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Il presente lavoro si propone di studiare la realtà insediamentale indigena della Sicilia occidentale, puntando l‟attenzione in particolar modo sul comparto territoriale di pertinenza trapanese.

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INTRODUZIONE

Il presente lavoro si propone di studiare la realtà insediamentale indigena della Sicilia occidentale, puntando l‟attenzione in particolar modo sul comparto territoriale di pertinenza trapanese.

Strettamente legato al tema è la tanto discussa e misteriosa esistenza di un popolo indigeno di cui le fonti antiche ci raccontano e che porta il nome di Elimi: ed è da lì che parte la nostra ricerca.

Entrare nella “vexata quaestio” degli Elimi, infatti, è la premessa inalienabile di questo lavoro e a cui è dedicato il primo capitolo.

Attraverso l‟analisi delle più svariate fonti ci si è posti i quesiti che la letteratura da decenni si pone sulla questione, provando così a delineare una fisionomia caratterizzante di questa popolazione che sicuramente i Greci ritennero diversa non soltanto da sé, ma anche dagli altri barbari dell‟isola, Sicani, Siculi e Fenici.

Se nulla, però, è ancora accertato sulle origini degli Elimi, sicuramente possiamo sfatare il mito di una realtà inesistente e fittizia, frutto di giochi letterari ed eruditi, potendola vestire, piuttosto, di una propria cultura materiale, una propria lingua e di una dimensione storica che li vede protagonisti e in netta antitesi ai vicini Sicani.

Per poterli ben riconoscere all‟interno di quell‟avvicendarsi di etnie per il quale la Sicilia protostorica fa da scenario è opportuno osservare lo sviluppo di questo nuovo éthnos alla luce delle vicende che si svolgono nel resto dell‟isola.

A tale scopo è dedicato il secondo capitolo, che presenterà una disamina della storia archeologica della Sicilia indigena, partendo da un passato molto remoto, descritto a grandi linee, e confluendo, con precisazioni più puntuali, al momento in cui gli Elimi diventano i veri protagonisti della Sicilia occidentale tra la fine della Tarda Età del Bronzo e il V sec. a.C.

Questo excursus archeologico ci dà prova, dunque, dell‟occupazione da parte degli Elimi della Sicilia occidentale e da tale certezza si parte alla scoperta del territorio indigeno trapanese.

Il terzo capitolo entrerà nel vivo dello studio: l‟obiettivo è quello di rilevare la

consistenza insediamentale nell‟area suddetta e poter confermare quanto ormai da

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tempo la letteratura archeologica ci suggerisce relativamente ad una presenza elimo/indigena piuttosto importante.

Ciò è stato possibile grazie alla creazione di un catalogo che, attraverso l‟uso di schede appositamente pensate, ha permesso non solo il censimento di quegli insediamenti che l‟archeologia ha riconosciuto come elimo/indigeni, ma anche un‟indagine geografica e territoriale dell‟area, per poterne intuire la consistenza dell‟ occupazione, i modi e tempi di questa, le logiche insediative e, qualora è stato possibile, la topografia dei siti.

Vedremo così, nel quarto capitolo, delinearsi un nuovo profilo, magari poco

esplorato fino a questo momento, quello territoriale e geografico: vedremo come

la presenza indigena dell‟area si connoti di peculiari logiche e dinamiche

insediative, non soltanto dettate da una particolare potenzialità del territorio e

dalla convivenza con altre compagini indigene, ma molto più probabilmente dalle

capacità di un popolo che si svestì ben presto dalla corazza di invasore e

immigrato e s‟impose come vera e propria entità politica, ma soprattutto

geografica, permettendoci di porre un altro tassello al grande puzzle fisionomico

degli Elimi.

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Capitolo Primo

La “vexata quaestio” degli Elimi

Abitarono la parte nord-occidentale dell‟isola, quella zona della Sicilia che è il fulcro del Mediterraneo, passaggio obbligato tra Occidente ed Oriente e per chi, passato il canale di Sicilia, doveva raggiungere la costa africana o le coste tirreniche.

Vennero chiamati Elimi dai colonizzatori Greci, ossia produttori e consumatori di elimus, di panico, un cereale di terz‟ordine

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largamente usato da poveri e barbari.

I Greci volevano così nascondere dietro questo appellativo la loro irritazione, se non anche derisione, nei confronti di chi, come gli Elimi, intratteneva buoni rapporti con quella che da sempre era stata la loro rivale, ovvero Cartagine.

Ed è attraverso questa caratterizzazione “storica” più che “etnica”

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che riconosciamo gli Elimi, ma ignoriamo il modo in cui questi chiamavano se stessi.

Ignoriamo la loro natura ed identità, alla quale cerchiamo di pervenire incrociando dati e informazioni dalle fonti, da quelle archeologiche a quelle linguistiche, da quelle storiche a quelle etnografiche.

Tentando di non cadere nel grave errore di identificare a priori facies culturali con etichette etniche, cerchiamo di venire a capo di quella che nella storiografia viene indicata come “la vexata quaestio degli Elimi”: si può parlare di un éthnos distinto rispetto ai vicini Sicani? Quali caratteristiche permettono di affermarlo?

Ma soprattutto è possibile individuare un‟area topografica caratterizzante?

Le origini

Cerchiamo di sciogliere il nodo della matassa partendo dalle fonti storico- etnografiche, e soprattutto da quelle più autorevoli dalle quali poi ha preso le mosse la tradizione successiva, e che hanno determinato sostanzialmente quelle che sono le due tesi più accreditate riguardo l‟origine degli Elimi.

“La versione di Tucidide” (Tucidide, Storie, libro VI, 2, 3).

1 Nenci 1989, p.14.

2 Albanese Procelli 2003, p.18.

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“Dopo la presa di Troia alcuni Troiani fuggendo gli Achei giungono in Sicilia su barche e, abitando al confine dei Sicani, tutti insieme furono chiamati Elimi; e le loro città erano Erice e Segesta. Si aggiunsero ad abitare alcuni Focesi provenienti da Troia, in quel tempo gettati da una tempesta prima nella Libia e poi nella Sicilia”.

Così Tucidide descrive l‟origine degli Elimi, insieme a quella dei Sicani e dei Siculi, e ci racconta della sistemazione nell‟isola dei primi e dell‟arrivo in massa dei secondi dalla penisola, facendo del VI libro delle Storie il vero manifesto dell‟archaiologhia siciliana.

Gli Elimi di Tucidide arrivano non come una migrazione di massa, dato che gli unici due siti tramandatici sono Erice e Segesta, ma come fuggitivi da Troia che insieme ad un gruppo di Focesi si fermarono nell‟area più occidentale dell‟isola, già occupata dai Sicani, scacciati lì dai Siculi o chissà forse impauriti dalle eruzioni dell‟Etna

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, e con i quali convissero come “vicini di casa”.

Curioso ed interessante è l‟accostamento dei Troiani con i Focesi, da intendersi più probabilmente come Focei

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e non, come in molti sostengono, Focidesi

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.

Che i Focei infatti possano aver raggiunto la Sicilia è plausibile, dato che da sempre nutrivano interessi commerciali nell‟isola, ma strana è la loro assimilazione con la componente troiana, che ci riporterebbe ad un‟età precedente rispetto alla colonizzazione storica

6

.

Probabilmente è soltanto un espediente celebrativo: far solcare ai Focei, che andavano alla scoperta dell‟Occidente durante il VII sec. a.C., quelle stesse rotte che la tradizione attribuiva ai nòstoi troiani, regalando loro così una certa solennità

7

.

3Diodoro, 5, 6, 4: “... I Sicani, impauriti, abbandonarono le zone orientali della Sicilia e si trasferirono in quelle occidentali...”.

4Abitanti di Focea, città dell’Asia Minore. Ebbe grande floridezza in età arcaica. Dal 600 a.C. ca.

gran parte dei Focei emigrarono fondando in Occidente molte colonie divenute poi fiorentissime (Marsiglia, Menace in Spagna, Aleria, Velia).

