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Conviene divorziare o restare separati?

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Conviene divorziare o restare separati?

written by Redazione | 11/02/2018

Come incidono il divorzio o la separazione sul mantenimento, la pensione di reversibilità, l’eredità e il Tfr.

Divorziare o restare separati: un dubbio che si può porre solo chi è, sostanzialmente, il buoni rapporti con l’ex coniuge e non intende contrarre un nuovo matrimonio. Una situazione di stand by in cui i coniugi restano separati ma non procedono al successivo divorzio implica infatti il mantenimento del vincolo coniugale e di alcuni obblighi come quello di mantenimento e di successione.

Insomma, separazione e divorzio sono due situazioni completamente diverse perché solo con quest’ultima cessa ogni legame tra marito e moglie. Ci sono però una serie di diritti che anche col divorzio non vengono meno, come ad esempio il diritto a percepire una parte del Tfr maturato dall’ex coniuge o una quota della pensione di reversibilità. Altri diritti invece restano in vita solo durante la separazione e cessano definitivamente col divorzio. Impossibile dire a priori, quindi, se conviene divorziare o restare separati perché su tale scelta incidono una serie di variabili (l’età dei coniugi, l’eventuale addebito,

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l’autosufficienza economica da parte di entrambi, ecc.). Ecco perché, in questo articolo ci limiteremo ad indicare quali conseguenze comporta, per ognuno di questi diritti, la separazione e il divorzio lasciando poi la valutazione sulla convenienza tra l’una e l’altra strada al lettore.

Mantenimento: conviene la separazione o il divorzio?

Partiamo dal tema più caldo: l’assegno di mantenimento. Prima però di stabilire, a riguardo, se conviene di più restare separati o divorziare, dobbiamo fare una precisazione terminologica: quando parliamo di assegno di mantenimento ci riferiamo a quello che viene stabilito dopo la separazione; quando invece parliamo di assegno di divorzio (o «divorzile») ci riferiamo invece a quello che viene determinato dopo il divorzio. I criteri per calcolare i due importi sono cambiati a partire dallo scorso 10 moggio 2017, ossia da quando la Cassazione (con la famosa sentenza “Grilli” [1]) ha stabilito che:

l’assegno di separazione è rivolto a garantire, al coniuge con il reddito più basso, lo stesso «tenore di vita» che aveva quando viveva insieme all’ex. Questo significa che tra i redditi dei due coniugi viene eliminata ogni sproporzione fino a che i due (detratte le spese da sostenere a seguito della separazione) non si equivalgano da un punto di vista sostanziale. Il che significa, tanto per fare un esempio, che un marito molto facoltoso sarà tenuto a versare un cospicuo assegno di mantenimento all’ex moglie rispetto a un uomo con un reddito più basso. In concreto, tuttavia, il giudice chiamato a definire la somma, dovrà valutare, caso per caso, le reali possibilità del coniuge obbligato al versamento sulla base del reddito da questi percepito e della effettiva consistenza del suo patrimonio;

l’assegno di divorzio mira invece a garantire solo l’autonomia e l’indipendenza economica del coniuge economicamente più debole (non invece lo «stesso tenore di vita» goduto durante il matrimonio). Ciò significa che, se questo ha già un proprio reddito e, per quanto più basso rispetto a quello dell’ex, gli consente comunque di mantenersi da solo, non ha più diritto all’assegno.

A questo punto, se stai versando l’assegno di mantenimento è molto probabile che ti convenga divorziare al più presto; infatti, se la tua ex moglie è già di per sé

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autonoma, col divorzio potresti evitare di versarle qualsiasi somma. Resta il fatto che, se avete figli, per questi invece le cose restano come prima e sarai comunque costretto a pagare il mantenimento (in base al tenore di vita da questi goduto quando ancora vivevano con entrambi i genitori) fino alla loro totale indipendenza economica.

Invece, se sei tu quello che sta ricevendo l’assegno di mantenimento, la situazione di separazione potrebbe essere più conveniente.

Ricordiamo che il coniuge che ha subito, con la separazione, il cosiddetto

«addebito» (ossia si è reso responsabile, col proprio comportamento, della fine del matrimonio) non ha diritto al mantenimento.

Ultima precisazione: il coniuge che versa in condizioni di totale disagio economico, tanto da non avere le disponibilità economiche necessarie neanche alla sopravvivenza, può rivendicare gli alimenti da parte dell’ex coniuge anche dopo il divorzio e anche se aveva a suo tempo subito l’addebito. Chiaramente gli alimenti sono un importo molto più ridotto del mantenimento e volto solo a garantire la sopravvivenza.

Diritti ereditari: conviene di più la separazione o il divorzio?

