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Analisi funzionale di precursori dei fotorecettori generati mediante riprogrammazione cellulare

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Academic year: 2021

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(1)

UNIVERSITÀ DI PISA

DIPARTIMENTO DI FARMACIA

Corso di Laurea Specialistica in Chimica e Tecnologia Farmaceutiche

TESI DI LAUREA

ANALISI FUNZIONALE DI PRECURSORI DEI

FOTORECETTORI GENERATI MEDIANTE

RIPROGRAMMAZIONE CELLULARE

Relatore

Chiar.mo Prof. Gian Carlo Demontis

Candidata Saverina Tropea

(2)

INDICE

INDICE DELLE ABBREVIAZIONI... 4

RIASSUNTO... 6

ABSTRACT ... 8

1. INTRODUZIONE ... 11

1.1 La retina... 11

1.2 I fotorecettori: coni e bastoncelli... 12

1.3 La fototrasduzione ... 14

1.4 Correnti dipendenti dal voltaggio dei fotorecettori: Ih, Ikx, ICl(Ca), ICa, Kir... 20

1.4.1 Ih... 21

1.4.2 Ikx... 22

1.4.3 ICa... 24

1.4.4 ICl(Ca)... 25

1.4.5 Kir... 25

1.5 Sviluppo della retina... 25

1.6 Patologie degenerative retiniche... 27

1.7 Approcci terapeutici nelle patologie degenerative retiniche ... 32

1.8 Riprogrammazione cellulare: un’alternativa all’uso delle cellule staminali embrionali... 34

1.9 Problemi etici delle staminali embrionali... 35

1.10 La riprogrammazione cellulare... 36

1.11 Acetilazione degli istoni nella trascrizione genica ... 38

1.11.1 Istone deacetilasi (HDAC)... 39

1.11.2 Inibitori delle istone deacetilasi (HDI) ... 40

1.11.3 Derivati dell’acido idrossamico: il SAHA ... 40

2. SCOPO DELLA RICERCA... 42

3. MATERIALI E METODI ... 43

3.1 Soluzioni utilizzate durante gli esperimenti ... 43

3.1.1 Composizione della soluzione salina di Locke (500 ml a concentrazione 2x).. 43

3.1.2 Composizione della soluzione intracellulare (100 ml a concentrazione 1x)... 44

3.1.3 Composizione della soluzione di anestetico al 20% di Uretano... 45

3.1.4 Agar al 2% ... 45

3.2 Animali ... 45

3.3 Procedimento delle sezioni di retina... 45

3.4 Tecniche elettrofisiologiche: il patch-clamp ... 47

(3)

3.4.2 Il setup di elettrofisiologia... 53

3.5 Proprietà elettriche della membrana cellulare ... 56

3.6 Analisi dei dati... 58

3.7 Analisi delle correnti registrate in modalità cell attached... 60

4. RISULTATI ... 62

4.1 Variazioni morfologiche indotte dalla riprogrammazione ... 62

4.2 Analisi delle correnti voltaggio-dipendenti nei fibroblasti riprogrammati... 64

4.3 Effetto del Ba2+ sulle correnti del potassio delle cellule riprogrammate ... 67

4.4 Analisi delle correnti dipendenti dal voltaggio nei precursori dei bastoncelli ... 69

4.5 Correnti cloro calcio-dipendenti... 75

4.6 Effetti del SAHA sulle cellule riprogrammate ... 76

4.7 Analisi dei canali espressi a livello del corpo cellulare dei bastoncelli adulti ... 82

5. DISCUSSIONE ... 87

(4)

INDICE DELLE ABBREVIAZIONI

AD Autosomico-dominante

ADP Adenosine diphosphate

AMD Age-related macular degeneration

AR Autosomico-recessivo

ATP Adenosine triphosphate

cAMP Cyclic adenosine monophosphate cGMP Cyclic guanosine monophosphate CNBD Cyclic nucleotide binding domain Cnga Cyclic nucleotide gated channel alpha Cngb Cyclic nucleotide gated channel beta CSNB Congenital stationary night blindness DMSO Dimetilsolfossido

DNA Deoxyribonucleic acid

EGFP Enhanced green fluorescent protein

EPC Extracellular pach-clamp

EPR Epitelio pigmentato retinico ERG Elettroretinografia

ES Cellule staminali embrionali GTP Guanosine triphosphate HAT Histone acetyltransferase

Hcn Hyperpolarization-activated cyclic nucleotide-gated channel HDAC Histone deacetylase

HDI Histone deacetylase inhibitor ICa Corrente del calcio

(5)

ICl(Ca) Corrente generata dall’apertura di un canale selettivo per Cl

-Ih Hyperpolarization activated cationic current

IKx Corrente selettiva per il potassio

INL Inner nuclear layer

iPS Cellule staminali inducibili pluripotenti Kcnb Potassium voltage-gated channel subfamily B Kcnv Potassium voltage-gated channel subfamily V Kir Inwardly rectifying potassium current

Lys Lisina

MEF Fibroblasti embrionali murini

MUT Mutante

Nrl Neuronal retina leucine-zipper Nrsf-1 Neuronal-restricted silencer factor 1 ONL Outer nuclear layer

OPL Outer plexiform layer PDE Phosphodiesterase

RNA Ribonucleic acid

ROS Reactive oxygen species

RP Retinite pigmentosa

Rx o Rax Retinal homeobox protein

SAHA Suberoylanilide hydroxamic acid SNC Sistema nervoso centrale

STAP Stimulus-triggered acquisition of pluripotency TF Fattore di trascrizione

TM Transmembrane

VEGF Vascular endothelial growth factor VGCC Canali del calcio dipendenti dal voltaggio WABB Sindromi di Wolfram, Alström e Bardet-Biedl

(6)

RIASSUNTO

Le malattie degenerative retiniche, sia da cause genetiche che ambientali, costituiscono un gruppo di patologie accomunate da una importante riduzione delle capacità visive, sino alla cecità completa. Nonostante siano molto invalidanti, in particolare per le forme dovute a cause genetiche, che si manifestano precocemente nella vita, non esistono al momento terapie efficaci.

Date le ridotte dimensioni dell’occhio, il numero di cellule necessarie per ripristinare la funzione visiva è comparativamente piccolo rispetto ad altri organi e per tale motivo esiste un considerevole interesse per gli approcci di medicina rigenerativa nell’ambito delle patologie degenerative oculari. Sebbene questo campo abbia registrato negli ultimi due anni dei progressi considerevoli, basati sia sull’uso delle cellule staminali embrionali (ES) che delle staminali inducibili pluripotenti (iPS), un campo relativamente inesplorato è quello della riprogrammazione diretta. Questa metodica prevede che cellule somatiche possano essere riprogrammate direttamente, senza il passaggio intermedio a iPS, verso cellule dotate di un altro destino cellulare.

In questa tesi sperimentale abbiamo quindi condotto una valutazione funzionale di cellule somatiche riprogrammate verso precursori dei fotorecettori retinici, analizzando in dettaglio il loro profilo elettrofisiologico. La valutazione del profilo elettrofisiologico di una cellula dipende dalla combinazione di canali ionici che questa cellula esprime e dal loro rapporto: per tale ragione l’analisi del profilo elettrofisiologico è un modo molto sensibile sia per identificare un dato tipo cellulare, in assenza di indicazioni morfologiche, sia per valutarne il suo percorso di sviluppo a partire da precursori immaturi.

Abbiamo condotto in parallelo un confronto con i precursori retinici immaturi, per valutare fino a che punto le cellule riprogrammate riescano a progredire nella loro maturazione a fotorecettori. Infine, abbiamo valutato il possibile ruolo di fattori epigenetici, analizzando l’effetto sul profilo elettrofisiologico delle cellule riprogrammate di un inibitore della deacetilazione degli istoni, la suberoanilide dell’acido idrossamico (SAHA).

(7)

I risultati ottenuti indicano che la riprogrammazione di cellule somatiche, pur efficace nell’indurre l’espressione di proteine tipiche dei fotorecettori, non permette di indurre una loro maturazione completa, per la quale saranno necessarie ulteriori modifiche del protocollo di riprogrammazione.

Al riguardo, l’utilizzo dell’inibitore della deacetilazione degli istoni ha mostrato di indurre un profondo e complesso cambiamento del profilo elettrofisiologico delle cellule riprogrammate, cambiamento che non sembra però portare a modificazioni stabili. In conclusione, l’analisi condotta ha fornito delle importanti indicazioni su quali correzioni apportare al protocollo di riprogrammazione per migliorarne l’efficienza e l’efficacia.

