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Capitolo quarto

RIFORMA ATTUALE DELLA FILIAZIONE

Sommario: 1. Premessa. - 2. L. 219/2012. - 3. D. Lgs. 154/2013

1.Premessa

Dalla promulgazione del Codice civile del 1942 sino ai nostri giorni, numerosi sono stati gli interventi della Corte Costituzionale e della Corte di Cassazione le cui sentenze hanno, dato di volta in volta, minato l’ impianto normativo attinente la diversa condizione dei figli .

Per una tradizione secolare, il trattamento giuridico e sociale dei figli era profondamente diverso a seconda che questi fossero nati da genitori tra loro coniugati o non uniti in matrimonio e particolarmente penalizzante era il trattamento di coloro che fossero stati generati al di fuori del matrimonio da persone sposate, c. d. adulterini, dei quali fino alla riforma del 1975 non era neppure consentito il riconoscimento da parte del genitore.

L’ evoluzione della morale sociale e del costume ha condotto ad un progressivo superamento delle disparità di trattamento tra i figli, che

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tuttavia soltanto con l’intervento legislativo di cui alla L. 219/ 2012 sono state interamente rimosse.

Infatti il sistema scaturito dalla riforma del 1975 conservava la distinzione: il figlio era legittimo se concepito da genitori uniti in matrimonio (contava il momento del concepimento e non quello della nascita) era definito, invece, naturale (e prima della riforma del 1975 il Codice lo diceva illegittimo) il figlio concepito da genitori non sposati tra loro.

Nella previsione originaria del Codice civile la condizione dei figli naturali era decisamente deteriore rispetto a quella dei figli legittimi. L’insoddisfazione, quindi, per il trattamento giuridico riservato ai figli naturali, è stato motivo di numerose pronunce della Corte Costituzionale, per mezzo delle quali sono state dichiarate illegittime disposizioni che non apparivano conformi al dettato della Carta fondamentale perché discriminatorie (art. 3 e 30 Cost.).

Gli interventi della Corte, tuttavia, non sono stati risolutivi poiché, pur evidenziandosi questioni di grande importanza, si è ritenuto che i precetti costituzionali non fossero idonei ad individuare univocamente un assetto normativo compiuto per il quale si richiedeva una specifica legge ordinaria.

È quello che è avvenuto, per esempio, per taluni profili del trattamento successorio, rispetto ai quali la Corte ha ritenuto che i propri poteri trovassero un limite nella discrezionalità del legislatore al quale la Corte non può, ovviamente, sostituirsi e del quale pertanto si invocava l’intervento.

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una differenza di regime tra le due figure di filiazione: l’art. 30, co 3, della Carta costituzionale stabilisce che la legge assicura ai figli nati

fuori del matrimonio ogni tutela giuridica e sociale compatibile con i diritti dei membri della famiglia legittima per cui il trattamento

differenziato riservato all’ una e all’ altra categoria di figli non poteva ritenersi illegittimo in sé per il solo fatto che fosse prevista una diversità di regime giuridico, piuttosto necessitava una valutazione di concreta adeguatezza al principio di cui all’ art. 30, co 3, Cost. che implica un contemperamento tra l’esigenza di assicurare tutela ai figli nati fuori del matrimonio da un lato e ai diritti dei componenti la famiglia legittima dall’altro.

La riforma del diritto di famiglia del 1975 aveva quasi parificato i figli naturali a quelli legittimi, ma non completamente.

Se negli anni ’70 del secolo scorso quel quasi poteva bastare nel raffronto tra la disciplina riformata e quanto stabilito ai figli illegittimi dal Codice civile del 1942, con il passare del tempo le differenze di trattamento, ancora esistenti, avevano finito per apparire intollerabili.(147)

L’ immobilismo della situazione italiana spiccava in un contesto europeo dove, anche se su iniziativa della Corte di Strasburgo, l’ unicità dello status di figlio era una conquista raggiunta da anni(148).

(147)

Rinvio alla mia Introduzione in Il nuovo diritto di famiglia, Trattato diretto da Ferrando, vol. III, Filiazione e adozione, Bologna, 2007, pp. 3 ss. Ancor prima v. M. C. BIANCA, La filiazione: bilanci e prospettive a trent’ anni dalla riforma del

diritto di famiglia, in Dir. fam. pers., 2006, pp. 207 ss. e in G. FREZZA (a cura di), Trenta anni dalla riforma del diritto di famiglia, Milano, 2005.

