato a svolgere un avanzamento perenne di educazione, a una costante rigenerazione del suo spirito, poiché la realtà e la coscienza sono continuamente ravvivati e rinnovati dal movimento del pensiero. Pertanto, la caratteristica principale del pensiero umano è la sua “contemporaneità”, in quanto risultato di questa attività incessante dello spirito6.

È in questo senso che Gentile concepisce essenzialmente la pedagogia come una filosofia dello spirito, in cui il problema dell’educazione diventa un processo d’acquisizione auto-cosciente dell’individuo. Questa prospettiva si allontana dalla concezione materialista dell’insegnamento, inteso come una semplice trasmissione di saperi. Diviene invece, una educazione

5 L’opera è stata pubblicata nel biennio 1913/1914 in due volumi.

Utilizzeremo la quinta edizione del 1982 in quanto, come lo stesso Gentile afferma, il piano generale e concettuale dell’opera è rimasto identico alla prima e per tutte le successive edizioni.

6 È importante sottolineare che, per Gentile, l’atto del conoscere equivale alla

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spirituale in tutti i suoi aspetti sociali, morali e civili (Cfr. Chiosso, 1997).

Ciò significa che se la pedagogia deve partecipare a un cambiamento e a un’evoluzione dello spirito umano, questa deve farsi attraverso un rinnovamento costante, un moto che si ripete ed evolve in maniera continua. Tale precisione si rivela fondamentale nell’approccio di Giovanni Gentile in quanto non ci sono delle reali differenze su un piano pedagogico fra il bambino e l’adulto, e che è impossibile separare l’infanzia dal suo essere “uomo”. Secondo Gentile, l’unione fra filosofia e pedagogia permette di pensare la trasformazione spirituale come possibile a tutti gli elementi della vita e, allo stesso tempo, la formazione del bambino non deve risolversi in una trasmissione di saperi e competenze, ma deve essere considerata come un processo di affinamento dello spirito.

È un modo di pensare la pedagogia in funzione di un’educazione nazionale, un fine strumentale nella formazione dei “cittadini” della nazione italiana. Per arrivare a questa conclusione, Gentile ricalca l’idea diffusa dell’epoca del bisogno di una “rigenerazione” spirituale degli Italiani, i quali devono abbandonare il lascito imbarbarito e degenerante della società liberale per abbracciare nuove forme di nutrimento dello spirito7. E Gentile pensa che questo rinnovamento può essere favorito proprio dalla pedagogia al fine di garantire una nuova coscienza nazionale. Tale filosofia, che lui definirà “attualismo”, viene dunque concepita come una filosofia dello spirito dove il pensiero è visto come un atto infinito, una energia che trasforma

7 Fra i movimenti che si propongono l’obiettivo della rigenerazione spirituale,

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ogni elemento astratto, reale o pensato, in un atto soggettivo della creazione. Di conseguenza, il passato non è dunque un fatto empirico esistente al di fuori del tempo presente; non è altro che un pensiero che si rinnova, esso è attualizzato nella contemporaneità della coscienza (Cfr. De Giovanni 2012)8.

Così facendo, si stabilisce un’immanenza fra pensiero e azione in modo tale e, come l’ha ben messo in evidenza Biagio De Giovanni, Gentile “[ha] una concezione religiosa della politica e della filosofia, che non si lascia niente alle spalle, si espone per intera, dinanzi ad un mondo che non c’è se non nel suo realizzarsi, il che sviluppa in modo inusitato la potenza dell’azione” (De Giovanni 2012: 613). Tale idea avrà delle conseguenze da un punto di vista politico, nel momento in cui Gentile vedrà nel fascismo una possibile unione fra pensiero e

praxis.

Tuttavia, non è questo il contesto per soffermarci sulla portata politica dell’attualismo gentiliano. Ci preme sottolineare in ogni caso, come questa riflessione ha delle evidenti ripercussioni da un punto di vista antropologico. In effetti, nella sua filosofia pedagogica acquista un valore importante il concetto di “comunità” (culturale), che in Gentile assume i contorni storici e politici della “nazione”, a cui tutto deve ricondursi come valore totalizzante.

