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“Identità: un paese, una piazza, una fabbrica.

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“Identità: un paese, una piazza, una fabbrica.

Succede di incontrarle, le Identità, quando attraversi villaggi, quando percorri chilometri di strade e da lontano

vedi

case, campi, un campanile.

Sono fatte di pensieri, di voci inascoltate, di sguardi, di memorie

le identità...

Cosi succede di perdersi, di ripercorrere strade già battute, di incontrare persone che avevano dimenticato

l'Identità,

ma capita anche di ritornare sui luoghi arrugginite di ritrovare il filo di un discorso interrotto...”

Tratto da: L'odore dello zucchero. Storia di una fabbrica, di un territorio e delle sue genti, un

film di Nic Pinton, Produzione: MB Srl (Multimedia & Broadcast) Venezia, 2005.

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INDICE

Introduzione 7

PARTE PRIMA L'INDUSTRIA DELLO ZUCCHERO 13

1. La storia dello zucchero: dalla canna alla barbabietola 13

2. L'organizzazione e le caratteristiche di una fabbrica di zucchero 22

3. Il ciclo produttivo: estrazione, purificazione, concentrazione, cristallizzazione, raffinazione 27

4. L'industria saccarifera in Italia 43

4.1. La fase di sperimentazione 43

4.2. Il boom degli zuccherifici (1898-1914) 52

4.3. Dalla I guerra mondiale al trattato di Roma (1914-1957) 62

5. L'organizzazione comune di mercato: il sistema delle quote di produzione. 73

6. Il mercato dello zucchero nel XXI secolo: verso una

deregolamentazione... 84

(5)

PARTE SECONDA I CASI DI GRANAIOLO, CEGGIA E

CECINA 96

1. LO ZUCCHERIFICIO DI GRANAIOLO 97

1.1. Castelfiorentino e la Valdelsa: cenni storici 97

1.2. L'opera di Cosimo Ridolfi a Meleto 104

1.3 Le prime attività industriali a Castelfiorentino 110

1.4. Lo zuccherificio: documentazione storica 117

1.4.1. La localizzazione 117

1.4.2. Dal decollo alla chiusura definitiva (1898-1970) 126

1.5. Descrizione del sito archeologico 138

1.6. Il futuro dello zuccherificio 166

1.7. Fonti orali 174

2. LO ZUCCHERIFICIO DI CEGGIA 185

2.1. Ceggia e il suo territorio 185

2.2. L'opera di bonifica 191

2.3. Lo zuccherificio dal 1929 al 2001: la lotta per la salvaguardia 199

2.4 La fabbrica: descrizione del sito archeologico 214

2.5. Quale futuro per lo zuccherificio 250

(6)

2.6. Fonti orali 258

3.LO ZUCCHERIFICIO DI CECINA 272

3.1. Cecina: cenni storici 272

3.2. Verso l'industrializzazione 276

3.3. La fabbrica: dalla nascita alla chiusura definitiva 279

3.4. Descrizione del sito archeologico: stato al 2005 e al 2006 284

3.5. Lo zuccherificio allo stato attuale 311

3.6. Fonti orali 323

Conclusioni 334

Bibliografia 341

Fonti d'archivio 352

Fonti a stampa 352

Fonti dal web 355

Raccolte private 357

Fonti visive 359

Fonti orali 360

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(8)

Introduzione

Il precedente lavoro da me svolto: “Archeologia industriale a Cecina: passato presente e futuro dello zuccherificio”, nato dal fascino e dalla curiosità che per lungo tempo ha esercitato su di me questo enorme complesso industriale, in totale stato di abbandono, ha stimolato il mio interesse nei confronti degli ex zuccherifici, stabilimenti di cui è ricco il nostro passato industriale. In particolare, studiando la storia saccarifera italiana e le vicende di alcuni di questi opifici, la mia attenzione è stata catturata dal fatto che queste fabbriche di zucchero sono state unite da un comune e amaro destino; la causa della loro chiusura definitiva è la medesima, ed è quella che aveva decretato anche la fine dello zuccherificio di Cecina: il processo di concentrazione produttiva seguito all'introduzione del regime delle quote di produzione. Da qui l'idea del presente lavoro, il cui obiettivo è stato quello di analizzare come le problematiche legate al contingentamento dello zucchero abbiano portato alla dismissione di molti zuccherifici italiani; nello specifico quelli di Granaiolo, Ceggia e Cecina.

Gli zuccherifici, numerosi e diffusi su tutto il territorio nazionale, seppur maggiormente

concentrati nella bassa pianura padana, costituiscono un'importante testimonianza di

archeologia industriale del nostro paese. L'industria saccarifera è un settore produttivo

strettamente connesso con la trasformazione industriale dei prodotti agricoli, nel caso

specifico delle barbabietole; gli impianti produttivi erano costruiti ai margini dei nuclei

urbani, prevalentemente al centro delle coltivazioni, proprio per la necessità di reperire in loco

la materia prima indispensabile alla lavorazione. Queste imponenti strutture, facilmente

riconoscibili per la loro caratteristica tipologia edilizia, immerse nel paesaggio agrario,

determinarono la formazione e lo sviluppo di veri e propri agglomerati urbani, con case,

strade e servizi necessari alla comunità. L'imponente processo di dismissione, di cui sono stati

vittima la maggior parte di questi stabilimenti, ha comportato, perciò, non solo la dissoluzione

del patrimonio culturale (edifici, macchinari, infrastrutture, archivi aziendali, conoscenze,

saperi), ma anche un grave danno per l'economia dei territori in cui si erano insediati. Gli

zuccherifici costituivano una risorsa economica assai rilevante per tutta la popolazione che vi

gravitava intorno; con la loro chiusura è venuta a mancare una delle principali fonti di lavoro,

con conseguente perdita di stipendi e salari per numerosi dipendenti e per tutti gli altri

operatori coinvolti nel processo produttivo (contadini, coltivatori diretti, autotrasportatori).

(9)

La prima parte del presente lavoro sviluppa il tema dell'industria saccarifera. Il primo capitolo è dedicato alla storia dello zucchero e delle due materie prime più importanti: la canna, di derivazione tropicale, e la barbabietola, di produzione europea; lo zucchero di canna domina incontrastato e per lungo tempo il mercato internazionale, almeno fino al XIX secolo, quando è costretto a confrontarsi con lo zucchero estratto dalla barbabietola, la cui produzione industriale inizia nel primo decennio dello stesso secolo. Il secondo capitolo analizza le caratteristiche fondamentali e l'organizzazione di una comune fabbrica di zucchero; il terzo studia il ciclo produttivo, dall'arrivo delle barbabietole alla fabbrica fino al prodotto finito. Il quarto capitolo è dedicato alla storia dell'industria saccarifera in Italia e alle tappe fondamentali della sua evoluzione: la fase di sperimentazione della nuova coltura, durante la dominazione napoleonica e i primi tentativi di trasformazione industriale; il decollo tra ottocento e novecento; infine, lo sviluppo dell'industria saccarifera nel periodo che va dalla I guerra mondiale al trattato di Roma (1957), che segna l'ingresso dell'Italia nel Mercato comune europeo (MEC). Il quinto capitolo tratta della nascita, nel 1968, dell'Organizzazione Comune di mercato dello zucchero (OCM) e dell'istituzione del regime delle quote di produzione: l'assegnazione di precisi contingenti agli stati, che a sua volta li suddividono tra le varie imprese saccarifere nazionali, porta queste ultime ad avviare un processo di ristrutturazione e concentrazione produttiva, che di conseguenza determina la chiusura di molti zuccherifici e un notevole ridimensionamento dei livelli occupazionali. L'ultimo capitolo affronta la situazione del mercato internazionale dello zucchero nel nostro secolo, con un'attenzione particolare alla situazione italiana dopo la riforma OCM del 2006. Per capire le vicende dell'industria saccarifera italiana, dalle sue origini, intorno alla metà del XIX secolo, e fino al primo decennio del XXI secolo, ho potuto basarmi principalmente su testi stampati; tra questi, due in particolare sono stati quelli di riferimento: Il capitalismo organizzato. Il settore saccarifero in Italia 1800-1945, Marsilio editori, Venezia, 2004, di Patrizia Sabbatucci Severini e L'industria dello zucchero. La produzione saccarifera in Italia e in Europa 1800-2000, Franco Angeli, Milano, 2001, di Maria Elisabetta Tonizzi .

La seconda parte del lavoro è dedicata alla storia di tre zuccherifici: quello di Granaiolo (FI) e di Cecina (LI) che, sorti alla fine del XIX secolo, sono tra i primi ad essere attivati in Italia, e quello di Ceggia (VE), la cui attività produttiva inizia nel 1930.