(148)

V. A. DIURNI, La filiazione nel quadro europeo, in G. FERRANDO (a cura di), Il nuovo diritto di famiglia, III, cit., p. 41 ss.; M. G. CUBEDDU, Diritto della

filiazione in Europa tra diritti e interessi della persona e di terzi, in Ferrando e

Laurini (a cura di), La riforma della filiazione, in Quaderni de Il notariato, Milano, 2013, p. ??? V. anche D. HENRICH, La riforma della filiazione in Germania,

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La nostra Corte Costituzionale aveva rimosso residue disparità di trattamento presenti nel Codice o nella legislazione speciale(149), aveva ampliato le possibilità di accertare la filiazione naturale(150) e aveva riscritto la disciplina della prova del disconoscimento di paternità(151).

Su alcune questioni, però, è stata irremovibile.

Il rapporto tra parenti naturali è stato recentemente riguardato come relazione di consanguineità e non come vincolo giuridico di parentela.(152).

Il diritto di commutazione (art. 537 c.c.) è stato ritenuto legittimo in relazione al 3° co, dell’ art. 30 Cost.(153) .

E’ stata confermata, altresì, l’imprescrittibilità della impugnazione del riconoscimento (art. 263 c.c.) a conferma del termine

Annuario del diritto tedesco, diretto da Patti, Milano, 1998, p. 33; A. DIURNI, La riforma del IV libri del BGB: il nuovo diritto di filiazione, ivi, p. 47.

(149)

Cfr. Corte cost. 3 luglio 2000, n. 250 in Foro it., 2001, I, c. 1100 relativa

all’art. 803 cc.; Corte cost. 20 luglio 2004, n. 245. Relativa all’art. 291 c.c.; Corte cost. 26 giugno 1997, n. 203, in Giur. it., 1998,p. 206, con nota di Pasotti, relativa al ricongiungimento familiare; Corte cost. 24 luglio 2000, n. 332, relativa ai requisiti necessari per essere reclutati nel Corpo della Guardia di Finanza. E v. anche Corte cost. 11 marzo 2009, n. 86, a proposito della rendita INAIL a favore dei figli del lavoratore deceduto.

(150) V. Corte cost. 28 novembre 2002, n. 494 (che ammette la dichiarazione

giudiziale di paternità dei figli incestuosi); Corte cost. 10 febbraio 2006, n. 50 (che ha abrogato la fase preliminare di ammissibilità nella dichiarazione giudiziale).

(151)

V. Corte cost. 6 luglio 2006, n. 266.

(152)

Di conseguenza il figlio naturale non ha diritti successori nei confronti dei collaterali, salvo che nei confronti dei fratelli naturali,ma solo quando manchino altri parenti legittimi entro il sesto grado (art. 565 c. c.). Cfr. Corte cost. 4 luglio 1979, n. 55, in Giur. it., 1980, I, 1, 1222, con nota di Ferrando; Corte cost. 24 marzo 1988, n. 363, in Giur. it., 1988, I, p. 1500; Corte cost. 12 aprile 1990, n.184, in Rass. dir. civ., 1991, I, p. 422 con nota di Prosperi; Corte cost. 7 novembre 1994, n. 377, ivi, 1995, I, p. 84; Corte cost. 23 novembre 2000, n. 532, in Giust. it., 2001, p. 591, con nota di M. C. Bianca.

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di prescrizione annuale previsto dall’art. 244 c.c. per il disconoscimento di paternità(154).

Alla luce di quanto premesso, l’esigenza, sentitissima, di arrivare a una parificazione completa, anzi di più,a una vera e propria unificazione dello stato di figlio senza più alcuna distinzione.

Questo, appunto, è ciò che la nuova L. 219/2012, ha proclamato di voler fare.

Se ne parlava dal 2007, anno in cui il Governo allora in carica aveva presentato lo schema di un disegno di legge poi mai giunto alla discussione parlamentare.

In data 10 dicembre 2012, su imput del Governo Monti, il Presidente della Repubblica, Napolitano, ha promulgato il testo n. 219 riguardante Disposizioni in materia di riconoscimento dei figli naturali predisposto nell’ambito della Commissione istituita presso la Presidenza del Consiglio dei Ministri.

