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1. OBIETTIVI QUALITATIVI GENERALI DI PROGETTO dei Carabinieri a Pisa PARTE II- Progetto del Comando Provinciale dell’ Arma

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PARTE II- Progetto del Comando Provinciale dell’ Arma

dei Carabinieri a Pisa

1. OBIETTIVI QUALITATIVI GENERALI DI PROGETTO

Oggetto dello studio è la valutazione del possibile trasferimento del Comando Provinciale dell’Arma dei Carabinieri, situato nei contenitori storici di via Guido Pisano, nel comparto terminale del Comune di Pisa in zona Cisanello, nell’ambito di un più ampio percorso di riqualificazione urbana. Esiste infatti la necessità di trasferire unitariamente le funzioni militari, attualmente insediate in sito storico, in un nuovo e più adeguato complesso edilizio da collocare in prossimità del confine territoriale tra i comuni di Pisa e San Giuliano.

Il trasferimento in detta zona del Comando Provinciale dell’Arma dei Carabinieri è stato deciso in sede di approvazione del Piano Strutturale, in accoglimento di una specifica osservazione in tal senso. La rilocazione del comando provinciale, con il corredo di attrezzature (spazi per i mezzi) e di residenza per i militari, è stato recepito come obbiettivo di Piano Strutturale in quanto determina il beneficio della liberazione del centro storico da tali funzioni che attualmente soffrono il disagio di una difficile ospitalità in contenitori storici, e determinano disagi alla vivibilità ordinaria della zona. A seguito della rilocazione sarà possibile riconvertire i contenitori liberati ad altre funzioni di servizio, più coerenti con le scelte funzionali di centro storico.

L’edificazione nell’area godrà di una grande visibilità, in quanto unica edificazione significativa di tutto il comparto terminale del territorio comunale nell’interfaccia è stato classificato dal Piano Strutturale come area di connessione e quindi dal regolamento urbanistico come area agricola periurbana, con forti limiti alla edificazione. L’edificazione è subordinata alla stipula di una convenzione relativamente a:

• Il vincolo di destinazione del complesso a sede del comando carabinieri: durata temporale e regime sostitutivo alla sua scadenza;

• La realizzazione del tratto di viabilità di collegamento tra Via Pungilupo e la viabilità provinciale di collegamento tra il CNR e Via di Mezzana.

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2. INCONTRO CON IL “LUOGO”

L’area è posta in prossimità del confine comunale con il comune di S. Giuliano Terme. Essa è accessibile dalla Via Pungilupo. Attualmente a condizione agricola. Essa è attraversata dal canale di raccolta delle acque meteoriche del quartiere, tuttora privo di collegamento (mediante impianto di sollevamento) con il fiume Arno. Tale condizione determina fenomeni di malsania dovuti a putrescenza dei materiali organici impropriamente ed eventualmente finiti nel bacino chiuso (figura 1).

Figura 1. Foto dello stato di fatto dell'area di progetto

L’area appare smagliata, priva di configurazione e disegno urbano; il carattere frammentato del tessuto urbano è accentuato da una serie d’elementi, funzionali e sicuramente necessari, però disposti con notevole densità e fuori da un progetto d’arredo urbano. Il tutto contribuisce alla sensazione di vuoto, d’area urbana incompiuta che emerge semplicemente e direttamente attraverso un’analisi visuale - percettiva (o gestaltica) (figura 2).

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Figura 2. Sintesi dell'analisi del tessuto urbano con lotto di interesse in evidenza

Osserviamo che l’area d’intervento, estesa a quella d’immediata influenza visiva, costituisce un “margine” (Lynch, 1964). Come precedentemente specificato il margine fisico più importante è rappresentato da confini puramente amministrativi tra i comuni di San Giuliano Terme e Pisa. Il margine “funzionale” è definito invece dalla contrapposizione di due aree con diverse valenze, quali l’alta concentrazione di servizi scolastici e culturali per l’area di Pisa e servizi commerciali e produttivi per San Giuliano Terme.

I “margini” hanno il potere di legare e dividere al tempo stesso. Essi contribuiscono fortemente a costruire l’identità di un luogo. Essi, però, non devono essere necessariamente costruiti, impenetrabili, non necessariamente sono una barriera; essi possono avere carattere di sutura, cucitura e passaggio mediato tra un’area e un'altra. I margini, come i percorsi, possono avere carattere di direzionalità ed individuare un dentro e un fuori.

Trattandosi di area di limitata estensione, in posizione avanzata rispetto all’allineamento dell’edificazione più prossima (grandi immobili residenziali di Via Pungilupo) è opportuno che l’edificazione presenti caratteristiche morfologiche che ne sottolineino la diversità ed il valore di testata costituito dell’area inedificata lineare di bordo.

