Diffusione attraverso i mass media del dibattimento penale, con particolare riguardo agli effetti sui minori.
(Delibera del 4 aprile 1990)
Il Consiglio Superiore della Magistratura, nella seduta del 4 aprile 1990, ha deliberato di adottare la seguente risoluzione:
“Sono stati trasmessi dal signor Procuratore Generale della Corte Suprema di Cassazione, con lettera 23 agosto 1989, diversi esposti relativi alla diffusione attraverso i mass media del dibattimento penale, con particolare riguardo agli effetti sui minori, per un eventuale esame della delicata problematica.
Acquisito un parere dell’Ufficio studi, che qui si allega e discussa ampiamente le questione in sede di commissione, si è pervenuti alle seguenti conclusioni:
1) La materia è certamente delicata, perché entrano in gioco valori costituzionali e, al tempo stesso, il rispetto dei diritti e interessi dei minori di anni 18;
2) Non sembra dubbio, peraltro, che debba essere ammessa la coesistenza delle norme di cui all’art. 471 c.p.p. e 147 disp. att. c.p.p., diverse sostanzialmente nel contenuto e nella finalizzazione. Ragioni logico-giuridiche e ragioni tecniche impediscono di ritenere che la non ammissione dei minori di anni 18 alla udienza penale possa anche implicare divieto di ripresa audiovisiva dei dibattimenti. La ragione del 471 è quella di evitare ogni turbamento al regolare svolgimento dell’udienza. I limiti alle riprese audiovisive dei dibattimenti sono finalizzate alla tutela dei diritti individuali alla riservatezza e all’immagine;
3) Non è contenuto, nell’art. 147 disp. att., alcun limite finalizzato alla tutela degli spettatori minori di anni 18.
Ciò non significa, ovviamente, che nessuna disciplina possa essere dettata in proposito. Ma essa - più che nelle norme del c.p.p. - dovrebbe trovare utile collocazione nella disciplina o nell’autodisciplina dei mezzi di comunicazione di massa;
4) Evidentemente, per quanto riguarda questo settore, il Consiglio non ha alcuna competenza. Ritiene tuttavia, di segnalare l’opportunità di una disciplina che tenga conto delle esigenze anche psicologiche prospettate in varie sedi garantendo così la tutela piu efficace del minore, in aggiunta alle misure che, direttamente ed utilmente, potranno (o dovranno?) essere adottate dagli stessi genitori o comunque dai familiari dei minori;
5) Se dunque non sembra potersi consentire sulla estensione alle trasmissioni televisive del divieto contenuto nell’art. 471 c.p.p., si è tuttavia particolarmente sensibili alla delicatezza della problematica, che ben potrebbe trovare acconcie soluzioni in sede di disciplina legislativa e di autodisciplina della emittenza radiotelevisiva.
ALLEGATO
1) In relazione ad una nota del Procuratore Generale presso la Corte di Cassazione che trasmette alcuni esposti concernenti il programma televisivo “Un giorno in Pretura”, per opportuna informativa e per l’eventuale ricognizione degli aspetti della delicata problematica, la Commissione ha richiesto un parere in ordine alla compatibilità tra l’art. 471 del nuovo c.p.p. e l’art. 147 delle disposizioni di attuazione, prospettando l’alternativa tra una lettura della prima disposizione, che, in conformità con la formulazione letterale, abbia come conseguenza un generalizzato divieto di effettuare la trasmissione (derivante dal divieto di far assistere i minori all’udienza penale) e un’interpretazione che, sulla base dell’individuazione di una diversa ratio, consenta di armonizzare i contenuti delle due disposizioni.
2) Per comodità espositiva si riportano i testi delle disposizioni citate.
Art. 471 c.p.p.:
Pubblicità dell’udienza
1. L’udienza è pubblica a pena di nullità.
2. Non sono ammessi nell’aula di udienza coloro che non hanno compiuto gli anni diciotto, le persone che sono sottoposte a misure di prevenzione e quelle che appaiono in stato di ubriachezza, di intossicazione o di squilibrio mentale.
3. Se alcuna di queste persone deve intervenire all’udienza come testimone, è fatta allontanare non appena la sua presenza non è piu necessaria.
4. Non è consentita la presenza in udienza di persone armate, fatta eccezione per gli appartenenti alla forza pubblica, né di persone che portino oggetti atti a molestare. Le persone che turbano il regolare svolgimento dell’udienza sono esplulse per ordine del presidente o, in sua assenza, del pubblico ministero, con divieto di assistere alle ulteriori attività processuali.
Art. 147 delle norme di attuazione del c.p.p.:
Riprese audiovisive dei dibattimenti
1. Ai fini dell’esercizio del diritto di cronaca, il giudice con ordinanza, se le parti consentono, può autorizzare in tutto o in parte la ripresa fotografica, fonografica o audiovisiva ovvero la trasmissione radiofonica o televisiva del dibattimento, purché non derivi pregiudizio al sereno e regolare svolgimento dell’udienza o alla decisione.