(8)

ABSTRACT

Retinal degenerative diseases, caused either by genetic or environmental factors, are a group of diseases sharing an important reduction of visual capacities, eventually leading to complete blindness. Although they are highly disabling, particularly for forms of genetic causes occurring early in life, no effective therapies are currently available.

However, considering the small size of the eye, and the small number of cells needed to restore visual function compared to other organs, there is considerable interest in regenerative medicine approaches in ocular degenerative diseases. Although this field has registered in the last two years considerable progress, based both on the use of embryonic stem cells (ES) and inducible pluripotent stem (iPS) cells, direct reprogramming is a quite unexplored field. Using this approach, somatic cells can be reprogrammed directly, without the intermediate step to iPS cells, to cells with different cell-fate.

In this experimental thesis we have carried out a functional evaluation of somatic cells reprogrammed to rod photoreceptor precursors, analyzing in deep their electrophysiological profile. The rationale behind is that the electrophysiological profile of a cell depends on the combination of ion channels expressed by the cells and by their relationship: for this reason, the analysis of the electrophysiological profile is a sensitive approach to identify a given cell type, in absence of morphological information, and assess its development path from immature precursors. In parallel, we have compared the electrophysiological profile of reprogrammed cells with that of immature retinal rod precursors, to assess how the reprogrammed cells are able to progress in their maturation towards photoreceptors. Finally, the investigated the possible role of epigenetic factors, by analyzing the effect on the electrophysiological profile of the reprogrammed cells of an inhibitor of histone deacetylation (suberoanilide hydroxamic acid).

The results show that reprogramming of somatic cells, while effective in inducing the expression of proteins typical of photoreceptors doesn’t induce their full maturation, which will need further changes of the reprogramming protocol. The inhibitor of histones

(9)

deacetylation induced a deep and complex change of the electrophysiological profile of the reprogrammed cells.

However, these modifications do not induce stable modifications. In conclusion, the analysis generated important insights concerning the changes needed for effective reprogramming towards a rod fate in term of both efficiency and effectiveness.

(10)
(11)

1. INTRODUZIONE

1.1

L

A RETINA

La retina costituisce la parte nervosa dell’occhio e ne riveste, sul lato interno, circa i due terzi posteriori, subito al davanti dell’epitelio pigmentato con il quale forma un complesso funzionale necessario sia per la conversione della luce in segnale elettrico da parte dei fotorecettori (un processo noto come fototrasduzione, in seguito dettagliato), sia per la vitalità dei fotorecettori stessi. Dal punto di vista anatomico la retina si presenta come una cupola formata da un sottile foglietto, il cui colore varia dal rosa (quando isolata dopo alcune ore di adattamento al buio) al bianco/giallastro se osservato dopo poche decine di secondi dall’esposizione alla luce ambientale. Dal punto di vista istologico la retina si presenta come una struttura nella quale si possono facilmente riconoscere tre principali strati cellulari ben separati da due strati acellulari.

Procedendo dalla parte più interna a quella più esterna, seguendo quindi il cammino naturale percorso dalla luce, i tre strati cellulari sono:

• lo strato delle cellule gangliari: contiene i corpi cellulari delle cellule gangliari, i cui assoni formano il nervo ottico che mette la retina in comunicazione con le strutture sottocorticali responsabili della visione e dei riflessi che controllano l’ottica dell’occhio;

• lo strato nucleare interno (o dei granuli interni) indicato anche con l’acronimo INL (Inner Nuclear Layer): contiene i corpi cellulari delle cellule amacrine, bipolari e orizzontali, oltre che delle cellule gliali (cellule di Muller), queste cellule modulano il segnale visivo trasmesso dai fotorecettori;

• lo strato nucleare esterno (o dei granuli esterni) indicato anche con l’acronimo ONL (Outer Nuclear Layer): contiene i corpi cellulari dei fotorecettori, sia coni che bastoncelli; ha uno spessore di 30-40 µm.

(12)

La separazione tra ONL e INL è formata dalle connessioni sinaptiche tra fotorecettori e cellule bipolari e orizzontali e viene indicata con l’acronimo OPL (Outer Plexiform Layer). La separazione tra INL e cellule gangliari è formata dalle connessioni sinaptiche tra cellule bipolari, cellule amacrine, coni e cellule gangliari.

Sebbene questa organizzazione anatomica sia comune alla retina di vertebrati a sangue caldo e a sangue freddo, esistono alcune importanti differenze sia per quanto riguarda le dimensioni delle cellule, sia per il numero relativo di coni e bastoncelli, sia per la capacità di generazione di nuova retina, comune nei pesci e negli anfibi ma assente nei mammiferi.

Figura 1: rappresentazione macroscopica e microscopica della retina.

1.2

I

FOTORECETTORI

:

CONI E BASTONCELLI

Coni e bastoncelli sono neuroni sensoriali primari, capaci cioè di rispondere specificamente ad uno stimolo luminoso generando una risposta elettrica, un processo noto come fototrasduzione. Nell’uomo i bastoncelli sono circa 110 milioni, mentre i coni sono 7 milioni circa. I coni sono i fotorecettori deputati alla visione discriminativa e dei colori popolando prevalentemente la zona centrale della retina, la fovea (regione di massima acuità), mentre i bastoncelli favoriscono la visione crepuscolare ed hanno una distribuzione più periferica. La disposizione dei bastoncelli, nella maggior parte della retina, è a piccoli

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gruppi separati da un cono. Nelle vicinanze dell’ora serrata (limite fra la parte ottica e ciliare della retina) si assiste ad una diminuzione del numero dei bastoncelli, mentre nella fovea si ha una disposizione particolare: fino a 0,25 mm dal suo centro sono presenti solo i coni, man mano che ci si allontana dal centro (3-4 mm) i bastoncelli sono più numerosi, fino ad essere venti volte il numero dei coni. Entrambi i tipi di fotorecettori sono disposti perpendicolarmente alla membrana limitante esterna e rivolgono la loro estremità libera allo strato dell’epitelio pigmentato, con il quale i bastoncelli arrivano a contatto con le cellule, mentre i coni no.

Come si può vedere dalla Figura 2, sia nei coni sia nei bastoncelli è riconoscibile un piano organizzativo simile, caratterizzato dalla presenza di:

• un corpo cellulare nel quale si trova il nucleo;

• una regione adiacente al corpo cellulare: il segmento (o articolo) interno nel quale si trovano i mitocondri necessari per i processi ossidativi che sostengono dal punto di vista energetico la fototrasduzione e i ribosomi, indispensabili per la sintesi proteica;

• un segmento esterno nel quale è localizzato l’apparato fototrasduttivo;

• un terminale sinaptico unito al corpo cellulare da un assone che permette la trasmissione dei segnali dai fotorecettori alle cellule bipolari.

Coni e bastoncelli sono facilmente distinguibili dal punto di vista morfologico. Il corpo cellulare dei coni è di maggiori dimensioni, a causa della maggiore condensazione della cromatina nei bastoncelli. Inoltre anche il segmento esterno appare ben diverso nei due tipi cellulari e determina il loro nome (a forma di bastoncello cilindrico nei bastoncelli e a forma di cono nei coni). Nel segmento esterno si trovano una serie di dischi appiattiti e sovrapposti gli uni agli altri formati da una doppia membrana unita alle estremità e separati rispetto alla membrana plasmatica nei bastoncelli, e in continuità con questa nei coni; la forma appiattita aumenta la superficie utile per l’assorbimento. In ciascun bastoncello si trovano circa 600-1000 dischi, mentre in ciascun cono vi sono circa 1000-1200 dischi. Il segmento interno è formato dall’ellissoide che contiene numerosi mitocondri, granuli di glicogeno, vescicole di reticolo endoplasmatico liscio e ribosomi e dal mioide costituito da numerose vescicole del reticolo endoplasmatico liscio e rugoso e vescicole di Golgi; nei coni gli organuli intracellulari sono più numerosi rispetto a quelli dei bastoncelli. Il ciglio connettore unisce i due segmenti.

(14)

Figura 2: struttura dei coni (in verde) e dei bastoncelli (in viola).