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Di fatti l ‘edificazione godrà di grande visibilità in quanto significativa del comparto terminale del territorio comunale ed area di connessione.

Il dialogo dell’edificio , d’altra parte, non potrebbe avvenire con l’abitato circostante, decisamente anonimo e privo di rilievo.

L’area d’intervento è destinata alla realizzazione di una nuova caserma per l’Arma dei Carabinieri e lo spazio antistante, che le è proprio, può entrare in gioco per la definizione visiva del luogo ma anche per la definizione di una funzione strategicamente posizionata a servizio di aree con esigenze sociali diverse. L’ubicazione strategica garantisce al contempo decentramento, sicurezza, immediata riconoscibilità, rapidi collegamenti e accessibilità. Possiamo immaginare la struttura come un forte a difesa delle città, a cavallo del confine.

La normativa, inoltre, impone la realizzazione di una recinzione di due metri; che immaginiamo costituire margine invalicabile ma “trasparente”. Tale da permettere la lettura degli spazi e dei manufatti a essa retrostanti.

3. INFORMAZIONE E MEMORIA

Il “segno” d’attraversamento del margine può essere ottenuto trattando in modo “scultoreo” l’area. Per "scultoreo" si intende l’ organizzazione di volumi e forme opportunamente studiate e collocate tenendo in conto il significato di segno direzionale e passaggio che si vuole ottenere e che siano in sintonia e collegamento con quanto si va ideando nell’immediato intorno.

L’indagine informativa parte proprio da qui. Essa viene attuata nei vari ambiti di pittura, scultura ed architettura ai fini di ritrovarvi la giusta rappresentazione del dinamismo, dei rapporti tra le forme ed i volumi e della sensibilità plastica necessaria.

Dal punto di vista pittorico la ricerca rintraccia maggiori riscontri nella corrente futurista ed astrattista, dal punto di vista scultoreo ed architettonico invece ritroviamo un maggior numero di riferimenti nella contemporaneità e nel decostruttivismo.

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3.1 Futurismo

“Avanguardia delle avanguardie, il futurismo ha fatto scuola nell’Europa di inizio ‘900” (Ferrario, 2009)

Il manifesto di fondazione del futurismo fu pubblicato nel 1909 a Parigi su "Le Figaro", che dava spazio in prima pagina agli enunciati di Filippo Tommaso Marinetti, figlio di un facoltoso avvocato italiano di vocazione poetica ed editore della rivista "Poesia".

Figura 3. Manifesto del futurismo

pubblicato nel 1909 a Parigi su "Le Figaro".

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Il manifesto programmatico fu un mezzo nuovo ed accattivante per far conoscere le idee del Futurismo. Programmatico in quanto dichiarava "prima" quello che si sarebbe fatto "dopo". Per il panorama artistico si trattò di un evento del tutto nuovo e rivoluzionario proprio perché sottraeva la creatività "artistica" a quell'aura ancora bohémien dell'artista inteso come colui che coglie la sua "ispirazione" nell'atelier, opponendovi invece l'attitudine del tutto moderna della "progettualità", cioè del concepire la creazione di un'opera d'arte non più come evento quasi metafisico, (l'ispirazione, intesa come una "visione psichica"...), ma piuttosto come il risultato di una speculazione intellettuale. Questi manifesti (per la precisione "volantini") furono considerati innovativi perché, mutuando la prassi della pubblicità, erano distribuiti capillarmente a tutti, non solo agli addetti d'arte, ma anche per la strada, porta a porta, lanciati da tram, dal loggione dei teatri e così via. In questo modo si cercava di dare corpo a quello che diverrà in seguito uno dei cavalli di battaglia del Futurismo e cioè all'idea di portare l'arte al di fuori di gallerie e musei, verso la gente, nella vita quotidiana. L'Italia era ancorata a vecchi moduli del passato e uno degli intenti del Manifesto di Marinetti era quello di "svecchiare" e riqualificare l'Italia con questo suo nuovo movimento artistico di natura globalizzante. Il ritardo tecnologico dell’Italia consente al Futurismo un’aggressività che altri movimenti europei non hanno mosso. I primi, prematuri, esperimenti in Italia di realizzazione di opere d'arte staccate dalla rappresentazione del vero risalgono agli inizi del Novecento con alcune visionarie pitture del bresciano Romolo Romani a Milano, a cui fecero seguito tele di artisti futuristi, quali Ivo Pannaggi e soprattutto Giacomo Balla, quest'ultimo in particolare con una serie di quadri denominati "compenetrazioni iridescenti" del 1912. Futurismo, dunque, come slancio in avanti, verso le innovazioni della tecnica, verso una nuova era dinamica che tagliasse i ponti con tutti i "Pesi" del passato che rallentavano lo sviluppo del Paese, per colmare il gap sociale ed industriale rispetto alle grandi potenze europee.

