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Il Figurinaio e Carlo Paladini

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Academic year: 2021

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INTRODUZIONE

Il Figurinaio e Carlo Paladini

Nel primo numero, pubblicato domenica 1° dicembre 1889, il Figurinaio si presentava con queste parole: “Al di là dei monti e dei mari, tutti facevano ressa intorno a me ed io, rivendugliolo ambulante del patriottismo del gesso, m'empivo la catana e sbarcavo il lunario da Padre Eterno. Li per li mi prese il ghiribizzo di plasmare un' Italia di... gesso, ma dal piglio fiero, alto, gagliardo, che con patriottico ardimento, minacciava di dare il mestolo sul muso a tutti quelli che volevano piantare il naso negli affari della sua cucina.

Ora mi stabilisco fra le vostre mura: e indipendentemente da qualunque chiesuola e governetto, senza odi personali, ma con la fede salda e disinteressata per la libertà, non di altro desideroso che del benessere politico, morale, amministrativo, economico del mio paese, una volta la settimana – e più se mi pare – dirò alto e schietto il parer mio senza reggere il moccolo ad alcun santo Protettore della politica paesana.”

Il giornale, che prendeva il nome dal secolare mestiere fatto dagli emigranti lucchesi in tutto il mondo, sempre sul primo numero scriveva: “Il Figurinaio come del resto dice il nome, sarà un giornale eminentemente lucchese e ferocemente campanilista, che difenderà e combatterà per gli interessi più seri, più trascurati della Città, del Comune, della Provincia.”

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(foto n.1 pag.16)

Settimanale di quattro pagine, in vendita ogni domenica, il Figurinaio, oltre a trattare di politica e cronaca locale, dedicava numerose rubriche al teatro, alla poesia e alla moda: si trattava di un organo di stampa brillante, dove il lettore poteva trovare un po' di tutto.

Scritto in forma polemica, spregiudicata e tagliente, i temi predominanti, però, erano quelli legati al dibattito politico locale del tempo: il Figurinaio, sulla linea del precedente giornale liberale L'Indipendente, fu contrario all'alleanza clerico-democratica e alla sua amministrazione, i cui esponenti combatté con articoli di un umorismo crudele.

Fin dal primo numero venne chiarito il suo carattere battagliero e giovanile: “i giovani di cuore, i giovani di anima, i giovani di anni, i giovani d'intelletto, tutti coloro che sentono il rigoglio della vita nuova, liberale, democratica, saranno i benvenuti nella nostra famiglia di figurinai per bene, i quali non faranno mai delle… cattive figure, ma seguiranno costantemente, con ideale di sacrificio, il proprio programma.”

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Il Figurinaio, a.I (1889), n.1

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Il Figurinaio, a.I (1889), n.1

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Il Figurinaio, stampato dalla tipografia Canovetti con una tiratura di 5000 copie settimanali, fu fondato dal ventottenne giornalista lucchese Carlo Paladini.

Carlo Paladini nacque a Lucca il 30 dicembre 1861. Dopo aver viaggiato per parecchi anni in America dove lavorò per numerosi giornali quali il New York Herald, il New York Times e il New York Tribune, tornò in Italia, a Teramo, dove fu professore di letteratura inglese presso l'Istituto Tecnico. Qui, oltre ad insegnare, collaborò con vari giornali e si mise subito in luce per il suo spirito battagliero e audace. Il Paladini sentì subito il bisogno di gettarsi nelle lotte politiche e amministrative del teramano attirandosi la simpatia dei maggiori esponenti democratici e l'antipatia dell'amministrazione e del Sindaco. Stessa situazione avvenne nella sua Lucca quando, all'età di ventotto anni, fondò il Figurinaio, dove firmava gli articoli di fondo col suo significativo pseudonimo, il paladino. Dopo la morte del giornale lucchese, la sua carriera di giornalista fu in continua ascesa, scrivendo per autorevoli giornali quali il Corriere della Sera, Il Secolo, Il Giornale d'Italia e La Stampa.

Nel 1908, dopo una imponente votazione, fu eletto consigliere comunale a Lucca, ma si dimise dopo pochi mesi. Così rispose ad un amico dispiaciuto per l'accaduto: “Mi sono accorto che a Palazzo Santini [all'epoca sede del Comune] non è lecito parlar di cose serie, né io voglio correre il rischio, facendo il serio, d'essere preso in burletta.”

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Paladini collaborò anche col giornale La Riforma e fu amico intimo di Francesco Crispi del quale condivise sempre il programma politico. In occasione dell'arrivo in Italia del Primo Ministro inglese William Gladstone, divenne direttore dell'ufficio stampa del Governo, visti gli ottimi rapporti che aveva con il politico inglese. Il giornalista lucchese, che scrisse anche diversi libri, godette di una certa fama in Inghilterra in seguito alla pubblicazione del libro Impero e libertà nelle colonie inglesi da lui scritto. Quest'opera grandiosa che gli valse la nomina a Commendatore è composta da 600 pagine, 109 illustrazione e 12 carte geografiche. Il nome di Carlo Paladini figura nel celebre dizionario inglese dei grandi uomini d'Europa, Who is who che lo classifica fra gli italiani più illustri.