5 De Vido 1997, p.21: “Si parla di Focidesi, ovvero degli abitanti della Focide in Grecia, che avevano combattuto a Ilio e che come tutti gli altri si erano dispersi nel Mediterraneo dopo la conclusione della guerra”.

6 De Vido 1997, p.22.

7 Braccesi 1979, p.68.

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Questa scelta fatta da Tucidide, o dalla sua fonte che però ci è ignota anche se i più la individuano in Antioco di Siracusa

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, ha le sue radici nella tradizione ateniese del V secolo e soprattutto ha valore politico.

Atene in un‟ottica propagandistica e alla luce dell‟alleanza con i Segestani, in qualità non solo di metropoli attica, ma anche del mondo ionico, fa appello ad arcaici e connaturati rapporti di synghéneia tra i Focei della Ionia e gli Elimi- Troiani facendoli “viaggiare insieme” come compagni di migrazioni.

Il legame elimo con la Ionia, e quindi con Atene, così diventa duplice, da proiettarsi in età eroica e in età storica, con la sovrapposizione celebrativa di un‟origine troiana e un‟origine focea.

Per ben mettere in evidenza l‟elemento troiano bisogna operare una scissione tra gli eroi troiani connessi all‟Occidente dall‟epica dei nòstoi, tra i quali troviamo per l‟appunto Egesto ed Elimo, e gli indigeni “troianizzati” nella saga post omerica, ovvero gli Elimi stessi.

Nel primo caso questi eroi devono essere contestualizzati nella fase precoloniale greca di età micenea, che li vede protagonisti in qualità di mercanti-navigatori alla conquista di empori commerciali d‟Occidente; nel secondo invece partecipano a migrazioni e la loro “troianizzazione” permette ad un‟Atene interessata a tessere buoni rapporti d‟amicizia con le popolazioni indigene d‟Occidente di spianarsi il terreno per una propaganda “imperialistica” che punta, come già abbiamo accennato, ad un‟ipotetica synghéneia

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.

E‟ chiaro che c‟è uno sfruttamento della saga troiana, ma questa è presentata in chiave ateniese; e la letteratura ci suggerisce che il primo a leggerla e tradurla in questo modo è uno storico ateniese, Damaste di Sigeo, che vive la sua Atene del V secolo

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, un‟Atene che come abbiamo già ricordato mira all‟Occidente e che cerca di arrivarci ricalcando rotte troiane e riscoprendo legami di sangue con genti indigene disponibili a rapporti diplomatici.

Questi sono i temi della propaganda politica di Atene e di cui si fa portavoce Damaste attraverso la sua saga troiana, determinando la leggenda del viaggio

8 Dover 1953, pp.1-20.

9 Braccesi 1979, p.70.

10È uno storico e un geografo greco vissuto tra il 460 e il 400 a.C. ca., originario della Troade.

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d‟Enea nei mari d‟Occidente e a Roma e riconoscendogli, molto probabilmente, anche il ruolo d‟ecista di Segesta.

E‟ per questo che c‟ è chi, come Braccesi

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, vede in Damaste di Sigeo la fonte di Tucidide, anche perché interessante è un particolare “geografico” che questi riporta e che ha dunque appreso dalla sua fonte: i suoi Troiani approdano nelle città elime della Sicilia dopo essere stati sbattuti dalla tempesta sulle coste della Libia, così come Enea, ci racconterà Virgilio, è costretto a tale rotta per il medesimo motivo, provando il fatto che “il processo di „troianizzazione‟ degli Elimi, testimoniato da Tucidide, si svilupperebbe sulla base parallela della memoria di un approdo di Enea nella loro terra”

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.

Tucidide allora con la sua “teoria orientale” fa degli Elimi un éthnos distinto e costituito: allude alle loro origini orientali e al loro successivo arrivo nella cuspide occidentale della Sicilia, riuscendo a darne anche indicazioni topografiche puntuali nominando i siti di Segesta ed Erice.

La linea troiana viene seguita, con variazioni e particolari diversi da Licofrone di Calcide, secondo il quale Egesto, figlio del dio fluviale Crimiso e della figlia della dea Fenodamante, avrebbe fondato Egesta

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, così come Apollodoro di Atene che allude ad una collaborazione dello stesso Egesto con Filottete

14

. A questa leggenda inoltre si allaccia Strabone

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, seguito da Dionigi di Alicarnasso, secondo cui Egesto è figlio, piuttosto, della figlia della dea Fenodamante e di un giovane troiano che era fuggito con lei in Sicilia: Egesto aveva infatti lasciato la Sicilia per partire alla volta di Troia, una volta persa la guerra decide di tornare in patria

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. Ora, al di là dell‟ovvia discendenza troiana di Egesto, essendo di padre troiano, la stessa esistenza del mito lascia intuire una presenza nel territorio già prima della guerra di Troia. Per Cicerone invece Segesta fu fondata da Enea, fuggito da Troia, attraverso la quale leggenda mette in risalto la supposta unione dei Segestani con i

11 Braccesi 1978

12 Braccesi 1988-1989, p.109.

13 Licofr., L’Alessandra, vv. 959-977.

14 Apollod., FgrHist 244 F 167.

15 Strab. 6, 1,3; 6, 2, 5

16 Dion. Hal., 1, 52- 53.

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Romani in virtù di un legame di parentela

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. Anche Virgilio come ben sappiamo racconta del passaggio di Enea in Sicilia

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.

“La versione di Ellanico” (Ellanico FGrHist 4 F 79b, riferito da Dionigi d‟Alicarnasso 1, 22, 3).

“Pertanto la stirpe dei Siculi così lasciò l‟Italia, come racconta Ellanico di Lesbo, nella terza generazione prima della guerra di Troia, essendo il ventesimo anno del sacerdozio di Alcione in Argo. Egli tramanda che due spedizioni di Italici passarono in Sicilia; la prima era quella degli Elimi che si dice fossero scacciati dagli Enotri; quella che passò cinque anni prima di questa era degli Ausoni, che fuggivano gli Iapigi, e il loro re era Siculo, da cui presero nome e gli uomini e l‟isola”.

Da questo testo si deduce che gli Elimi, invece, sarebbero originari della penisola italica e che vi sarebbero arrivati “tre generazioni prima della guerra di Troia”

ovvero nel 1270 a.C.

Ellanico

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, infatti, pur essendo un „orientale‟, politicamente filoateniese, conoscitore di quanto era avvenuto intorno alla guerra di Troia

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, pur non ignorando la rinata saga troiana in chiave ateniese (egli scrive dopo Damaste) dalla quale la storiografia successiva viene condizionata e grazie alla quale ha fortuna la propaganda legata all‟identificazione Elimi-Troiani, non l‟accetta.

Egli rielabora rigorosamente e ricostruisce il materiale disponibile richiamando la guerra di Troia come solo riferimento cronologico, ma operando più di ogni altro la scelta più comoda: si allinea infatti a quella storiografia per la quale gli Elimi sono genti dell‟Occidente, un “filone complessivo di lettura della preistoria della Sicilia che vedeva nell‟emigrazione dalla penisola il motivo conduttore ed unificante per tutti i popoli indigeni”

21

.

Questa “tesi occidentale” sull‟origine degli Elimi dovrebbe dunque portare ad un riconoscimento non solo etnografico, ma anche culturale di queste genti, autonome rispetto al contesto sicano in cui s‟innestano. E invece no. Nel momento

17 Cic., Verrine, 2, 4, 72.

18 Virg., Eneide, libro V, vv. 35-41.

19 Logografo greco del V sec. a.C..

20 Scrive i due libri di Troika nei quali racconta delle vicende relative alla guerra di Troia.

21 De Vido 1997, cit., p.43.

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stesso in cui Ellanico omette completamente la citazione sui Sicani, parlando soltanto di Elimi e di Siculi, egli probabilmente riconosce negli Elimi gli stessi Sicani, caratterizzandoli di quelle peculiarità che la storiografia è solita riconoscere, ovvero l‟antichità del loro stanziamento sull‟isola e la loro migrazione dall‟Italia

22

.