Figura 4. Prismi , Romolo Romani, 1911.

Figura 5. Compenetrazioni iridescenti

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Marinetti, che era un poeta, uno scrittore, che praticava dunque una disciplina elitaria in una Italia ancora largamente illetterata e contadina, capì subito che, se voleva fare presa sulla gente, doveva usare il metodo dei "cantastorie", cioè lavorare soprattutto con le immagini, ma con delle immagini del tutto nuove, a forti tinte che, nel bene o nel male, attirassero l'attenzione della gente. Per questo raccolse attorno a sé, per sottoscrivere quel primo Manifesto, uno sparuto gruppo di giovani pittori, ancora sconosciuti, come Umberto Boccioni, Carlo Carrà, Gino Severini e Luigi

Russolo, accompagnati da un artista, già più maturo ed esperto, che era Giacomo Balla, "maestro" di Boccioni e Severini. Ma, come sempre accade, la teoria è molto più veloce della pratica e, di fatto, quando fu pubblicato quel manifesto e quello che seguì di li a poco, dedicato alla "nuova" pittura futurista, una "nuova

Figura 8. Dinamismo di un automobile, Luigi Russolo, 1912.

Figura 6. Croce Rossa, Treno che passa in un villaggio, Gino Severini,

1915.

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pittura futurista" non esisteva ancora. Questi artisti presero perciò a modello le opere dei cubisti cui aggiunsero i nuovi concetti della velocità e della macchina. 1

Grazie ad una serie di esposizioni e declamazioni in tutta Europa, nel corso della prima metà degli anni Dieci il Futurismo si afferma a livello italiano ed internazionale. I cinque “fondatori”, sponsorizzati da Marinetti, viaggiano ed espongono a Londra, Parigi, Berlino, e le loro mostre si accompagnano a grandi polemiche sulle piazze e nei teatri. Ben presto si verificò quello che Marinetti aveva previsto, sia per l'idea del Futurismo, che in breve divenne popolarissimo, sia nella scelta di quei giovani artisti, tra i quali emerse prepotentemente la personalità di Boccioni, che si rivelò non solo dotato di tecnica pittorica ma anche di idee e progettualità teorica. Ciò permise a Marinetti di concentrarsi meglio nei settori a lui più "cari", quelli letterari della prosa e della poesia, lanciando un manifesto dietro l'altro ed avviando una nutrita serie di edizioni futuriste, occupandosi anche di Teatro ed organizzando le famose "serate futuriste". Queste, per l'epoca, furono un evento inimmaginabile: una sorta di guerra tra poesia ed ortaggi. Da una parte i futuristi, che, sul palcoscenico, tra il serio ed il provocatorio, declamavano i manifesti e le loro liriche e, dall'altra, il pubblico che fischiava, ululava e lanciava ortaggi. Speso le serate proseguivano anche al di fuori dei teatri, con scazzottate e tafferugli che si concludevano quasi sempre in cella.

A Boccioni rimase così "in carico" tutto il settore delle arti visive. Se questa, a prima vista, sembrò una scelta felice nell'ottica della suddivisione dei compiti, alla lunga risultò però penalizzante per l'immagine del Futurismo, perché la debordante personalità Boccioniana divenne (specie dopo la sua precoce scomparsa nel 1916) il punto di riferimento privilegiato nella lettura critica del Futurismo stesso. Marinetti non aveva considerato che l'impatto "pubblico" delle arti visive era di gran lunga maggiore rispetto a quello delle discipline letterarie e questo permise a Boccioni di assumere una

1 Fonte: MAZZAGARDI E., Futurismo, in “Amici in Visita”, 2 febbraio 2009, su

http://www.artearti.net/magazine/articolo/futurismo/ . Figura 9. Dinamismo di un ciclista, Boccioni.

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centralità quasi assoluta cui forse solo Carrà, tra i fondatori, seppe tenere testa con opere in un certo modo autonome.

Per molti anni l'eccessiva attenzione critica su Boccioni non permise di accogliere appieno il ruolo di Balla che, proprio per questo, fu a lungo sottovalutato. Boccioni però era stato allievo di Balla e, pur essendo il teorico del "dinamismo-plastico", che fu certamente di grandissima importanza nella definizione di uno stile futurista, rimase nell'ambito di una post-figurazione, in cui il dato figurativo era più o meno presente con funzione "originante". Del resto basta scorrere alcuni dei suoi titoli più famosi come “Dinamismo di un ciclista”, “Dinamismo di un foot-baller”, “Elasticità” (di cavallo) per capire come il suo fosse un percorso pensato "anti-cubista", quindi originato pur sempre

dalla stessa attitudine verso il dato "reale".