Carlo Paladini morì il 10 luglio 1922 nella sua casa di Massa Pisana, a Lucca.

E' inquietante che di un personaggio così influente nel dibattito politico locale, ma anche nazionale e internazionale, non si sia scritto praticamente nulla. Sulla vita del Paladini oggi abbiamo solo un fascicoletto di appena una trentina di pagine scritte, subito dopo la morte del giornalista, dal collega e amico Amerigi Vanni. Così il Vanni ricorda Carlo Paladini

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Amerigo Vanni, Un giornalista lucchese. Carlo Paladini, Nuova Cooperativa Tipografica Lucchese, Lucca, 1923,

p.21

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giornalista: “Fu, come suol dirsi un giornalista nato. L'articolo politico, o d'interesse letterario, artistico, storico, apologetico o mondano, gli usciva facilmente dalla penna, in un batter d'occhio, senza fronzoli o ghirigori, in uno stile rapido, ornato e conciso, che sapeva mettere in evidenza interessanti e vari argomenti nel più breve giro di parole o di frasi. Quanti articoli, tante battaglie; per la maggior parte perdute, ma sempre tenacemente combattute, senza un attimo di debolezza o un'ora di tregua.”

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Oltre al direttore, la redazione del Figurinaio era composta dal giornalista Goffredo Baracchini, il memorabile gattino di gesso che graffiava e mordeva con uno stile inimitabile; Arnaldo Gemignani, avvocato prediletto del famoso giurista lucchese Francesco Carrara; e tra gli altri Carlo Gamberini, Giulio Ballerini, Almachilde Pellegrini e Pietro Guerra. Tutti giovani avvocati che si distinguevano per le idee fortemente progressiste e anticlericali: una intellighenzia sottile, una avanguardia intellettuale assolutamente in conflitto con la realtà lucchese del tempo.

Numerosi erano anche gli inviati da tutta la Toscana e, soprattutto negli ultimi anni, da Roma, quando vi fu, da parte del giornale, un maggiore interesse per la politica nazionale.

Malgrado le sue tendenze politiche dichiaratamente liberali, il Figurinaio, fino alle elezioni amministrative del 1893, assunse una posizione astensionista. La sua opposizione al conservatorismo dell'amministrazione comunale fu però molto agguerrita. Numerose furono le battaglie in difesa degli interessi della città e del suo territorio, avanzando sempre ideali progressisti in favore delle classi più deboli: appoggiò lo sciopero delle sigaraie, si oppose all’aumento della tassa sul carbon fossile, si batté per lo sviluppo delle ferrovie nella lucchesia…

Memorabili furono anche i processi che coinvolsero direttamente il Paladini e gli altri

“figurinai”. Quello delle aule di tribunale fu una sorta di campo di battaglia alternativo a quello elettorale: attraverso queste lotte processuali il Figurinaio, grazie anche al suo esercito di avvocati volontari, cercò di avere la meglio sui rappresentanti dell’amministrazione comunale.

Il Figurinaio fu l’unico vero antagonista dell’amministrazione comunale conservatrice lucchese di quel periodo e fu il trampolino di lancio di coloro che sarebbero divenuti gli iniziatori del movimento socialista lucchese: Goffredo Baracchini, Edoardo Bonardi, Giuseppe Casentini, Luigi Volpi, Pericle Pieri e altri ancora. Il socialismo lucchese, infatti, non sarebbe stato espressione di un movimento di massa, ma fu invece rappresentato quasi

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Ivi, pp.6-7

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esclusivamente da quegli intellettuali e avvocati che collaboravano o comunque ruotavano attorno al Figurinaio.

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Bisogna inoltre ricordare che, malgrado la sua breve vita e la situazione politica avversa, il Figurinaio era un giornale molto diffuso. A tal proposito, è interessante quanto è scritto in un foglietto dell’ Ufficio dell’Ispettore di Pubblica Sicurezza della Prefettura di Lucca del 1895: “Del giornale la Tribuna ogni giorno vengono spediti ai rivenditori esemplari n° 790, della Nazione 250, del Corriere della Sera 280, del Telegrafo 120, del Figurinaio 400, del Progresso 100, dell’Esare 800.”

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Da questo appunto si può notare che il Figurinaio era il terzo giornale più distribuito a Lucca, secondo tra quelli lucchesi, considerando poi che da questi dati sono esclusi gli abbonati, di cui il Figurinaio era di gran lunga superiore all’Esare.