1.3

L

A FOTOTRASDUZIONE

La fototrasduzione è il processo attraverso il quale i fotorecettori della retina convertono l’assorbimento di onde elettromagnetiche in segnale nervoso. Nei dischi membranosi dei segmenti esterni dei bastoncelli è localizzata la rodopsina, un pigmento visivo costituito da una componente proteica, l’opsina e da una componente prostetica, il retinale. L’opsina è una glicoproteina integrale di membrana che si ripiega ripetutamente formando una struttura tridimensionale dotata di 7 domini transmembrana ad α-elica. Il retinale, un cromoforo derivante dalla vitamina A. La rodopsina costituisce il 40-50% dell’intera massa del segmento esterno.

Nei coni le proteine sono dette conopsine o iodopsine e sono simili alla rodopsina, ma con proprietà spettrali differenti. Inoltre i coni possiedono tre tipi di opsina, i quali mediano le informazioni sui colori che noi percepiamo. Ogni cono contiene solo uno dei tre fotopigmenti. I coni cosiddetti “blu” (short

λ

) hanno un picco di assorbimento della luce a 437 nm, che corrisponde al colore blu-violetto; i coni “verdi” (medium

λ

) assorbono la luce a 533 nm, corrispondente al colore azzurro-verde; infine i coni “rossi” (long

λ

) hanno un picco d’assorbimento a 584 nm che corrisponde al colore giallo-verde.

Combinando le risposte dei tre diversi tipi di coni è possibile discriminare lunghezze d’onda diverse e quindi avere una visione a colori. Ovviamente, i pigmenti non sono

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colorati, ma il nome è stato dato loro in base alla sensazione associata alla loro massima sensibilità. La sensazione di colore è legata ai rapporti delle attività neurali dovute ai tre fotopigmenti ad esempio: un raggio luminoso monocromatico della lunghezza d’onda di 450 nm produce una risposta forte dal fotopigmento “blu”, una risposta più debole dal “verde” ed una ancora più debole dal “rosso”. Inoltre i diversi tipi di coni non sono distribuiti uniformemente: circa il 60% dei coni contiene il pigmento “rosso”, il 30% contiene il pigmento “verde” e solo il 10% contiene il pigmento “blu”.

Figura 3: sensibilità spettrale dei tre tipi di coni nella retina dell’uomo.

La Figura 3 mostra come le sensibilità assolute dei tre tipi di coni siano molto differenti fra loro: i coni blu hanno una sensibilità decisamente inferiore a quella dei coni verdi e rossi, ciò comporta una maggiore sensibilità verso la zona giallo-verde dello spettro luminoso in ambito fotopico.

Gli esseri umani, di norma, sono tricromatici, in quanto possiedono tutti e tre i meccanismi descritti. La mancanza o la mutazione dei geni di uno o più dei fotopigmenti dei coni causa specifici deficit della visione cromatica. In casi particolari, la mancanza di due o di tutti e tre i fotopigmenti dei coni causa l’assenza totale della visione a colori. La mancanza di un solo fotopigmento (dicromia) causa deficit meno severi: questo è il caso della tritanopia (assenza del pigmento blu), della deuteranopia (assenza del pigmento verde) e della protanopia (assenza del pigmento rosso). I soggetti affetti da protanopia sono noti come daltonici, cioè sono incapaci di percepire una differenza fra rosso, arancio, giallo e verde, colori così vividamente diversi per un osservatore normale. Il colore rosso appare grigio scuro, quasi nero.

I bastoncelli sono più sensibili alla luce rispetto ai coni, grazie al loro pigmento visivo, la rodopsina, presente in maggiore quantità. Essi possiedono inoltre una risposta più

(16)

lenta all’assorbimento del fotone di luce rispetto ai coni. In seguito all’assorbimento di un fotone, la risposta in termini elettrici del bastoncello dura molto più a lungo di quanto risulti essere l’esposizione vera e propria del bastoncello alla luce; nel cono invece questo non accade e la risposta è molto più veloce. Proprio per questo motivo in un ambiente buio, la sensibilità dei fotorecettori aumenta molto lentamente (fenomeno dell’adattamento) raggiungendo il massimo dopo circa 30 minuti (visione scotopica mediata soprattutto dai bastoncelli). Di contro i bastoncelli possiedono un’alta amplificazione del segnale e sono in grado di rispondere, al massimo della loro sensibilità (visione scotopica), addirittura al singolo fotone di luce, in virtù del tempo di integrazione della risposta così lungo. Questo tipo di fotorecettore presenta inoltre una risposta che si chiama saturante: oltre una certa soglia luminosa tutte le molecole di rodopsina subiscono una variazione della propria struttura ed ulteriori stimoli luminosi non scatenano più alcuna risposta (accecamento).

I bastoncelli, quindi, presentano un’elevata sensibilità (tanto da riuscire, come detto, a rispondere al singolo fotone nelle condizioni ottimali); il rovescio della medaglia si riscontra nella saturazione della risposta a stimoli troppo intensi. Riassumendo, funzionano al loro meglio quando il livello di luminosità generale è molto basso, grazie al fatto che possono amplificare enormemente la poca luce presente. Infine, possedendo un solo fotopigmento, i bastoncelli possono fornire una visione unicamente monocromatica: la rodopsina assorbe a 498 nm, quindi la luce più efficiente a stimolare i bastoncelli è sostanzialmente compresa fra il blu e il verde (Figura 4).

Figura 4: spettro di assorbimento dei fotorecettori.

Solo le onde elettromagnetiche di lunghezze d’onda tali da poter essere assorbite dai fotopigmenti dei fotorecettori evocano una sensazione visiva. L’intervallo di lunghezze d’onda delle onde elettromagnetiche che sono visibili per gli umani va da poco meno di 400 nm (corrispondente al colore violetto) a poco più di 700 nm (corrispondente al colore

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rosso). Anche se gli esseri umani non percepiscono i raggi ultravioletti o infrarossi come luminosi, altre specie sono sensibili a queste porzioni dello spettro elettromagnetico. Per esempio, gli insetti sono sensibili alle lunghezze d’onda dell’ultravioletto e alcuni fiori, che a noi appaiono di colore uniforme, agli insetti appaiono invece screziati da venature che puntano alla zona contenente il polline.

Il primo passo della fototrasduzione consiste nell’assorbimento di un fotone da parte del retinale, che determina l’isomerizzazione a retinale all-trans dell’11-cis retinale legato mediante una base di Schiff ad un residuo amminoacidico di lys296 sulla settima elica della rodopsina. Questa isomerizzazione causa uno spostamento dell’atomo di azoto della base di Schiff di circa 5 Å.

Figura 5: isomerizzazione a all-trans retinale dell’11-cis retinale.

Questa ha come conseguenza immediata il fatto che l’opsina perda affinità per il retinale, perché si viene a creare una sorta di ingombro sterico. La rodopsina passa rapidamente attraverso una serie di intermedi che sono altamente instabili:

• prelumirodopsina o batorodopsina; • lumirodopsina;

• metarodopsina I;

• metarodopsina II: è la forma attiva del recettore che determina variazioni elettriche nel fotorecettore.

La metarodopsina II subisce un’idrolisi del legame fra opsina e all-trans retinale e la molecola di rodopsina si divide; il pigmento verrà poi ricostituito a livello dell’epitelio pigmentato. Quando la rodopsina è trasformata in metarodopsina II si attiva una cascata intracellulare della fototrasduzione che determina l’insorgenza di un cambiamento del potenziale di membrana, ossia di un segnale nervoso.

(18)

Innanzitutto viene attivata la subunità α di una proteina appartenente alla classe delle proteine G: la transducina. Quest’ultima a sua volta attiva un enzima, la fosfodiesterasi (PDE) che idrolizza il cGMP a 5'-GMP e determina una diminuzione della concentrazione del secondo messaggero (cGMP) nel citoplasma dei bastoncelli. Il GMP causa la chiusura di particolari canali ionici presenti sulla membrana dei fotorecettori, detti canali CNG la cui probabilità di apertura dipende appunto dalla concentrazione di nucleotidi ciclici. I canali CNG sono permeabili agli ioni Na+ e Ca2+ (quest’ultimo costituisce circa 1/7 della corrente in entrata di questi canali); la chiusura di tali canali causa una variazione del potenziale di membrana, più precisamente un’iperpolarizzazione dei fotorecettori (-70 mV).

Questo processo è amplificativo, in quanto una singola molecola di rodopsina attiva centinaia di molecole di transducina, e ogni PDE idrolizza migliaia di molecole di cGMP al secondo. Processi simili si svolgono anche nei coni, con la differenza che l’iperpolarizzazione della membrana avviene molto più rapidamente, probabilmente in virtù del fatto che nei coni le distanze intracellulari sono inferiori.