Già nel 1913 la ricerca pittorica di Boccioni iniziava ad entrare in crisi, in particolare con opere di forte sintesi volumetrica (come il già citato “Dinamismo di foot-baller”). La sua scomparsa lo colse poco dopo la realizzazione del monumentale ritratto del musicista Busoni, che mostrava il suo graduale "rientro" in un figurativismo post-divisionista.

Balla invece, dal 1912 al 1914 si occupò non di "dinamismo plastico" (artifizio ottico-pittorico applicato ad una base figurativa) ma di "studi cinetici" sul movimento, sul rumore e persino sui fenomeni astronomici. Era stato influenzato dalle ricerche fotografiche sul cinetismo di Marley e Muybridge. Lo dimostra l'opera “Bambina che corre al balcone”, del 1912, che Balla dipinge in uno stile a metà tra un divisionismo ed un puntillismo dilatato. Ma già in quello stesso anno le sue ricerche scartano in avanti, tanto che lo stesso Boccioni ne

Figura 11. Dinamismo di un foot-baller,

Boccioni.

Figura 10. Elasticità (di cavallo),

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riconosce il grado "avanzato", dovuto alla introduzione dello studio della "velocità di automobile" che segue quello sul "volo delle rondini". E se nei primi esiti pittorici di questo studio il dato “verista" è ancora riconoscibile, ben presto Balla, che inizia a lavorare per cicli, vi introduce quei "vortici dinamici" che sono la "risoluzione ottico-scientifica" del reale movimento di un oggetto "rotolante" nello spazio (le ruote). Di lì a poco la progressione di "segni curvilinei", che sottende alla "penetrazione dinamica" ed al successivo avanzamento di un solido nell'aria, è intesa non come un vuoto ma come un fluido. Balla va oltre ed introduce anche l'idea del "rumore", rappresentato da diavolerie meccaniche come l'automobile e la motocicletta. Seguono poi le ricerche sul concetto di vortice, di una forma che in natura si colloca dinamicamente tra cielo e terra, e che Balla affronta come pura forma mentale sintetizzando, a sua volta, l'idea stessa del movimento, quel movimento che ha dato origine all'universo.

Allo scoppio della prima guerra mondiale, nel 1914, i futuristi si lanciano nella campagna per l’intervento militare “contro” l’Austria dando inizio ad un ciclo di pitture interventiste che si realizzano nel rapporto cromatico di forme plastico-dinamiche ispirate al

tricolore italiano. E' del tutto assente in questo ciclo sia il riconoscimento che il riferimento ad oggetti reali, sostituiti piuttosto da pure forme mentali, da astrazioni analogiche che rinviano a concetti piuttosto che a fisicità relative.

Nel maggio del 1915, l’Italia entra in guerra al fianco di Francia e Inghilterra, lacerando non poco gli ambienti culturali italiani. I futuristi, coerenti, partono volontari per il

Figura 13. Ritratto del maestro

Ferruccio Busoni, Boccioni.

Figura 15. Bambina che corre al

balcone, Giacomo Balla.

Figura 12. Volo delle rondini, Boccioni.

Figura 14. Vortici dinamici, Giacomo Balla, 1914.

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fronte dove nel 1916 muoiono Boccioni, Sant’Elia, e Marinetti è ferito. Iniziano le defezioni. Carrà, che pure aveva inneggiato alla “Guerra-pittura”, lascia il Futurismo per aderire alla Metafisica di De Chirico, mentre Severini, rientra nel suo futurcubismo parigino. Il Futurismo sembra decimato. Ma ecco che già nel 1915, a Roma si concretizza una svolta epocale, cioè quando Balla, Depero e Prampolini vanno teorizzando, e che si coagula nei manifesti “Ricostruzione futurista dell’universo” di Balla e Depero, e “L’Atmosfera-struttura” di Prampolini. Si tratta di due importanti enunciazioni teoriche che ridefiniscono completamente l’ambito operativo del Futurismo, ora non più confinato entro letteratura e pitturo-scultura, ma piuttosto “globalizzato” ad ogni possibile area di intervento artistico in rapporto alla società.

Del Futurismo si è sempre data una visione pitturo-centrica e, comunque, nell’ambito del figurativo. Vi è però un aspetto poco noto, perché per molto tempo sottovalutato o per nulla percepito dalla critica, ma che invece colloca il Futurismo al passo con le coeve ricerche europee, ed è quello della “ricerca astratta”. Il momento è il triennio 1914-1916, e la città Roma, e tutto ruota attorno alle ricerche di Balla e Depero sui cosiddetti “complessi plastici”,

che non erano solo il superamento della scultura in quanto tale, cioè in quanto “modellato” (mentre questi erano dei “montaggi” di carte, legno, fil di ferro, ecc. con anche una funzione cinetica) ma erano intesi anche come “equivalenti astratti”, dove il “termine”astratto serviva a definire l’azione “analogica” cui

riferivano. Il problema della “non oggettività”, era già stato affrontato da Balla, con le sue ricerche sulla velocità ed il rumore, del 1913-14, ricerche che per la prima volta si erano decisamente allontanate dal mondo della “rappresentazione”. Un risultato cui tutti gli altri futuristi fondatori non giunsero mai, Boccioni compreso. A queste nuove

Figura 17. Complesso plastico,

Giacomo Balla.