La Legge in commento giunge all’esito di una lunga evoluzione normativa tutta misurata sul terreno della progressiva parificazione dei figli legittimi ai figli naturali e ciò che interessa ai nostri fini è individuare qual è il portato finale di quell’ evoluzione normativa che può essere senz’altro individuato nel principio di unicità di stato e, quindi, nell’ eliminazione di ogni differenza ontologica tra i figli, anche sul piano astratto e formale, e on soltanto sul piano concreto del trattamento giuridico sostanziale.

La ratio della riforma in esame, infatti come accennato, traduce la inderogabile volontà del legislatore di giungere al superamento di ogni

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disparità normativa tra figli legittimi e figli naturali, in virtù del principio della unicità dello status di figlio con conseguenti e significativi riflessi giuridici nella materia dello stato civile.

Una rivoluzione culturale prima ancora che giuridica alla quale il Parlamento, secondo autorevoli giureconsulti, è giunto in ritardo se si considera che il principio della pari dignità è da anni un punto chiave nel dibattito dei giuristi.

Ogni anno, infatti, nascono in Italia più di mezzo milione di bambini di cui circa il 23% fuori dal matrimonio; da qui la necessità di formalizzare con una apposita normativa la posizione di questi bimbi.

2. Legge 10 dicembre 2012, n. 219

A partire dal 2 gennaio 2013, tutti i figli hanno lo stesso status. E’ quanto detta la legge 10 dicembre 2012, n. 219 che, sotto un titolo singolare e non pienamente indicativo Disposizioni in materia di

riconoscimento dei figli naturali, ha inteso, in realtà, unificare la

condizione dei figli, vale a dire rendere la loro condizione giuridica indifferente rispetto al fatto che tra i genitori vi sia o non vi sia il matrimonio.

La nuova legge, infatti, proclama finalmente in forma ufficiale che Tutti i figli hanno lo stesso stato giuridico (nuovo art. 315), affermazione di principio che costituisce il manifesto programmatico della nuova legge e che, di certo, ha valore di canone interpretativo generale di tutta la materia.

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Sulla base di questo principio che costituisce il contenuto della prima disposizione del Titolo IX del Libro I, viene modificato l’assetto giuridico della filiazione, viene disposta la sostituzione nel codice civile e negli altri testi di legge, delle parole figli legittimi e figli naturali con la parola figli (art. 1, co 11 L. 219/2012), mentre, qualora occorra comunque distinguere, in particolare in sede di disciplina della costituzione del rapporto di filiazione, l’ espressione figli naturali è sostituita con figli nati fuori dal matrimonio (art. 2, co 1, lett. A della L. 219/2012).

Così la terminologia figli, utilizzata perché più coerente con lo spirito della nuova legge, sembra da subito contraddetta dal titolo della sua stessa rubrica che mantiene, paradossalmente, quell’espressione figli

naturali che al contempo è stata eliminata dall’ordinamento; sarebbe

stato più appropriato, quindi, riferirsi a Disposizioni in materia di

filiazione, secondo la rubrica dell’ art. 1.

Il principio ispiratore che caratterizza tutta la nuova legge sulla filiazione è quello della prevalenza dell’interesse del figlio,specie se minore, su ogni altro interesse giuridicamente rilevante che si ponga in contrasto.

Fin dalla prima lettura del testo, che ha modificato il codice civile, le disposizioni di attuazione del codice civile e quelle transitorie, si coglie, infatti chiaramente la volontà del legislatore di raggiungere una effettiva uguaglianza giuridica(155) tra figli legittimi, naturali e adottivi

(155)Il Comitato Onu, nelle sue Osservazioni conclusive all’Italia, già il 31 ottobre

2011, aveva manifestato forte preoccupazione nei confronti del nostro Stato che restava fra quelli dove permanevano discriminazioni in danno dei figli nati fuori del matrimonio e richiamava il legislatore ad unificare lo status filiationis.

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considerandoli, appunto, d’ora in avanti tutti semplicemente figli a prescindere dalla situazione della nascita.

La tecnica prescelta dal legislatore, per “rendere operativa” dal punto di vista formale la completa equiparazione dei figli naturali a quelli legittimi, è stata quella di non definire, direttamente con l’ attuale riforma, gli interventi da operare, delegandoli piuttosto in larga parte al Governo.