L‟identificazione Elimi-Sicani può per giunta essere giustificata, in questo caso, dal dato topografico, tramandatoci univocamente dalla tradizione letteraria: gli Elimi difatti vanno ad insediarsi in quella Sicilia nord-occidentale già occupata dai Sicani. D‟altronde anche lo stesso Tucidide, nonostante la sua “teoria orientale” e l‟identificazione dell‟ éthnos elimo, scrive che abitavano “al confine con i Sicani”.

“La versione di Filisto” (Filisto fr. 46, in F.Jacoby, F.H.G., V. IIIB, riferitaci da Dionigi di Alicarnasso 1,22).

“Come scrisse Filisto di Siracusa, il tempo del passaggio fu ottant‟anni prima della guerra di Troia; egli dice che la gente fatta passare dall‟Italia non era né degli Ausoni, né degli Elimi, ma della stirpe dei Liguri, e li guidava Siculo. E di costui dice che era figlio di Italo, e che i popoli che vissero sotto il suo regno si chiamarono Siculi”.

Nonostante egli neghi che sia gli Ausoni che gli Elimi abbiano partecipato alla migrazione che ottant‟anni prima della guerra di Troia invase la Sicilia, attribuendola piuttosto ai Liguri, accumuna i primi due sottointendendo una comune origine occidentale e alludendo a loro successive e analoghe migrazioni sull‟isola

23

.

E‟ pure plausibile in realtà che Filisto, storico siceliota del IV sec. a.C., abbia escluso dall‟ondata migratoria gli Elimi per il fatto che nel momento in cui egli scrive essi non erano più riconoscibili come entità autonoma perché ormai assorbiti dai Punici

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a seguito della battaglia di Mozia del 397 a.C., quando Dionisio, dopo averle saccheggiate, distrusse tutte le città della Sicilia occidentale.

22 Braccesi 1979, p.74-75.

23 De Vido 1997, p.45: “il referente implicito potrebbe ben essere Ellanico che proprio di queste due popolazioni aveva fatto menzione”.

24Tusa 1988-1989, p.11.

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Riproponendoci il quesito iniziale sull‟esistenza o meno di un éthnos distinto degli Elimi, la “teoria occidentale” ce la smentirebbe, così come Braccesi ci suggerisce di fare

25

, facendone uno strato costitutivo, ma non autoctono, dell‟etnìa dell‟isola: Ellanico li assimila ai Sicani e Filisto addirittura non li considera.

La lingua

Altrettanto complicato è il quadro dal punto di vista linguistico dato che notizie sulla lingua degli Elimi non ce ne sono, ma possiamo sperare di trovare veridicità nell‟ipotesi che in quelle che vengono chiamate “glosse sicule”, fornite dagli antichi scrittori e comprendenti un centinaio di parole attribuite ai Siculi, possano rientrare anche alcune “glosse” elime, in quanto probabilmente non sono da assegnare ai Siculi ma ai Sicelioti, perché con lo stesso termine i Greci indicavano sia gli uni che gli altri

26

.

La scarsa considerazione che essi nutrivano verso la lingua parlata dalle altre popolazioni, ritenute “barbare”, li portò probabilmente ad inserire sotto il nome di Siculi, anche le lingue dei Sicani e quindi degli Elimi.

Relativamente ai dati di cui disponiamo in quest‟ambito, ovvero fonti indirette, quali nomi propri, di persona e toponimi, e fonti dirette quali le iscrizioni in lingua ritrovate nei siti elimi, non è semplice appoggiare una delle due teorie suddette (quella “orientale” e quella “occidentale”) sull‟origine degli Elimi e per di più, in quanto due tradizioni assolutamente inconciliabili, non possono neppure fornirci nessun indicazione sulla lingua dei nostri.

Infatti è possibile ravvisare nell‟elemento onomastico e toponomastico una certa italicità: l‟etimologia di antroponimi quali Botulos, Apelos, Romis, Voltika, attestati a Segesta e a Selinunte, sembrano rimandare all‟onomastica italica.

Si tratta di un insieme abbastanza cospicuo e coerente che però non fornisce, una volta etimologizzato, dati particolarmente significativi per la determinazione di tratti linguistici. Per cui l‟italicità è riconosciuta soltanto dal punto di vista culturale e potrà avvalorare soltanto in un secondo momento e come semplice

25 Braccesi 1979, pp.53-sgg.

26 Agostiniani 1988-1989, p.347.

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elemento in più, l‟italicità della lingua elima qualora venisse però provata con altri dati

27

.

Interessanti corrispondenze inoltre ci sono tra toponimi quali Segesta, Entella ed Erice con la toponomastica ligure: Segesta è messa a confronto con Segesta (Tigulliorum), oggi Sestri (Levante), Erice con (Portus) Erycis, oggi Lerici, Entella con un omonimo corso d‟acqua che scorre tra Chiavari e Lavagna.

Ma c‟è chi come il Nenci

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, convinto sostenitore di un‟origine orientale degli Elimi, invece studia questa corrispondenza semplicemente spiegandola come un sostrato linguistico sicano, di origine iberica come lo stesso Tucidide ci tramanda.

Giustifica questa presenza “occidentale” nella toponomastica elima con il fatto che i nuovi arrivati, gli Elimi, insediandosi in un‟area già occupata dai Sicani, abbiano adottato i già esistenti nomi di quei siti che sarebbero diventati poi le loro principali città.

Accanto a questi nomi però, la cui italicità può essere spiegata, ce ne sono di altri la cui origine orientale è chiaramente intuibile come quelli dei fiumi Krimissòs, Telmessos e forse Helbesus localizzabili nell‟area di Segesta, e che per la finale - ssòs, ritenuta tipicamente microasiatica, non destano alcuna incertezza circa la loro origine dall‟Asia Minore. Così come lo stesso nome degli Elimi, cioè Elymoi, per il quale ci sono stati accostamenti con il nome Sòlymoi, popolazione della Licia in Asia Minore, dove la caduta della s non stupisce, visto che la riscontriamo anche nella forma greca di Segesta e quindi sarà dovuta a effetto del tramite greco; oppure con il termine greco del cereale elimus, che abbiamo già precedentemente spiegato, la cui area di diffusione è la stessa Frigia e che ci porterebbe addirittura ad avere “proprio nell‟alimentazione a base di panico una conferma dell‟origine frigia degli Elimi”

29

.

Alla luce di queste evidenze, per niente univoche, è dunque più opportuno ipotizzare più strati linguistici diversi, con connessioni orientali e liguri, cioè tirreniche.

Per poter parlare della lingua degli Elimi forse è opportuno dare uno sguardo alla documentazione epigrafica, ovvero alle iscrizioni su moneta di Segesta ed Erice e

27 Agostiniani 1989, p.71.

28 Nenci 1988-1989, p.23.

29 Nenci 1988-1989, cit., p.23.

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ai graffiti su ceramica, per lo più provenienti da Segesta: questa documentazione non presenta, come vedremo, corrispondenze con la lingua dei toponimi o degli idronomi della zona, né tantomeno con l‟onomastica.

Per quanto riguarda le lettere graffite sui frammenti di ceramica trovati nel deposito di Grotta Vanella

30

, queste rappresentano il corpus più consistente delle iscrizioni elime.

Tale documentazione risale al V sec. a.C. ed è impiegato l‟alfabeto greco: è assai probabile che gli Elimi, imparando a scrivere dai Greci, abbiano adottato il formulario greco in un processo di acculturazione che abbraccia anche quest‟aspetto

31

, ma che purtroppo nulla può suggerirci sul background di questa lingua

32

.

Anche nella monetazione gli Elimi

33

dimostrano di saper apprendere dai vicini Greci: le città tucididee di Erice e Segesta cominciano a coniare nella prima metà del V sec. a.C. e utilizzano anch‟esse il formulario greco.

Le leggende monetali in greco espresse con il genitivo plurale dell‟etnico sono accompagnate dalle leggende in lingua elima, la quale formula concorre, secondo recenti interpretazioni, insieme a quella greca ad indicare la medesima indicazione di appartenenza alla comunità urbana

34

.