Per quanto riguarda lo zuccherificio di Granaiolo, prima di esaminare il sito archeologico, ho

studiato le principali vicende storiche di Castelfiorentino e del suo territorio, con

un'attenzione particolare alla vicenda di Cosimo Ridolfi a Meleto, in parte, legata a quella

(10)

dello zuccherificio; per concludere, un resoconto delle prime attività industriali, avviate nella zona tra fine XIX e inizio XX secolo.

Le fonti d'archivio, in particolare la consultazione del materiale dell'Archivio Storico del Comune di Castelfiorentino mi hanno fornito le informazioni necessarie per ricostruire la storia dello zuccherificio; in particolare, quella relativa alle problematiche legate alla sua localizzazione, a cui è dedicato un intero capitolo. Per gli anni che vanno dall'inizio dell'attività, fino alla chiusura definitiva (1898-1970), mi sono avvalsa (oltre che di materiale di archivio) della documentazione raccolta presso la Biblioteca Comunale Vallesiana del Comune di Castelfiorentino. Anche le fonti orali hanno avuto un ruolo molto importante;

l'intervista a Sergio Mazzini, di cui ho eseguito la trascrizione, è stata una fonte preziosa per la ricostruzione di quello che era l'ambiente di lavoro dello zuccherificio. La descrizione del complesso industriale, in particolare dei fabbricati (gli impianti di produzione sono stati completamente smantellati), è basata, oltre che su fonti scritte, su materiale visivo composto da fotografie storiche e da altre, recenti, scattate nel 2011. Per quanto riguarda il futuro dello zuccherificio, ad oggi ancora incerto, le poche informazioni reperite sono tratte dalla Proposta di progetto di recupero, curata dagli architetti Barbara Francalanci, Maurizio Lari e Giuseppe Padula, e dall'intervista all'architetto Lari, di cui è presente la trascrizione.

Per quanto riguarda lo zuccherificio di Ceggia, il primo capitolo è dedicato ad una breve descrizione del Comune veneto e ad alcuni cenni relativi alla sua storia. Il secondo capitolo affronta il tema delle bonifiche, con particolare riferimento al territorio del Basso Piave, a cui appartiene Ceggia; per lo studio di questo tema, mi sono avvalsa del materiale raccolto presso la Biblioteca Specializzata del Museo della Bonifica della città di San Donà di Piave e della documentazione oggetto del percorso museale stesso. L'opera di bonifica fu un fattore determinante per l'introduzione e lo sviluppo della coltivazione della barbabietola in questi territori. La bietola, infatti, trovò nei terreni di recente bonifica le migliori condizioni di sviluppo, poiché era adatta a crescere in maniera ottimale proprio in terreni alluvionali, freschi e assoggettati a lavorazioni profonde. Il terzo capitolo sviluppa la storia dello Zuccherificio, a partire dalla sua costruzione, nel 1929, fino alla chiusura definitiva, avvenuta nel 2001. Per ricostruire il periodo di attività dello stabilimento, lungo più di 70 anni, mi sono avvalsa di materiale di tipo documentario, costituito nello specifico da due cd: L'odore dello zucchero.

Storia di una fabbrica, di un territorio e delle sue genti, di Nic Pinton

1

e Lavoratori e

1

Nic Pinton è giornalista e scrive da Venezia per l'agenzia di Stampa Adnkronos, inoltre, è autore di reportage

realizzati nel Kosovo, in Africa, in India, utilizzati per la realizzazione di documentari. Ha firmato numerosi

documentari di carattere storico-etnografico, tra i quali: La fabbrica e il suo paese (storia del birrificio di

(11)

agricoltori uniti per la salvaguardia dello zuccherificio di Ceggia e della bieticoltura Veneto Friulana, a cura dell'associazione “Amici dello Zuccherificio di Ceggia”

2

. Il materiale multimediale suddetto è stato integrato con le fonti orali, che hanno avuto un ruolo fondamentale, soprattutto, per l'analisi degli ultimi anni di attività dello stabilimento e delle vicende che hanno portato alla sua chiusura definitiva. Purtroppo, al fine di ricostruire la storia dello zuccherificio, non è stato possibile disporre di alcuna fonte d'archivio, poiché assente, tranne alcuni documenti reperiti presso l'Archivio della Camera di Commercio I.A.A di Venezia. Le fonti d'archivio, nello specifico di un archivio aziendale, sia scritte che cartografiche (disegni tecnici, planimetrie), se presenti, sarebbero state preziose anche per descrivere il complesso industriale: i fabbricati, i singoli macchinari e gli impianti di produzione. In assenza di materiale d'archivio, per lo studio del sito archeologico, che occupa il quarto capitolo, mi sono servita, sia della documentazione fotografica, storica e recente, quest'ultima in gran parte parte da me realizzata ad Agosto 2011; sia della Relazione tecnica relativa alla proposta di riqualificazione dell'area ex Eridania, curata dall'architetto Doriano Pavanetto; che delle fonti orali, che hanno costituito un necessario riscontro e supporto alla documentazione visiva. Il quinto capitolo è dedicato alla lotta per la salvaguardia dello zuccherificio, che vide impegnati e uniti, in una vera e propria battaglia, le organizzazioni sindacali e i lavoratori. Dalle vicende relative allo zuccherificio di Ceggia, che può considerarsi un caso esemplare, emergono con chiarezza i criteri con cui fu stabilita la chiusura di molti altri zuccherifici italiani, tra questi, quelli di Granaiolo e Cecina. Inoltre, il racconto di questa lotta è utile per ricordare la storia di un paese intero, sceso in piazza a difendere lo stabilimento; per ricordare l'azione di migliaia di uomini che, attraverso scioperi, assemblee, occupazioni, tra una stagione e l'altra, hanno combattuto con forza e fino all'ultimo, per salvare il loro posto di lavoro.

La parte relativa allo zuccherificio di Cecina deriva dal mio precedente lavoro, “Archeologia industriale a Cecina: passato presente e futuro dello zuccherificio”, menzionato poco sopra, di cui mi sono avvalsa per ricostruire le tappe fondamentali della vicenda di questo opificio, oltre che per la descrizione del sito archeologico. Lo stato della fabbrica al 2006, anno a cui fa riferimento tale testo, è stato poi messo a confronto con quello alla data odierna, al fine di verificare quale sia la situazione del sito archeologico a distanza di otto anni. Il primo capitolo

Pedavena), I colori del Piave (viaggio dalla sorgente alla foce sul fiume Piave), e, in pubblicazione (Maggio 2014), un documentario sull'isola di San Michele, il cimitero di Venezia.

2

I due cd mi sono stati gentilmente forniti da due ex dipendenti dello zuccherificio, Dino Giacomel e Livio

Giacomini a cui anticipo i miei ringraziamenti.

(12)

relativo allo zuccherificio di Cecina descrive la storia del Comune, tra XVIII e XIX secolo, e la nascita delle prime attività industriali, mentre il secondo ricostruisce i primi passi della fabbrica, a partire dalla sua costruzione, nel 1899 e fino alla chiusura definitiva, nel 1987. La ricostruzione dei primi anni di attività della fabbrica, è basata su materiale d'archivio, in particolare dell'Archivio Storico della Camera di Commercio di Livorno, che ha fornito le informazioni necessarie relative alla costituzione della Società Anonima livornese “Etruria”, costruttrice del primo nucleo dello zuccherificio, fino al fallimento della stessa pochi anni dopo. Per gli anni che vanno dal decollo industriale alla chiusura definitiva (1922-1987), oltre che di materiale d'archivio, è stata preziosa la documentazione scritta appartenente alla raccolta privata di Romano Tozzini, un ex dipendente dello zuccherificio. Il terzo capitolo è dedicato allo studio del sito archeologico, in particolare allo stato della fabbrica nel 2005 e 2006; la descrizione dei fabbricati, dei macchinari e degli impianti di produzione è supportata da una copiosa documentazione visiva, composta da fotografie scattate nel 2002, 2005 e 2006.

Il quarto capitolo descrive per sommi capi il progetto di recupero previsto per lo zuccherificio,

sulla base della relazione generale del piano di recupero curata dell'architetto Enzo Somigli,

dopodiché, analizza la situazione del sito archeologico allo stato attuale: l'obiettivo è quello di

verificare se le indicazioni presenti nella proposta di recupero, in particolare quelle relative

alla conservazione della memoria industriale, siano state effettivamente attuate.

(13)
(14)

PARTE PRIMA

L'INDUSTRIA DELLO ZUCCHERO

1. La storia dello zucchero: dalla canna alla barbabietola

L'estrazione dello zucchero avviene principalmente da due piante: la canna da zucchero

3

e la barbabietola

4

. Nel tempo, si è tentato di estrarre lo zucchero anche da altre materie prime, tra cui: il sorgo zuccherino

5

, l'uva

6

e le castagne; da menzionare anche i cereali, in particolare il mais, da cui è possibile ricavare alcuni prodotti dolcificanti (glucosio, isoglucosio, ed altri derivati del glucosio)

7

.