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ricerche ben presto si associa anche Baldessari, che in un primo tempo era rimasto abbagliato dallo “smontaggio volumetrico-dinamico” di Boccioni nel suo Foot-baller, ma al quale ora preferisce il “dinamismo di forme analogiche” di Balla e Depero. Il “nodo romano” del 1915, cioè la “svolta” introdotta da Balla e Depero con il manifesto “Ricostruzione futurista dell’universo” aveva di fatto spostato il baricentro del Futurismo dal ristretto ambito letterario-pittorico a quello più vasto delle arti applicate, ma sino almeno al 1919, a causa degli eventi bellici, tutto aveva preso un’altra piega con i futuristi al fronte. Ora, il nuovo decennio si apre all’insegna di questo vasto orizzonte operativo e nella consapevolezza che il Futurismo ha gli strumenti per “entrare nella vita”: dall’architettura, all’arredo d’interni, alla moda, alla pubblicità, al rinnovamento tipografico, e così via. Il Futurismo si apre anche ad un ventaglio di nuove suggestioni, grazie a questa seconda generazione di futuristi aperti ai contatti internazionali: Prampolini, con l’area del Purismo francese; lo stesso Marinetti, vicino a Karel Teige ed alle nuove ricerche cecoslovacche; Pannaggi e Paladini all’Immaginismo russo, mentre i futuristi giuliani Carmelich e argo sono il trait d’union con l’area costruttivista jugoslava. A Torino giunge invece il bulgaro Nicolay Diulgheroff, che porta con sé la sua esperienza alla Bauhaus, e s’incontra con Fillia, anch’egli molto vicino agli ambienti proletari dei costruttivisti: è il “Futurismo rosso” torinese, del quale i primi critici del Futurismo non si accorgono neppure, troppo impegnati a catalogare tutti i futuristi come fascisti.

Un’anticipazione di questa nuova "realtà sopravvenuta", è rintracciabile in termini di proiezione utopica nell'Architettura futurista, terreno immediato di sperimentazione della nuova dimensione urbana che si andrà a delineare. E se in un primo tempo l'apporto più conosciuto fu quello della metropoli futurista, utopica ed immaginaria di Antonio Sant'Elia (del 1914) (figura 18), successivamente furono divulgati analoghi contributi, seppur di minore "intensità" propositiva di Mario Chiattone, Depero e Boccioni e, in senso teorico, di Prampolini.

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Figura 18. Disegni della metropoli futurista di Antonio Sant'Elia

In Boccioni, l'idea di architettura futurista è di natura formalmente plastica, avvolgente, ma è solo nel catalogo-manifesto della mostra romana di Depero del 1916 che si parla esplicitamente di "architettura dinamica": “L'architettura dinamica (città aerea). Prima

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audace applicazione architettonica dello stile astratto....“ . Si tratta di una immaginazione tutta Deperiana, non riferibile alle formulazioni di Boccioni o di Sant'Elia, ma piuttosto estensione evidente delle tesi sul "complesso plastico" di ricostruzione futurista rapportate, qui, alla dimensione urbana. A conclusione di questo breve riferimento all'architettura futurista, va segnalato, alla fine degli anni Dieci, il contributo teorico di Virgilio Marchi, che media la visione futurista con un espressionismo architettonico mitteleuropeo caratterizzato dalle sue accentuazioni espressioniste, fortemente plastiche, che segnano le sue proposte architettoniche.

Ma un più immediato campo di sperimentazione pratica, effettiva, e non solo progettuale, è quello propriamente "ambientale", dove la ricostruzione si esplica tramite un ampio spettro di possibilità operative. Qui si trovano le premesse per le "Case d'Arte Futuriste", autentica testa di ponte per la ricostruzione nella società. Da esse nasce una quantità più o meno varia , più o meno utile, di oggetti per l'arredo della nuova casa del Futuro. Balla, prima con le decorazioni di Casa Lowenstein, a Dusseldorf, nel 1912, e poi con la revisione ambientale della propria casa romana, spesso aperta al pubblico per vendite straordinarie, aveva posto le premesse per la più ampia sperimentazione ambientale. Poi, dal 1918, sempre a Roma, Enrico Prampolini e Mario Recchi avevano aperto la Casa d'Arte Italiana, cui erano seguite, sempre nel 1918, quella di Melli e quella di Bragaglia. Sul finire degli anni Dieci si aggiungeva quella di Giannattasio, ancora a Roma, e quella di Depero, a Rovereto. Quindi, all'inizio degli anni Venti quella di Pippo Rizzo, a Palermo, e quella di Tato, a Bologna. Infine, una particolare segnalazione va all'Atelier di Lucio Venna, a Firenze, sebbene questi si sia specializzato esclusivamente in grafica pubblicitaria.