Alla luce di questa documentazione possiamo solo affermare una ormai assodata verità, quella che certamente si tratta di una lingua indoeuropea

35

, ma sulle sue origini, siano queste italiche

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o anatoliche

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, ancora non ci è dato sapere, per cui nulla di rilevante e determinante possiamo dedurre dal dato linguistico sulle

30 Tusa 1960, pp.34-48; de La Genière-Tusa 1978, pp.10-29.

31 De Vido 1997, p.380.

32 Tusa 1960, cit., p. 48 “si tratta quindi con ogni probabilità, di frammenti recanti iscrizioni appartenenti ad una lingua non greca (…) lingua che pur usando caratteri greci, differiva dalla greca, com’è provato, che a me pare inconfutabile, dalle monete”.

33 Cutroni Tusa 1988-1989, p. 175-176: qui sostiene l’origine orientale della lingua elima, mette a confronto la formula epigrafica del primo gruppo di emissioni segestane SEGEST-AIIB-EMI con gli stateri anatolici del VI sec. a.C. di elettro contrassegnati da un cervo al pascolo (al quale viene paragonato il tipo del cane) e dalla formula epigrafica riportata per esteso FA(E)NS EMI con ductus da destra verso sinistra, dimostrando che “..l’affinità dei significati espressi, a mio parere, non possono non manifestare una divaricazione anatolica”.

34 De Vido 1997, p.381.

35 Agostiniani 1988-1989, p.367.

36 Lejeune 1969, pp.237-242.

37Ambrosini 1968-1969,pp.168-177.

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origini degli Elimi, se non una certa omogeneità alfabetica e linguistica che concorre a delineare un tratto distintivo di un éthnos autonomo e indipendente.

La storia

Dal punto di vista storico, indipendentemente dalla questione delle origini, gli Elimi costituiscono sicuramente un éthnos a sé nel momento in cui assumono una certa autonomia politico-culturale.

Ciò avviene soltanto in un secondo momento quando si isolano dai “fratelli”

Sicani e rompono quell‟ “interferenza-interconnessione”

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che agisce tra le due entità, aspetto quest‟ultimo deducibile dallo stesso Tucidide, che li distingue ma non li contrappone rivelando la comunanza di confini e probabilmente una certa complessità storico-politica.

E‟ infatti a partire dal XII-XI sec. a.C. che, interessati ad un‟apertura verso l‟esterno a seguito di precoci e autonome relazione con l‟Egeo, diventano un gruppo costituito.

Questa evoluzione e la conseguente differenzazione viene ulteriormente accentuata per azione costante d‟influenze esterne: egee in età protostorica, puniche in età storica. Decisiva sarà l‟influenza della colonizzazione cartaginese che permetterà, a livello politico, a questo “nuovo” éthnos di avere una vera identità nazionale in antitesi con la grecità del resto dell‟isola e di vivere una fase di profonda differenzazione dai Sicani.

Il fatto inoltre che tutta la storiografia che abbiamo precedentemente elencato sia databile a partire dal V sec. a.C. è spia del fatto che fu solo da quel momento che ci si interessò alle origini e alla storia degli Elimi e non casualmente in un momento in cui questi entrano a far parte, ormai, della grande politica internazionale e in senso stretto nell‟orbita della politica ateniese, di cui abbiamo descritto gli intenti e le modalità

39

.

Sono i secoli in cui il concetto di “Elimi”, politicamente parlando, corrisponde ormai sicuramente all‟area geografica in cui Segesta gravitava come nuova leadership emergente, motivo che ha portato ad indicarli nelle fonti tutti quanti

38Anello 1988-1989, p.58.

39 Nenci 1988-1989, p.22.

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come Segestani. E sono i secoli in cui sono certamente attribuibili agli Elimi alcuni avvenimenti storici che li distinguono nettamente dai vicini Sicani, e che li vedono protagonisti già a partire dal VI sec. a.C., come accade nelle vicende relative a Pentatlo e Dorieo, dove soprattutto si fa riferimento ai Segestani

40

. Sono note, infatti, le imprese condotte da entrambi in Sicilia: Pentatlo, cittadino di Cnido, spacciandosi per discendente di Eracle, intorno al 580 a.C., ovvero durante la 50 Olimpiade, insieme ad alcuni suoi concittadini cercò di colonizzare Lilibeo, la punta estrema della Sicilia occidentale corrispondente praticamente al promontorio Pachino, ma lì venne respinto dagli Elimi, abitanti di Segesta come precisa Diodoro, e dai Fenici, e quindi fu costretto a rifugiarsi nelle Isole Eolie

41

. Dorieo, alla fine dello stesso secolo, intraprende la stessa avventura:

accompagnato dai suoi concittadini spartani, prova a fondare presso Erice una colonia di nome Eraclea, ma ancora una volta la compatta schiera nemica di Elimi e Fenici costrinse anche costui a fuggire

42

.

Ancora per quanto riguarda avvenimenti relativi agli Elimi, o più precisamente ai Segestani, Tucidide ci racconta le vicende relative alla grande spedizione ateniese in Sicilia

43

, ma è Diodoro a riferirci alcuni episodi in cui è chiaro l‟ormai allontanamento delle due etnie.

Ci dice ad esempio della spedizione nel 414 a.C. dello spartano Gilippo che con quattro delle sue triremi era giunto ad Imera e lì era riuscito a convincere non solo gli Imerei, ma anche quelli di Gela e di Selinunte nonché i Sicani a combattere con i Siracusani

44

.

In questo caso i Sicani, nonostante non se ne riesca ad identificare un‟area geografica precisa, si trovano sul versante opposto rispetto ai Segestani confermandoci l‟ipotesi dell‟esistenza di due realtà indipendenti politicamente.

Sempre Diodoro ci racconta dell‟intervento cartaginese sull‟isola voluto da Segesta, una volta finita la spedizione ateniese

45

. E anche in quest‟occasione i Sicani, con la loro politica autonoma, si schierano contro Segesta e quindi

40Anello 1988-1989, pp.65- 66.

41 Paus., 10, 11, 3; Diod., 5, 9, 29.

42 Erod., 5, 46; 7, 158; Diod., 4, 23, 3; Paus., 3, 16, 5.

43 Thuc., 6, 6,1.

44Diod. 13, 7, 7.

45Diod. 13, 43, 3; 13, 44.

(14)

14

Cartagine, contribuendo ancora una volta a spezzare l‟equilibrio politico dell‟Occidente siciliano.

A partire poi dal IV sec. a.C. il nome degli Elimi scompare praticamente dalle fonti facendo ipotizzare a qualcuno che questo popolo si fosse estinto. Ma tale drastica conclusione può essere evitata se si pensa che magari gli Elimi siano stati più semplicemente assorbiti dai Punici, ormai presenti nell‟area in discussione.

La geografia

La questione sulle origini purtroppo è ancora insoluta e l‟identificazione di un éthnos distinto abbiamo visto come è più facilmente riconoscibile quando gli Elimi si affacciano in una dimensione più grande, coinvolti da veri e propri protagonisti in dinamiche internazionali per le quali cominciano a nutrire interessi.

Ma, a questo punto, dobbiamo rispondere ad un‟altra fondamentale domanda, altrettanto difficile come le altre questioni che abbiamo fino ad ora affrontato:

esiste un‟area prettamente elima? Quali sono i suoi confini? Ed è possibile dedurne indicazioni topografiche più puntuali?

Partendo dal presupposto che le fonti all‟unanimità ci suggeriscono lo stanziamento degli Elimi là dove erano già presenti i Sicani, ovvero nella parte occidentale della Sicilia, esse non parlano mai di una Elimia in senso stretto

46

, piuttosto indicano, come fa Tucidide, le loro città.

Sicuramente con i Sicani vivono rapporti di vicinato, se non addirittura come alcune fonti alludono, una vera e propria convivenza.

Allo stato attuale delle conoscenze possiamo definire elima quella zona che è chiusa ad Est dal Belice (l‟antico Crimiso), sul quale sorgeva Entella: il Belice era la via d‟accesso degli Elimi verso il mare meridionale, così come per i Segestani il golfo di Castellammare rappresentava lo sbocco settentrionale.