La canna da zucchero è originaria della costa del Golfo Indiano; coltivata in India e in Cina già prima di Cristo, con la conquista dell'Asia da parte dei persiani si diffonde fino al Mar

3

Vi sono sei specie conosciute di canna da zucchero, la più importante delle quali è sempre stata il Saccharum officinarum o “zucchero delle farmacie”, in S.W. Mintz, Storia dello zucchero, tra politica e cultura, Giulio Einaudi editore, Torino, 1985, pp. 22-23. Per le caratteristiche della canna da zucchero e la descrizione del procedimento di estrazione dello zucchero dalla medesima, vedi Ivi, pp. 23-25. Per il processo di lavorazione della canna da zucchero, vedi anche G. Nebbia, L'avventurosa storia dello zucchero, La scuola editrice, Brescia, 1955, pp. 24-38.

4

“Appartiene alla famiglia delle Chenopodiaceae, articolata in diversi generi, il più significativo dei quali è il genere Beta. A sua volta questo è suddiviso in più specie tra cui Beta vulgaris con alcune varietas, di cui quella più interessante è Beta vulgaris var. Saccarifera”, in E. Biancardi (a cura di), Le radici della dolcezza. La bieticoltura e l'industria saccarifera nel Veneto del '900, Atti del XXVIII Convegno di studi storici Rovigo 3 Dicembre 2005, Minelliana, Rovigo, 2007, pp.12-13.

5

Il sorgo zuccherino (Sorghum Saccarum) appartiene alla famiglia delle graminacee e contiene nel fusto un succo ricco di sostanze zuccherine. Nel sorgo, il saccarosio è accompagnato da notevoli quantità di zucchero invertito, che inibisce la cristallizzazione; per tale motivo la pianta trova maggiore utilizzazione per la preparazione di sciroppi, nell'industria dell'alcool o come coltura foraggera.

6

In Italia il procedimento di estrazione dello zucchero dall'uva, favorito dal clima e dalla facile reperibilità della materia prima, fu messo a punto nel 1794, in E. Biancardi (a cura di), op. cit., p. 86, vedi anche G.G. Poggi, Manuale sulla maniera di estrarre lo zucchero dell'uva, Piacenza, LIR edizioni, 2007.

7

I dolcificanti sono prodotti di origine vegetale, oppure, derivati da sintesi chimica, hanno un potere edulcorante molto elevato, talvolta anche centinaia di volte superiore a quello del saccarosio. I dolcificanti sono ottenuti dalla trasformazione industriale dell'amido, a sua volta ottenuto dai cereali (grano e mais) e dalle patate, in Autorità garante della concorrenza e del mercato, Indagine conoscitiva nel settore bieticolo-saccarifero. Roma:

Presidenza del consiglio dei ministri, Dipartimento per l'informazione e l'editoria, 1999, pp.23-25.

(15)

Nero e al Golfo Persico. Nel mondo greco e romano il dolcificante utilizzato è il miele

8

; con la spedizione di Alessandro Magno in India, nel 327 a.C

9

, lo zucchero di canna arriva anche nel Mediterraneo, non come dolcificante, bensì adoperato per la preparazione di ricette miracolose. La diffusione dell'utilizzo dello zucchero in Europa avviene grazie agli Arabi, che in seguito alla loro espansione nel Mediterraneo, promuovono la coltivazione della canna in Palestina, Egitto, Siria, Spagna e in Sicilia, precisamente a Palermo, dove è attestata intorno al IX secolo

10

. I siciliani apportano significative migliorie nell'estrazione del succo zuccherino dal fusto della canna: per far girare i cilindri di legno, addetti alla spremitura, ricorrono al movimento idraulico, in alternativa alla forza animale; inoltre utilizzano un nuovo sistema, definito a doppia rullatura, per disgregare il fusto della canna in modo tale da aumentare l'efficienza dell'estrazione

11

.

Una vera e propria importazione di zucchero in Europa inizia intorno alla metà del XV secolo;

il suo principale mercato è Venezia, dove sorgono le prime raffinerie

12

: dalle fabbriche della Serenissima, il prodotto finito viene immesso sui mercati europei. Il primato veneziano viene presto insidiato da altre città italiane, in particolare da Genova, Livorno e Bologna

13

; a partire dal XVI secolo, con la diffusione della coltivazione della canna nelle isole dell'Oceano Atlantico (Canarie, Azzorre, Madera) e poi nelle Americhe, inizia il decadimento della

8

Il primo zucchero conosciuto dagli uomini, fu lo zucchero dato dalle api sotto forma di miele...”, in Rag. A.

Battara, Le fabbriche di zucchero, Torino, Unione Tipografico-editrice torinese, 1921, p. 7.

9

“...Nearco, uno dei generali di Alessandro, il quale, nella cronaca del suo viaggio dalla foce dell'Indo alla foce dell'Eufrate così scrive: <<Vi è in India un giunco che stilla direttamente miele senza bisogno di api e dal quale si estrae una bevanda inebriante nonostante esso non produca frutti>>, in S.W. Mintz, op. cit., p. 22.

10

P. Sabbatucci Severini, Il capitalismo organizzato. Il settore saccarifero in Italia 1800-1945, Marsilio Editori, Venezia, p.15.

11

Lo sviluppo assunto dall'industria siciliana dello zucchero era stato così prodigioso nei due secoli di dominazione araba da consentire perfino l'esportazione verso le coste nordafricane. Dopo la conquista dei Normanni la fortuna dello zucchero canna in Sicilia conobbe alterne vicende: decadde quasi completamente nell'XI e, dopo un periodo di ripresa,..., venne completamente sopraffatta dalla fine del XVI secolo quando sopravvenne la produzione dalle isole spagnole dell'Atlantico”, in Convegno l'industria saccarifera italiana dal 1872 all'epoca attuale: atti del 26 Novembre 2011, Cassa di risparmio di Ravenna, Ravenna, 2011, pp.16-17.

12

“Esistono documenti che dimostrano come, per esempio, nel 1458, un raffinatore di zucchero veneziano, (certo Francesco Coupion), avesse concluso un contratto con il re Giacomo II di Cipro, procedendosi all'opera di raffinazione in Venezia. Probabilmente sono questi i primi documenti che si riferiscono a rapporti di rendimento fra zucchero lavorato e zucchero raffinato...a Venezia rimane certamente il merito di avere creato una delle prime, se non la prima raffineria europea.”, in G. Nebbia, op. cit., pp.6-7.

13

“Anche qui esiste un contratto del 1470 fra due cittadini bolognesi e un frate francescano; uno dei cittadini

avrebbe messo il capitale, l'altro avrebbe acquistato le apparecchiature per sciogliere a caldo lo zucchero grezzo

e per farlo cristallizzare e il frate avrebbe messo a disposizione della società la propria grande abilità ed

esperienza nell'arte della raffinazione.”, Ivi, p. 7.

(16)

produzione mediterranea

14

. Le più importanti potenze dell'epoca, Spagna e Portogallo, danno un forte impulso alla coltivazione di canna nelle loro colonie e, attraverso lo sfruttamento della manodopera degli schiavi africani, divengono le principali rifornitrici di zucchero dell'Europa. Durante il primo ventennio del XVII secolo, al declino di Spagna e Portogallo, segue l'ascesa di nuove potenze coloniali: la Francia, l'Inghilterra e l'Olanda, che estendono la coltivazione di canna nelle loro colonie (le isole dell'Oceano Pacifico e dell'Oceano Indiano) e diventano i principali mercati e centri di raffinazione dello zucchero

15

. Nel XVIII secolo, la Francia è il maggiore distributore in Europa; nei suoi porti sbarcano annualmente 140 mila tonnellate di zucchero

16

provenienti dalle Antille e destinati alle raffinerie di Marsiglia, Nantes e, soprattutto, di Bordeaux, dove nel 1725 si contano 15 raffinerie, salite a 25 alla fine del secolo

17

. L'arrivo del caffè, del tè e della cioccolata nei paesi europei contribuisce ad incrementare il consumo di zucchero che, dato l'alto costo di produzione e, di conseguenza, l'elevato prezzo di acquisto, è considerato comunque un genere di lusso e poco accessibile per ampi strati della popolazione. Il blocco continentale emanato da Napoleone nel 1806, che prevede l'interruzione dei rapporti commerciali tra i paesi soggetti al dominio francese e il Regno Unito

18

, comporta notevoli rincari delle merci, e tra esse anche dello zucchero, che inizia scarseggiare

19

. Già durante il corso del XVIII secolo, l'ambizione di indipendenza dalle importazioni coloniali, spinge molti chimici a studiare la possibilità di estrarre lo zucchero da piante che siano adattabili al clima e all'ambiente geografico europeo

20

.