8 La filosofia dell’attualismo è stata esposta più specificatamente nell’opera

Teoria generale dello spirito come atto puro, pubblicata per la prima volta

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La cultura come trasmissione della conoscenza

In linea con questa pedagogia rivolta alla comunità, il concetto di cultura diventa estremamente importante per la filosofia di Gentile. Anche qui, la cultura si manifesta essenzialmente come coscienza dell’essere e del conoscere. Questa definizione è spiegata in modo più esteso in un articolo del 19189 in cui il filosofo siciliano si interroga sull’unità della cultura e sulla sua definizione. A livello generale, essa non rappresenta la somma degli elementi che la compongono ma si tratta di un processo in sé, inteso come un’acquisizione cosciente della propria realtà, da cui deriva la crescita spirituale dell’individuo. Come spiega Gentile per riferirsi al rapporto coscienza/realtà:

Tale è la coscienza: sapere, possiamo dire, sapendosi; abbracciare nel pensiero la realtà, ma come incardinata in noi: come la nostra realtà. Conoscere e conoscere il mondo; ma non un mondo astratto, bensì questo, che noi ci sentiamo intorno, e in cui non è particella che noi si possa immaginare senza raggiungerla col nostro stesso pensiero dentro di noi, quasi un nodo della trama ond’è contesta l’anima nostra: questo insomma che possiamo dire e diciamo il nostro mondo, o semplicemente: questo mondo. (Gentile 1928: 5) In tal senso, per Gentile l’essenza della cultura di manifesta come atto del conoscere, ovvero come azione spirituale e movimento. La conoscenza della realtà presuppone un impegno spirituale da parte dell’individuo che deve letteralmente interiorizzare la realtà esterna.

9 L’articolo comparso sulla rivista Volontà, A. I, n. 2, il 20 settembre 1918 e

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Tale interpretazione si discosta da quanto l’antropologia positivistica aveva sviluppato durante l’Ottocento. Quest’ultima aveva contribuito a dare un senso universale al concetto di cultura, ed essa di fondava principalmente su un’impostazione teorica materialista. Per l’antropologo Edward Burnett Tylor, il primo ad averne dato una sistemazione scientifica nel suo volume Primitive Culture (1871), la cultura consiste nell’insieme delle manifestazioni culturali (riti, credenze, diritto, costume) acquisito dai membri di una data società10. Tylor, in sintesi, mette l’accento sulla dimensione empirica della cultura da cui deriva la relativa distanza fra ricercatore e oggetto studiato. La cultura diviene così un’entità formata da documenti in cui è possibile classificarli, misurarli e osservarli secondo i principi metodologici delle scienze della natura.

Tale interpretazione si scosta dall’idealismo di Gentile (ed anche da quello di Croce) poiché, come tutte le scienze della natura, l’antropologia positivista manca di valore teoretico11. In linea generale, per Gentile, la cultura presuppone un’unità fra soggetto e oggetto studiato e, in questo senso, vi è un ruolo determinante del ricercatore in quanto creatore di cultura. Per l’idealismo, insomma, la qualità del ricercatore non si evince dalle sue abilità scientifiche quanto dalle passioni politiche e civili con cui interroga la realtà12.

10 Riportiamo la definizione completa di Tylor: “La cultura, o civiltà, intesa

nel suo senso etnografico più ampio, è quell’insieme complesso che include le conoscenze, le credenze, l’arte, la morale, il diritto, il costume e qualsiasi altra capacità e abitudine acquisita dall’uomo in quanto membro della società”. La citazione è estratta da Fabietti 2010: 40.

11 Per un approfondimento sul rapporto fra idealismo di Croce e Gentile con

le scienze della natura si rinvia a Zappoli 2016.

12 Da questo punto di vista, si può scorgere un punto di unione anche con

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Tuttavia, è possibile trovare nell’interpretazione materialistica di cultura data dall’antropologia positivista un punto di incontro con la filosofia di Gentile. Questa convergenza verte più particolarmente attorno al concetto di “trasmissibilità”. Per Tylor, in effetti, uno dei punti determinanti del significato universale di cultura è quello di essere un elemento acquisito dall’esperienza: non si nasce con essa, ma si sviluppa in seguito ad un processo di apprendimento.