La risposta alla luce si “spegne” con il contributo di molti fattori, fra cui quello di una proteina specifica, l’arrestina, che inibisce il legame con la metarodopsina II e ne impedisce l’attivazione di altre molecole di transducina; di conseguenza, nuovo cGMP viene prodotto causando la riapertura dei canali permeabili a Na+ e Ca2+ e la fine del

potenziale di recettore. L’opsina si separa poi dal retinale, che migra fuori dai fotorecettori, nell’epitelio pigmentato, per l’inizio del processo di riconversione alla forma 11-cis che rende possibile la nuova sintesi delle molecole di fotopigmenti nei fotorecettori attraverso la ricombinazione del retinale 11-cis con l’opsina, grazie all’azione di una retinal-isomerasi. Al buio, i canali del sodio dei bastoncelli sono aperti. Il flusso netto di Na+

diretto verso l’interno che ne risulta determina una corrente continua, chiamata corrente al buio (dark current). Si può pertanto registrare nei bastoncelli una depolarizzazione duratura (potenziale di membrana circa -40 mV), che determina la liberazione tonica di un neurotrasmettitore, probabilmente glutamato, che si lega ai recettori presenti sulle cellule bipolari e orizzontali. La concentrazione intracellulare di Na+ viene mantenuta a un livello stazionario per l’azione della Na+/K+-ATPasi.

(19)

Figura 6: schema della cascata biochimica della fototrasduzione.

Come riportato nella sottostante tabella le componenti della cascata trasduttiva sono codificate da geni diversi nei coni e nei bastoncelli.

Tabella 1: componenti della fototrasduzione codificate dai vari geni.

COMPONENTE BASTONCELLI

GENE COMPONENTE

CONI

GENE

RODOPSINA Rho OPSINA

BLU/VERDE

Opn1sw/Opn1mw

TRANSDUCINA Gnat1 TRANSDUCINA Gnat2

FOSFODIESTERASI Pde6a/Pde6b FOSFODIESTERASI Pde6

CANALE

cGMP-sensibile Cnga1/Cngb1 cGMP-sensibile CANALE Cnga3/Cngb3

Queste differenze molecolari rendono conto del fatto che le mutazioni che influenzano i bastoncelli possono, almeno inizialmente, non interferire con il funzionamento dei coni e viceversa. Inoltre tali differenze molecolari sono anche legate a diversità funzionali importanti; per esempio la differente capacità dei coni e dei bastoncelli

(20)

di rispondere a luce di diversa lunghezza d’onda è legata alle differenze nelle opsine, piuttosto che del cromoforo 11-cis retinale, comune ad entrambi i fotorecettori. I canali ionici cGMP-sensibili che si chiudono in risposta alla luce sono complessi eteromerici formati da subunità che conferiscono proprietà funzionali distinte ai canali espressi nei coni rispetto a quelli dei bastoncelli. In particolare, il canale dei coni formato da tre subunità Cnga3 e una subunità Cngb3 è dotato di maggiore permeabilità al calcio di quello dei bastoncelli, formato da tre subunità Cnga1 e una subunità Cngb1. Questa maggiore permeabilità al calcio permette un influsso di calcio anche quando la cellula è iperpolarizzata, mantenendo un certo grado di trasmissione sinaptica da parte dei coni esposti alla luce.

1.4

C

ORRENTI DIPENDENTI DAL VOLTAGGIO DEI

FOTORECETTORI

:

I

H

,

I

KX

,

I

CL(CA)

,

I

CA

,

K

IR

Oltre ai canali cGMP-sensibili, i fotorecettori esprimono diversi tipi di canali ionici la cui attivazione è controllata dalle variazioni del voltaggio transmembrana. Alcuni di questi canali sono esclusivamente localizzati in specifici compartimenti subcellulari, per altri invece la distribuzione subcellulare è meno strettamente regolata.

Dal punto di vista funzionale questi canali, oltre a contribuire a determinare il potenziale di membrana in presenza ed assenza di luce, permettono ai fotorecettori di migliorare la loro capacità di rispondere a stimoli luminosi la cui intensità varia rapidamente nel tempo, variazioni altrimenti fortemente attenuate dall’intrinseca lentezza della cinetica delle reazioni enzimatiche dell’apparato trasduttivo.

Sebbene molti dei canali riportati in Tabella 2 siano espressi anche da altri neuroni (cellule muscolari od endocrine) la loro combinazione identifica in maniera univoca i fotorecettori. La possibilità di definire l’identità funzionale di una cellula tramite un approccio di tipo combinatoriale, basato sulle proprietà funzionali dei canali ionici espressi, è particolarmente utile nel caso in cui si voglia valutare l’identità di un precursore immaturo durante lo sviluppo, quando le sue caratteristiche morfologiche non sono ancora definite.

Di seguito verranno definite le principali proprietà delle correnti riportate in Tabella

(21)

Tabella 2: principali correnti ioniche dipendenti dal voltaggio associate all’attivazione dei canali

ionici.

CORRENTE GENE SELETTIVITÀ

IONICA

RUOLO FUNZIONALE Ih Hcn1 Mista (PNa/PK=0.3) Potenziale membrana

luce; visione mesopica Ikx Kcnb2/Kcnv2 Potassio selettivo Potenziale membrana

buio; miglioramento risposta in frequenza ICa Cacna1f/Cacna1b/

Cacna2d4

Calcio selettivo Trasmissione sinaptica

ICl(Ca) Tmem16a Cloro calcio-dipendente Trasmissione sinaptica

Kir Kcnj14 Potassio selettivo Non noto

1.4.1 I

h

La corrente Ih dei bastoncelli adulti della retina di topo è stata caratterizzata di

recente (Demontis et al., 2009). Si tratta di una corrente la cui attivazione è indotta dall’aumento della differenza di potenziale (iperpolarizzazione) a valori più negativi di -65/-70 mV. A temperatura ambiente (20-22°C) la cinetica di attivazione è approssimata da una costante di tempo dell’ordine di 100 ms a -100 mV. I valori della soglia di attivazione e della cinetica sono consistenti con l’espressione da parte dei bastoncelli dell’isoforma 1 dei canali Hcn. Questi canali presentano la tipica struttura dei canali appartenenti alla superfamiglia dei canali del potassio dotati di 6 segmenti transmembrana (TM). Gli elementi strutturalmente rilevanti sono: la presenza di residui amminoacidici carichi positivamente nel TM4, che in analogia con altri canali della stessa famiglia si ritiene costituiscano il sensore di voltaggio, la presenza di un’ansa tra TM5 e TM4 che costituisce il filtro di selettività del poro e la presenza di un sito di legame per i nucleotidi ciclici nella porzione C-terminale (CNBD). Il legame del cAMP col CNBD delle isoforme Hcn2 e Hcn4 porta a uno spostamento dell’attivazione a valori meno negativi, con importanti ricadute funzionali rispettivamente nei nocicettori C e nei cardiomiociti del nodo seno-atriale. Tuttavia, nel caso delle isoforme Hcn1 e Hcn3 l’interazione dei nucleotidi ciclici

(22)

col CNBD porta a variazioni marginali della sensibilità della corrente alle variazioni del potenziale transmembrana. Anche nei bastoncelli di mammifero il cAMP ha effetti marginali sull’attivazione di Ih, un dato consistente con l’espressione dell’isoforma Hcn1.

La Ih dei bastoncelli di topo può essere bloccata da concentrazioni mM di Cs+,

oppure da bloccanti organici, quali l’ivabradina (Demontis et al., 2009), il costituente attivo di una nuova classe di farmaci antianginosi. L’ivabradina ha mostrato di possedere una maggiore selettività per la Ih rispetto al Cs+, permettendo di evidenziare una seconda

corrente rettificatrice in ingresso in risposta all’ipepolarizzazione, corrente non evidenziabile con il blocco da parte del Cs+, un noto bloccante oltre che della Ih anche delle

correnti KIR. Rispetto ai bloccanti organici, quali ivabradina e ZD7288, il cui blocco è

scarsamente reversibile, l’azione del Cs+ è invece rapidamente reversibile.