Nell'arredo e nell'ambientazione, oltre ai lavori di Balla e Depero, vanno ricordati quelli di Virgilio Marchi, con il Teatro degli Indipendenti di Bragaglia e dell'annesso bar della Casa d'Arte dove realizza il soffitto luminoso. Da segnalare, ancora, le

ambientazioni d'interno di Vinicio

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Paladini, gli "ambienti novatori" di Fillia e, infine, le decorazioni di Gerardo Dottori per l'Idroscalo di Ostia e per il ristorante Altro Mondo a Perugia, ambedue nella seconda metà degli anni Venti.

Tornando ai primi anni Venti, va detto che quale propagazione dello stile “astratto futurista” di Balla, delle “robotizzazioni” di Depero, e del postcubismo di Severini, si precisa un’ulteriore corrente in relazione, seppur marginalmente, allo spirito di ricostruzione futurista: quella dell’Arte Meccanica. E se il collegamento, con il Futurismo degli anni Dieci è appunto garantito dalla presenza di protagonisti come Balla, Depero e Prampolini, essa opera una grande apertura a problematiche di più ampio respiro, appunto nel quadro di un’avanguardia europea e di uno stile riferito ad un elementarismo plastico, ad un’essenzialità geometrica, del “mondo meccanico”, di partecipata ispirazione purista ed anche di una vaga accentuazione metafisica. L’accento è posto non tanto su di una mimesi della macchina, nella sua esteriorità ma piuttosto sullo “spirito” dell’oggetto meccanico in sé.

Alla fine degli anni Venti Balla si allontana dal Futurismo mentre Depero si trasferisce a New York dove vive un’intensa stagione. Il Teatro, la Pubblicità soprattutto, con copertine per Vogue, Vanity Fair, The New Yorker, Sparks e molti altre riviste, e l’ambientazione, con i ristoranti Zucca ed Enrico & Paglieri. Poi, lungo gli anni Trenta, anche la gioiosa arte di Depero si incupisce, si piega alle “necessità” alimentari e del regime, i colori si spengono, le forme divengono statiche. Lo spirito di ricostruzione futurista sembra per lui ormai lontano, ma non è perso. Infatti, sulla strada che con Balla egli ha aperto si è incamminata una lunga fila di discepoli. Siamo infatti alla terza generazione di futuristi caratterizzata anche da una nuova denominazione: l’Aeropittura. F. T. Marinetti, nell’intento di rinnovare il Movimento futurista ed anche in stretta relazione alle imprese della giovane aeronautica militare italiana, imprime una decisa sterzata verso la nuova tematica aerea che diviene l’ispirazione primaria per le nuove opere dei futuristi. Ed i riferimenti più immediati sono i vari record di velocità e di altezza e le lunghe trasvolate solitarie o di gruppo effettuate nel corso degli anni Venti, epiche avventure che per i futuristi non erano tanto un’affermazione del regime fascista quanto piuttosto un’affermazione del “genio italico”. Il tema aereo non era del resto una novità, in ambito futurista, essendo presente a più titoli sin dagli esordi del movimento. Quando, infatti, Marinetti “lanciava” i suoi primi manifesti futuristi, all’inizio degli anni Dieci, le manifestazioni della fase pionieristica dell’aviazione erano molto popolari in