L’art. 2 della L. 219/2012 ha, infatti, conferito delega al Governo per la modifica delle disposizioni vigenti al fine di eliminare ogni residua discriminazione tra figli nati nel matrimonio e figli nati al di fuori di esso.

La legge si compone di sei articoli, il primo dei quali contiene modificazioni che incidono direttamente e con effetto immediato sulla disciplina del codice civile, mentre i successivi dettano i principi e i criteri direttivi per l’ esercizio della delega rilasciata al Governo (art. 2), alcune rilevanti modificazioni di natura processuale con le relative disposizioni transitorie (artt. 3 e 4) e la previsione di modifiche alle norme regolamentari in materia di stato civile (art.5).

Da un esame delle norme e della L. 219/2012, già entrate in vigore, si evincono delle novità a dir poco dirompenti rispetto al precedente assetto normativo.

Si pensi alla disposizione centrale attorno alla quale ruota la intera legge: sicuramente è quella relativa al novellato art. 315 c.c. rubricato Stato giuridico della filiazione la quale, espressamente, pone il principio di unicità di stato con riferimento a tutti i figli senza distinzione alcuna.

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In conseguenza della disposizione di principio , sopra riferita, significative modifiche vengono apportate al codice civile dall’ art. 1 della L. 219/2012 che interviene in primis sulle norme che regolano il rapporto di parentela cosicchè all’art. 74 ridefinisce i contorni della nozione di parentela, intesa come rapporto tra soggetti discendenti da uno stesso stipite, senza che a tal fine rilevi la circostanza di un recedente matrimonio, precisando che il vincolo di parentela sorge anche nei casi di adozione.

La portata di questa norma è duplice.

Da una parte, viene meno la ragione d’ essere dell’istituto della legittimazione che, ora, viene abrogato in toto dalla stessa legge (art. 1, co 10, L. 219/2012).

La legittimazione, infatti, consentiva al genitore naturale di far acquisire ai figli, nati fuori del matrimonio, gli stessi diritti dei figli legittimi.

La piena equiparazione di questi ultimi ai figli nati fuori matrimonio, che siano stati riconosciuti, fa venir meno ogni funzione pratica della legittimazione.

Oltre ciò, la disposizione citata si riferisce, altresì, ai figli

adottivi, facendo così ritenere che il pieno inserimento di questi nella

famiglia dell’adottante non sia limitato all’ipotesi ordinaria di adozione di minori, un tempo detta appunto legittimante, ma si estenda anche alle ipotesi di adozione in casi particolari, per le quali un tale effetto in precedenza si riteneva escluso.

Ad avvalorare tale interpretazione è il fatto che la norma in questione esclude esplicitamente, l’insorgenza del vincolo di parentela

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solo in caso di adozione di persone maggiori di età.

Con le medesime finalità, l’art. 1, co 4, novella l’art.258 c.c. affermando espressamente che il riconoscimento non si limita a produrre effetti per il genitore che lo ha effettuato, ma estende la propria efficacia anche sui parenti del genitore stesso.

Proseguendo la nuova legge interviene sull’art. 250, co 5, c.c. temperando il divieto di riconoscimento, da parte dei genitori con meno di sedici anni di età, con la possibilità per il giudice di autorizzare l’infrasedicenne, valutate le circostanze e avuto riguardo all’interesse del figlio; non solo: riformula l’art. 251 c.c., ampliando la possibilità di riconoscimento dei figli incestuosi.

La norma, ora rubricata Autorizzazione al riconoscimento, elimina per i genitori il requisito della inconsapevolezza, al momento del concepimento, del legame parentale tra loro esistente come anche la necessità della dichiarazione di nullità del matrimonio da cui deriva l’affinità.

Viene precisato, inoltre, che se il riconoscimento riguarda un minore, sulla base del suo superiore interesse, l’autorizzazione compete al Tribunale dei Minori.

La riforma, quindi, ribalta completamente la ratio della precedente disciplina consentendo il riconoscimento in generale dei figli, purchè ciò si coniughi con l’interesse del minore, e persegue coerentemente la logica a cui è ispirata la nuova legge che, nel caso specifico, è quello di non far gravare su i figli le condotte dei genitori.

L’idea di base è, infatti, che il riconoscimento deve essere precluso, non in base alla condizione giuridica di irriconoscibilità del

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figlio,ma esclusivamente in base alla considerazione del suo interesse, perfino ad arrivare a stabilire che un divieto non ha motivo di esistere quando il riconoscimento è per il minore favorevole.