14

“La diffusione nel bacino mediterraneo della canna da zucchero e della tecnologia richiesta dalla sua coltivazione e trasformazione fu ostacolata essenzialmente dai tassi di piovosità e dalle variazioni tipiche di quella regione. Come abbiamo già visto, la canna da zucchero è un frutto tropicale e subtropicale che ha un ciclo di coltivazione lungo anche più di dodici mesi e che richiede grandi quantità d'acqua e lavoro. Per quanto possa crescere anche senza irrigazione, essa produce i risultati di gran lunga migliori (è un maggior contenuto di zucchero) quando sia costantemente provvista d'acqua e quando la sua stagione di maturazione non sia soggetta a brusche diminuzioni di temperatura.”, in S.W. Mintz, op. cit., p.27.

15

“Alla metà del XVII secolo, a Londra lavorano circa 50 raffinerie di zucchero, nel 1750 sono circa 80 e altre 20 sono attive a Bristol; ad Amsterdam, fra il 1700 e il 1748, gli impianti che lavorano greggio proveniente dal Suriname e da colonie francesi, passano da 20 a 952, in P. Sabbatucci Severini, op. cit., pp.17-18.

16

Ivi, p.18.

17

Ibidem.

18

“Napoleone, ricusa ogni accordo colla Prussia e da Berlino intima il blocco alle isole britanniche; ordina siano prese le navi e le merci inglesi in qualsiasi luogo;...; sia respinto ogni bastimento proveniente da porti inglesi”, in Ing. G. C. Borghino, Cenni storico-critici sull'industria dello zucchero in Italia, Zanichelli, Bologna, 1910, p. 72.

19

“Dopo il decreto del 1806, che vieta il commercio di prodotti inglesi o transitati per porti inglesi,..., lo zucchero, già notevolmente rincarato, inizia a scarseggiare. Gli eventuali bottini di corsa, la confisca di stocks esistenti nei paesi amministrati -...- e il contrabbando,..., sono del tutto insufficienti a garantire l'approvvigionamento, soprattutto in Francia, dove le importazioni ufficiali crollano da 25.000 tonnellate nel 1807 a 2000 nel 1808.”, in P. Sabbatucci Severini, op. cit., p. 22.

20

Mentre la canna da zucchero è caratteristica dei climi tropicali (caldo-umidi), con temperature elevate, ed è

(17)

La scoperta della possibilità di ricavare zucchero dalla barbabietola avviene nel 1747, ad opera di Andreas Sigismund Marggraf (1709-1782), un ingegnere e chimico tedesco. La barbabietola è nota agli egiziani già 2000 anni avanti Cristo ed è elencata fra le piante del giardino del re di Babilonia Merodach-Baladin, vissuto circa 700 anni avanti Cristo

21

. Conosciuta anche dai romani, la radice di barbabietola è menzionata in testi classici ed in opere posteriori, medievali: nel XVI secolo esistono riferimenti precisi sulle diverse specie coltivate in tutta Europa, mentre alla fine del XVI secolo è stato perfino descritto il sugo che si ottiene cuocendola in acqua

22

. Lo studioso berlinese Marggraf, dopo aver elencato tutte le piante della flora europea, dalle quali è possibile estrarre lo zucchero, conclude che la barbabietola è quella con il contenuto zuccherino in tutto simile a quello della canna. Le ricerche di Marggraf, dopo la sua morte, vengono continuate e perfezionate dal suo allievo, il chimico Franz Carl Achard (1753-1821). Quest'ultimo, nel 1799, presenta al re Federico Guglielmo III il primo campione di zucchero estratto dalla barbabietola, oltre ad un resoconto dei vantaggi che la coltivazione di questa pianta avrebbe potuto portare all'economia della Prussia. Il re, da parte sua, non solo appoggia le scoperte di Achard, ma ordina che ovunque si trovi una raffineria di zucchero, vengano iniziati esperimenti di coltivazione della barbabietola su vasta scala; inoltre finanzia Achard per la costruzione della prima fabbrica di zucchero, quella di Cunern

23

in Slesia.

La scoperta della barbabietola come materia prima per la produzione di zucchero crea allarmismo e preoccupazione nei commercianti e importatori di zucchero di canna, che arrivano persino ad offrire denaro ad Achard, perché abbandoni i suoi studi e dichiari la superiorità dello zucchero di canna su quello di barbabietola. Il chimico tedesco rifiuta l'offerta e per di più consegna i risultati delle sue ricerche all'Università delle Scienze di Berlino, oltre a pubblicare un trattato sulla coltivazione della barbabietola quale pianta industriale. Durante i primi decenni del XIX secolo, sulla scia dei risultati ottenuti da Achard,

legata alla fertilità dei suoli, ricchi di acqua e di sostanze organiche e nutrienti, la barbabietola da zucchero è tipica dei climi temperati-freddi e cresce bene nei suoli fertili, sabbiosi o argillosi.

21

G. Nebbia, op cit., p. 9.

22

Ibidem.

23

Nel 1799-18'00 Achard a Cunern produsse 800 kg di zucchero, in P.Sabbatucci Severini, op. cit., p. 21.

L'intuizione scientifica di Achard non fu sostenuta da un adeguato senso degli affari e, nel 1802, lo zuccherificio

aveva accumulato un notevole debito, che il governo fu costretto a pagare. La fabbrica nel 1812 fu trasformata in

una scuola per l'industria saccarifera, fino a quando, nel 1813, non andò distrutta a causa degli eventi bellici, in

G. Nebbia, op. cit., p.12..

(18)

sorgono fabbriche di zucchero in Germania

24

, Austria, Russia e Francia

25

; ma è soprattutto il blocco continentale del 1806, menzionato più sopra, che, complici le recenti scoperte, favorisce l'avvio della nuova industria.

Napoleone stesso interviene personalmente in favore della fabbricazione di zucchero: con il decreto del 25 Marzo 1811, l'imperatore dispone che siano coltivati a barbabietola 32.000 ettari di terreno, in Francia e nel resto dell'impero; inoltre istituisce quattro scuole sperimentali per la loro coltura. Lo Stato è quindi il promotore della nascente industria e, attraverso i suoi funzionari (i prefetti dei dipartimenti), cerca di incoraggiare, sia la coltivazione delle bietole, sia l'impianto di stabilimenti per l'estrazione e la raffinazione di zucchero

26

.

Con il crollo dell'Impero napoleonico (1824) si esaurisce lo slancio positivo verso la nuova industria, che entra in crisi e favorisce, in Europa, una nuova ripresa dello zucchero di canna.

La crisi dura fino alla metà degli anni venti del XIX secolo, quando la coltivazione della barbabietola riprende quota, soprattutto in quei paesi in cui è stata sperimentata all'inizio del secolo: in Francia, in Russia, e nell'Impero Austro-Ungarico.

La fortuna della barbabietola è legata ai vantaggi che si possono ottenere dalla sua coltivazione e dalla successiva lavorazione industriale. La barbabietola, oltre a rappresentare un prodotto altamente remunerativo, è considerata una coltura di rotazione, che mantiene la fertilità dei terreni, migliorandone e aumentandone le rese; inoltre i residui della coltivazione

24

Negli anni tra il 1805 e il 1820, sorsero in Germania altri due zuccherifici: uno ad opera di Von Koppy (al quale si deve il merito di aver selezionato e migliorato la qualità di bietole e di aver coltivato le bietole bianche della Slesia, dalle quali derivano le varietà oggi coltivate in Europa), l'altro a Magdeburgo, ad opera di Plake, che costruì il primo vero zuccherificio industriale, Ibidem.

25

Nel 1813 in Francia erano attivi 334 zuccherifici con una produzione di 4.000 tonnellate di zucchero, Ivi, p. 14.

26

“In tutti i dipartimenti i prefetti diramano circolari nelle quali si indica la superficie da seminare, allegando ad

esse un solido preventivo sulle spese di impianto e di esercizio di una fabbrica di zucchero nonché sull'utile

previsto, che si assicura ammonterà al 100%, al fine di incoraggiare iniziative, in P. Sabbatucci Severini, op. cit.,

p. 22.