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tutta l’Italia. Dopo i voli dimostrativi di Delagrange, nel 1908, erano sorti un po’ dappertutto vari “concorsi”, ovvero raduni aerei, con dimostrazioni ed evoluzioni sopra le città: a Brescia (1909), a Milano e Firenze (1910), a Torino (1911), e così via, i primi, traballanti, aeroplani avevano subito soppiantato anni di tradizioni aerostatiche. Però, a parte numerosi riferimenti al volo nelle opere letterarie di F. T. Marinetti (L’Aeroplano del Papa), di Folgore (Il Canto dei Motori), di Paolo Buzzi (Aeroplani), e di altri, l’iconografia della velocità prodotta dai primi futuristi, sia in termini visivi che letterari, era sostanzialmente “terrena”, greve, ben radicata al suolo. I soggetti favoriti erano infatti di volta in volta “la velocità” di un treno, di un tram, di un’automobile, di una bicicletta, di un cavallo. Insomma, a dispetto del loro ruolo di novatori essi erano ancora legati al vecchio secolo, all’ottocento, al secolo della “velocità terrestre” mentre invece il novecento è il secolo dell’aria e dello spazio: dall’aeroplano al viaggio sulla Luna. Ed è in quest’ultimo ambito che crescono la seconda e terza generazione di futuristi: nate cioè all’insegna della “liberazione dalla terra”. Azari, Depero, Benedetta, Crali, Di Bosso, D’Anna, chi più chi meno, tutti si ritrovano spesso a volare, a “spiralare” sopra le città, a riplasmare la loro “visuale” del mondo. Con il Manifesto dell’Aeropittura, si apre dunque il nuovo decennio all’insegna di una nuova sensibilità, estetica e poetica. Le proposizioni teoriche del Manifesto sono ben lontane da qualsiasi accento ideologico o politico, anzi esse mostrano un’urgenza, una pulsione, verso la ricerca di una dimensione che ad un certo punto non sarà più né terrena, né aerea, ma propriamente cosmica. Si tratta di una nuova connotazione che usa il “mezzo aereo” per giungere ad uno “strappo” dalle contingenze terrene e che sfocerà in un “idealismo cosmico” con via via sempre più evidenti vocazioni “spirituali”, sino a giungere di lì a poco all’Arte Sacra Futurista. Enrico Prampolini e Luigi Colombo, in arte “Fillia”, sono i rappresentati più qualificati di questa tendenza. In seguito anche l’Aeropittura mutò, ed assunse altre declinazioni: dapprima quella “documentaria”, dove cioè il “mezzo aereo” diveniva il soggetto delle opere degli artisti che lo ritraevano in una varietà di situazioni di volo, infine “di bombardamento”, negli ultimi anni del regime, cioè negli anni di guerra, dove avvenne la massima convergenza con il fascismo. Ma si era alla quarta generazione di futuristi, giovani per i quali il regime era la normalità di tutta una vita vissuta “inquadrati”: dagli

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otto ai quattordici anni Balilla, dai quattordici ai diciotto Avanguardisti e dai diciotto ai ventuno Giovani Fascisti al motto di “libro e moschetto, fascista perfetto”, per non dimenticare i “figli della Lupa”.

Un’ultima menzione merita infine l’annosa questione dei rapporti Futurismo-Fascismo. Si tratta di un equivoco di fondo che bisogna puntualizzare subito proprio perché una lettura frettolosa degli avvenimenti ha determinato un’altrettanta frettolosa etichettatura che è stata la principale causa della “scomunica” ideologica di gran parte della critica italiana verso il futurismo sino a pochi anni fa. Niente era più errato in quanto il movimento di F.T. Marinetti, per via della sua composizione eterogenea, fatta di correnti artistiche ed ideologiche a volte anche in contrasto tra loro, non aveva di fatto un’ideologia definita, a parte le dichiarazioni di propaganda e di circostanza, utili solo a garantirgli una qualche tranquillità e sopravvivenza con il regime. Il Futurismo era perciò un’attitudine verso la vita, anziché una vera e propria ideologia, quella stessa attitudine nella quale il primo fascismo affondò le sue radici. Un’attitudine che proveniva, come ha suggerito Renzo de Felice, da una “comune condizione di disagio psicologico, morale, culturale e sociale che l’aveva prodotta: disagio e protesta che con la prima guerra mondiale furono accentuati da ulteriori valenze politiche e rivoluzionarie...”. In breve, sia il futurismo che il fascismo mossero dal medesimo contesto di dissenso sociale, ma, mentre il primo fascismo fece propria la carica rivoluzionaria e sovversiva del futurismo, l’esaltazione della violenza da parte dei futuristi era l’espressione di una “posa” letteraria piuttosto che di una convinzione ideologica e politica. Così, l’adesione futurista al “nazionalismo militante”, all’inizio e durante gli anni dell’Interventismo (1914-15), e in seguito con la nascita del partito fascista, erano vissuti dall’avanguardia italiana come una possibile “via” alla realizzazione della sua “anima rivoluzionaria”. Solo in quest’ottica possiamo allora comprendere la grande adesione al fascismo da parte di artisti e letterati: un fatto che mancò completamente nella Germania nazista.

Inoltre, mentre questa convergenza tra futurismo e fascismo (maturata nel 1918-1919) è ben nota, molto meno lo è la “rottura”, avvenuta nel maggio 1920, quando Marinetti e i futuristi uscirono dai “Fasci di Combattimento” ed aprirono ai socialisti, come protesta contro il passo indietro di Mussolini rispetto alle posizioni anti-monarchiche ed anticlericali. Si concretizzò così quella “separazione” di competenze (“l’arte ai futuristi, la politica a Mussolini”) che da quel momento in poi caratterizzò il Movimento