Da evidenziare, poi, che la portata innovativa della legge in commento si fa sentire anche in altri ambiti: dall’introduzione nel codice civile dell’art. 315 bis, che attribuisce un ruolo centrale al minore all’interno del processo, estendendo la possibilità di essere ascoltato in tutte le questioni e le procedure che lo riguardano, all’aver rafforzato, nella relazione figli-genitori il concetto di responsabilità genitoriale; basti pensare alle modifiche ed integrazioni apportate dalla legge alla rubrica del Titolo IX del Libro I del codice civile, sulla potestà dei genitori, con il richiamo ai diritti e doveri del figlio, facendo riferimento al nuovo art. 315 bis c.c..

Si tratta della disposizione che sostituisce il precedente art. 315 c.c., ed affianca ai doveri del figlio verso i genitori, quali rispettarli e contribuire, finchè convive con essi, al mantenimento della famiglia in relazione al proprio reddito e alle proprie capacità, i diritti corrispondenti come: il diritto del figlio ad essere mantenuto, educato, istruito ed assistito moralmente dai genitori, nel rispetto delle sue capacità, inclinazioni naturali ed aspirazioni, a crescere in famiglia e a mantenere rapporti significativi con i parenti; ad essere ascoltato in tutte le questioni e procedure che lo riguardano, se ha compiuto i dodici anni o anche in età inferiore, purchè capace di discernimento.

Conseguentemente, sempre, l’attuale legge introduce nel codice civile l’art. 448 bis, che sottrae i figli dall’adempimento dell’obbligo di

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prestare gli alimenti nei confronti del genitore decaduto dalla potestà e permette loro di escluderlo dalla successione, salvo eccezioni.

Riassumendo: il legislatore, nel prevedere e stabilire le modifiche al nostro sistema civilistico, ha altresì delegato il Governo, a disciplinare alcuni aspetti in materia di filiazione, consegnando all’art. 2 il compito di adottare uno o più decreti legislativi di modifica delle disposizioni vigenti in materia di filiazione, di dichiarazione dello stato di adottabilità e di adeguamento della normativa delle successioni e donazioni.

3. Decreto legislativo 28 dicembre 2013, n. 154

Così, il 28 dicembre 2013, il Presidente della Repubblica ha emanato il decreto legislativo n. 154(156) che porta a compimento la più grande modifica del diritto di famiglia successiva alla legge 151/1975.

Infatti, in attuazione della delega contenuta nell’art. 2 della legge 10 dicembre 2012, n. 219,è stato dato corso, alle modifiche, ai principi e ai criteri direttivi dettati dalla L. 219/2012, riscontrabili alle lettere da a) a p), volti ad uniformare la disciplina codicistica e quella speciale alla unicità di stato di figlio nonché ad introdurre disposizioni in merito all’ascolto del minore (lett. i); alla disciplina del rapporto del minore con gli ascendenti ovvero il diritto dei nonni a far valere il diritto di mantenere rapporti significativi con i nipoti minori (lett. p); alla

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D. Lgs. 28 dicembre 2013, n. 154, Revisione delle disposizioni vigenti in

materia di filiazione, a norma dell’ art.2 della legge 10 dicembre 2012, n. 219,

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previsione della segnalazione alle autorità competenti, da parte dei Tribunali dei minori, delle situazioni di disagio (lett. o).

Con i nuovi articoli introdotti con il decreto legislativo, da

337-bis a 337-octies,c.c., il nostro ordinamento si dota di un corpo giuridico

unico comune per i rapporti fra genitori e figli così da diventare il solo riferimento per le controversie genitoriali, di separazione, divorzio o nel caso di interruzione di convivenza tra persone anche non sposate.

A tal fine, la prima conseguenza di questo cambiamento è stata quella di ridefinire, nei codici e nelle leggi speciali, alcuni termini; allora il termine potestà genitoriale cambia in responsabilità genitoriale in modo da inquadrare nel concetto di responsabilità genitoriale l’insieme di diritti e doveri che gravano su una persona fisica o giuridica in virtù di una decisione giudiziaria, della legge o di un accordo in vigore riguardanti la persona e i beni del minore(157).