(19)

(foglie e colletti

27

) e gli scarti della lavorazione (polpe

28

e melassa

29

) possono essere utilizzati come mangime per l'alimentazione del bestiame. La possibilità di incrementare l'allevamento aumenta la disponibilità di letame e quindi una migliore concimazione dei terreni a destinazione cerealicola. I sottoprodotti della lavorazione costituiscono quindi un ulteriore introito per la fabbrica; la melassa, in particolare, oltre ad essere utilizzata per l'allevamento zootecnico, può essere venduta alle distillerie e utilizzata per la produzione di alcool etilico, acquavite e prodotti liquorosi, o destinata alla lavorazione di lievito da panificazione

30

.

In Europa lo sviluppo della produzione di zucchero di barbabietola è favorito da una forte protezione statale; la Russia, l'Austria, il Belgio e i paesi allora aderenti all'unione doganale tedesca

31

impongono una tassazione sulle importazioni di zucchero ed esentano la produzione indigena. Alla metà del XIX secolo, con l'abolizione della schiavitù

32

, la produzione coloniale di zucchero di canna entra in crisi; ne segue, negli stati europei, un calo delle importazioni e una diminuzione delle entrate doganali. I suddetti paesi, al fine di risanare i bilanci statali

27

Il colletto costituisce la parte superiore del corpo della radice, su cui si inseriscono le foglie. La scollettatura, ossia l'eliminazione del colletto, è necessaria in quanto, essendo quest'ultimo una parte povera di zucchero, ma ricca di impurità, renderebbe difficoltosa la lavorazione industriale.

28

Si tratta delle fettucce delle bietole esaurite al massimo della sostanza zuccherina. La conservazione delle polpe avviene all'interno di silos, oppure di fosse scavate in terra o costruite in muratura; in qualunque modo vengano conservate perdono buona parte dei loro principi nutritivi; si calcola che dopo 374 mesi avviene una perdita del 20/30% della loro materia secca. Per evitare ciò è stato pensato di procedere all'essiccamento delle polpe mediante dei forni speciali, spesso annessi agli zuccherifici. Oltre a costituire un ottimo foraggio le polpe possono essere utilizzate come concime per i terreni. Quest'ultimo utilizzo avviene, generalmente, quando il prodotto subisce un'alterazione dovuta ad una cattiva conservazione; come concime le polpe hanno un valore molto basso rispetto a quello che hanno come foraggio, in Rag. A. Battara, op. cit., pp. 42-43.

29

La melassa, ossia lo sciroppo zuccherino dal quale non è più conveniente estrarre lo zucchero, è il residuo più importante della lavorazione delle fabbriche di zucchero. Mentre in Germania ed Austria gran parte della melassa viene utilizzata per l'alimentazione del bestiame, in Italia il consumo per tale utilizzo è irrisorio e viene principalmente venduta alle distillerie, Ivi p. 43.

30

Nello zuccherificio di Cecina, la melassa era utilizzata dalla Lieviteria Spiritus, adiacente allo zuccherificio, che la utilizzava per la produzione di lievito da panificazione; inoltre poteva essere utilizzata in distileria per la produzione d'etanolo, oppure, come integratore alimentare per uso zootecnico e, infine, come materia prima nell'industria farmaceutica per la produzione di tutti i derivati del saccarosio (glucosio, fruttosio, ecc.). La Lieviteria Spiritus fu realizzata nel 1949 e fu attiva fino al 1966. La proprietà era della Società Spiritus di Genova, consociate con la Sermide S.P.A, proprietaria dello zuccherificio, in Archeologia Industriale a Cecina.

Passato, presente e futuro dello zuccherificio, Tesi di Laurea in Archeologia Industriale A.A. 2005-2006, Relatore: Professoressa C. Torti, Laureanda: F, Secchi, p. 46. Per la descrizione della Lieviteria Spiritus a Cecina e della produzione del lievito, Ivi, pp.46-47 e pp. 76-77.

31

L'unione doganale tedesca, lo Zollverein, fu creata nel 1834 tra i 38 stati della Confederazione Tedesca, per creare un migliore flusso commerciale e ridurre la competizione interna.

32

Nel 1833 viene abolita la schiavitù nelle colonie inglesi, successivamente, nel 1848 in quelle Francesi; il venire meno della manodopera schiava mise in crisi la produzione dello zucchero di canna, in M.E. Tonizzi, L'industria dello zucchero. La produzione saccarifera in Italia e in Europa 1800-2000, Angeli, Milano, 2001, p.

29.

(20)

danneggiati dal calo delle importazioni, impongono una tassa sulla fabbricazione interna (accisa)

33.

I notevoli guadagni, derivanti dall'imposizione dell'accisa, stimolano i vari governi a tutelare ed incentivare l'industria saccarifera dei propri paesi. Un altro fattore, che contribuisce alla diffusione della coltura della barbabietola in Europa, è la crisi agraria, che colpisce il continente durante gli ultimi decenni del XIX secolo. In questo periodo si verifica un notevole sviluppo della produzione e dell'esportazione di frumento e cereali, russi ed americani; l'arrivo sui mercati europei di questi prodotti, a prezzi assai inferiori rispetto a quelli dei paesi europei, determina la necessità di sperimentare nuove colture da cui ottenere quei redditi che il grano non garantisce più.

Alla fine del XIX secolo, in Europa, la notevole crescita della produzione di zucchero

34

, non solo riesce a soddisfare completamente il fabbisogno interno, ma crea anche una sovrapproduzione; lo smaltimento delle eccedenze è possibile soltanto attraverso un incentivo delle esportazioni. Le politiche degli stati europei, indirizzate a promuovere le esportazioni di zucchero, prevedono: la restituzione della tassa di fabbricazione pagata sul prodotto inviato all'estero e, successivamente, il pagamento di premi diretti agli esportatori

35

. Grazie al sostegno statale, lo zucchero di barbabietola, che nel 1840 costituisce meno dell'8% della produzione mondiale, passa, alla fine del XIX secolo, a rappresentare il 66 % del prodotto complessivo

36

.

Un altro elemento determinante che favorisce lo sviluppo della produzione di zucchero di barbabietola, è costituito da una serie di innovazioni tecnologiche, meccaniche e chimiche,

33

L'imposizione sulla tassa di fabbricazione interna avvenne tra il 1838 e il 1848. La Francia fu esente da prelievo fiscale fino al 1837, mentre i paesi aderenti all'unione doganale tedesca fino al 1841. Il calcolo dell'imposta poteva avvenire con due sistemi: diretto o deduttivo (detto anche alla francese) che si basava sulla quantità di zucchero effettivamente prodotta , oppure, indiretto o induttivo (detto anche alla tedesca), che si basava sulla quantità di materia prima destinata alla lavorazione, in P. Sabbatucci Severini, op. cit., p.25 e p.37. Il calcolo dell'imposta con metodo diretto favoriva l'attività delle raffinerie, mentre quello con metodo indiretto favoriva l'attività degli zuccherifici. La modalità di percezione dell'accisa con metodo indiretto, prevedeva inoltre l'esenzione di 1/3 dello zucchero prodotto, sia greggio che raffinato. In Germania l'applicazione del calcolo con metodo indiretto fu determinante per il progressi dell'industria saccarifera di questo paese: essendo basato sulla quantità di materia prima destinata alla lavorazione , fu infatti uno stimolo per la ricerca di tecniche produttive sempre più efficaci, tali da aumentare la produzione e ottenere quantità di prodotto finito sempre maggiori a parità di materia prima e quindi a parità di imposta, in E. Biancardi (a cura di ), op. cit., p.88 e p. 112.

Per i diversi sistemi di accertamento della tassa di fabbricazione, vedi anche M.E. Tonizzi, op. cit., p.p.32-33.

34

La produzione europea di zucchero, tra il 1820 e il 1890, passò da 2.5 ton. a 3.399 ton. circa, in M.E. Tonizzi, op. cit., , p. 31.

35

“Tutta l'industria saccarifera europea si basa sul sistema dei premi: tutta la legislazione europea in materia ha in comune questi aspetti: innalzare la produzione di zucchero, limitare il consumo domestico, favorire le esportazioni”, Ivi, p. 35.

36

Ibidem.

(21)

relative al ciclo di lavorazione. Nel 1840 è utilizzata per la prima volta la caldaia a vapore Howard, che permette di ridurre il consumo di carbone del 25%

37

; nel 1835, in uno zuccherificio del Magdeburgo si sperimenta l'utilizzo di batterie sotto vuoto per la bollitura e l'evaporazione dei sughi, che consentono un notevole risparmio di tempo e di combustibile.