Invece il confine nord-orientale è indicato da quella linea che va dall‟elima Iatia fino a Partinico e a Montelepre.

Inevitabilmente il mar Mediterraneo segna il confine naturale ad Ovest e a Sud dell‟area.

46 Nenci 1988-1989, p.25.

(15)

15

L‟areale segnato da questi confini comprende grosso modo l‟attuale provincia Trapani e parte della provincia di Palermo, quella più ad Ovest, insistendo dunque su tutta la zona estremo occidentale dell‟isola.

L’archeologia

Per ultimo, ma non per importanza, affrontiamo l‟aspetto archeologico, limitandoci, in questa sede, a fare considerazioni esclusivamente relative alla storia degli studi, rimandando al capitolo seguente un‟analisi più dettagliata ed esaustiva dell‟evidenza archeologica elima

47

.

La prima a scavare nell‟area fu l‟archeologa Jole Bovio Marconi e relativamente ai primi rinvenimenti, consistenti in alcuni oggetti bronzei e frammenti di ceramica dipinta e incisa, rinvenuti ai piedi del Monte Barbaro a Segesta, riesce a definire tale produzione come “elima”, rimandandola ad un periodo che va dall‟

VIII sec. a.C. al VI sec. a.C. e ritenendola una rielaborazione di nuovi elementi geometrici greci su tradizionali culture locali neo-enolitiche unite a reminescenze pre-elleniche orientali

48

.

Le caratteristiche principali e peculiari di questa produzione non soltanto si distinguono da quelle della contemporanea produzione sicana, ma soprattutto sembrano per l‟archeologa rimandare e originarsi dal mondo anatolico-sub- miceneo mediato da Cipro, soprattutto per quanto riguarda la decorazione dipinta, così come le protomi antropo-zoomorfe hanno suggerito una certa “aria di famiglia” con i coperchi antropomorfi o con i vasi di Troia e in genere dell‟Anatolia.

Secondo questa posizione non soltanto gli Elimi sono riconosciuti come un éthnos distinto rispetto ai Sicani, ma viene avvalorata la tesi tucididea di origine orientale degli stessi.

Sebastiano Tusa

49

a tal riguardo avanza una tesi discorde, proponendo una ricezione di questi temi da contesti molto più vicini, ritenendo queste affinità lontane nel tempo e nello spazio.

47 cfr. sotto Capitolo secondo. La Tarda Età del Bronzo e l’Età del Ferro nella valle del Belice:

l’arrivo degli Elimi.

48 Bovio Marconi 1950.

49Tusa 1988-1989, pp.48-sgg.

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16

Presupposto inalienabile per l‟archeologo rimane quello che nel XII sec. a.C. la Sicilia faceva parte di grandi ondate migratorie che dalla penisola si dirigevano verso Sud, tali che inevitabilmente anche dal punto di vista culturale vennero coinvolti i Sicani e in seno a questi si crearono le condizioni affinché si sviluppasse l‟etnico elimo.

Suggerisce infatti per queste caratteristiche (le protomi antropo-zoomorfe e la decorazione dipinta policroma) un‟area peninsulare dove vigono nella produzione ceramica analoghe realizzazioni: l‟area pugliese.

Le produzioni dauna, peucetica e messapica, presentano una produzione ceramica variegata risalente ad un periodo compreso tra l‟età del Bronzo e l‟età del Ferro da cui derivano poi i gruppi subgeometrici con tali caratteristiche. Ed è proprio in questo passaggio che suole indicare l‟analogo passaggio dal ceppo sicano alla produzione elima vera e propria.

All‟interno dell‟area daunia in effetti si ritrovano la decorazione policroma e molti elementi decorativi quali i cerchi concentrici, le svastiche e le stesse protomi antropo-zoomorfe.

La sua teoria è inoltre suffragata da un‟altra analogia che lega i due fenomeni, quella cronologica che copre più o meno un arco di tempo, tra il IX sec. a.C. e il VI sec. a.C., in cui può essere compresa la trasmissione di tali caratteri altrove e quindi anche fino alla Sicilia.

Così dicendo, e alludendo anche ad altre analogie fenomeniche e leggendarie, Tusa non intende “negare la possibilità che un‟effettiva confluenza di elementi anatolici abbia giocato un ruolo non indifferente nella genesi dell‟elemento elimo”

50

, ma li contempla in quanto componenti e non come origine totalizzante dell‟éthnos.

Indipendentemente dal problema dell‟origine, presupponendo una koinè artiginale e un “passato” condiviso con la maggior parte delle zone della Sicilia centro- meridionale e orientale, c‟è chi, come la De Vido, suggerisce di proiettare la questione della produzione ceramica elima nei secoli pienamente storici della colonizzazione greca a cui fa risalire “il formarsi di una sintassi decorativa

50 Tusa 1988-1989, cit., p.52.

(17)

17

peculiare o la preferenza accordata ad alcune forme”

51

come risultato di processi di formazione, dinamiche e contatti avvenuti in quell‟area, piuttosto che un aspetto del carattere proprio di questo popolo.

Anche ad Erice, altra città sicuramente elima come ci tramanda Tucidide, sono stati portati alla luce frammenti di ceramica simili a quelli di Segesta. Ed è nella città che un particolare potrebbe ribadire la presunta già dibattuta origine orientale degli Elimi: le fortificazioni perimetrali della capitale ittita Yazilikaya ad Hattusa presentano grandi blocchi rettangolari di pietra identici a quelli sottostanti alla cinta muraria ericina; nonché la localizzazione topografica della stessa è perfettamente affine ad un altro sito sicuramente elimo, Entella: entrambi in località geograficamente simili, entrambi in colline dall‟ampia vetta pianeggiante

52

.

Non è semplice, dunque, fino a questo momento darci e dare delle risposte alla

“vexata quaestio degli Elimi”.

L‟excursus appena intrapreso, infatti, ricco di tutte quelle fonti che la più comune letteratura ci suggerisce, talvolta insidioso e volutamente non risolutivo, vuole essere uno stimolante punto di partenza e una premessa inalienabile alla comprensione di quello che sarà l‟intento ultimo di questo lavoro.

51 De Vido 1997, cit., p.374.

52Vento 1989, p.7.

(18)

18

Capitolo Secondo

L’archaiologhia degli Elimi

Abbandonati i contorti meandri che ci hanno condotto a scoprire la fisionomia degli Elimi, proviamo adesso a tracciare la loro storia, o meglio “storia archeologica”.

Adottando un metodo già esperito ma che forse risulta essere il più efficiente, consapevoli come siamo della manchevolezza delle fonti, ma forse anche delle ricerche che riguardano l‟area abitata da questa popolazione, sincronizzeremo lo studio della parte dell‟estremo Ovest dell‟isola, quello che sarà poi interessato dalla presenza elima, con quello dell‟archeologia del resto della Sicilia.

È opportuno in questo contesto e ai fini del nostro lavoro raccontare della parte prettamente preistorica e dei primi secoli dell‟età del Bronzo accennandone alcuni caratteri, quelli più salienti, indispensabili per aver chiaro un quadro archeologico molto complesso e utili alla comprensione di quella che è invece la forchetta cronologica che a noi più interessa e in cui sono più coinvolti storicamente gli Elimi, ovvero dalla fine della Tarda Età del Bronzo al V secolo a.C.; così come ci preoccuperemo di restringere il campo geografico d‟indagine all‟interno della zona occidentale, esclusivamente al trapanese, area prediletta di questo lavoro.

Dal Paleolitico all’Età del Rame

Il Paleolitico siciliano, al di là di singoli interventi di scavo, deve molto alla ricerca di un grande paletnologo francese, Raymond Vaufrey

53

, che negli anni ‟20 del Novecento scese in Italia per una valutazione analitica dell‟esistenza del Paleolitico nella penisola, interessandosi particolarmente alla Sicilia.

Già da questo momento la costa Occidentale, tra Termini Imerese, Trapani e Favignana, che allora doveva ancora essere attaccata all‟isola, era interessata da evidenze archeologiche.