Per Gentile, è proprio questo secondo aspetto a formare la cultura in quanto tale ma che non deve essere inteso come il passaggio di elementi astratti. I dati culturali (credenze, riti, ecc.) non hanno nessun valore in assoluto poiché formano solamente la parte sensibile dell’esperienza. Al contrario, la cultura esercita pienamente il suo ruolo quando vive in trascendenza nella coscienza di ognuno e quando permette all’individuo di formarsi “uomo”, in quanto membro di una società. Si può dire, in sintesi, che è il processo conoscitivo che determina l’identità culturale e che stabilisce anche il modo con cui una persona sta di fronte al mondo. Come ci spiega Gentile:

L’uomo che si distingue dalle cose, conoscendole e agendo sopra di esse, non si trova innanzi a questi due termini: le cose da una parte, e l’uomo dall’altra. L’uomo che si trovi accanto alle cose è esso stesso una cosa, quantunque battezzata per uomo, e di contro ad esso (come a tutte le altre cose) rimane sempre il vero uomo, che è quello realmente, in atto, si distingue da tutto ciò che conosce o su cui agisce (Ivi: 6)

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significato simbolico solamente se inseriti in un’interpretazione estetica e storiografica.

Ritornando a quanto detto precedentemente, questa impostazione determina anche la funziona stessa dell’indagine antropologica. Gentile ritiene l’approccio di una parte delle scienze sociali, una semplice “erudizione”, ma non una vera conoscenza, poiché l’atto del conoscere deve implicare inevitabilmente un impegno cosciente da parte dello studioso:

se l’uomo ha da essere uomo, formato dalla sua cultura, egli dovrà distinguere in sé tra quello che sa e quello che fa, tra il mondo teorico della sua intelligenza e quello reale del suo agire, quasi fosse possibile esercitare l’intelligenza senza impegnare la propria personalità in un certo concetto e giudizio od apprezzamento del mondo. (Ivi: 12)

Da questo punto di vista, proprio l’astrazione del rapporto fra soggetto e oggetto viene vista come una sorta di falsificazione storica. Le scienze morali, come le definisce Gentile, studiate secondo i principi naturalistici, non possono generare altro che semplice erudizione, “curiosità”, che seppur necessarie, esse risultano al di fuori della storia. Soltanto l’unità della cultura, in cui lo stesso studioso con il suo sapere e la sua azione ne è artefice, può elevarla a livello universale.

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La tradizione

Il pensiero pedagogico di Gentile lascia uno spazio significativo all’interpretazione del concetto di tradizione. È importante sottolineare questo aspetto poiché può spiegare in parte l’interesse successivo verso le tradizioni popolari, come la scelta di proporre l’insegnamento della cultura regionale nella riforma scolastica del 192313.

Innanzitutto, per Gentile, la tradizione non è un elemento statico, ma si inserisce nel processo di rigenerazione del pensiero, in particolare nella sua accezione storiografica. Come lo spiega lui stesso:

La tradizione, il passato è niente se diviso dalla attualità della vita presente, e non risoluto nell’eterno; ma è tutt’altro che niente dentro l’atto spirituale; del quale è il contenuto, la concretezza, la determinatezza storica. La lettera è morta se non è vivificata dallo spirito; ma lo spirito vive, sempre che si ravvivi (cioè, sempre), in una lettera, la quale, in quanto attualità spirituale, non è più lettera, ma spirito. (Gentile 1982, II: 170)

La tradizione è un elemento non costante nel tempo e che non acquisisce valore e importanza se non attraverso la sua contemporaneità della sua riproduzione intellettuale e cosciente. E ciò rende la tradizione come un qualcosa di non stabile nell’eterno, ovvero un a priori da cui deriva la coscienza. Al contrario, è l’eterna attività dello spirito che permette l’interiorizzazione della tradizione in esso. E questo va di pari, ribadiamolo, con una visione differente di concepire la storia. Quest’ultima è da considerare, secondo Gentile, alla luce

13 Per il dibattito sull’uso del folklore a scuola durante il periodo della riforma

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dell’infinitezza del pensiero, permettendo che la riflessione storica si effettui come historia rerum gestarum, ovvero come riflessione che nel presente, trasforma, vivifica e annienta la materialità del passato, intesa come res gestae.