Intorno agli anni '40 viene introdotta la forza centrifuga per la separazione dei cristalli di zucchero dalla melassa, che velocizza i tempi di lavorazione rispetto alla tecnica tradizionale per scolo. Anche la fase di estrazione del sugo zuccherino dalle barbabietole subisce importanti innovazioni: il vecchio sistema delle raspe

38

, con cui le barbabietole vengono ridotte in poltiglia, non consente la completa estrazione del sugo. In un primo momento si cerca di risolvere il problema con l'introduzione della macerazione a caldo, con cui la poltiglia uscita dalle raspe è messa in contatto con acqua calda, così da rendere più permeabile il tessuto cellulare delle bietole; successivamente, nel 1837, il sistema delle raspe viene definitivamente sostituito con un nuovo procedimento, messo a punto in Germania, che garantisce un miglior esaurimento delle polpe: le bietole, infatti, dopo essere state ridotte in fettucce sottili sono immesse nell'acqua a 88°, ossia ad una tale temperatura da consentire al sugo zuccherino, contenuto nelle cellule, di liberasi completamente nell'acqua. Questo metodo porta, nel 1864, alla realizzazione della prima batteria di diffusione, ideata dall'imprenditore tedesco Julius Robert nel suo stabilimento di Seelowitz

39

.

37

Ivi, pp. 29-30.

38

“La prima operazione di estrazione del sugo zuccherino contenuto all'interno della membrana cellulare avviene tramite la riduzione in poltiglia delle barbabietole intere, precedentemente sottoposte ad un'accurata lavatura. Le raspe (costituite da tamburi orizzontali di legno o ferro guarniti di punte) e le presse (si tratta di presse a peso in seguito sostituite da presse a vite e idrauliche) impiegate a questo scopo non sono però in grado di rompere uniformemente tutto il tessuto cellulare; da ciò derivano basse rese della materia prima e minor contenuto zuccherino dei sughi, a causa della totale perdita del contenuto saccarifero delle cellule rimaste intatte nel corso delle operazioni di pressatura.”, Ivi p. 27.

39

Ivi, p. 30.

(22)
(23)

2. L'organizzazione e le caratteristiche di una fabbrica di zucchero

L'industria saccarifera è basata principalmente su processi chimici; necessita di macchinari molto complessi, costosi e delicati e di un direttore di fabbrica con una formazione tecnica, preferibilmente un ingegnere industriale. Il direttore dello zuccherificio è il responsabile del processo produttivo e deve gestire ogni fase della lavorazione

40

; per tale motivo, di norma, risiede nei pressi dello stabilimento. La Direzione Amministrativa della Società proprietaria dello stabilimento è generalmente lontana dalla fabbrica e detiene il controllo supremo di tutta l'azienda. Tutto il personale impiegato nello stabilimento è alle sue dipendenze: il direttore, il capo chimico e i suoi assistenti, il capo meccanico e la sua squadra di operai, gli impiegati degli uffici amministrativi e, infine, gli ispettori agricoli. Il personale del laboratorio chimico, che è annesso allo stabilimento, preleva continuamente campioni di bietole, sia al loro arrivo in fabbrica, per determinare la percentuale di saccarosio in esse contenuto, sia durante le fasi di lavorazione. Le analisi chimiche continuano anche nel reparto raffineria, su campioni di sughi, masse cotte, ecc., e seguono il prodotto per tutto il processo di lavorazione, così da determinarne le varie caratteristiche (densità, saturazione, alcalinità, purezza, ecc.) fino alla realizzazione del prodotto finito. I meccanici hanno il compito di sorvegliare il corretto funzionamento dei macchinari; lo zuccherificio è sempre dotato di un'officina meccanica

41

, dove si provvede alla riparazione e, talvolta, alla realizzazione dei pezzi necessari. In particolare, alla fine di ogni campagna saccarifera, quando la produzione è ferma, i meccanici si occupano dello smontaggio e della pulizia dei macchinari, per poi rimontarli e, se necessario, apportarvi delle modifiche

42

. Come accennato precedentemente, le attrezzature necessarie alla produzione di zucchero sono assai complesse, sia per quanto riguarda le dimensioni, che per il funzionamento. Una fabbrica di zucchero deve essere costruita assai

40

“...si occupa esclusivamente della direzione del lavoro di fabbrica e cioè, mentre nella stagione di riposo studia le modificazioni agli impianti, fa smontar le macchine per pulirle ripararle, ecc., durante la campagna cura che le macchine funzionino regolarmente senza intoppi e segue e controlla tutta la lavorazione fino ad avere il prodotto finito”, in Rag. A. Battara, op. cit., p. 14.

41

Generalmente uno zuccherificio è dotato anche di un'officina elettrica e di relativo personale addetto alla sorveglianza e alla gestione dell'impianto elettrico, necessario per il funzionamento dei macchinari.

42

Erano molto frequenti continui riadattamenti dei vari reparti produttivi che, in base a nuove disposizioni

operative, dovevano essere pronti ad accogliere una diversa e più funzionale organizzazione del lavoro. Era

soprattutto il progresso tecnologico che imponeva tali adeguamenti; quando i macchinari degli impianti

produttivi si rivelavano ormai superati venivano smantellati, oppure, nel caso non fosse possibile, a causa delle

notevoli dimensioni, erano affiancati da nuove attrezzature che, pur di far marciare la fabbrica, venivano

collocate anche fuori dagli edifici.

(24)

solidamente dato il peso considerevole dei macchinari e dell'enorme quantità di liquido che circola durante la lavorazione; gli spazi interni, infatti, sono totalmente occupati dagli impianti di produzione, i quali sono sostenuti da strutture architettoniche in acciaio (solai, mezzanini e scale), staticamente indipendenti dalla struttura esterna. Il personale addetto deve potersi spostare liberamente e velocemente da un piano all'altro, così da essere agevolato nella sorveglianza del lavoro

43

. Da queste necessità funzionali derivano gli immensi spazi interni, sia in pianta, sia in altezza, definiti navate, che caratterizzano queste fabbriche rendendole del tutto simili a delle cattedrali

44

. Anche lo spazio esterno ai corpi di fabbrica deve essere molto vasto

45

, provvisto di un'ampia corte “...per i movimenti dei carri ed il deposito delle materie prime

46

,..., come anche dei prodotti di restituzione (terra, scarti vari, polpe) e delle ulteriori infrastrutture indispensabili (pesa e ponti bilici, uffici, case del custode, del direttore, dei tecnici, stalle, officine, platee, vasche di decantazione, carbonili, magazzini, ecc.)”

47

. La tecnica costruttiva si basa sull'utilizzo di materiali edilizi ricorrenti, quali: il laterizio per le coperture, il mattone faccia vista per le murature e il calcestruzzo armato per le strutture portanti; l'aspetto massiccio e monumentale che ne risulta è alleggerito dalla presenza di elementi ripetitivi e simmetrici (porte, finestre, segna piani, cornicioni, etc.) e impreziosito da numerosi dettagli decorativi (cornici, intarsi, lesene, curvilinee). Gli zuccherifici presentano sempre lo stesso impianto tipologico, dettato dalla loro specifica funzione; sono caratterizzati da una disposizione alquanto articolata, costituita da più fabbricati di notevole altezza e dimensione, che si dispongono all'interno dell'area dello stabilimento seguendo una certa organizzazione razionale, dettata dal succedersi delle diverse fasi di produzione. Non si tratta quindi di opifici isolati, ma di veri e propri insediamenti composti da una moltitudine di manufatti; i reparti destinati alla lavorazione della barbabietola si concentrano in un unico

43

“La fabbrica doveva essere articolata -spaziosamente costrutta-, con l'accorgimento che da ogni suo punto si possa sorvegliare l'andamento generale della situazione. Perciò si dovevano evitare divisioni a piani e locali ben distinti, adottando lo schema sistema della -grande tettoja, alta dai 13 ai 15 m., entro la quale, attorno ad uno spazio libero, occupato generalmente dalle macchine a vapore e dalle pompe, si elevano parecchie tribune a guisa di piani, leggermente costrutte in ferro e legno, e portate da svelte colonne di ferro o di ghisa-” (sic.), in E.

Biancardi (a cura di), op. cit., p. 29.

44

“A vederlo passando lungo la strada che da Ponte a Elsa conduce a Castelfiorentino sembra quasi una cattedrale abbandonata, una splendida San Galgano della protoindustrializzazione toscana...”, in F. Nucci, op. cit.

45

Lo zuccherificio di Cecina sorgeva su una superficie di circa 70.000 mq, di cui 14.614 mq erano occupati da fabbricati, mentre il resto era utilizzato a piazzale di viabilità, binario ferroviario, serbatoi per sottoprodotti e deposito materiali, in F. Secchi, op. cit., p. 30.

46

Oltre alle materie prime, da menzionare anche il materiale sussidiario necessario ad uno zuccherificio, composto da tutte quelle materie che servono per il funzionamento delle macchine (combustibile, calcare, oli, grassi) e dei vari servizi inerenti la lavorazione dello zucchero, in Rag. A. Battara, op. cit., pp.33-34.