L’opposizione all’amministrazione comunale fatta dal Figurinaio, per quanto importante e significativa, fu però una opposizione esclusivamente giornalistica. Questo giornale, infatti, non riuscì mai ad organizzare una concreta realtà politica liberale lucchese intorno a sé, a differenza invece di quello che fece l’Esare tra i cattolici e i suoi alleati. Come dice Ugo Tintori nel libro Storia del movimento cattolico lucchese, in quegl’ anni a Lucca i transigenti era diventati coloro che in precedenza erano gli intransigenti (i cattolici) e i liberali, dall’altra parte, erano diventati i nuovi intransigenti: il Figurinaio, proponendo l’astensionismo, ricoprì in pieno questo ruolo e lasciò strada libera ai cattolici e ai suoi alleati. Il carattere giovanile e l’eccessivo impeto che metteva nelle sue battaglie lo resero un giornale fuori dagli schemi, portandolo alla morte dopo appena sei anni di vita.

Quando però qualcuno chiedeva a Carlo Paladini di dare al Figurinaio un carattere “meno sciagurato” lui rispondeva: “A che pro far diventare il figurinaio, lucchese nomade e vagabondo, una persona seria? Non sta bene il frak a chi è tinto di gesso.”

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Il Figurinaio: giornale “progressista”

L'importanza di una ricerca sul giornale Il Figurinaio nasce innanzitutto dalle vistose lacune che la storia lucchese della seconda metà dell'Ottocento presenta. Riguardo a questo periodo infatti non vi è di significativo che la pregevole (ma ormai datata) Storia del

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Antonio Casali, Uomini e vicende del primo socialismo lucchese (1895-1904), in Quaderni del circolo Rosselli. Il movimento operaio e socialista nella Toscana nord-occidentale 1870-1922, a cura di Carla Sodini, La Nuova Italia, Firenze, 1982, pp.48-49

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Archivio di Stato di Lucca, Prefettura di Lucca, Gabinetto, Giornali della Provincia, 1895

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Un giornalista lucchese, Op. cit., pp.8-9

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movimento cattolico lucchese, di Ubaldo Tintori e Mirella Stanghellini, e la tesi di Laura Farsetti su La lotta politica a Lucca alla fine del XIX secolo.

Vista l'importanza del periodo post-unitario e le peculiarità del caso lucchese (chiarite nel paragrafo seguente), risulta interessante (e da stimolo per future indagini) una ricerca sulla breve ma intensa esistenza di quel giornale che fu una delle più importanti testimonianze di quell'impatto che la società conservatrice lucchese ebbe, nell'ultimo ventennio dell'Ottocento, con la nuova realtà industriale e le conseguenze economiche e sociali ad essa collegate. E' per questo motivo che, come è scritto nel titolo della tesi, si può definire il Figurinaio, all'interno della società lucchese, una importante “voce progressista”: questo giornale, in contrapposizione al conservatorismo imperante, sostenne in primo luogo proprio quel nuovo sussulto industriale-produttivo che inevitabilmente toccò anche Lucca e il suo territorio alla fine dell'Ottocento.

La preziosa testimonianza lasciataci dal Figurinaio, oltre a mostrarci una critica ed inedita panoramica sui personaggi e le vicissitudini dell'epoca, evidenzia anche le difficoltà che questa giovane realtà liberale, sviluppatasi proprio in seno al Figurinaio, incontrò in campo politico. Malgrado le sue tendenze dichiaratamente liberali, come vedremo nel capitolo dedicato alle elezioni, saranno molteplici le indecisioni e le ingenuità dimostrate dal Figurinaio in occasione delle sfide elettorali: l'idealizzato liberalismo avanzato dal Figurinaio e dal Paladini (sul giornale addirittura si parla di “partito liberale unitario”) resterà un sogno e gli insuccessi elettorali dei liberali lucchesi saranno molteplici.

Come vedremo, oltre ad una immaturità nei modi e nella forma (sempre molto spregiudicati) il Figurinaio dimostra anche una immaturità più concettualmente politica:

sulle pagine di questo giornale infatti manca un'approfondita riflessione e un reale confronto con quelle che furono le realtà politiche esistenti e sviluppatesi in Italia in quel periodo. Il carattere localistico di questo giornale, che tanto giovò alle singole vicissitudini cittadine, influenzò anche le proprie posizioni politiche che, malgrado ambissero a importanti traguardi innanzitutto elettorali (elezioni politiche), risulteranno fallimentari.

Questa situazione paradossale, come vedremo, verrà in qualche modo simboleggiata dalla volontà del giornale di astenersi dalle elezioni amministrative e di candidarsi a quelle politiche, dando però a queste ultime una connotazione fortemente localistica, in contrapposizione all'Amministrazione comunale esistente allora a Lucca.

E' per questa sua condizione paradossale e per il suo carattere volutamente spregiudicato e

libertino, che questo giornale risulta di difficile connotazione e collocazione, innanzitutto

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politica. Il termine “progressista”, usato nel titolo della tesi, è quindi difficilmente associabile a quelle realtà politiche sviluppatesi in quel periodo in Italia quali quella radicale o tanto meno socialista, ma, come detto, deve essere inserito in quel contesto locale, dove il Figurinaio sostenne la nuova realtà industriale-produttiva manifestatasi anche a Lucca.