La differenza fra historia rerum gestarum e res gestae può essere definita in Gentile come la differenza fra evento storico e fatto storico. Se per “fatto storico”, si intende un punto del passato che ha valore per la sua posizione nel tempo, “evento storico” implica per Gentile un punto del passato che ha senso nel presente, che assume valore simbolico dalla rappresentazione attuale che gli si attribuisce (Cfr. Fogu 2013). Di conseguenza, i concetti di passato, il quale è determinato senza sosta dal pensiero, di tradizione, e dunque, di tradizione nazionale prendono simbolicamente significato, nell’attualismo di Gentile in quanto coscienza e conoscenza acquisite. E come l’ha mostrato Claudio Fogu, questa maniera di concepire la storia e la tradizione stabilisce un processo di “stilizzazione del tempo” che conduce all’idea modernista che l’immaginario storico nazionale (come tutta la storia in generale) si costruisce in relazione ai bisogni estetici della politica (un’idea che contribuirà anche alla formazione della visione storiografica del fascismo) (Cfr. Fogu 2003).

Fra tradizione e storia esiste tuttavia, per Gentile, una differenza sostanziale. La tradizione rappresenta l’oggettivazione in una identità storica del pensiero autocosciente dell’Io. Essa “è la storia come pure oggettività” (Gentile, 1982, II: 185). Più precisamente, la tradizione si situa a un livello più elementare dell’attività del pensiero, e come lo descrive Gentile:

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riafferma il soggetto nella sua ristaurata libertà. Ma per criticare bisogna prima raccogliere la tradizione; e questa rappresenta l’elemento religioso della storia. (Ivi: 185)

Come è stato analizzato da Biagio De Giovanni, Gentile avendo una concezione religiosa dell’impegno politico e filosofico, guarda alla tradizione come a una materializzazione dello spirito, che si concretizza in un atto oggettivo, anche se quest’ultimo dimora sempre presente nel pensiero (Cfr. De Giovanni 2012). Sul piano pedagogico, il carattere “religioso” della tradizione fa del suo insegnamento un atto passivo, in cui l’allievo acquisisce la coscienza di quello che è l’oggettività della storia, attraverso un atto della comunicazione. Ma questo atto comunicativo essendo esso stesso nel presente un’attività dello spirito fa in modo che la tradizione diventi una parte integrante del processo di trasformazione spirituale dell’individuo:

Ogni insegnamento storico con la dommaticità della sua tradizione, che deve precedere, […], alla critica instauratrice della certezza [...], mira appunto a realizzare questo elemento essenziale della autocoscienza, innestandola in un mondo che ha la sua legge, che arbitrio umano non muterà mai, che né preghiere né deprecazioni devieranno mai dal suo corso, e che l’uomo savio, che è anche l’uomo buono, accetterà come la legge della propria natura. (Gentile 1982: II, 187)

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membro e un cittadino della nazione, e la scuola, in quanto istituzione, deve assumere questa missione, poiché, come diceva Gentile, “una scuola senza tradizione è una scuola di spiriti sbandati” (loc. cit.). In maniera più concreta, acquisire l’autocoscienza di essere membro della nazione significa, per Gentile, fare suo il carattere di tutti gli eventi storici che rappresentano delle caratteristiche indefettibili dell’anima nazionale, che hanno contribuito a forgiarla e che devono essere costantemente riattivate, attualizzandole nel pensiero individuale e collettivo.

Giuseppe Pitrè, l’artista dell’impegno civile

In tale ottica, il pensiero di Gentile dà un nuovo valore alle tradizioni popolari, soprattutto come la base fondante per una nuova identità estetica/politica. Difatti, in accordo ad una logica anti-positivistica, una scienza del folklore non deve limitarsi a raccogliere la cultura popolare ma deve utilizzarla in una prospettiva idealista al fine di fornire una nuova coscienza nazionale.

È un’idea questa che sta alla base dell’interesse che Gentile ha mostrato fin dalla sua giovinezza per i lavori e le ricerche sulle tradizioni popolari. Lo si evince in particolare, da una serie di articoli pubblicati sulla rivista Helios, fra il 1896 e il 189714. Inoltre, Gentile ha sostenuto l’importanza che hanno avuto per lui gli insegnamenti di Alessandro D’Ancona, incontrato durante i suoi anni di studi alla Normale di Pisa. L’influenza esercitata da D’Ancona deriva dalla metodologia di questi, la quale, per Gentile, mostra una filologia che non si imita alla semplice erudizione o all’analisi positiva dei dati mai fa prova di un

14 Per questo momento della vita di Gentile si rimanda in particolare a Turi,

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impegno civile diretto alla ricerca dell’unità spirituale della nazione15.