47

E. Biancardi (a cura di), op. cit., p. 29.

(25)

corpo principale, direttamente collegato con i vari magazzini di deposito; del tutto separati sono i laboratori e le officine di servizio. Verso l'ingresso principale sono situati, solitamente, gli edifici della direzione e degli uffici amministrativi; oltre a questi, sempre a ridosso dell'entrata principale, ci sono: la portineria, i servizi comuni (refettori, spogliatoi), la residenza del direttore e, talvolta, alcuni nuclei abitativi per il personale impiegato. L'attività di uno zuccherificio richiede una numerosa manodopera; in genere il personale stabile dello stabilimento (operai e impiegati) arriva, sia dalle campagne vicine, sia da zone più lontane, anche fuori regione; i tecnici, i funzionari e i direttori, spesso arrivano dall'estero, e ciò genera inevitabilmente il bisogno di abitazioni. Tali esigenze spingono talora gli industriali imprenditori

48

a realizzare, in prossimità degli impianti produttivi, dei piccoli villaggi operai

49

, composti da alcuni nuclei abitativi, talvolta dotati di servizi comuni (asili, mense, lavanderie, ecc.) al fine di migliorare le condizioni di vita dei dipendenti e di esercitare un controllo continuo e diretto sulle maestranze

50

. La tipologia delle abitazioni è diversa in base al ruolo ricoperto dal personale nella fabbrica: palazzine o file di edifici per gli operai, villini mono o bi-familiari per gli impiegati e ville per i dirigenti

51

. Per quanto riguarda la realizzazione degli impianti produttivi, in Italia, durante la prima fase di espansione dell'industria saccarifera, tra la fine del XIX secolo e l'inizio del XX, le Società intenzionate ad avviare una fabbrica di zucchero si avvalgono delle competenze dei paesi industrialmente più avanzati (Germania,

48

Un precursore, da questo punto di vista, fu Emilio Maraini che, oltre ad essere considerato il fondatore dell'industria dello zucchero in Italia, viene ricordato per l'innovazione sociale apportata nei rapporti con le maestranze. Con la costruzione degli zuccherifici si dedicò, per primo, anche alla costruzione di abitazioni per i lavoratori e annessi servizi sociali, Ivi, p. 79.

49

“Possiamo solo parlare di piccoli insediamenti a colonia dove spiccano le caratteristiche abitazioni facenti parte un tempo del complesso industriale e che rimangono oggi a testimoniare la sua presenza”, in Tesi di Laurea, Istituto universitario di Venezia, Facoltà di architettura, Corso di laurea in architettura AA. 1998-1999 Le abitazioni degli zuccherifici, relatore: Prof. F. Mancuso, correlatore: Prof.ssa D. Mazzotta, laureanda: M.

Renai.

50

“...la soluzione del concreto e immediato problema della lontananza del luogo di lavoro dall'abitazione forniva d'altronde all'imprenditore considerevoli altri vantaggi, tanto pratici quanto ideologici. Da un lato, la formazione di una sorta di comunità attorno alla fabbrica poteva diffondere l'idea del lavoro industriale come estraneo ai conflitti di classe, fondandolo viceversa sulla solidarietà di imprenditori e operai; dall'altro i miglioramenti igienico-sanitari connessi alle nuove abitazioni contribuivano sensibilmente a una riduzione dell'assenteismo...La concentrazione dei lavoratori in alloggi contigui alla fabbrica, ma isolati dai centri urbani sovraffollati, rendeva infine assai più facile il controllo sociale e politico.”, in R. Bigi (a cura di) Archeologia industriale. Monumenti del lavoro tra XVIII e XX secolo, Touring club italiano, Milano, 1983, p. 96.

51

E. Biancardi (a cura di), op. cit., p. 98.

(26)

Austria-Ungheria, Cecoslovacchia)

52

, che da tempo possiedono imprese meccaniche addette alla realizzazione di attrezzature specifiche per la produzione di zucchero (elevatori, batterie di diffusione, caldaie, centrifughe, filtri, ecc.). Soltanto a partire dagli anni '30 del XX secolo, sull'esempio degli altri paesi europei

53

, anche le aziende italiane iniziano ad affermarsi nella fabbricazione di macchinari per l'industria saccarifera. Infine, la pianificazione e, di seguito, la realizzazione di un insediamento produttivo, quale uno zuccherificio, deve tenere conto di una serie di condizioni indispensabili a garantirne salde basi tecniche ed economiche.

L'ubicazione ottimale della fabbrica è quella al centro delle coltivazioni bieticole, o comunque, dove si può contare su una materia prima di buona qualità e in quantità sufficiente, al fine di garantire una maggiore produzione; è preferibile che la fabbrica sia costruita affianco ad un argine, in prossimità di corsi d'acqua e di una fitta rete di canali, data la necessità di un sostanzioso approvvigionamento idrico

54

. Inoltre, grande importanza rivestono i mezzi di trasporto

55

: la fabbrica deve essere dislocata a breve distanza da un centro abitato di una certa rilevanza ed essere servita da una comoda rete viaria con un sistema di allacciamento alla stazione ferroviaria, per facilitare il trasporto della materia prima e del prodotto finito.

52

Questi paesi sono, all'inizio del XX secolo, anche i maggiori produttori europei di zucchero, in M. Tozzi Fontana, E. Chirigu (a cura di), Il patrimonio industriale dell'Emilia Romagna: atti della giornata di studi di Bologna (2 Dicembre 2009), AIPAI, Grace, Narni, 2011, p. 90.

53

“...la tecnologia importata dalla Germania e dalla Cecoslovacchia fu fonte di un profondo rinnovamento nelle conoscenze delle imprese meccaniche locali...I tecnici italiani andarono a formarsi in Germania e in Cecoslovacchia...”, in “Convegno L'industria saccarifera italiana dal 1872 all'epoca attuale:...”, op. cit., p. 10.

54

“Anche l'acqua è indispensabile in grande quantità, si calcola che il fabbisogno d'acqua sia 12 volte il peso delle bietole e per quanto parte di acqua (in caso di scarsità) si possa riutilizzare mediante l'impianto di grande vasche di decantazione, pure il fabbisogno rimane sempre alto, onde è necessario che le fabbriche sorgano dove è abbondanza di acqua o dove il sottosuolo è ricco in modo che sieno convenienti gl' impianti di sollevamento (sic)”, in Rag. A. Battara, op. cit., p.12.

55

Durante il periodo della campagna saccarifera affluivano quotidianamente agli zuccherifici e ad altri diversi

posti di ricevimento 40.000 carretti. Il servizio dei carretti era integrato dal movimento di circa 2.000 vagoni

ferroviari adibiti esclusivamente al trasporto delle barbabietole, oltre ad un numero considerevole di barche per i

trasporti su fiumi e canali. Il movimento annuo delle merci (bietole, zucchero, polpe, combustibile e merci varie)

è rappresentato da alcune cifre approssimative: 26.000.000 q.li per strade ordinarie, 14.000.000 q.li per ferrovia e

10.000.000 q.li per vie fluviali. Le bietole venivano trasportate agli zuccherifici da carri (trainati da animali o a

mano) per il 65%, con la ferrovia per il 20%, con barche per il 15%, in Istituto centrale di statistica del Regno

d'Italia, Censimento industriale 1937-XV L'industria dello zucchero, censimento del 25 Agosto 1937-XV,

Tipografia Failli, Roma, 1938, p. 10.

(27)
(28)

3. Ciclo produttivo: estrazione, purificazione, concentrazione, cristallizzazione, raffinazione

Alcuni zuccherifici producevano esclusivamente lo zucchero greggio, lasciando ad appositi stabilimenti il compito della raffinazione

56

; altri, invece, completavano il ciclo di lavorazione sino alla produzione del prodotto commerciale finito

57

. Il processo di produzione dello zucchero si basa su principi chimici e si sviluppa secondo la successione di varie fasi:

estrazione, purificazione, concentrazione, cristallizzazione, raffinazione. Generalmente, fino alla fase di purificazione, tutte le fabbriche adottavano lo stesso sistema di lavorazione, mentre, a partire dal processo di evaporazione, ogni stabilimento poteva adottare un suo ciclo specifico; ciò in relazione, sia alle caratteristiche dei diversi impianti di produzione, sia alle convinzioni tecniche dei rispettivi Direttori.