Oltre ad una critica riflessione sulle difficoltà incontrate da questa prima realtà liberale lucchese, la tesi vuole innanzitutto inserirsi in quel vuoto lasciatoci dalla storia, attraverso lo studio di una voce fuori dalle righe, in un periodo fondamentale come quello post- unitario, in una realtà tanto particolare come quella lucchese.

Le peculiarità lucchesi alla fine dell'Ottocento

In provincia di Lucca, nell'ultimo ventennio dell'Ottocento, vi fu una forte crescita demografica che avrebbe portato la popolazione, nel 1901, a 329.986 unità, con una densità di 221,1 abitanti per chilometro quadrato.

Ma se da una parte la popolazione cresceva, dall'altra tendeva ad aumentare l'emigrazione verso paesi stranieri che, grazie ad un tessuto industriale migliore e più sviluppato, offrivano prospettive economiche migliori. Tra il 1879 e l'inizio del nuovo secolo furono 162.218 le persone che se ne andarono: una media di circa 6.717 individui l'anno.

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Quello dell'emigrazione fu innanzitutto una peculiarità lucchese, infatti le singole province della Toscana, tra il 1876 e il 1901, contribuirono in maniera molto diversificata al fenomeno dell'emigrazione, come dimostrano i seguenti dati relativi agli espatri ogni 1000 abitanti: Arezzo 4,24; Firenze 3,83; Grosseto 0,97; Livorno 16,33; Lucca 53,42; Massa Carrara 39,66; Pisa 6,24; Siena 1,09.

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Principali responsabili della fuga di massa erano l'economia molto povera, il diffuso analfabetismo, l'eccessivo frazionamento terriero e l'incremento demografico.

L'economia lucchese, come quella della Toscana e del resto d'Italia, era principalmente fondata sull'agricoltura, ma a Lucca più che altrove questa era fortemente caratterizzata da un elevato frazionamento terriero.

A riguardo è interessante quanto è scritto in Storia d'Italia, nel volume dedicato alla Toscana curato da Giorgio Mori: nel 1880, la provincia di Lucca, con 54.773 proprietari

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Paolo Bottari, All'ombra della grande ciminiera. La Cucirini Cantoni Coats e la crescita economico-sociale lucchese 1890-1950, Maria Pacini Fazzi Editore, Lucca, 1994, pp.15 e 17

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Giorgio Mori, La Toscana, in Storia d'Italia. Le regioni dall'Unità a oggi, Einaudi, Torino, 1986, p.130

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terrieri, era seconda alla ben più vasta provincia di Firenze (55.199), e addirittura ne aveva più del doppio dell'adiacente provincia di Pisa che arrivava a 20.159 proprietari terrieri.

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La peculiarità dell'agricoltura lucchese strideva anche, più in generale, con la realtà italiana dove, alla fine dell'Ottocento, vi fu uno sviluppo del settore primario, dovuto innanzitutto sia alla diffusione dei concimi chimici sia all'adozione su più larga scala di macchine agricole. Questa ripresa dell'agricoltura in tutta l'Italia, portò alla riduzione dell'eccessiva frammentazione della terra fra tanti piccoli coltivatori: mentre i lavoratori salariati e avventizi aumentarono fra il 1891 e il 1911 dal 46 al 52,8 per cento degli addetti, i proprietari terrieri scesero dal 24,7 al 18,1 per cento.

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Le peculiarità del caso lucchese hanno innanzitutto motivazioni storiche. All'interno della Toscana, Lucca costituiva un mondo a sé: fino al 1847 sopravvisse uno Stato lucchese autonomo che, anche alla vigilia dell'unità d'Italia, a differenza del resto della Toscana,

“mantenne in vita istituzioni politiche e amministrative proprie, tradizioni peculiari nei rapporti tra Chiesa e Stato, al cui riparo si consolidò una mentalità caratteristica nel modo di vivere il complesso intrecciarsi della sensibilità religiosa con la vita sociale.”

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La “società cristiana” lucchese si era formata in seno alla secolare repubblica oligarchica con una forma di governo in cui potere pubblico e religioso si erano alleati garantendo stabilità di governo e ordine pubblico. Questo sistema sopravvisse alla caduta della Repubblica (1799) e perseverò nella politica conservatrice, diffondendo una cultura contraria ai movimenti innovatori. Non bisogna poi dimenticare il ritardo con cui Lucca si aggregò al Granducato della Toscana, avvenuto nel 1847, che contribuì a lasciare l'economia lucchese in un grave stato di isolamento.

Negli anni l'elevato frazionamento terriero riuscì a mantenere inalterati certi equilibri sociali, ma si dimostrò anche una delle cause principali del ritardato sviluppo di un' agricoltura che non aveva spinte innovative. Quella lucchese, era un'agricoltura molto povera, di mera sussistenza, che mancava sempre di capitale e di macchine; non esistevano cooperative tra contadini e ognuno gestiva il terreno in proprio. Il redditto tratto dalla terra era minimo e non c'era tempo da perdere in iniziative innovative, il cui risultato economico immediato appariva incerto. I contadini lucchesi si mostrarono avversi a qualunque novità e fu difficile far accettare loro le nuove tecniche produttive e di rotazione.