2. L’autorizzazione può essere data anche senza il consenso delle parti quando sussiste un interesse sociale particolarmente rilevante alla conoscenza del dibattimento.
3. Anche quando autorizza la ripresa o la trasmissione a norma dei commi 1 e 2, il presidente vieta la ripresa delle immagini di parti, testimoni, periti, consulenti tecnici, interpreti e di ogni altro soggetto che deve essere presente, se i medesimi non vi consentono o la legge ne fa divieto.
4. Non possono in ogni caso essere autorizzate le riprese o le trasmissioni dei dibattimenti che si svolgono a porte chiuse a norma dell’art. 472 commi 1, 2 e 4 del codice.
Quest’ultima disposizione rappresenta una novità per la nostra legislazione (1), in quanto in precedenza la ripresa e la trasmissione audiovisiva delle udienze penali, non infrequente nella pratica (2), era stata oggetto solo di sporadici interventi giurisprudenziali (3) e di indagini dottrinali (4), i cui risultati sono stati recepiti dalla norma, mentre l’art. 471 c.p.p., al di là delle differenze formali (la nuova disposizione unifica le norme dettate dagli artt.
423, comma 1, 426 e 434 del vecchio codice,) e sostanziali (ad esempio i soggetti non ammessi nell’aula di udienza, sono parzialmente diversi da quelli dei quali doveva essere impedito l’ingresso e la permanenza nella sala d’udienza e nelle sue adiacenze) che dovranno formare oggetto di analisi che esulano dagli scopi attuali, ribadisce il principio e, sostanzialmente, anche la disciplina, della pubblicità del dibattimento, già contenuta nel codice abrogato.
Una prima osservazione scaturisce dai semplici dati di fatto esposti: se le disposizioni fossero incompatibili, in quanto il rispetto dell’art. 471 c.p.p. renderebbe in ogni caso impossibile la ripresa audiovisiva del dibattimento, più che a un difetto di coordinamento ci troveremmo di fronte a un macroscopico errore del legislatore. Non è infatti possibile ipotizzare una semplice svista nella redazione dell’art. 147 disp. att. al c.p.p. ma bisognerebbe pensare alla completa ignoranza di un aspetto, tra l’altro non nuovo né marginale, della disciplina della pubblicità delle udienze penali. Il che francamente deve spingere l’interprete a percorrere la diversa strada della coesistenza delle disposizioni.
3) ll principio fondamentale della pubblicità del dibattimento è previsto in norme convenzionali internazionali (art. 6, 1°
comma convenzione europea dei diritti dell’uomo e art. 14, 1° comma Patto internazionale sui diritti civili e politici), che per il loro oggetto e natura debbono ritenersi automaticamente inserite nell’ordinamento ex art. 10, 1° comma Cost., è, secondo una tesi che pare da condividere, trova fondamento costituzionale negli artt. 101, 1° comma e 111, 1° comma Cost. (5).
All’interno del concetto di pubblicità si distingue tra pubblicità immediata (o interna o processuale), consistente nella possibilità per il quisque de populo di assistere personalmente alla celebrazione del dibattimento, e pubblicità mediata (o esterna o extraprocessuale), la quale comporta la possibilità di venire a conoscenza del dibattimento attraverso i mezzi di comunicazione collettiva (6). I due tipi di pubblicità hanno in comune la generica finalità di garanzia del corretto esercizio della giurisdizione penale, nell’interesse della collettività e dello stesso imputato, e, ovviamente hanno lo stesso oggetto. Tuttavia, dalla diversità dei destinatari e delle modalità di attuazione, deriva anche una diversità di specifiche funzioni e quindi di disciplina.
A livello di fondamento costituzionale, oltre alle norme già citate, per la pubblicità mediata viene in considerazione anche l’art. 21 Cost. (7) e quindi la tutela costituzionale del diritto di cronaca giudiziaria (come espressamente confermato dall’art. 147, 1° comma norme di att. al c.p.p.).
La pubblicità immediata è dettata come regola dall’art. 471 del nuovo codice che prevede anche alcune limitazioni individuali, mentre gli art. 472 stesso codice e 33 D.P.R. 22 settembre 1988 n. 448, sul processo penale minorile, indicano i casi in cui si procede a porte chiuse, che la dottrina definisce come limiti collettivi (8) e, forse più rigorosamente, potrebbero essere qualificate come vere e proprie eccezioni alla regola generale.
La pubblicità mediata è oggetto invece delle previsioni contenute negli artt. 114 e 473, comma 2 c.p.p., 13 D.P.R. 448/1988 e 147 norme di attuazione del c.p.p..