Le prime fabbriche di zucchero, sorte all'inizio del XIX secolo, adottavano un processo di lavorazione assai rudimentale: le barbabietole venivano lavate, tagliate e chiuse in sacchi di lana, per poi essere spremute con un apposito torchio. Il succo ottenuto dalla spremitura doveva essere liberato dalle impurità e sbiancato, per cui veniva mescolato con latte di calce e passato in filtri-presse. Successivamente, dopo le fasi di evaporazione e centrifugazione, il sugo era mescolato con carbone d'ossa animale e sangue di bue; il composto ottenuto era poi fatto bollire in caldaie sottovuoto. La massa cotta così prodotta, dopo essere stata raffreddata in ampie vasche, veniva versata in vasi di latta verniciata dalla caratteristica forma di cono rovesciato, al cui interno avveniva l'ultima fase del processo di lavorazione: la raffinazione.

Il processo produttivo di una fabbrica di zucchero sorta all'inizio del XX secolo, come quelle di Castelfiorentino, Ceggia e Cecina (oggetti di studio del presente lavoro), aveva inizio con

56

“Prima ancora delle fabbriche erano sorte le raffinerie, che dapprima lavoravano zucchero estero (austriaco e russo), poi si servirono dell'indigeno e l'industria della raffineria progredì al punto che varie fabbriche di zucchero greggio impiantarono la loro propria raffineria. Ad oggi si hanno 3 stabilimenti di sola raffineria e 6 di raffineria annessa alla fabbricazione del greggio.”, in Rag.A. Battara, op. cit., p. 9. “Vi sono fabbriche di zucchero impiantate esclusivamente per lavorare esclusivamente zucchero greggio e non per continuare il lavoro di raffinazione, che avviene quasi sempre in fabbriche separate le quali funzionano tutto l'anno, mentre le prime funzionano solo per il periodo di tempo in cui avviene il raccolto delle barbabietole,...Ma vi sono anche raffinerie annesse alle fabbriche di zucchero greggio ed in questo caso esse lavorano senz'altro lo zucchero prodotto dall'azienda, e possono ricevere zucchero anche dalle altre.”, Ivi, p. 12.

57

Gli zuccherifici di Granaiolo e di Cecina producevano zucchero raffinato da destinare al commercio, quello di

Ceggia, invece, fino alla II guerra mondiale, produceva soltanto zucchero greggio, che poi inviava ad altri

stabilimenti per terminare la lavorazione. Soltanto dopo la guerra, nel 1947, anche quest'ultimo fu dotato di una

propria raffineria.

(29)

l'arrivo delle barbabietole

58

all'interno dello stabilimento. Il trasporto della materia prima dai campi alla fabbrica avveniva per mezzo di carri agricoli (fig. 1), in seguito sostituiti da autocarri (fig. 2)

59

, tramite vagoni ferroviari

60

, oppure, dove erano presenti canali navigabili, per mezzo di barche (fig. 3).

58

La barbabietola è messa in lavorazione al momento della sua maturazione, in piena estate. La maturazione coincide con la più alta concentrazione di saccarosio nella radice, la quale deve essere estirpata prima che la pianta utilizzi il saccarosio accumulato per la successiva produzione del seme, che avviene nel secondo anno di vita, dopo aver trascorso l'inverno nel terreno. L'industria saccarifera è un'industria stagionale, poiché la necessità di lavorare un “prodotto fresco”, in tempi abbastanza brevi, fa sì che il ciclo produttivo si svolga in un periodo di tempo limitato, che nell'Italia centro settentrionale corrisponde a due, tre mesi l'anno: dalla fine di Luglio a metà Ottobre. Si veda F. Secchi, op. cit., p. 74. “In Italia la barbabietola si semina prevalentemente dal I Marzo al 30 Aprile e si raccoglie prevalentemente in Agosto e Settembre...Gli zuccherifici debbono essere attrezzati in modo da poter procedere rapidamente alla lavorazione del raccolto, in maniera da completarne la lavorazione in 40-60 giorni. Il raccolto si fa a più riprese perché è necessario avere barbabietole fresche di 2-4 giorni (per impedire che si alterino o che diminuisca il tenore zuccherino)...Questa necessità di lavorare intensamente entro un termine ristretto di tempo obbliga l'industria saccarifera a disporre di impianti di grande potenzialità che possano lavorare a pieno rendimento nel minor tempo possibile (un tempo si lavorava per due o tre mesi, oggi da 40 a 60 giorni all'anno)”, in Istituto centrale di statistica del Regno d'Italia, op. cit., p. 4.

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Nello Zuccherificio di Granaiolo si iniziarono ad utilizzare gli autocarri a partire dal secondo dopo guerra; in un primo momento le barbabietole venivano scaricate manualmente dagli operai, per mezzo di forconi, successivamente, a partire dal 1961, si provvide a rialzare le strade adiacenti i silos, in modo da scaricare le barbabietole utilizzando i camion provvisti di piano ribaltabile, in Tesi di laurea, Università degli studi di Firenze, Facoltà di Architettura, Istituto di Storia dell'architettura e del restauro, A.A 1981-1982, “Lo Zuccherificio di Granaiolo (Castelfiorentino). Indicazioni per il restauro e la riutilizzazione di un edificio di archeologia industriale in Toscana”, relatore: Prof. Arch. F. Guerrieri, correlatore: Arch. M. Ristori, laureandi:

R. Franceschini, S. Gradi, D. Parnis, p. 82.

60

“C'erano ben 52 stazioni di carico che coprivano una zona molto ampia: da Ponte a Elsa, Castelfiorentino, Certaldo fino a Chiusi; da Empoli fino a Pisa e Lucca; da Borgo San Lorenzo a Pontassieve ecc. Nel binario dello zuccherificio potevano essere posteggiati oltre 180 vagoni ferroviari, ognuno dei quali conteneva 150-200 q. li di barbabietole, che servivano da silos nei periodi di grande produzione.”, Ivi, p. 81.

Figura 3 – “Grue Savigliano in lavoro”

Ceggia 11 Agosto 1930.

Fotografia storica a cura del Prem.

Studio fotografico Aldo Pasinetti San

Donà di Piave, concessa da Dino

Giacomel.

(30)

Varcato il cancello d'ingresso della fabbrica, i veicoli carichi di barbabietole venivano fermati in prossimità del locale per la pesa, su di un'apposita piattaforma

61

dove veniva misurato il peso lordo; la stessa operazione era eseguita con i veicoli in uscita, dopo lo scarico del materiale, per misurare la tara e determinare così il peso netto

62

. Le operazioni di ricevimento delle bietole, oltre alla determinazione del peso, prevedevano la definizione del contenuto di zucchero, in base al quale ne era stabilito il prezzo; durante lo scarico all'interno dei silos (vasche di deposito) venivano così prelevati dei campioni di bietola (generalmente uno per ogni mezzo) per determinarne la polarizzazione, ossia il contenuto di saccarosio

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(fig. 4). Tali operazioni si svolgevano in un apposito laboratorio di chimica ed erano eseguite dai rappresentanti degli industriali e quelli dei coltivatori

64

.

61

Nello zuccherificio di Cecina: “Il locale pese era costituito da due pese a bilico: un bilico aveva una piattaforma di m. 8x3, in lamiera di ferro striata, montata su profilati anch'essi in ferro; gli appoggi della piattaforma si trovavano in un vano sotterraneo costruito in muratura e montati su appositi pilastri. Tale vano comunicava con la cabina di pesatura tramite un cunicolo anch'esso sotterraneo dove passavano le aste della pesa. La portata del bilico era di q. li 300; l'altro invece aveva una piattaforma di m. 7x3 e una portata di q.li 200”, in F. Secchi, op. cit., p. 49.

62

Dopo le operazioni di pesatura le barbabietole venivano scaricate in apposite vasche di raccolta. Durante lo scarico, le bietole erano separate dal materiale di scarto quale terra, erba o sassi, dopodiché, questo è ricaricato sui veicoli e ripesato in modo da ottenere il peso netto delle bietole da destinare alla produzione, in F. Secchi, op.

cit., p. 49. “Alla pesatura viene sempre detratta una percentuale di tara fissata nei contratti d'acquisto, e ciò per compensare quella parte di terra che, malgrado una buona preparazione, rimane sempre aderente alla bietola”, in Rag. A. Battara, op. cit., p. 15.

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“Le bietole hanno un valore industriale tanto maggiore, quanto più alta è la percentuale di zucchero e più basso il contenuto dei non zuccheri, azoto amminico e sali (potassio, sodio, magnesio)”, in F. Secchi, op. cit., p. 67.

64

Tra industriali e bieticoltori nacquero, sin dal principio, una serie di controversie in merito alle tipologie del seme, motivate dagli opposti interessi tra un alto titolo zuccherino ed un alto peso delle radici; tali controversie

Figura 1 - Mezzo di trasporto delle bietole con carro trainato da buoi.

Fonte: E. Biancardi (a cura di), op. cit., p. 83.

Figura 2 – Operazioni di scarico delle barbabietole dagli autocarri.

Fonte: E. Biancardi (a cura di), op. cit., p. 25.

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