Dal punto di vista funzionale il Cs+ causa l’iperpolarizzazione dei bastoncelli adattati alla luce da un valore di circa -55 mV in assenza del bloccante a circa -80 mV in presenza di 3 mM di Cs+, mentre non ha effetto sui bastoncelli adattati al buio il cui potenziale di membrana è di circa -40 mV. Queste differenze sono consistenti con l’attivazione della Ih

per valori di potenziale più negativi di -50 mV. La capacità della Ih di mantenere

parzialmente depolarizzati i bastoncelli durante l’adattamento alla luce è importante per prevenire l’iperpolarizzazione dei coni, cui i bastoncelli sono connessi tramite sinapsi elettriche e consentire la visione in condizioni mesopiche, nei quali la fototrasduzione nei coni non è attivata, ma i segnali generati nei bastoncelli possono essere comunicati a livello postsinaptico tramite le sinapsi dei coni (Seeliger et al., 2011).

1.4.2 I

kx

Si tratta di una corrente selettiva per il potassio attivata da depolarizzazioni a valori più positivi di -30 mV. Il suo ruolo funzionale è quello di contribuire a determinare il potenziale di membrana dei bastoncelli adattati al buio (Beech & Barnes, 1989). La sua identità molecolare è stata a lungo sconosciuta, ma recentemente l’associazione di una particolare forma di distrofia retinica con la mutazione di una subunità accessoria dei canali del potassio, codificata dal gene Kcnv2 (Wu et al., 2006), ha permesso di comprendere che la coespressione di Kcnv2 con Kcnb2 portava alla formazione di un canale responsabile di una corrente le cui proprietà biofisiche e farmacologiche corrispondevano a quelle della Ikx (Czirják et al., 2007). La Ikx è infatti una corrente dotata

(23)

di rapida attivazione a cui segue una lenta inattivazione in risposta a depolarizzazioni maggiori di -40 mV.

La presenza della subunità accessoria ha diversi effetti sulla corrente: • causa un’accelerazione della cinetica di attivazione;

• causa un’accelerazione della cinetica di inattivazione; • riduce l’ampiezza della corrente.

Un altro tratto distintivo della Ikx è la sua inibizione da parte del Ba2+ extracellulare.

In presenza di concentrazioni mM di questo catione bivalente si ha sia la riduzione di ampiezza della Ikx che uno spostamento della sua curva di attivazione a valori più positivi

di circa 20-30 mV (Beech & Barnes, 1989). Un aspetto interessante di questa corrente è che gli effetti del Ba2+ dipendono dalla presenza tra le quattro subunità che compongono il canale della subunità accessoria Kcnv2. In assenza di subunità accessoria il Ba2+ è ancora in grado di causare una riduzione di ampiezza della corrente, senza tuttavia modificare in maniera sostanziale la curva di attivazione in risposta alle variazioni del potenziale transmembrana (Czirják et al., 2007).

Dal punto di vista funzionale la Ikx è estremamente importante per determinare il

potenziale di membrana nei bastoncelli adattati al buio, dal momento che bilancia la corrente in ingresso tramite i canali cGMP-sensibili. Nel caso di un difetto della subunità accessoria Kcnv2 la Ikx richiede maggiori depolarizzazioni per attivarsi e bilanciare la

corrente attraverso canali cGMP-sensibili, la cui ampiezza a sua volta aumenta con la depolarizzazione. Come risultato, occorrono stimoli luminosi di maggiore intensità per iperpolarizzare i bastoncelli a potenziali che sopprimono l’ingresso di Ca2+ attraverso i canali del Ca2+ presinaptici. Il difetto si tradurrà in un aumento della corrente di buio con risposte alla luce di maggiore ampiezza, ma solo per stimoli di maggiore intensità. Nei pazienti affetti da mutazioni del gene Kcnv2, le registrazioni danno origine a tracciati ERG nei quali l’onda b, attribuita alla trasmissione sinaptica, ha risposte di maggiore ampiezza (dovute alla depolarizzazione dei bastoncelli con maggior rilascio di trasmettitore) che vengono però osservate solo per stimoli di maggiore intensità necessari per sopprimere la corrente di buio e bloccare il rilascio di trasmettitore mediante iperpolarizzazione (Wu et al., 2006).

(24)

1.4.3 I

Ca

La corrente del calcio responsabile del rilascio del trasmettitore dei bastoncelli possiede delle caratteristiche biofisiche peculiari, che consentono alle sinapsi tra bastoncelli e cellule bipolari/orizzontali un rilascio continuo (tonico) di trasmettitore in condizioni di adattamento al buio. Tale situazione è, infatti, diversa da quella tipica della maggior parte delle sinapsi del Sistema Nervoso Centrale (SNC), nelle quali il rilascio del trasmettitore è fasico, ovvero si verifica solo durante brevi depolarizzazioni, quali quelle associate all’arrivo di un potenziale d’azione nel terminale presinaptico.

Questa differenza è in parte legata alla presenza di specifiche strutture (ribbons) nel terminale presinaptico dei bastoncelli che consentono il rilascio tonico del trasmettitore e in parte legata alle caratteristiche dei canali del calcio presenti nel terminale stesso. Infatti, mentre le correnti del calcio dei terminali presinaptici della maggior parte dei neuroni sono caratterizzate da una rapida inattivazione, le correnti del calcio dei bastoncelli mostrano scarsa inattivazione durante una prolungata depolarizzazione.

È oggi noto che l’inattivazione durante una depolarizzazione prolungata è dovuta all’interazione del complesso calcio-calmodulina con una sequenza ammonoacidica, presente nella porzione C-terminale della subunità α del canale, quella che forma il vero e proprio poro. Nel caso dei fotorecettori è stato dimostrato che nella porzione C-terminale è presente una regione capace di bloccare l’interazione tra la subunità α e il complesso calcio-calmodulina, in tal modo impedendo l’inattivazione legata all’ingresso di ioni calcio (Singh et al., 2006).

Dal punto di vista molecolare il canale del calcio è costituito da un complesso eteromultimerico. Dall’analisi degli effetti di varie mutazioni sulla trasmissione sinaptica tra bastoncelli e cellule bipolari è oggi noto che per la funzionalità del canale sono necessarie oltre alla subunità α1, codificata dal gene Cacna1f, anche le subunità accessorie β (Cacnab2), α2δ (Cacna2d4) e CaBP4 (Cabp4). Difetti nella subunità α1 sono associate alla cecità notturna congenita incompleta di tipo non progressivo (CSNB) (Bech-Hansen et al., 1998; Stro et al., 1998), caratterizzata da una forte riduzione della trasmissione sinaptica tra bastoncelli e cellule postsinaptiche. Anche difetti genetici delle subunità accessorie sono associati ad una forte riduzione della trasmissione sinaptica.

(25)

1.4.4 I

Cl(Ca)

Questa corrente è generata dall’apertura di un canale selettivo per gli anioni, che in condizioni fisiologiche sono rappresentati dal Cl-. Si tratta di un canale la cui apertura è

controllata dalla depolarizzazione e dai livelli di calcio libero intracellulare. Dal punto di vista molecolare questo canale è dovuto all’espressione dei geni Tmem16a e Tmem16b (Caputo et al., 2008). Una peculiarità del canale è la sua localizzazione a livello del terminale sinaptico dei fotorecettori, dove sembra importante per garantire la riattivazione della corrente del calcio in risposta alla cessazione dello stimolo luminoso. Non sono noti a oggi le conseguenze retiniche di difetti genetici del canale, anche in considerazione del fatto che le mutazioni possono essere incompatibili con la funzionalità di vari epiteli, inclusi quelli delle vie respiratorie.

1.4.5 K

ir

Si tratta di un canale codificato dal gene Kcnj14, espresso dai fotorecettori sia umani che di topo. Quando espresso in oociti di Xenopus l., genera una corrente selettiva per il potassio caratterizzata da una pronunciata rettificazione in ingresso in risposta all’iperpolarizzazione (Hughes et al., 2000). Inoltre la corrente è bloccata dal Cs+ e per tale ragione è spesso confusa con la Ih, ma recenti evidenze indicano che la soppressione

selettiva della Ih tramite un inibitore organico, l’ivabradina, permette di evidenziare una

corrente rettificatrice in ingresso per potenziali negativi a circa -80 mV. Un’interessante proprietà di questo canale, codificato dal gene Kcnj14, è che la sua espressione nei bastoncelli è sotto lo stretto controllo del fattore di trascrizione Nrl, un gene chiave per l’assegnazione del destino di bastoncello retinico (Cheng et al., 2006).