Secondo la più avveduta dottrina, la potestà genitoriale è un potere attribuito ai genitori, non già nell’interesse personale e neppure della famiglia in quanto collettività, bensì nell’interesse dei figli.

Non si riduceva, dunque, ad un potere da esercitare sui figli, ma ad un potere che agisse per i figli.

Conseguentemente non designava l’attribuzione di un diritto soggettivo, ma costituiva un munus, in cui la discrezionalità attribuita al genitore era volta a svolgere un processo educativo del figlio(158).

(157)

M. DOGLIOTTI, Nuova Filiazione: la delega al Governo, in Fam. e dir., 2013, 279; M. SESTA, Filiazione, in Tratt. Dir. priv. Bessone, IV, Il diritto di

famiglia, a cura di Auletta, Torino, 2011, 113 ss.

(158)

Cfr. A. C. MORO, Manuale di diritto minorile, Bologna, 2012, 194, il quale

evidenzia che tale nozione si è evoluta a seguito della del diritto di famiglia del 1975, e soprattutto della legge 8 febbraio 2006 n. 54 sull’affidamento condiviso, con

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Il fondamento della nozione di potestà genitoriale così intesa, si poteva riscontrare nell’art. 30, co 3, Cost., per il quale il genitore viene investito di un potere di scelta nell’interesse del figlio senza interferenza alcuna del giudice(159).

Interpretazione questa, che trova piena rispondenza nella pronuncia della Corte Cost. n. 132/1992 che l’ha qualificata come

diritto-dovere che trova, nell’interesse del figlio, il suo fondamento e il suo limite(160).

Un’ulteriore spinta evolutiva, che ha condotto all’elaborazione della nuova categoria della responsabilità genitoriale, è scaturita dalla normativa sovranazionale e comunitaria.

Da qui il concetto che richiama con forza il titolare ai doveri di cura, educazione e protezione del minore, propri del ruolo genitoriale(161).

Tra le diverse modifiche normative operate con il presente decreto alcune sono da considerare di particolare rilevanza.

In attuazione del principio di delega contenuto nell’art. 2, co 1, lett. d), viene ridefinita la disciplina del disconoscimento di paternità nel rispetto dei principi costituzionali presenti in numerose sentenze della

l’introduzione di una disciplina dei rapporti tra genitori e figli nell’ambito del procedimento di separazione giudiziale, e che travalicano altresì nella famiglia di fatto.

(159)

Cfr. P. VERCELLONE, La potestà dei genitori e i rapporti tra genitori e figli,

in Trattato di diritto di famiglia (diretto da P. Zatti), Giuffrè, Milano, 2012, 1234.

(160)Cfr. Corte cost. 27 marzo 1992, n. 13, in Giur. cost.1992, 1108. (161)

Cfr. A. C. MORO, op. cit., 195, che evidenzia come l’espressione

responsabilità genitoriale abbia un maggiore valore semantico, con riferimento ai doveri genitoriali nei confronti del minore, rispetto al termina potestà.

(15)

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Consulta(162) e viene estesa la presunzione di paternità del marito rispetto ai figli comunque nati o concepiti durante il matrimonio, mentre sempre nell’art. 2, co 1, lett. g) sono stati introdotti limiti all’imprescrittibilità dell’azione di impugnazione del riconoscimento per difetto di veridicità, introducendo limiti di decadenza per l’esercizio dell’azione da parte dei legittimati diversi dal figlio, per il quale invece è stata mantenuta l’imprescrittibilità dell’azione.

In applicazione del principio di unicità di stato giuridico dei figli s è dettata una disciplina quanto più omogenea delle due azioni, di disconoscimento della paternità, e di impugnazione del riconoscimento di veridicità, contemperando i due interessi in gioco, quello del favor

veritatis con quello della certezza e stabilità dello stato giuridico

acquisito dal figlio.

Di sicuro rilievo è con la previsione alla lett. p), della legittimazione degli ascendenti a far valere il diritto di mantenere rapporti significativi con i nipoti minorenni.

Tale principio trova attuazione nell’ art. 42 del D. Lgs. 154/2013, che così sostituisce l’art. 317-bis c.c.

L’anzidetto diritto veniva espressamente disciplinato nel previgente articolo 155 c.c., come modificato dalla legge 54/2006.