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Ivi, p.126

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Valerio Castronovo, Storia economica d'Italia. Dall'ottocento ai giorni nostri, Einaudi, Torino, 1995, p.115

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Pier Giorgio Camaiani, Dallo Stato cittadino alla città bianca. La “società cristiana” lucchese e la rivoluzione

toscana, La Nuova Italia Editrice, Firenze, 1979, p.IX

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Erano dunque molti i lucchesi proprietari di un piccolo appezzamento di terreno che nella maggioranza dei casi variava da uno a 5 ettari. Chi invece non possedeva appezzamenti o non era riuscito a trarre frutti dall'agricoltura, nella maggior parte dei casi, come abbiamo visto, era costretto ad emigrare, sempre più spesso verso il continente americano (soprattutto Stati Uniti e Argentina).

Malgrado le difficoltà economiche e l'immobilismo dell'agricoltura, a Lucca, nell'ultimo ventennio dell'Ottocento, vi fu un importante sviluppo industriale.

Oltre alla già avviata Regia Manifattura Tabacchi ed altre piccole imprese, in questi anni nacquero tre importanti industrie: il Cotonificio Sciaccaluga, lo Jutificio del Balestreri e la Tintoria Niemack dove rispettivamente, intorno al 1889, lavoravano 660, 1.012 e 220 operai. Come detto, non bisogna poi dimenticare la Manifattura Tabacchi, costituita nel 1865, che dava occupazione a 1.490 operai di cui 1.380 donne e 110 uomini.

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Questo periodo di sviluppo industriale è sottolineato dalla crescita degli addetti all'industria nel comune lucchese che sarebbero passati dal 3,2% della popolazione complessiva nel 1880, al 17,2% venti anni dopo.

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Gli industriali (due genovesi e un tedesco) si insediarono nel territorio lucchese per tre motivi principali: per la presenza del fiume Serchio, che era una inesauribile fonte per la produzione di energia a buon mercato; per la completa rete stradale, che rendeva agevole il collegamento con le altre città e innanzitutto col porto di Livorno; e soprattutto, l'ultimo fattore ritenuto vincente per la “scelta lucchese”, fu la presenza di mano d'opera a basso prezzo.

Riguardo a quest'ultimo punto è fondamentale quanto ricordava l'imprenditore tedesco Niemack, il quale considerava quella lucchese “una popolazione laboriosa e disciplinata che sopravanzava ai bisogni dell'agricoltura facendo sì che la mano d'opera vi si trovasse ad assai miglior mercato che altrove.”

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Dunque, nella retrograda ed arcaica società lucchese, si venne ad insinuare un' importante realtà industriale, che per molti lucchesi sarebbe divenuta l'unica alternativa all'emigrazione verso terre e realtà sconosciute.

Questa ventata innovatrice non piacque agli ambienti conservatori lucchesi che invece prediligevano un'economia tradizionalista fondata sull'agricoltura di sussistenza: l'avanzata

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All'ombra della grande ciminiera, Op. cit., pp.26/28

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Ivi, p.24

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Ivi, p.64

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industriale avrebbe potuto far innescare, anche a Lucca, questioni sociali pericolose per l'antico equilibrio creato dalla “società cristiana” lucchese.

Non è un caso se proprio in questi anni, come vedremo, i cattolici si allearono con il neo nato Comitato di Campagna e, dopo quattro anni di amministrazione liberale, nel 1888, vinsero le elezioni, iniziando un decennio di predominio incontrastato.

Lucca fu una delle prime città d'Italia ad assistere alla coalizione fra cattolici e liberal- conservatori: un'alleanza la cui origine va ricercata, oltre che nelle generiche dichiarazioni programmatiche sulla comune volontà di escludere la politica dalle attività amministrative, in un contrasto fra la diffusa presenza cattolica nelle opere pie, negli ospedali, nelle attività caritative ed assistenziali e il dinamismo del nuovo ceto d'industriali giunti nella lucchesia dall'Italia e dall'estero.

Infatti, malgrado la forte resistenza della politica amministrativa cattolico conservatrice, l'avanzata industriale inevitabilmente avrebbe coinvolto anche Lucca: nei pressi delle grandi aziende sorsero le città sociali con le prime infrastrutture a carattere mutualistico;

nacquero le Società Operaie e le Associazioni di mutuo soccorso; vi furono i primi scioperi; si moltiplicò, col tempo, il numero delle industrie. Nel 1911 la provincia di Lucca sarebbe divenuta la terza provincia toscana per numero di esercizi industriali, con 2.799 attività, e per numero di addetti, con 25.694 lavoratori, dietro le sole province di Firenze e Pisa.

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Fu in questo nuovo contesto che, nel dicembre 1889, il giovane giornalista lucchese Carlo Paladini fondò il Figurinaio. Questo giornale, malgrado le avversità politiche del tempo e la radicata cultura cattolico conservatrice diffusa in tutta la lucchesia, volle difendere innanzitutto proprio questo nuovo sussulto produttivo e progressista che si manifestò anche a Lucca nell'ultimo ventennio dell'Ottocento.