Come esiste un innegabile rapporto tra i due tipi di pubblicità dal punto di vista concettuale e sotto alcuni profili anche pratico (9), così esiste un rapporto anche tra le discipline. Le riprese audiovisive (art. 147, comma 4 disp. att.) e la presenza dei giornalisti (art. 473, comma 2 c.p p.) sono vietate nei casi in cui l’art. 472, commi 1, 2 e 4, dispone che si proceda a porte chiuse (art 147, comma 4 disp. att.). L’esclusione del divieto nelle ipotesi di dibattimento a porte chiuse ai sensi dell’art. 472 comma 3 evidenzia al tempo stesso una ulteriore differenza, derivente da un intervento della Corte cost. (sentenza n. 25 del 1965) che dichiarò l’illegittimità dell’art. 164, 1°
comma n. 3 del c.p.p. abbrogato, nella parte in cui vietava la pubblicazione degli atti concernenti un dibattimento celebrato a porte chiuse per ragioni di pubblica igiene o perché la pubblicità può eccitare riprovevole curiosità e
nella parte in cui determinava la durata del divieto nei termini previsti dalle norme sugli archivi di Stato anche per i processi celebrati a porte chiuse per manifestazioni del pubblico che possono turbare la serenità del dibattimento.
Da quanto osservato discendono ulteriori conseguenze: da una parte può rilevarsi che esistono ipotesi in cui la pubblicità mediata ha una portata maggiore di quella immediata, dall’altra, emerge che di per sé, e cioè salva diversa disposizione di legge, le limitazioni della possibilità di assistere alle udienze penali non coincide con i limiti al diritto di cronaca giudiziaria.
Una ulteriore considerazione da fare è che i limiti alla pubblicità delle udienze penali (sia mediata che immediata), in quanto eccezioni a principi fondamentali, che hanno fondamento costituzionale, non possono essere estesi al di là di quanto prevede la Costituzione e le leggi ordinarie ad esse conformi.
Non solo quindi ragioni logico-giuridiche, ma anche ragioni strettamente tecniche, relative alle regole legali dell’interpretazione, impediscono di ritenere che la non ammissione dei minori di anni diciotto alle udienze penali possa anche implicare divieto di ripresa audiovisiva dei dibattimenti.
4) La conclusione raggiunta, trova conferma nella individuazione delle ragioni giustificatrici delle limitazioni previste della legge alla possibilità di assistere alle udienze e alla diffusione delle conoscenze di quanto avviene nelle stesse con i mezzi di comunicazione collettiva.
A prescindere dalla ratio delle eccezioni alla regola della pubblicità per i dibattimenti a porte chiuse, che non viene ora in considerazione, sembra che tutte le previsioni di cui all’art. 471 c.p.p. abbiano l’unico scopo di evitare il turbamento al regolare svolgimento dell’udienza, come è espressamente indicato nel comma 4.È indubbio che la norma, come in altro luogo previsto (v. art. 472, comma 4, art. 13 e 33 D.P.R.488/1988).Ben avrebbe potuto contenere limitazioni alla possibilità di assistere alle udienze per i minori dei diciotto anni che non siano parti del procedimento o testimoni, a tutela della loro particolare sensibilità e per evitare pregiudizi al loro equilibrio psicologico, perché, come ha insegnato la Corte Costituzionale (sentenza 10 febbraio 1981, n. 117) l’art. 31, comma 2 Cost., ben può giustificare una limitazione di altre forme di tutela previste dalla stessa Costituzione.Ma nulla autorizza a ritenere che questa sia stata la strada seguita dal legislatore nel dettare l’art. 471 c.p.p., nel quale le categorie di soggetti non ammessi all’udienza o che debbono esserne allontanati, sono elencate senza alcuna distinzione e sono accomunate solo dall’essere considerate, a torto o a ragione, un pericolo per il regolare svolgimento dell’udienza.
I limiti alle riprese audiovisive sono invece previsti essenzialmente a tutela dei diritti individuali alla riservatezza e all’immagine, anche se non è estraneo l’interesse generale al sereno e regolare svolgimento dell’udienza.È certo, comunque, che le norme in tema di pubblicità mediata non prevedono alcuna limitazione a tutela degli spettatori minorenni.
Né detta tutela può essere desunta da norme diverse da quelle fin qui prese in considerazione.
Infatti non è applicabile nella specie l’art. 1 della legge 12 dicembre 1960, n. 1591, che vieta la fabbricazione e affissione in luogo pubblico di disegni, immagini, fotografie od oggetti comunque destinati alla pubblicità che offendano il pudore o la pubblica decenza considerati secondo la particolare sensibilità dei minori degli anni 18 e le esigenze della loro tutela morale, sia per l’impossibilità di estendere la norma incriminatrice a uno strumento di diffusione delle immagini diverso da quello previsto sia perché la tutela del buon costume comporta addirittura la celebrazione del dibattimento a porte chiuse e quindi il divieto di ripresa audiovisiva.
Per analoghe ragioni non è invocabile il disposto degli artt. 5 e 11 della legge 21 aprile 1962, n. 161 in tema di ammissione dei minori degli anni 18 a spettacoli cinematografici o teatrali, anche se si volesse prescindere dalla circostanza pur decisiva che la legge non prevedeva per la televisione un organo competente ad emettere i pareri previsti da dette disposizioni.