1.5

S

VILUPPO DELLA RETINA

Lo sviluppo della retina nei vertebrati segue quello dell’occhio. Nel topo, la prima bozza dell’occhio si forma a stadi precoci dello sviluppo embrionale, a partire da due vescicole simmetriche del diencefalo. All’interno di tale struttura si formano inizialmente due abbozzi retinici, formati da un epitelio costituito da progenitori indifferenziati in proliferazione. A tempi ben precisi da questo epitelio in proliferazione originano cellule

(26)

che dopo l’ultima divisione mitotica migrano rispettivamente verso l’interno (lato vitreale) o verso l’esterno (lato sclerale) per dare origine ai vari neuroni retinici. L’ordine con cui le cellule si formano non è lasciato al caso. Si distinguono neuroni precoci e tardivi. Tra i neuroni precoci troviamo le cellule gangliari (lato vitreale), i coni e le cellule orizzontali (lato sclerale). Successivamente si formano le cellule amacrine. Tra i neuroni tardivi troviamo i bastoncelli e le cellule bipolari. Infine, si formano le cellule gliali o cellule di Muller.

È interessante notare che tra il momento in cui un progenitore effettua l’ultima divisione mitotica, e migra come precursore immaturo nella direzione appropriata al suo destino cellulare, ed il momento nel quale il precursore effettivamente matura può intercorrere un tempo relativamente lungo. Nel caso dei coni, definiti come neuroni precoci, essi ricevono la loro assegnazione al destino di coni a tempi precoci dello sviluppo embrionale; tuttavia la loro maturazione si completa solo dopo quella dei bastoncelli, che ricevono la loro destinazione nei giorni successivi alla nascita, ovvero dopo i coni, e maturano come bastoncelli prima di questi ultimi.

Recenti risultati hanno mostrato che la retina è una struttura capace di autoassemblarsi (Eiraku et al., 2011). Utilizzando delle cellule staminali embrionali in vitro, tenute in colture come “embryoid body", cioè capace di formare un aggregato di cellule, è stato notato che nel 25% circa di questi aggregati si formano degli abbozzi che esprimono Rx (anche noto come Rax) un gene precoce dello sviluppo retinico. Da questi abbozzi in proliferazione si arriva ad una struttura che si ripiega su se stessa per formare un doppio foglietto. Uno di questi foglietti darà origine all’epitelio pigmentato e l’altro alla vera e propria retina. Quando questi abbozzi di retina sono isolati chirurgicamente e fatti crescere in vitro in condizioni di coltura appropriate daranno origine a una retina matura, con la sua stratificazione nei vari neuroni retinici e le cellule che lo compongono saranno morfologicamente mature.

Questo lavoro pionieristico dimostra la possibilità di ottenere una struttura tridimensionale, dotata di una citoarchitettura altamente organizzata in strati, a partire da cellule staminali non differenziate. Un altro aspetto importante di tale lavoro riguarda la possibilità di ottenere in vitro fotorecettori dotati della loro tipica morfologia, con un segmento esterno sviluppato. La rilevanza di questo risultato è che sia le cellule staminali adulte od embrionali che gli stessi precursori retinici non sono in grado, quando coltivati in vitro come colture disperse, di formare fotorecettori morfologicamente maturi, ovvero

(27)

dotati di un segmento esterno. Sembra quindi plausibile ipotizzare che la capacità dei bastoncelli di completare il loro sviluppo morfologico dipenda dalla possibilità di formare contatti tra cellule, capacità ovviamente eliminata quando le cellule sono disperse in coltura.

Figura 7: fasi della formazione degli abbozzi di retina in vitro.

1.6

P

ATOLOGIE DEGENERATIVE RETINICHE

La retina è costituita da elementi nervosi non rigenerabili, pertanto qualsiasi lesione determina danni anatomici e funzionali spesso permanenti che possono essere limitati solo da terapie mediche e/o chirurgiche adeguate e tempestive. La perdita della funzione retinica è spesso la conseguenza di patologie degenerative, dovute a cause sia genetiche che metaboliche od ambientali.

Tra le patologie degenerative retiniche causate da difetti genetici una prima divisione è tra quelle cosiddette sindromiche e quelle non sindromiche.

Col termine sindromiche si indicano quelle patologie genetiche nelle quali la retina è uno dei vari organi colpiti dalla mutazione che pertanto è caratterizzata da una costellazione di disfunzioni legate al malfunzionamento di varie strutture (sindrome). È il caso di alcune rare sindromi, per le quali è stato recentemente istituito un registro Europeo (Farmer et al., 2013). Si tratta delle sindromi di Wolfram, Alström e Bardet-Biedl (WABB) che si manifestano con sintomi sovrapponibili, caratterizzati da difetti multipli sia di tipo sensoriale, sia metabolico, quali ad esempio degenerazione retinica, sordità neurogenica e diabete mellito. Per tali sindromi non esistono trattamenti specifici e la

(28)

disponibilità di coorti di pazienti ben identificati, così come della conoscenza della storia naturale della patologia sono abbastanza limitate.

Per quanto riguarda invece le patologie degenerative retiniche di tipo non sindromico una causa importante è rappresentata dalla retinite pigmentosa (RP).

La retinite pigmentosa definisce un gruppo clinicamente e geneticamente vario di distrofie retiniche diffuse che inizialmente colpiscono il sistema dei bastoncelli, con successiva degenerazione dei coni. Insorge solitamente nell’infanzia e porta sovente alla cecità nella terza o quarta decade della vita (Hartong et al., 2006).

A B

Figura 8: A: fondo oculare normale. B: fondo oculare danneggiato dalla RP.

Il sintomo più precoce è l’emeralopia (riduzione del visus in ambienti poco illuminati dovuto alla degenerazione dei bastoncelli) che può presentarsi molto tempo prima della comparsa nel quadro oftalmoscopico. Questo è caratterizzato da numerosi accumuli di pigmento ramificati simili ad osteoblasti, localizzati inizialmente in corrispondenza dell’equatore. Contemporaneamente l’epitelio pigmentato fra gli addensamenti si decolora e rende visibile la sottostante rete vascolare della coroide. Alla degenerazione dei coni e dei bastoncelli segue quella delle cellule gangliari; compare quindi l’atrofia della papilla che assume un caratteristico colore cereo. Oltre alla forma descritta, considerata tipica, esistono altre forme atipiche di retinopatia pigmentosa: una forma senza pigmento, la retinopatia unilaterale, quella settoriale e quella centropericentrale.

Un esame importante nella diagnosi della RP, soprattutto nelle fasi iniziali, è l’ERG che appare subnormale o completamente estinto anche quando il quadro oftalmoscopico non ha ancora i segni tipici della malattia.

(29)

La trasmissione genetica è varia e la malattia può manifestarsi in diverse forme: alcune sono ereditate con modalità autosomiche-recessive (AR), altre come forme autosomiche-dominanti (AD), oppure legate al cromosoma X e sono anche conosciute forme a trasmissione mitocondriale. Nella gran parte dei casi il gene coinvolto codifica per una proteina coinvolta nella fototrasduzione o nella formazione del segmento esterno. In quei casi nei quali il gene difettoso è primariamente espresso nell’epitelio pigmentato, piuttosto che nella retina, la patologia insorge come conseguenza della degenerazione dei fotorecettori, causata dal difetto funzionale dell’epitelio pigmentato. Una caratteristica importante della RP è che le mutazioni, seppure fortemente invalidanti, non sono letali. Ciò ha portato all’emergere di un gran numero di mutazioni, ognuna delle quali dotata di bassissima frequenza. La prevalenza della RP varia da un caso su 3000 ad uno su 7000 e pertanto rappresenta una patologia rara, per la quale non esiste un interesse da parte delle aziende farmaceutiche. Al momento non esistono terapie o trattamenti efficaci per tale affezione.

Una patologia degenerativa dei fotorecettori legata sia a cause genetiche che ambientali è la degenerazione maculare, dotata di maggiore prevalenza rispetto alla retinite pigmentosa e legata principalmente all’invecchiamento. La degenerazione maculare legata all’età (o senile), AMD (Age-related Macular Degeneration) è la principale causa di cecità nei soggetti d’età superiore ai 50 anni nei paesi industrializzati (Seddon et al., 1997). La sua caratteristica distintiva è quella di colpire la macula, la porzione della retina più importante per la funzione visiva, in quanto costituisce una regione specializzata della retina dei primati nella quale si trovano quasi esclusivamente coni, deputata alla visione ad alta risoluzione, quella che usiamo per leggere, riconoscere le persone e più in generale per la visione diurna.