La situazione politica lucchese

Fin dal 1884 a Lucca vi fu in Comune una maggioranza liberale, capeggiata dal Sindaco Achille Pucci, che aveva il sopravvento sulla fazione cattolica ancora troppo intransigente e lontana dalle vicende politiche cittadine.

Nel 1887 però i liberali lucchesi si divisero: nacque il Comitato di Campagna, un movimento che, come si capisce dal nome, rivendicava innanzitutto i diritti degli abitanti della campagna. Questo comitato era composto da alcuni grossi commercianti, la maggior

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Ivi, tabella a pagina 30

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parte provenienti da Firenze, senza un preciso programma né politico né amministrativo, che si facevano forti delle clientele che possedevano nelle campagne lucchesi. Fin dai primi numeri il Figurinaio accuserà questo comitato di essere formato da affaristi corruttori, il cui unico scopo era quello di mettere discordia tra campagna e città al fine di ottenere voti.

Alle elezioni amministrative del 1887, dunque, si presentarono tre liste: quella cattolica, quella liberale e quella del Comitato della Campagna.

La vittoria fu per due terzi della lista campagnola e per un terzo di quella liberale, mentre i cattolici vennero sconfitti.

Cinque giorni dopo le elezioni venne presentato un ricorso di vari elettori liberali, chiedente l’annullamento delle elezioni a causa di irregolarità avvenute nell’XI sezione, dove si erano verificati dei brogli di cui era incolpato un candidato della lista campagnola.

I cinque consiglieri liberali eletti si dimisero, in segno di protesta, approvando l’annullamento delle elezioni, mentre sette, della lista campagnola, presentarono un contro ricorso chiedendone la convalida.

Il sindaco Pucci dichiarò nulle le elezioni, ritenendo di non poter annullare il risultato di una sola sezione. La Deputazione Provinciale ratificò l’annullamento ed il provvedimento venne inoltrato per essere sottoposto all’approvazione del Consiglio di Stato.

Fu in questo clima di crisi politica che Lorenzo Bottini cominciò un’azione sistematica per preparare l’opinione pubblica ad un nuovo programma trasformista. La base del quale si può così riassumere: escludere nel modo più assoluto e categorico la politica dal Comune.

Era intenzione di Lorenzo Bottini creare una grande alleanza aperta a “tutti i buoni elementi dei diversi partiti”, senza dare importanza alle personali credenze politiche.

Chiunque fosse stato cattolico e avesse avuto a cuore gli interessi del Comune di Lucca avrebbe potuto far parte di questa grande lista concordata.

Inizia così un’intensa campagna su quello che sarebbe diventato il principale antagonista del Figurinaio, l’Esare, dove il Bottini esponeva le sue idee: “[…] per me tutti coloro che nelle questioni religiose stanno coi cattolici possono essere eletti Consiglieri Comunali […] si chiamino pure liberali quanto vogliono per me son Consiglieri cattolici.”

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La politica va lasciata fuori dal Consiglio Comunale, solo la religione, coi “suoi eterni ed immutabili principii”

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, è la garanzia di ogni retto ordinamento.

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L'Esare, a.I (1887), n.84

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L'Esare, a.I (1887), n.90

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Le teorie del Bottini trovarono una concreta affermazione nel 1888, quando venne costituita l’Associazione Lucchese per le elezioni amministrative. Nello Statuto dell’associazione veniva chiarito il programma: tutelare l’integrità della religione e della morale cattolica nelle scuole dipendenti dal Comune; provvedere agli interessi comunali e provinciali con giustizia e imparzialità; praticare una severa economia nelle spese del Comune.

I componenti del Comitato della Campagna, che non avevano orientamenti politici precisi, diventarono i naturali alleati dei cattolici. L’alleanza fu facilitata anche dalla tendenza dei cattolici a considerare la campagna come la naturale riserva delle loro forze: “la gente di campagna, specialmente qui ove il vero proletariato agricolo fortunatamente è in piccole proporzioni, di sua natura è eminentemente conservatrice.”

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I liberali lucchesi gridarono al camuffamento dei clericali per impadronirsi del Comune:

ritenevano impossibile un così improvviso passaggio dall’intransigenza del Fedele (precedente giornale cattolico) all’atteggiamento conciliante dell’Esare e del Bottini.

In contrapposizione all’associazione clericale, i liberali fondarono l’Associazione Elettorale Liberale che, a differenza dell’altra, aveva un carattere dichiaratamente politico.

Lo Statuto affermava l’appoggio al programma del Presidente del Consiglio Crispi ed era inoltre precisato che potevano far parte dell’associazione solo gli elettori dichiaratamente appartenenti al partito liberale unitario.

Nel frattempo giunse il Decreto Reale in cui il Ministero dell’Interno non approvava l’annullamento totale delle elezioni, ordinando il rinnovo della votazione solo nell’XI sezione.