Questi siti, così come quelli del resto della Sicilia ad esclusione di uno nel siracusano, tradiscono com‟è evidente una predilezione distributiva costiera che ne fa la caratteristica principale.

53Vaufrey 1928.

(19)

19

Sono giacimenti accomunati dalla stessa cultura materiale/litica che valutata nel complesso può rientrare nell‟industria cosiddetta “gravettiana”

54

, ma proprio la zona di nostro interesse, e precisamente quella nord-occidentale dell‟isola è stata in questo contesto vera protagonista: si trovano lì, oltre ad una serie di giacimenti caratterizzati da tale cultura materiale, le prime vere e proprie manifestazioni artistiche come nella Grotta di Cala dei Genovesi nell‟isola di Levanzo

55

(fig.1) e nella Grotta delle Incisioni dell‟Addaura

56

(fig.2) sul versante occidentale del Monte Pellegrino di Palermo.

Sono grotte ricoperte per buona parte da pitture e gruppi di incisioni di alto livello che “portano di colpo la Sicilia nell‟area di quella provincia mediterranea dell‟arte paleolitica, abbracciante la Francia e la Spagna mediterranea, oltre che l‟Italia continentale”

57

.

Sarebbe ovvio a questo punto accennare anche al Mesolitico in Sicilia, ma è piuttosto difficile farlo per due principali motivi: in primo luogo il fatto che la Sicilia, a causa della latitudine meridionale, non ha mai avuto un clima glaciale, secondo perché non sembra che siano esistite in Sicilia quelle culture che caratterizzano il mesolitico europeo

58

.

Sono soltanto due le stazione che sicuramente possono attribuirsi al Mesolitico e sono decisamente lontane dalla zona oggetto di questo lavoro: la grotta Corruggi di Pachino e il riparo sotto roccia della Sperlinga di San Basilio presso Novara di Sicilia.

In entrambi i siti si rivela il medesimo fenomeno, ovvero l‟anticipazione di quelle caratteristiche che saranno proprie della fase più antica del successivo periodo neolitico, a prova del fatto che tali contesti furono abitati da genti mesolitiche che vennero a contatto, magari precocemente, con genti neolitiche portatrici della cultura cosiddetta di Stentinello, tipica del Neolitico siciliano.

54 Cultura paleolitica diffusa tra 29.000 e 20.000 anni fa in gran parte d’Europa. È caratterizzata da lame o punte a dosso abbattuto, da grattatoi su estremità di lama, vicino a cui compaiono coltelli dei chiocciolai, punteruoli e punte a mano. Spesso questi manufatti hanno una spiccata tendenza microlitica, in altri casi forme decisamente geometrizzanti.

55 Bernabò Brea 1958, pp.24-sgg.; Graziosi 1962, pp.73-sgg.

56 Bovio Marconi 1953, pp.1-sgg.

57Voza 1979, p.8.

58Bernabò Brea 1958, p.30.

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20

Il Neolitico è l‟ultima fase dell‟Età della Pietra, al cui avvento corrisponde inevitabilmente un‟evoluzione del sistema di vita e dell‟attività dell‟uomo: si organizzano i primi insediamenti capannicoli, si plasmano i primi manufatti ceramici e l‟industria litica si specializza lavorando la selce e l‟ossidiana.

Come già premesso, la cultura neolitica più antica dell‟isola è quella di Stentinello, che prende il nome dal villaggio situato nella costa a nord di Siracusa scavato per la prima volta dall‟Orsi nel 1890.

Tale cultura ci si presenta come una novità assoluta rispetto a quelle precedenti, interrompendone addirittura l‟evoluzione.

L‟arrivo di nuove genti infatti permette non solo lo sviluppo di tale nuova fase, ma l‟inserimento dell‟isola in un circuito più ampio comprendente l‟intero Mediterraneo.

La ceramica tipica decorata con impressioni o con incisioni fatte nell‟argilla molle prima della cottura è il comune denominatore di questa cultura mediterranea (fig.3): dalla Siria settentrionale alla penisola balcanica, dall‟Italia (soprattutto in Puglia, Abruzzo e Liguria) alla Francia meridionale, dalla Catalogna al Levante spagnolo.

A tale periodo è collegabile la scoperta nella Grotta dell‟Uzzo, presso Trapani, di ceramica ascrivibile a tale gruppo, nonché testimonianze di una fase precedente a quella di Stentinello

59

. La fase media del Neolitico inoltre, nella zona, è stata chiarita dal rinvenimento di un villaggio con ceramica della facies di Serra d‟Alto nella bassa valle del Belice, presso Partanna

60

(fig.4).

Nel passaggio dall‟Età della Pietra a quella dei Metalli, ovvero l‟Età del Rame o Eneolitico, si verifica sull‟isola un susseguirsi di facies, distinguibili sia geograficamente sia per alcuni particolari della ceramica, che concorrono a dare un quadro molto complesso del fenomeno.

Riconosciamo: la cultura del Conzo (fra Canicattì e Siracusa), la cultura detta di S. Cono-Piano Notaro (nel catanese, tra Licodia Eubea e Vizzini), le ceramiche di Serraferlicchio (nei pressi di Agrigento), le successive culture di Malpasso

59 Tusa 1976.

60 Tusa 1989, p.13; Tusa-Valente 1994, pp.177-sgg.

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21

(Calascibetta) e di S. Ippolito (Caltagirone) (fig.5) e per finire la cultura detta della “Conca d‟Oro” che abbraccia l‟area nord-occidentale.

Comprende innanzitutto la provincia di Palermo e raggiunge alcuni siti della provincia di Trapani, come quello di Segesta, Erice, Paceco, Marsala, l‟isola di Mozia e S. Margherita Belice.

Ci troviamo così di fronte alla prima vera e propria facies nel territorio di nostro interesse che, come ci suggerisce la Bovio Marconi

61

, è “cuprolitica”, ma persiste fino all‟Età del Bronzo con caratteri evolutivi

62

, come ad Erice, Marsala e Mozia, dove “il carattere eneo

63

esiste”, distinguendosi così dal resto dei siti dove tali persistenze “costituiscono piuttosto un‟infiltrazione che un‟evoluzione”.

Un aspetto di questa facies ci invita a soffermarci e a riflettere su un dato interessante: il repertorio di ceramiche, dalle ollette globulari alle ciotole carenate, ai boccaletti decorati da incisioni, propone degli evidenti contatti con la cultura di S. Cono-Piano Notaro, ma anche con quella di Malpasso e di S. Ippolito, nonché rapporti con la cultura spagnola del Bicchiere Campaniforme (fig.6).

Sono appunto questi collegamenti a rappresentare quel dato interessante e inalienabile dallo studio di queste prime manifestazioni culturali, in quanto tradiscono uno sviluppo evidente dell‟area e dimostrerebbero, secondo il Tinè, “la contropartita della zona occidentale di tutto quel complesso di culture della Sicilia orientale”

64

che insieme preparano alla fioritura dell‟Età del Bronzo.

Tutto ciò è sicuramente espressione di un éthnos diverso rispetto a quello della compagine orientale, ma siamo ancora lontani dall‟attribuirlo ai Sicani, o più precisamente agli Elimi, in quanto è sicuramente da collocare in epoche meno remote l‟avvicendarsi sull‟isola delle principali etnie di età storica, ovvero Siculi, Sicani ed Elimi.

L’Antica Età del Bronzo

61Bovio Marconi 1944, pp.162-sgg.

62 Cfr. pp.5-sgg.

63 Periodizzazione orsiana: corrisponde al “II Periodo Siculo”.

64Tinè 1960-1961, pp.136-sgg.

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22

Tra la fine del III millennio e la prima metà del II a.C. si assiste ad un cambiamento che affonda le sue radici nella precedente facies e porta con sé un assestamento delle culture isolane.

La Sicilia in questo momento non presenta una cultura unitaria e si assiste ad una vera e propria cesura tra la maggior parte dell‟isola dove si sviluppa la cultura di Castelluccio e la parte dell‟estremo Occidente dove si verifica, invece, quasi un ristagno della cultura di tipo “Conca d‟Oro”, su cui s‟innesta la cultura di tipo Moarda e di Naro-Partanna.