A B

(30)

Sebbene la diagnosi e la prognosi siano legate all’assottigliamento della retina, gli eventi precoci sono costituiti dalla presenza di reperti anatomici, le drusen, che si manifestano come accumuli di materiale tra i fotorecettori e l’epitelio pigmentato. Le drusen si presentano oftalmoscopicamente come chiazzette giallastre, piccole e con limiti netti (hard drusen), oppure più voluminose, a margini sfumati e tendenti a confluire (soft drusen). Sulla base della presenza di questi reperti, che precedono anche di diversi anni le manifestazioni cliniche della AMD, si ritiene che la patologia rappresenti un difetto del complesso funzionale costituito da retina esterna/coriocapillare. È infatti a questo livello che hanno luogo eventi cruciali del ciclo visivo e che coinvolgono sia i fotorecettori che le cellule dell’epitelio pigmentato retinico (EPR), che con essi interagiscono funzionalmente.

I segmenti esterni dei fotorecettori sono soggetti ad un continuo ricambio, con il distacco della porzione apicale di tali cellule, frammenti che vengono normalmente rimossi dallo spazio extracellulare mediante fagocitosi da parte delle cellule dell’epitelio pigmentato che provvedono poi alla loro digestione. Tale processo di rinnovamento dei segmenti esterni, è critico per la vitalità dei fotorecettori: se nel corso della vita il processo rallenta o si arresta, e ciò può verificarsi con l’avanzare degli anni, le cellule dell’epitelio pigmentato accumulano frammenti non digeriti che ne alterano la vitalità. L’alterazione dell’epitelio pigmentato si ripercuoterà in seguito sui fotorecettori stessi. Tra i prodotti che si accumulano troviamo dei granuli di lipofuscina, derivati dalla perossidazione dei lipidi sia per ossidazione spontanea che per la presenza di specie reattive dell’ossigeno (ROS), che si formano per la concomitante presenza di elevati livelli di ossigeno e della luce ad elevata intensità. Occorre infatti ricordare che al di sotto dell’epitelio pigmentato si trova uno strato vascolare, quello della coroide, caratterizzato da un elevato flusso necessario a mantenere elevato l’apporto di ossigeno ai fotorecettori, dotati di un metabolismo energetico particolarmente elevato. Inoltre, l’ottica dell’occhio fa convergere la luce proprio a livello dei segmenti esterni, che si trovano quindi esposti a elevate intensità luminose ed elevate pressioni parziali di O2, condizioni che favoriscono lo stress

ossidativo, che è ritenuto un’importante causa della degenerazione maculare senile.

L’AMD può manifestarsi in due forme a diversa evoluzione e prognosi: un processo di atrofia (AMD di tipo secco o non essudativa) oppure uno di tipo vasoproliferativo con formazione di neovasi sottoretinici, cioè nuovi vasi sanguigni che vanno a danneggiare questo organo, fino a impedirne il funzionamento (AMD di tipo umido o essudativa o neovascolare).

(31)

Per quanto riguarda i fattori che condizionano la probabilità di sviluppare l’AMD, oltre all’esposizione alla luce, hanno un ruolo importante anche fattori genetici legati ai geni della risposta immunitaria, ed in particolare quelli che codificano per diverse componenti del sistema del complemento (Haines et al., 2005; Swaroop et al., 2007).

La prevalenza dell’AMD varia molto con l’età della popolazione come risulta dalla seguente tabella:

Dai dati riportati in Tabella 3 si nota che nella fascia di età maggiore di 85 anni la prevalenza dell’AMD è compresa tra il 7 ed il 10%, a seconda della forma considerata (Vingerling et al., 1995). Contrariamente a quanto visto per la retinite pigmentosa, per i pazienti affetti da AMD esistono delle terapie, per lo meno per quanto riguarda la forma proliferativa, che prevedono l’iniezione intravitreale di anticorpi anti VEGF. Per quanto riguarda invece la forma secca, essa non ha una terapia specifica e vengono semplicemente raccomandate delle attenzioni nutrizionali, con supplementazione di Vitamina A, zinco e acidi grassi polinsaturi Omega-3 (Lim et al., 2012).

Oltre ai casi di patologie degenerative dei fotorecettori descritti sopra, altre e più comuni forme di perdita della funzione visiva sono quelle associate al glaucoma ed alla retinopatia diabetica, legate rispettivamente alla perdita delle cellule gangliari, causata dall’aumento della pressione oculare e ad alterazioni vascolari con neoformazione di vasi (retinopatia proliferativa). Sia per il glaucoma che per la retinopatia diabetica esistono trattamenti che permettono di controllare la progressione del danno.

È pertanto evidente da quanto riportato che non solo un numero non trascurabile di pazienti affetti da patologie degenerative dei fotorecettori vanno incontro alla perdita

(32)

irreversibile della funzione visiva, ma anche che al momento non esistono terapie efficaci per controllare tali patologie, in particolare per quanto riguarda la retinite pigmentosa.

1.7

A

PPROCCI TERAPEUTICI NELLE PATOLOGIE

DEGENERATIVE RETINICHE

Per le patologie degenerative retiniche sono al momento in fase di sviluppo quattro principali strategie terapeutiche con la potenzialità di ripristinare la visione perduta:

• l’uso di dispositivi impiantabili di tipo neuroprostetico; • la terapia genica;

• l’utilizzo di inibitori dell’apoptosi;

• la medicina rigenerativa, mediante il trapianto di fotorecettori.

Ognuno di questi approcci ha delle limitazioni. Mentre i dispositivi impiantabili di tipo neuroprostetico sono in grado di ripristinare alcune forme rudimentali di visione nei pazienti affetti da RP (Stingl et al., 2013), la loro applicazione è al momento ristretta ai casi di completa perdita della visione. Altri dispositivi impiantabili basati su componenti optoelettroniche luce-sensibili sono attualmente in corso di sviluppo (Ghezzi et al., 2013), potenzialmente in grado di ripristinare la sensibilità alla luce nell’occhio, ma la loro efficacia nei pazienti affetti da RP non è ancora stata valutata.

Per quanto riguarda invece gli approcci basati su terapia genica, questi sono particolarmente problematici nella retinite pigmentosa, a causa dell’elevata variabilità genetica, con oltre 40 geni coinvolti con oltre 100 mutazioni note. Altra problematica è quella legata al fatto che in una percentuale non trascurabile di pazienti la mutazione non è nota. Infine, gli approcci di terapia genica sono possibili solo quando i fotorecettori sono ancora presenti: dunque l’approccio è possibile solo nelle forme caratterizzate da una lenta evoluzione.

Per quanto riguarda l’utilizzo di inibitori dell’apoptosi, questo approccio si basa sul fatto che nelle patologie degenerative retiniche le cellule vanno incontro a morte cellulare programmata (apoptosi). È pertanto verosimile che bloccando tale processo sia possibile bloccare o comunque rallentare la degenerazione dei fotorecettori. Tuttavia, l’utilizzo

(33)

sistemico di inibitori dell’apoptosi non è esente da problemi e controindicazioni, quindi è importante sviluppare metodologie che consentano un’applicazione mirata all’occhio.

In effetti, è stata recentemente dimostrata la possibilità di applicare in maniera selettiva a livello oculare un inibitore dell’apoptosi che riesce a rallentare la degenerazione sia dei bastoncelli che dei coni in un modello animale di RP (Strettoi et al., 2010).

Per quanto concerne gli approcci di medicina rigenerativa, essi offrono la prospettiva di ripristinare la funzione visiva tramite la sostituzione dei fotorecettori degenerati; è un settore in rapido sviluppo, segnato da scoperte importanti soprattutto negli ultimi anni. Diversi gruppi hanno dimostrato, in modelli animali di RP, la possibilità di ripristinare dei comportamenti visivi in seguito al trapianto di precursori immaturi dei fotorecettori. I fotorecettori per il trapianto possono essere generati sia da cellule retiniche sia da cellule staminali embrionali (ES) (Lamba et al., 2006; Osakada et al., 2008), che da cellule staminali inducibili pluripotenti (iPS) (Homma et al., 2013).

In particolare, l’utilizzo delle iPS, oltre a superare i problemi etici legati all’uso delle ES, avrebbe l’ulteriore vantaggio di poter selezionare come donatore dei fibroblasti un soggetto compatibile dal punto di vista immunologico, riducendo quindi il rischio di rigetto.

La combinazione della metodologia delle iPS con quella della formazione delle coppe ottiche in vitro, anche da fibroblasti umani (Nakano et al., 2012), permette di prevedere la possibilità di ottenere la generazione in vitro di tessuti da cui ottenere i precursori dei fotorecettori da utilizzare per trapianti. Ciò appare di fondamentale importanza dal momento che le cellule dotate di maggiore probabilità di integrazione e maturazione a fotorecettori, si isolano attorno al quarto giorno di vita postnatale nel topo (MacLaren et al., 2006), che corrisponde però al quarto-sesto mese di vita embrionale nell’uomo e quindi non disponibili per i trapianti per ovvie ragioni etiche.