Tuttavia, come abbiamo specificato nell’introduzione, l’espressione più significativa dell’attenzione portata per le tradizioni popolari, è l’opera Il tramonto della cultura siciliana, dedicata alla memoria di Giuseppe Pitrè (Gentile 1963). In questo volume, come ha messo in evidenza Annamaria Amitrano Savarese, Gentile celebra il folklorista siciliano come un intellettuale che si situa fra arte e scienza, capace di risvegliare la Sicilia dal suo torpore regionalista. L’apporto di Pitrè, attraverso la pratica della sua disciplina, la demopsicologia, è stato quello di mettere in luce il “carattere” dei Siciliani, facendo conoscere non solamente la loro produzione materiale ma anche il loro “spirito”, grazie alla sua abilità a cogliere i risvolti psicologici del loro temperamento. In questo senso, lo studio delle tradizioni apparirebbe come un’oggettivazione dell’attività spirituale di un popolo: il folklorista sarebbe in grado di rilevare gli elementi “reali e spirituali” che, nella loro globalità, caratterizzano e definiscono l’identità di un popolo (Cfr. Amitrano Savarese 2003).

Conviene sottolineare che, nell’opinione di G. Gentile, la demopsicologia di Pitrè non si riassume in alcun modo alla nozione antropologica di “personalità di base”16. La demopsicologia di Pitrè non si limita a tale concetto poiché non

15 Una parte del pensiero gentiliano su D’Ancona è raccolto in “Ricordi di

Alessandro D’Ancona”, originariamente pubblicato nel 1935, ma riedito in Gentile 1996.

16 Secondo Amitrano Savarese, Pitrè aveva anticipato il concetto di

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si accontenta di stilare la lista dei “fatti” culturali che hanno marcato la specificità dei Siciliani nel corso dei secoli. Se questo fosse stato il caso, Gentile avrebbe potuto affermare sulla demopsicologia quello che, cinquant’anni più tardi, Ernesto De Martino dichiarerà a proposito della scienza folklorica in generale, ovvero nel semplice esercizio di “raccogliere per il raccogliere senza avere chiaro come e perché raccogliere” (De Martino 1954: 944). A dire il vero, Gentile riconosce il lavoro inarrestabile di collezione e compilazione delle pratiche e tradizioni popolari svolto da Pitrè, il quale costituisce una parte fondamentale della sua attività. Ma ciò che è più determinante, ai suoi occhi, sono gli effetti benefici dell’attività stessa del medico siciliano. Allontanandosi da un puro regionalismo, la demopsicologia di Pitrè è essa stessa storiografia; è, molto più che una raccolta di fatti, un “giudizio autocosciente” dello spirito, riflettendo il posto della Sicilia nel mondo:

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problemi delle altre regioni, nell’unità della storia nazionale, anzi del mondo. (Gentile 1963: 108)

Per Gentile, nella logica di queste riflessioni, il tratto significativo della demopsicologia pitreiana è di essere prima di tutto posta come una “storiografia”, ovvero pensiero che giudica, attuale e cosciente. Ed è un tratto che la pone su un modo totalmente differente dai saperi normativi che hanno caratterizzato le scienze dell’Uomo del XIX secolo. Queste ultime, in effetti, avrebbero affermato, secondo Gentile, l’assoluta necessità della separazione epistemologica fra soggetto e oggetto, “l’ideale quindi è che l’animo dell’erudito venga a trovarsi, faccia a faccia, col suo oggetto senza frapporre tra sé ed esso nulla di estraneo a quell’oggetto, e quindi nulla di soggettivo, che possa minimamente annebbiare la diretta apprensione che se ne desidera” (ivi: 111). C’è qui una procedura suscettibile di eliminare per chi la segue ogni possibilità di affrontare in maniera critica la sua attività scientifica, in coerenza con il modo di fare dei folkloristi che diventano i semplici esecutori materiali di un metodo esistente al di là della loro coscienza. La ricerca resta, allora, “regionalista”, poiché, limitandosi alla collezione dei materiali, essa non può sviluppare una “coscienza storiografica”, frutto di un’attività universale del pensiero.