Se uno dei due coniugi dovesse morire quando ancora la coppia è separata – e quindi prima che intervenga il divorzio – l’altro coniuge (quello cioè superstite) è suo erede naturale, proprio come sarebbe avvenuto se i due non si fossero mai lasciati.

Chiaramente, chi è interessato all’eredità dell’altro farà bene a non divorziare e a restare separato.

Pensione di reversibilità: conviene la separazione o il divorzio?

Con la separazione, si ha diritto alla pensione di reversibilità dell’ex coniuge nel caso in cui questi dovesse morire. La si può rivendicare anche nell’ipotesi in cui il coniuge superstite rinunci all’eredità dell’altro (magari in presenza di una

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situazione debitoria particolarmente elevata). Di recente la Cassazione ha detto che la pensione di reversibilità spetta anche al coniuge separato con addebito [2].

Anche con il divorzio si ha diritto alla pensione di reversibilità dell’ex coniuge ma solo per una quota. Questa quota viene ad esempio divisa con l’eventuale seconda moglie. La quota viene determinata sulla base di una serie di parametri come, ad esempio, la durata del matrimonio, la sussistenza di un assegno di mantenimento, le condizioni economiche. La reversibilità all’ex coniuge divorziato spetta però solo ad alcune condizioni:

il rapporto di lavoro da cui trae origine il trattamento pensionistico deve essere anteriore alla sentenza di divorzio;

l’ex coniuge non deve essersi risposato (circostanza che, peraltro, escluderebbe nei suoi confronti l’assegno di divorzio).

La reversibilità non spetta infine all’ex coniuge divorziato se questi ha accettato di ricevere l’assegno divorzile in un’unica soluzione.

Quindi (a differenza di quanto un tempo riteneva la Cassazione), la reversibilità oggi spetta anche a chi non percepisce l’assegno di mantenimento ed a chi ha subito l’addebito. Tanto è stato confermato anche dall’Inps con la circola re n.

19/2022.

Alla luce di tutto ciò non c’è dubbio che, se vi sono i presupposti per ricevere la pensione di reversibilità, la coppia dovrà rimanere separata piuttosto che divorziare. Solo in tale ipotesi infatti si ha diritto a tutta la reversibilità e non solo a una quota.

Tfr: conviene la separazione o il divorzio?

Veniamo infine al trattamento di fine rapporto (Tfr), ossia la “liquidazione” che viene versata al lavoratore non appena cessa il rapporto di lavoro con la stessa azienda e che è pari (all’incirca) a una mensilità per ogni anno lavorato.

Qui – paradossalmente – le cose si invertono: per ottenere una quota del Tfr dell’ex coniuge bisogna avere divorziato. I separati non hanno diritto a percepire una quota del Tfr. Cerchiamo di spiegarci meglio.

All’ex coniuge divorziato spetta una quota del Tfr (di norma il 40%) solo se:

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titolare dell’assegno di mantenimento e sempre che detto mantenimento non sia stato pagato con un’unico assegno (cosiddetta «una tantum»);

non risposatosi;

il tfr deve essere stato liquidato dall’azienda dopo la sentenza di divorzio, ma deve essere il frutto del lavoro svolto (anche solo in parte) quando ancora la coppia era ancora sposata.

Eguale diritto non è riconosciuto al coniuge separato. Ed invero, le norme sull’istituto della separazione non prevedono in alcun modo la partecipazione di un coniuge all’indennità di fine rapporto percepita dall’altro e la giurisprudenza, intervenuta più volte in materia, ha escluso l’applicazione di un’interpretazione estensiva della norma contenuta nella legge sul divorzio [3], che possa consentirne l’applicazione anche al coniuge separato. La giurisprudenza ha infatti precisato che il diritto alla quota del TFR dell’atro coniuge sorge solo quando l’indennità sia maturata al momento o dopo la proposizione della domanda di divorzio, ma non anche quando sia maturata precedentemente ad essa [4].

Pertanto, se il coniuge separato cessa di lavorare dopo la pronuncia di separazione ma prima dell’instaurazione del giudizio di divorzio, egli di fatto può disporre liberamente delle somme ricevute a titolo di indennità di fine rapporto e l’altro coniuge non può pretendere alcunché, anche se titolare di assegno di mantenimento.

La giurisprudenza ha anche escluso la possibilità per il coniuge di pretendere una quota delle eventuali anticipazioni sul TFR percepite dall’altro coniuge in costanza di separazione, essendo ormai dette somme entrate nell’esclusiva disponibilità dell’avente diritto [5].

Il coniuge separato potrà tuttavia chiedere che il giudice tenga conto dell’importo percepito a titolo di Tfr dall’ex:

nella quantificazione dell’eventuale assegno di mantenimento (se la causa di separazione è ancora in corso);

o, in un successiva richiesta di aumento (formulata con domanda di modifica delle condizioni della separazione).

Riferimenti

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