Infine, è importante considerare che sebbene una delle obiezioni all’applicabilità clinica delle iPS sia la necessità di utilizzare nella loro derivazione la trasfezione con il noto oncogene c-myc (Takahashi et al., 2007), sono stati recentemente pubblicati alcuni lavori che indicano la possibilità di indurre la riprogrammazione da cellule somatiche a iPS senza trasfezione nucleare, mediante l’applicazione di un cocktail di fattori (Hou et al., 2013), o anche mediante la “Stimulus-Triggered Acquisition of Pluripotency” (STAP) (Obokata et al. 2014).

(34)

1.8

R

IPROGRAMMAZIONE CELLULARE

:

UN

ALTERNATIVA

ALL

USO DELLE CELLULE STAMINALI EMBRIONALI

La crescita delle conoscenze relative alle proprietà biologiche delle cellule staminali negli ultimi venti anni è stata segnata da indubbi progressi scientifici, ma anche da un acceso dibattito circa le implicazioni etiche del loro uso.

Dal punto di vista scientifico le cellule staminali sono cellule dotate della capacità di dare origine a diversi tipi cellulari. Convenzionalmente vengono classificate come cellule staminali totipotenti, multimopotenti, pluripotenti e monopotenti.

Figura 10: differenziazione cellulare.

La Figura 10 illustra che ai primi stadi di divisione cellulare (1-8 cellule) un embrione è formato da cellule staminali embrionali totipotenti. Il termine totipotente in questo caso indica che, a questo stadio di sviluppo (morula), ogni cellula dell’embrione può dare origine ad un nuovo embrione, ossia a tutte le cellule di un organismo adulto e anche agli annessi embrionali (placenta). A stadi successivi di sviluppo dell’embrione (blastocisti), le cellule della massa interna possono dare origine a tutte le cellule dell’organismo adulto, ma non a quelle degli annessi embrionali: questa restrizione dei possibili destini cellulari è indicata dal fatto che le cellule staminali embrionali sono pluripotenti, ma non più totipotenti. Il termine di cellule staminali embrionali (ES) indica generalmente proprio le cellule staminali pluripotenti derivate dalla massa interna della blastocisti.

Col procedere dello sviluppo, le cellule staminali presenti nel feto vanno incontro ad un’ulteriore restrizione dei possibili destini cellulari che loro possono generare e si parla quindi di cellule staminali multipotenti. Infine nell’adulto residuano un certo numero di

(35)

cellule staminali nei tessuti, dette cellule staminali adulte, capaci di generare un numero molto limitato di tipi cellulari, al limite uno solo, che costituiscono una riserva di cellule staminali rispettivamente multipotenti o unipotenti.

Il fatto che tutte le cellule staminali descritte sopra possano dare origine a uno o più tipi cellulari, pur essendo tutte definite staminali, indica che la condizione di staminalità non è legata al loro potenziale differenziativo. In effetti, una cellula viene definita staminale quando possiede una proprietà, definita come autorinnovamento (self-renewal). Tale termine indica la capacità di sostenere un numero elevato di cicli di divisione cellulare senza che la cellula vada incontro a processi di differenziamento o di invecchiamento.

La capacità di autorinnovamento è legata alla caratteristica della cellula staminale di generare divisioni asimmetriche: una delle due cellule figlie mantiene lo stato di staminalità, mentre l’altra comincia un attivo programma di replicazione cellulare generando cellule figlie che non possiedono più le caratteristiche di staminalità: sono infatti definite non più cellule staminali, bensì progenitori in proliferazione.

1.9

P

ROBLEMI ETICI DELLE STAMINALI EMBRIONALI

L’uso delle cellule staminali embrionali è un argomento che ha suscitato un intenso dibattito relativamente alle considerazioni etiche legate alla loro generazione. Come spiegato in precedenza le cellule staminali embrionali si ricavano dalle cellule della massa interna degli embrioni allo stadio di blastocisti, ovvero ad uno stadio di 4-6 giorni dalla fecondazione dell’oocita. Ciò evidentemente comporta la distruzione dell’embrione e nel caso di embrioni umani è nata un’accesa discussione relativamente al fatto che sia lecito distruggere un embrione umano, anche se a questi stadi di sviluppo molto precoci, che tipicamente precedono l’impianto nell’utero e quindi la possibilità di proseguire nel normale sviluppo. Questo tipo di problematiche sono generalmente indicate come i “problemi etici” legati all’uso delle cellule staminali embrionali. In molti paesi del mondo l’uso delle ES è di fatto limitato in maniera più o meno completa.

Tuttavia, questo genere di problemi ha perso sostanziale rilevanza con la scoperta della possibilità di creare in laboratorio delle cellule staminali pluripotenti inducibili (iPS), inizialmente di topo (Takahashi, Yamanaka, 2006), e successivamente anche umane (Takahashi et al., 2007), senza dover distruggere un embrione.

(36)

1.10

L

A RIPROGRAMMAZIONE CELLULARE

Ogni organismo pluricellulare è costituito da cellule che, pur possedendo lo stesso patrimonio genetico e derivando dalle cellule staminali embrionali totipotenti, sono estremamente diverse per morfologia e proprietà funzionali. Ciò è dovuto alla capacità delle cellule di assumere, durante l’embriogenesi, destini cellulari diversi, un processo indicato col termine differenziamento. Il termine stesso con cui viene definito il processo, l’assegnazione di un “destino cellulare” indica implicitamente qualcosa di ineludibile, una scelta irrevocabile. Come dire che una volta effettuata la scelta di un determinato tipo cellulare, questa scelta è poi irrevocabile. In realtà, sappiamo oggi che la scelta di un determinato destino cellulare non è irrevocabile.

Un’impressionante evidenza sperimentale che il destino cellulare può essere modificato è quella della possibilità di generare un intero organismo a partire dal nucleo di una cellula somatica.

Figura 11: clonazione.

Il trasferimento del nucleo di una cellula somatica donatrice differenziata all’interno di un oocita da’ origine ad uno zigote dal quale origina un embrione, che se impiantato allo stadio di blastocisti darà origine ad un organismo identico (clone) a quello dal quale proviene la cellula somatica donatrice del nucleo impiantato nell’oocita. La blastocisti è però anche una fonte di ES. Il metodo della clonazione come strumento per ottenere ES è stato fortemente criticato perché, al pari del metodo che parte da embrioni ottenuti in maniera convenzionale, prevede per l’appunto la formazione e poi la distruzione di embrioni, che nel caso dell’uomo sollevano problemi etici.

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Questo dibattito è stato superato dalla scoperta della possibilità di riprogrammare cellule somatiche differenziate in cellule staminali, chiamate iPS, mediante il nucleare di soli quattro fattori di trascrizione, come indicato nella Figura 12.

Figura 12: fattori di trascrizione per la riprogrammazione.

I quattro fattori indispensabili per la riprogrammazione sono: Oct4; Sox2; Klf4; c-Myc. Questi geni, efficaci sia nella riprogrammazione delle cellule somatiche murine (Takahashi, Yamanaka, 2006), che umane (Takahashi et al., 2007), venivano inseriti stabilmente mediante retrotrascrizione con un vettore virale. L’incorporazione dell’oncogene c-Myc ha sempre rappresentato un problema per la prospettiva clinica dell’iPS, nonostante varie modifiche succesive del protocollo abbiano tentato di eliminare il c-Myc (Nakagawa et al., 2008), o comunque il suo trasferimento nucleare mediante un diverso virus trasdotto a livello episomiale.

Proprio la problematicità del protocollo originale ha portato a valutare la possibilità di riprogrammare le cellule somatiche da un destino all’altro, senza passare per lo stadio intermedio di conversione in cellule staminali. Questa procedura, indicata con il termine di riprogrammazione diretta, ha mostrato recentemente la sua potenzialità con la dimostrazione della conversione di fibroblasti in neuroni dopaminergici funzionali che, una volta trapiantati in scimmie nelle quali era stato indotto il morbo di Parkinson mediante lesione chimica dei neuroni dopaminergici, sono stati capaci di revertire le manifestazioni neurologiche del morbo di Parkinson (Caiazzo et al., 2011).

Riferimenti

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