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condividere la sensibilità del suo popolo. Che esponga le credenze popolari, che descriva le leggende cavalleresche, o che presenti il teatro delle marionette o la vita religiosa, Pitrè s’identifica al pensiero e ai sentimenti del popolo siciliano, ed è par questo atto dello spirito che la demopsicologia si mostra un pensiero attivo e storiografico, nonostante la sua apertura verso alcuni dogmi del positivismo. Un esempio di questo è dato quando Giovanni Gentile riporta la descrizione che Pitrè diede delle tradizioni cavalleresche popolari (Pitrè 1889). Gentile rimarca che, descrivendo lo spettacolo a cui sta assistendo, Pitrè non si accontenta di osservare con uno sguardo scientifico, ma sente e reagisce come un qualsiasi altro spettatore (Gentile 1963: 116-118).

Questa identificazione, che fa emergere una sorta di “folklore partecipativo”, non deve essere considerata alla distanza epistemologica fra l’antropologo occidentale e i “nativi”, definita nel metodo dell’osservazione partecipante di Bronislaw Malinowski, in quanto essa sarebbe contraddittoria a causa dell’identità siciliana di Pitrè17. Inoltre, Gentile non ci vede nemmeno un bisogno di standardizzare dei metodi di conoscenza dell’altro. Egli la comprende piuttosto come un’attività spirituale di tipo artistico. Pitrè sarebbe personalmente, emozionalmente e spiritualmente presente nella sua opera come un artista può esserlo nella sua. E la sua demopsicologia appare qui come una “forma d’arte”, che si fonde nelle sue opere con l’identità estetica del popolo dandogli una forma concreta. Similmente a quanto affermato durante il

17 Bronislaw Malinowski applica questa metodologia soprattutto nella sua

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primo ottocento dall’estetica romantica, essa aiuterebbe a riscoprire il “vero e il bello” dell’arte popolare18. Gentile scrive:

Negli studi di Pitrè la raccolta delle tradizioni popolari è ricchissima; l’erudizione dei riscontri e la cognizione della letteratura demopsicologica vasta mirabilmente; la conoscenza della vita siciliana attraverso i secoli, quale può attingersi da libri e manoscritti e da ogni maniera di documenti, amplissima e sicura nei più reconditi particolari. Eppure, là dove si scorge la personalità dello scrittore, è l’artista che si compiace serenamente del suo mondo, quale vive nel suo stesso spirito, innamorato della sua terra, e vagheggiante con occhio sempre sorridente quel popolo pieno di passione e di sogni, in mezzo al quale è felice d’esser nato e d’essere sempre vissuto. Le teorie de’ demopsicologi, quando ne tocca, è chiaro che lo interessano mediocremente. I motivi profondi, la cui indagine farebbero delle sue vivaci rappresentazioni vera e propria storia, non lo attraggono. I suoi lavori di carattere più storico come La vita a Palermo cento e più anni fa e altri scritti minori, fioriscono anch’essi di aneddoti, macchiette, pitture di costumi e di caratteri; e ci danno sempre l’impressione di rivivere in mezzo a una eterna Sicilia poetica, che è la Sicilia del cuore di Giuseppe Pitrè: storico, ma poeta; storico, voglio dire, che non inventa già i fatti, ma ci vive dentro con la fantasia, e non li domina col pensiero. (Ivi: 128-129)

Se la demopsicologia di Pitrè è percepita come arte da Gentile, si deve al fatto che non riduce i fatti a semplice