La civiltà castellucciana esula infatti da un fenomeno che interessò l‟Ovest dell‟isola, ovvero la diffusione del Bicchiere Campaniforme, ma piuttosto si caratterizza per le tombe a grotticella e per la ceramica dipinta con linee brune o nerastre su fondo giallino o rossastro, la cui varietà decorativa così come quella delle forme è scarsa (fig.7).

Travalicando l‟area iblea nella quale nasce, tale facies si sviluppa ad Ovest, nel Nisseno, Ennese, Agrigentino, per l‟appunto fino all‟area del Belice dove si incontrò con il popolo del Bicchiere, e a Nord, fino a comprendere l‟area etnea e catanese, cosicché la cultura di Castelluccio riesce praticamente ad abbracciare oltre la metà dell‟isola.

L’Antica Età del Bronzo nella valle del Belice e il Bicchiere Campaniforme Profondamente mutato appare in questo periodo il quadro dello sviluppo culturale nell‟estremo Occidente dell‟isola, interessando inevitabilmente la valle del Belice, che come già anticipato, viene investita da un elemento nuovo ed interessante:

l‟arrivo del Bicchiere Campaniforme.

Questo tipico vaso dalla forma più o meno sinuosa e con decorazione realizzata o con impressione a cordicella, nel periodo più antico, o con impressione puntinata, è uno dei fenomeni di diffusione culturale e materiale su larga scala tra i più antichi e più vasti del mondo e uno dei temi più rinomati della preistoria europea.

È quasi all‟unanimità affermato che il Bicchiere Campaniforme giunge in Sicilia grazie alla Sardegna ed insieme a questo anche quel “Popolo del Bicchiere”

portatore di altre novità che sconvolsero la tradizione isolana: si tratta di nuove

credenze religiose e delle conseguenti novità in campo funerario che fecero sì che

(23)

23

la tradizionale sepoltura ipogeica venisse sostituita da strutture megalitiche, mai manifestatesi precedentemente sull‟isola.

Un asse Nord-Sud divide praticamente la parte occidentale interessata da questo fenomeno dal resto dell‟isola e, all‟interno di essa, collega la zona Nord e Sud: le valli dell‟Oreto a Nord e quella del Modione e del Belice a Sud.

La densità dei ritrovamenti permette di calcolare tipologicamente, cronologicamente e geograficamente l‟evidenza campaniforme della zona che, come sembra anche evidente per logica, si attesta precedentemente nella parte nord-occidentale rispetto a quella sud-occidentale

65

.

Nella prima infatti sembra che questa cultura si evolva pur rimanendo sempre legata alla tradizionale esclusione della decorazione dipinta dalla ceramica: si assiste dunque allo sviluppo dello stile Moarda (fig.8), che sancisce l‟incontro di due differenti tradizioni ceramiche ad incisione ed impressione, quella appunto del Bicchiere Campaniforme e quella di Capo Graziano delle Isole Eolie

66

. La compresenza è provata nei siti di Villafrati e per l‟appunto di Moarda.

Nella seconda invece il numero dei siti della cultura campaniforme è più massiccio: si concentrano per lo più tra Castelvetrano, Partanna, Salemi e Sciacca ed è lì che s‟incontrano con quello che è il complesso più occidentale della civiltà castellucciana, ovvero la cultura di Naro-Partanna.

Il rapporto delle due culture è vicendevole e palesa, come suggerito da alcune caratteristiche tipologiche, un‟attardarsi dell‟arrivo della cultura campaniforme in questa zona rispetto a quella Nord. Un ritrovamento notevole a tal riguardo è quello di Marcita (Castelvetrano, Trapani) dove gli esemplari campaniformi oltre ad avere una decorazione impressa acquisiscono la bicromia, tipica caratteristica della ceramica castellucciana, svelando una produzione di ottimo livello qualitativo (fig.9).

L‟altro elemento introdotto dal Popolo del Bicchiere, come abbiamo accennato prima, riguarda la tipologia funeraria: la classica tomba ipogeica a grotticella castellucciana viene trasformata con l‟aggiunta di un lungo dromos che assume

65Tusa 1994, p.114.

66La facies di Capo Graziano si sviluppa contemporaneamente alla facies di Castelluccio sull’isola.

La produzione ceramica di questo periodo è di impasto piuttosto grossolano e molto

frequentemente decorata con linee ondulate incise, o con rosette formate da puntini o anche con cuppelle. Frequentemente vi si trovano anche dei triangoli punteggiati.

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24

qui le caratteristiche di un vero e proprio corridoio dolmenico, dove emerge chiara la tecnica megalitica.

Ancora una volta la zona del trapanese, in piena valle del Belice, ci riporta gli esempi più interessanti tra i quali ricordiamo Pergole, Marcita

67

, Vallone San Martino e Corvo.

A riprova, ancora una volta, di una interessante contropartita della parte occidentale dell‟isola rispetto a quella orientale, si verifica tra il III e il II millennio a.C., contemporaneamente in entrambe le aree, un processo di gerarchizzazione della società che è verificabile archeologicamente con l‟aumento cospicuo degli insediamenti che si collocano intorno a poli ben precisi, come intorno alla zone della Conca d‟Oro, nella zona di Salemi, di Partanna nonché nell‟entroterra mazarese. Si tratta di veri e propri chiefdom

68

, da intendere non come insediamenti isolati ma come gruppi di insediamenti egemoni tra loro collegati, che avevano il monopolio delle risorse derivanti dalla gestione del metallo e nella cui ottica possiamo inserire l‟introduzione del Bicchiere come elemento di prestigio per sancire l‟incontro etnico-culturale tra due tradizioni diverse

69

. Questi siti, così come avveniva nell‟Oriente dell‟isola, prediligono le zone di transito e in questo caso soprattutto la rotta di collegamento da Nord a Sud, lungo le valle dell‟Orieto, del Modione e del Belice.

A conclusione di questo excursus nella Antica Età del Bronzo è opportuno puntualizzare che la medesima area belicina, oggetto principale del nostro studio, è anche interessata da un‟altra facies culturale che prende le mosse dalla zona settentrionale, quella di Rodì-Tindari-Vallelunga la cui caratteristica principale è una produzione ceramica completamente priva di decorazione pittorica e dalla forme piuttosto particolari

70

.

Le ricognizioni e gli scavi nell‟area, come quello presso Mokarta, hanno permesso infatti di individuarla come facies intermedia tra quella di Naro-Partanna e quella successiva thapsiana: l‟esistenza di una facies tardo castellucciana del Bicchiere

67 Marazzi-Tusa 1987, pp.49-62.

68 Forma di organizzazione sociale più complessa di una tribù, identificabile piuttosto come un vero e proprio piccolo regno con a capo l’aristocrazia maschile a partire dalla quale s’instaura una rigida gerarchia.

69Tusa 1994, p.123.

70 Come ad esempio ciotole con anse sopraelevate a “orecchie equine”.

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Campaniforme (quella di Naro-Partanna) lascia il posto ad una produzione nella quale gli elementi campaniformi diminuiscono per passare poi alla ceramica di Rodì-Tindari vera e propria. Così come accade nella valle del Platani dove i sondaggi sul pendio della collina della Serra del Palco di Milena

71

suggeriscono un‟analoga successione relativamente alla facies di Montedoro-Monteaperto (contemporanea a quella di Naro-Partanna nella valle del Belice) tardo- castellucciana, dove però la presenza del Bicchiere Campaniforme è marginale, e quella successiva thapsiana.

La Media Età del Bronzo

Da questo momento nell‟isola comincia a delinearsi quella dinamica culturale- etnica che troverà completo compimento nella Tarda Età del Bronzo e che condurrà al nostro punto di partenza: l‟archeologia degli Elimi.

È in questo periodo inoltre che la Sicilia ritorna ad essere accumunata dalla medesima civiltà, quella di Thapsos-Milazzese, sotto le quali insegne si verifica il momento di totale sicanizzazione dell‟isola; a tal riguardo La Rosa suggerisce di superare il toponimo geografico di Trinakrìe adottato fino a quel momento, e utilizzare quello culturale di Sikanìe

72

, dando credito così alle fonti storiche

73

circa l‟occupazione originaria dell‟isola da parte dei Sikani.