Con il novellato art. 317-bis c.c., si prevede il diritto dell’ascendente, che incontri impedimenti all’esercizio di tale diritto, di ricorrere al giudice del luogo di residenza abituale del minore stesso, operando riguardo agli aspetti procedurali,un rinvio all’art. 336, co2, c.c..

(162)

Cfr. tra le altre, Cass. 6 maggio 1985, n. 134; Cass. 14 maggio 1999, n. 170;

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La competenza per tali procedimenti è attribuita al Tribunale per i Minori dall’art. 96, nella parte in cui modifica l’art. 38 disp.att c.c.,in ossequio all’orientamento giurisprudenziale dominante che riconduce tali controversie all’ art. 333 c.c.

Sarà, la giurisprudenza, a coordinare questa nuova competenza con la complessa disciplina del nuovo riparto di competenze di cui all’art.38 disp. att. c.c..

Di più immediato impatto procedurale è il principio enunciato nella legge delega dall’art. 2 lett.i), in materia di disciplina delle modalità di esercizio del diritto all’ascolto del minore.

L’art. 53 del citato decreto delegato introduce nel nostro ordinamento l’art. 336bis c.c.

Il nuovo articolo, dando attuazione al principio contenuto nella lett.i) del 1° comma art. 2 legge delega, disciplina l’ascolto del minore.

La norma, in aderenza al richiamato principio, prevede che all’ascolto del minore che abbia compiuto dodici anni e anche di età inferiore, se capace di discernimento, provveda il presidente del tribunale o un giudice da questi delegato nell’ambito dei procedimenti che lo riguardano.

Applicando un principio espresso oltre che dalla Suprema Corte, anche dalle Corti sovranazionali, la norma chiarisce che l’ ascolto del minore è un diritto del minore, dal quale non deriva un obbligo del giudice di procedervi, poiché in ogni caso occorrerà valutare, oltre all’età ed alla capacità di discernimento del minore stesso, anche che

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l’audizione non possa nuocere, alla luce delle circostanze del caso concreto, al suo superiore interesse(163).

Per questo, l’ultima parte del 1° comma dell’art. 336-bis c.c. prevede che, qualora l’ascolto sia in contrasto con l’interesse del minore, il giudice non procederà all’adempimento, dandone atto con provvedimento motivato. Un ulteriore temperamento del’obbligo di ascolto del minore, è costituito dall’ipotesi in cui l’ascolto sia

manifestamente superfluo.

La dottrina ha avanzato perplessità su questa clausola, che sembra limitare la portata del pieno diritto all’ascolto attribuito al minore(164).

Nel 2° comma dell’art. 336 bis c.c. vengono disciplinate le modalità dell’ascolto.

E’ previsto che l’ascolto possa essere condotto dal giudice anche avvalendosi di esperti e ausiliari; infatti potrebbe essere necessario avvalersi di specifiche competenze qualora, in ragione delle circostanze del caso concreto, si ravvisi l’opportunità di un’assistenza qualificata che integri la competenza del magistrato procedente.

(163)

Cfr. F. TOMMASEO,Verso il decreto legislativo sulla filiazione: le norme processuali proposte dalla Commissione ministeriale, in Fam. e dir. n.6/2013, 629, il

quale ritiene non condivisibile la Relazione illustrativa, nella parte in cui argomenta la superfluità dell’ascolto, quando verta su circostanze acclarate o non contestate, atteso che, l’ascolto essendo privo di finalità istruttorie, non rileva come dichiarazione di scienza., ma serve soltanto a raccogliere una manifestazione di volontà del minore. Per tale ragione, la clausola della manifesta superfluità viene ritenuta equivoca e pericolosa, poiché il minore ha il diritto d’essere ascoltato, un diritto che attua l’interesse del minore e che può essere limitato e compresso solo quando sia accertata la contrarietà a tale suo superiore interesse.

(164)

Cfr. Cass. Sez. un., 21 ottobre 2009, n. 22238, in Dir. famiglia 2010, 4, 1565,

con nota di Tarricone, che, in materia di sottrazione internazionale di minori, prevede che dall’omesso immotivato ascolto del minore, discenda la nullità del procedimento.

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Tale previsione appare eccessivamente rigida, nella parte in cui esclude altre modalità di ascolto indiretto.

La seconda parte del 2° comma prevede che i genitori, i difensori delle parti, il curatore speciale del minore, se già nominato, ed il pubblico ministero potranno partecipare all’ascolto solo se autorizzati dal giudice.

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