Il decreto, comunicato dal sindaco Pucci nella seduta del 30 aprile 1888, non trovò in Consiglio l’approvazione dei liberali, i quali dettero le dimissioni provocando in tal modo lo scioglimento di tutto il consiglio. Fu quindi necessario l’invio di un delegato straordinario da parte del governo, in attesa delle elezioni generali.

I cattolici e i consiglieri della campagna non diedero le dimissioni, oltre a loro anche due liberali: il Pierotti e il Del Carlo.

Questi ultimi considerarono le dimissioni dei consiglieri liberali un gesto sciagurato e imprudente. Non dimettendosi fecero, secondo loro, l’interesse del Comune al di sopra di ogni interesse politico e di partito. Fu un ulteriore scissione tra i liberali: questa corrente più moderata, rappresentata dal giornale il Progresso, venne radiata dalla lista

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L'Esare, a.I (1887), n.93

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dell’Associazione elettorale liberale e ,dopo qualche mese, si sarebbe alleata coi cattolici e il comitato di campagna. Queste furono le parole del Progresso dopo le elezioni del 1888 stravinte dalla lista concordata: ”[…] i clericali […] sono mille volte migliori di certi liberali bugiardi e sleali; liberali solo di nome ma in realtà reazionari terribili e temibili perché non rifuggono da qualunque mezzo indegno e disonesto per riuscire.”

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L’opera di Lorenzo Bottini, agevolata anche dagli eventi, raggiunse il successo. L’atto che segnò la definitiva affermazione a Lucca del trasformismo clericale, fu la nomina a sindaco dell’ex-liberale Enrico Del Carlo: un politico che, pochi mesi prima, aveva affermato di voler cacciare i preti dalle scuole comunali.

Negli anni a seguire, il dominante conservatorismo e immobilismo dell’amministrazione comunale, avrebbe avuto un solo rivale: il Figurinaio.

Il giornale di Lorenzo Bottini: l’Esare

A differenza del suo predecessore, il Fedele, il bisettimanale cattolico l’Esare si presentò senza un preciso programma. Fin dai primi numeri però era abbastanza chiaro il suo carattere locale, con un minore interesse verso i problemi nazionali ed internazionali.

Questo nuovo indirizzo del giornale fu dovuto anche alle direttive sulla stampa, emanate dall’Opera dei Congressi nel VII Congresso Cattolico, tenutosi proprio a Lucca nel 1887:

“Che sorgano giornali e periodici cattolici diocesani o regionali, i quali non si limitino alle sole trattazioni religiose, ma si adoperino a dare notizie d’ogni genere colla massima precisione e colla massima sollecitudine, ed assumano un carattere locale, curando con attività ed efficacia la cronaca e la difesa degli interessi della città e della regione in cui vivono.”

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Il fatto poi che il campo naturale di azione dell’Opera dei Congressi fosse la popolazione della campagna, non ancora corrotta dall’istruzione atea e dalla stampa spudorata, oltre che l’esigenza di una larga diffusione, anche questa raccomandata dall’Opera dei Congressi, impose al giornale la necessità di una veste e di un carattere popolare.

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L’Esare infatti mantenne per diversi anni invariato il prezzo popolarissimo di due centesimi ed il formato molto piccolo che divenne una sua nota caratteristica tra gli altri giornali. Spesso sulle pagine del Figurinaio veniva chiamato l’Esarino.

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Il Progresso, a.XVIII (1888), n.19

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Mirena Stanghellini e Ubaldo Tintori, Storia del movimento cattolico lucchese, Cinque Lune, Roma, 1958, p.168

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Ivi, p.169

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L'Esare, fin dai primi anni di vita, diventò subito molto popolare, fino a divenire il più diffuso tra i giornali lucchesi.

Il suo successo, oltre al piccolo formato e al conseguente costo minimo, fu dovuto anche allo stile inconfondibile, arguto, semplice e volutamente popolareggiante di Lorenzo Bottini, il quale, oltre essere il proprietario, il direttore e il finanziatore, fu la vera e propria anima dell’Esare, che divenne, più che il giornale cattolico lucchese, il giornale del Bottini.

L’Esare promosse il programma trasformista di Lorenzo Bottini e, negli anni a seguire, avrebbe guidato gli elettori cattolici lucchesi, come un pastore guida il suo gregge.

Alla fine del 1893, in seguito ai successi ottenuti, il Bottini annunciava che l’ Esare sarebbe divenuto quotidiano, vantandosi che proprio i clericali, ritenuti nemici del progresso, fossero stati i primi a pubblicare a Lucca un giornale quotidiano.

Il giornale però, divenendo quotidiano, risentì dello sforzo redazionale e finanziario: era molto difficile fornire ogni giorno informazioni precise e articoli interessanti. Bisogna considerare poi che l’Esare non aveva molti collaboratori e quindi riceveva vita quasi unicamente dagli articoli di Bottini, che, diventò meno spontaneo e molte volte, nell’articolo di fondo, si limitò a citare brani di altri giornali, primo tra tutti il Figurinaio, con cui diede vita ad una vera e propria guerra di articoli.