Altro elemento di sostanziale importanza è il verificarsi di veri e propri fenomeni di acculturazione egea, soprattutto nelle zone costiere, che permetteranno all‟isola di inserirsi nel grande circuito di scambi e commerci tra Mediterraneo ed Egeo.

I poli interessati da tali traffici sono soprattutto la Sicilia sud-orientale e quella centro-meridionale/occidentale: il primo con l‟eponimo sito di Thapsos (fig.10), che occupava l‟attuale penisola di Magnesi, fra Siracusa ed Augusta, insieme ad un gruppo di villaggi costieri nel territorio circostante, tra cui ricordiamo Plemmyrion, Cozzo del Pantano, Florida, Molinello di Augusta; il secondo ascrivibile all‟area nisseno-agrigentina e alla valle del Platani.

La cultura di Thapsos-Milazzese si distingue dalle fasi precedenti per l‟adozione di nuovi tipi ceramici, le cui forme e decorazioni tradiscono inevitabilmente un

71Palio 1994, p.361.

72La Rosa 1993, p.6.

73 Tucidide, Storie, libro VI, 2, 3.

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26

processo evolutivo e di specializzazione artigianale che prende le mosse sicuramente dalle epoche precedenti ma che qui raggiunge livelli di buona qualità e di standardizzazione.

Si tratta di una ceramica grigio-scuro la cui decorazione alquanto sobria riporta linee o gruppi di linee incise, motivi a festoni, a zig-zag o a spina di pesce; non mancano tra l‟altro le rappresentazioni di animali come uccelli, quadrupedi e pesci (fig.11).

A questa produzione locale si aggiunge quella d‟importazione micenea (fig.12), che denuncia processi di acculturazione avanzata, con l‟emergere di un‟aristocrazia commerciale e il conseguente consolidamento di una koinè culturale cosciente ormai della “diversità” della cultura indigena rispetto ai modelli allogeni trasmarini

74

.

A Thapsos tali processi, oltre che dalla cultura materiale, sono espressi sia a livello insediativo-abitativo sia nella sfera funeraria e in entrambi i casi sono evidenti soprattutto nell‟adozione di modelli architettonici tipicamente egei.

Le tradizionali capanne circolari vengono infatti sostituite da strutture quadrangolari che si dispongono intorno ad un cortile centrale, espressione più compiuta dell‟architettura del megaron miceneo. La regolarità di questa ultima sistemazione viene però già anticipata dalla precedente, in quanto anche le capanne tradiscono una logica distributiva “urbanistica”, disponendosi in lotti separati da muri perimetrali e inseriti all‟interno di una maglia viaria.

Il sistema dunque del “cortile centrale” seppur dimostra influssi micenei promuove, come è chiaro, già localmente un processo evolutivo tendente ad una certa programmazione “urbanistica”

75

.

Come già accennato anche la sfera funeraria viene investita da novità in campo architettonico. Nonostante localmente si rimanga fedeli alla tradizionale tomba a grotticella con dromos, questa si presenta con una sezione ogivale; inoltre altr i dettagli non strutturali come i riquadri nei portelli, i padiglioni d‟accesso, le panchine interne e i letti funebri ci aiutano ad enucleare ambiti culturali che hanno portato a proporre come modello la tomba a tholos costruita nel mondo egeo-

74 La Rosa 1993, p.10.

75Tusa 1994, p.153.

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27

miceneo e l‟adattamento, in alcuni casi, alla tradizione indigena con soluzioni evolutive che si esprimono ad esempio nelle tombe del tipo a forno

76

.

Ciò che accade a Thapsos, e che abbiamo descritto, è possibile ravvisarlo anche altrove, nel Siracusano e Ragusano, dove dati topografici particolarmente ricchi e numerosi ci permettono di intuire come il contatto con il mondo orientale possa aver travalicato il solo aspetto commerciale, investendo anche quello culturale mettendo in atto un processo di diversificazione culturale tenuto in mano, come già sostenuto, dai Sicani. Insito in questo processo vi è ovviamente anche lo svilupparsi di una nuova logica insediativa, nonché gerarchica, che conduce alla realtà proto-urbana che man mano tende a delinearsi.

La completa apertura verso l‟esterno di quest‟area sud-orientale non è contemplata nell‟area nisseno-agrigentina e nella valle del Platani, altro polo di ricezione micenea, che rimane sotto alcuni aspetti fedele alla tradizione come dimostrato, soprattutto nella prima fase thapsiana, dalla produzione ceramica, che rivela alcuni evidenti retaggi della precedente facies di Rodì-Tindari.

La denominazione Thapsos-Milazzese lungi dal voler generalizzare su tale facies, permette dunque di mettere a fuoco l‟unicità dell‟evento e nella Sicilia e nelle Isole Eolie, dove si verifica con assoluta contemporaneità lo stesso processo evolutivo in senso proto-urbano, frutto del medesimo rapporto con il mondo miceneo.

La Media Età del Bronzo nella valle del Belice

L‟indagine abbraccia l‟area palermitana e quella trapanese e si sviluppa a partire da due siti di fondamentale importanza, la grotta del Ferrero (Palermo)

77

e quella del Mangiapane (Custonaci-Trapani)

78

, accumunati dalla medesima produzione ceramica a sua volta assimilabile per caratteristiche tipologiche a quella thapsiana del resto della Sicilia.

Concentrandoci, all‟interno della valle, nel comprensorio del trapanese, tale facies è ascrivibile soprattutto all‟area della Montagna Grande e all‟importante centro

76Tommasello 1986, p.93.

77 Bernabò Brea 1958, p.139; Acanfora 1946, pp.186-192.

78 Vaufrey 1928, p.54; Bernabò Brea 1958, p.139.

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proto-urbano di Mokarta (che si svilupperà particolarmente nella Tarda Età del Bronzo).

La fase thapsiana in quest‟area mostra caratteristiche tipologiche del tutto simili a quelle orientali: a parte quelli già menzionati, altri siti, come quello di Mozia e di Favignana, tradiscono infatti una stessa logica insediativa prediligendo la zona costiera.

Mozia, per l‟appunto, trovandosi in un isolotto prospiciente la vicinissima costa marsalese farebbe ipotizzare un ruolo strategico-difensivo dell‟insediamento, un po‟ come medesimo ruolo potremmo riconoscerlo nel sito di Thapsos.

L‟insediamento appare frequentato già prima della fase thapsiana

79

, intorno al XVI a.C. mostrando una continuità insediativa dalla facies Rodì-Tindari Vallelunga fino appunto a quella di Thapsos.

Favignana

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invece è un‟isola di ben altre dimensioni, ma mostra in egual misura una frequentazione thapsiana dimostrata da una necropoli nella parte settentrionale dell‟isola, in contrada Torretta

81

, con il suo ipotetico insediamento di pertinenza a cui fa da contrappunto un altro insediamento nella costa meridionale, in contrada Calamoni. Le tombe della necropoli in questione sono del tipo già descritto precedentemente, tipicamente thapsiano, a grotticella con dromos.

Ci sono inoltre altri tre siti che attestano nel trapanese tale facies: il villaggio di monte Castellazzo di Poggioreale

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, l‟insediamento in contrada Marcita nei pressi di Castelvetrano

83

, e per ultimo quello di contrada Erbe Bianche presso Campobello di Mazara

84

.

Questi insediamenti ci suggeriscono un‟interessante e fondamentale differenza dell‟area rispetto al resto dell‟isola: la zona occidentale infatti viene esclusa da quei traffici e contatti con il mondo egeo-miceneo che abbiamo sopra descritto e che interessano la zona sud-orientale e quella centro-meridionale/occidentale.

79 Bovio Marconi 1963, pp.99.

80 Bovio Marconi 1952, pp.185-199.

81 Bisi 1968, p.27.

82Falsone 1980-1981, pp.931-sgg.

83 Tusa 1997.

84 Tusa 1993-1994, pp.1536-1537.

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