18 Il romanticismo aveva costruito una particolare estetica del folklore: esso

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astrazione come fanno gli “altri folkloristi”, i quali, limitandosi a catalogare i fatti, instaurano, agli occhi di Gentile, una distanza fra oggetto e soggetto eliminando così l’attività spirituale. Ecco perché Gentile accoglie positivamente la visione puramente idealista che c’è secondo lui nel pensiero di Pitrè, in quanto sarebbe dettata da una sensibilità poetica che gli permetterebbe di partecipare storicamente all’evoluzione dello spirito siciliano. Il pensiero di Pitrè è così definito come storiografia perché attualizza la cultura, la vivifica nella sua attività stessa di giudicare, riducendo di conseguenza le dicotomie possibile fra soggettività e oggettività, pensiero e azione, storia e storiografia. Le conseguenze politiche di questa analisi sembrano evidenti. L’arte diviene un valore assoluto, in cui l’estetica è il principio fondamentale della conoscenza. In tal senso, la demopsicologia di Pitrè aiuta a esprimere e consolidare l’identità di un popolo, che si afferma su valori estetici assoluti come quelli del bello e del vero, punti di riferimento verso i quali ogni individuo può trascendere in senso idealistico per riconoscersi e sentire una cultura nazionale come propria. Similmente all’artista che impone il proprio spirito all’opera, la demopsicologia si realizza come un “atto creatore”, poiché favorisce il processo pedagogico che conduca verso un’elevazione spirituale totale della personalità di ogni individuo, ovvero come membro di una comunità nazionale.

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riferisce anche alla crisi di valori che l’Italia dei primi anni del ventesimo secolo stava attraversando, perdita che giustifica ancora di più il ricorso all’energia spirituale sollevata dalla demopsicologia19.

Conclusione

In questo articolo ci siamo limitati ad illustrare una visione generale dell’approccio di Gentile verso alcuni concetti classici dell’antropologia, come cultura e tradizione e come questo influenzi l’interpretazione su Giuseppe Pitrè che diventa così “narratore vivente” della storia siciliana.

Inoltre, abbiamo soltanto accennato alle conseguenze politiche e ideologiche della riflessione gentiliana, né ci siamo soffermati lungamente sulla mancanza di una vera e propria analisi sociale della cultura popolare. Ciò deriva in parte dal fatto che, per Gentile, il significato di cultura assume valore assoluto che non si declina in termini di distinzione di classe. In linea di principio, Gentile distingueva in senso idealistico fra “vera” cultura e “falsa” cultura intendendo la prima in chiave modernista, ovvero di una cultura che spinge l’umanità verso gli ideali del progresso e del futuro, mentre la seconda si manifesta essenzialmente come un “immobilismo” storico. Ciò spiega il suo rifiuto di considerare come “cultura” quella appartenente ai popoli “primitivi” poiché caratterizzata da un presunto vuoto storiografico e priva di quello slancio necessario per proiettarli verso la modernità.

19 Bisogna ricordare come la pubblicazione de Il tramonto della cultura

siciliana ha luogo, come detto, nel 1917, con una prefazione datata 20

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In realtà, tornando a quanto detto precedentemente, Gentile non attribuisce l’assenza di cultura in quanto tale quanto piuttosto la presunta a-storicità dei popoli senza storia, che si ripercuote nel loro modo di essere nel mondo. Come dirà qualche anno più tardi,

I caratteri della falsa cultura – della cultura cioè che non sia umanisticamente, od orientata umanisticamente, anche se rivolta alla coscienza e al padroneggiamento della natura – derivano da questo suo difetto di umanità. La quale, naturalmente, non può non essere presente in tutte le forme dell’umana attività, anche se difettose e inadeguate alla natura umana. Ma il difetto consiste nella troppo scarsa se non assente consapevolezza di tale presenza. L’uomo c’è, e non sente di esserci. (Gentile 1936, 71-72)

Per Gentile, essere nella storia e nella cultura significa divenire artista della propria libertà, far avanzare in modo perpetuo e costante il proprio giudizio. Ciò comporta anche l’associazione del primitivo con la “falsa cultura” in quanto destinata a essere fuori dalla storia, senza movimento politico e ideologico, il cui pensiero individuale si perde nella struttura totalizzante della cultura. Così facendo, nel pensiero dell’idealismo gentiliano, critica estetica e critica sociale si riuniscono in un unico processo di comprensione, in cui, appunto, la cultura è sinonimo di umanesimo, storiografico e universale, che si riassume con l’azione cosciente e attiva del moto del pensiero.

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tradizioni nella società italiana, l’uso politico del folklore come strumento di mobilitazione di massa, la valorizzazione dell’arte popolare (e conseguentemente dell’artigianato) come manifestazione dell’attività spirituale degli Italiani sono tutti argomenti che acquistano un nuovo valore simbolico all’interno di questo momento importante della storia culturale italiana.

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