Oltre che una crisi di contenuti, l’Esare, in questo periodo, ebbe anche una certa crisi economica, viste le maggiori spese che dovette affrontare dopo che divenne quotidiano.

L’Esare, malgrado fosse in quel periodo il giornale più diffuso a Lucca, aveva uno scarsissimo numero di abbonati, fattore che contribuì ad una forte instabilità economica.

Oltre che per i contenuti, il Figurinaio e l’ Esare si distinguevano anche per le loro caratteristiche. Il primo, di grandi dimensioni, settimanale sempre carico di argomenti, aveva come clientela prediletta un cospicuo numero di fedeli abbonati, oltre che ad altri acquirenti, incuriositi soprattutto dal suo atteggiamento aggressivo; il secondo invece era molto piccolo, praticamente gratuito, una sorta di volantino che ogni giorno si trovava dappertutto, come ricordava Lorenzo Bottini: “gira per tutta la nostra campagna, passeggia per le strade, si va a ficcare negli studi dei legali, degli ingegneri, di tutti i professionisti, entra nei caffè, penetra nei conventi di monache malgrado la clausura, e va perfino all’osteria.”

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L'Esare, a.XI (1890), n.104

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Il giornale degli ex-alleati: il Progresso

Fondato nel 1876 dal celebre giurista lucchese Francesco Carrara, fu uno dei giornali più longevi tra quelli lucchesi considerato che fu stampato fino al 1912.

Settimanale dell’associazione politica progressista a Lucca, fino alle elezioni del 1888 condivise le posizioni e le idee dei liberali lucchesi, sostenute dal predecessore del Figurinaio: l’Indipendente.

Dopo essersi diviso dai liberali e alleato coi cattolici e la lista concordata, i rapporti del Progresso coi liberali lucchesi e il Figurinaio divennero tremendi.

Questo il consiglio che, nel numero del 17 gennaio 1891, il Progresso diede al Figurinaio:

“Caro Figurinaio […] vuoi un consiglio da vecchio amico? Lascia la politica dove hai fatto cattiva prova. […] Tu ti devi dedicare interamente alla pornografia.”

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Il Figurinaio, senza usare mezze misure, considerò il Progresso il giornale dei traditori:

“Esso è un serpentello che scivola di mano, e non lascia dietro a sé che il segno della morsicatura e il puzzo nauseabondo dell’acre viscidume.”

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Se l’Esare fu il giornale dei cattolici lucchesi, questo fu innanzitutto il giornale dell’amministrazione comunale: spesso apparivano articoli del sindaco di Lucca, l’ex- liberale Enrico Del Carlo, che era anche redattore del giornale, e ampio spazio era dedicato alle sedute del Consiglio e della Giunta Comunale. Il Figurinaio lo chiamava “il fogliuncolo del podestà”.

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Il Figurinaio però, reputando il sindaco Del Carlo “un buono a nulla” messo lì solo per simboleggiare l’alleanza tra cattolici ed ex-liberali, considerava i veri artefici della politica lucchese di quegli anni l’Esare, i cattolici e in prima persona il Bottini. Infatti, dopo la sconfitta dei liberali alle elezioni amministrative del 1895, il Figurinaio scrisse: “La vittoria amministrativa è del partito clericale. […] Non comprendiamo gli urli selvaggi del Progresso. […] Uno solo ha vinto: il Marchese Bottini.”

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Il giornale del Paladini, nel 1891, superate le divergenze politiche tra cattolici ed ex- liberali e rafforzata l'ibrida alleanza della lista concordata, arrivò a ipotizzare una fusione tra Esare e Progresso: “Perfino i due giornali che rappresentano i due elementi costitutivi di essa [lista concordata], un tempo così diversi per la sostanza e per la forma, hanno a poco a

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Il Progresso, a.XVI (1891), n.3

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Il Figurinaio, a.IV (1892), n.5

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Il Figurinaio, a.IV (1892), n.5

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Il Figurinaio, a.VII (1895), n.30

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poco acquistata una tale somiglianza, che si può quasi dire identità, e che lascia supporre una prossima unificazione.”

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Durante la sua esistenza il Figurinaio non nascose mai la sua collera nei confronti del Progresso e innanzitutto verso l'ex alleato liberale, il sindaco di Lucca, Enrico Del Carlo:

“Corifeo e rappresentante di quell'accozzaglia proteiforme e ignobile dei clerico- progressisti-rurali, Enrico Del Carlo, che per il sottopancia sindacale ha rinnegato tutto il suo passato, è un camaleonte arlecchino servitore dei padroni.”

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Il Figurinaio, a.IV (1892), n.5

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E' Il Progresso che ricorda le testuali parole del Figurinaio, a.XVII (1892), n.45

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FOTO

Foto n.1: La prima pagina del primo numero del Figurinaio (1° dicembre 1889),

purtroppo in pessime condizioni. (Il Figurinaio, a.I (1890), n.1)

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