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futurista. Infatti, una volta che il fascismo fu al potere, agli artisti fu “chiesto” di occuparsi solo di problemi estetici. Così Marinetti fu costretto ad accontentarsi di una posizione marginale, e dovette rinunciare ai suoi progetti totalizzanti per garantire la sopravvivenza del movimento. Una volta che gli artisti furono “normalizzati” il regime, comunque, optò per una politica di tolleranza. “In pratica – nota E.R. Tannenbaum – l’impegno del regime per un totalitarismo culturale e intellettuale era soprattutto organizzativo: una volta che un artista o uno scrittore si fosse inserito nell’appropriata istituzione fascista, era relativamente libero di produrre ciò che voleva”. In questo contesto s’inserisce anche la definizione di quello che poi sarà classificato come “Stile del Ventennio” che non fu così lineare come si crede perché seguì propriamente le vicende istituzionali del fascismo nelle sue varie fasi di consolidamento. All’inizio, ad esempio, nei primi anni Venti, il fascismo era ancora un coacervo di tendenze: da quelle nazionaliste a quelle più propriamente rivoluzionarie se non sovversive. Un po’ lo specchio del “futurismo di dopoguerra” nel quale Marinetti ammetteva artisti di tendenza artistica e politica le più diverse. Si veda il caso dei futuristi “di sinistra”, come Piero Illari direttore della rivista «Rovente» che fu presente a Livorno alla nascita del Partito Comunista Italiano; si veda l’opera ed il pensiero di Vinicio Paladini ed Ivo Pannaggi, ai limiti del costruttivismo, si pensi a Franco Rampa Rossi, ed a tanti altri futuristi con evidenti appoggi a sinistra. Logico, dunque, che in quei primi anni di potere, quando il fascismo non era ancora “statalizzato”, vi siano state innegabili convergenze con la poetica futurista, i cui stilemi “dinamici” ed il cui cromatismo, rosso acceso e “sovversivo”, ben si addicevano al primo programma culturale elaborato da Mussolini. Di lì a poco, però, una volta consolidato il potere, il regime non poté più permettersi di “avere in casa” un’arte rivoluzionaria, cioè destabilizzante e dunque alla lunga potenzialmente pericolosa per la sua stessa sopravvivenza. Sorse perciò la necessità di un’arte “funzionale al regime” che ne sancisse cioè il suo consolidamento istituzionale, un’arte pacata, greve, statica e celebrativa. Ed è appunto in quest’ottica che Mussolini, in un discorso pronunciato all’Accademia di Perugia nel 1926, se ne uscì con l’affermazione, contraddittoria, che l’arte dell’Italia fascista doveva essere «tradizionalista e moderna». Insomma una contraddizione che vedeva la sua origine in una questione allora ancora irrisolta: ovvero se accettare le proposte di rinnovamento dei futuristi, oppure rivolgersi verso una rivalutazione della cultura neoclassica, ed in particolare del monumentalismo della Roma Imperiale, il cui fascino in termini di immagine sollecitava non poco le mire di grandezza del regime. Fu poi, nel 1932, la

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Mostra della rivoluzione fascista, a sancire l’affermazione di una serie di valori (e di stilemi ad essi correlati): monumentalismo romano, lettering cubitale ed architettonico, effetti scenografici, colorismo rude e segno rozzo, cioè (nelle intenzioni) virile. Insomma l’affermazione del movimento antagonista del futurismo. Il Novecento, dunque, piuttosto che il Futurismo, fu appunto funzionale agli scopi promozionali e di propaganda del regime, ai grandi cicli pittorici e decorativi negli edifici pubblici. Insomma, nonostante il regime fascista sia ormai consolidato, i futuristi rimangono comunque dei “non allineati”, nel senso di una pluralità di posizioni ideologiche e politiche al loro interno.

E’ per questo che Mino Somenzi, dalle colonne dell’organo ufficiale del movimento futurista, può scrivere all’inizio del 1933 che il “Futurismo è una forma d’arte e vita; il fascismo una forma politica e sociale: cose diametralmente opposte” . Gli farà quasi subito eco Paolo Buzzi affermando: “Estrema sinistra! C’è un solo futurismo: quello di estrema sinistra”. Di lì a poco, all’inizio della seconda metà del decennio, con il coinvolgimento bellico dell’Italia, dapprima in Africa e quindi in Spagna, si registra un generale cambiamento, un restringimento del campo d’azione delle dinamiche culturali, e comunque nei confronti di tutta la società civile. Da questo momento in avanti gli artisti impegnati sul fronte delle commesse pubbliche non potranno più esimersi da un appoggio politico. Anche il futurismo si dovrà allineare, e di pari passo con gli sviluppi politici della nazione, sempre più drammatici, si giungerà all’Aeropittura di Guerra.

3.2 Astrattismo

L'astrattismo nasce intorno al 1910 dalla scelta degli artisti di negare la rappresentazione della realtà per esaltare i propri sentimenti attraverso forme, linee e colori. Nasce quando nei quadri non vi è più alcun riferimento alla realtà. Nasce quando i pittori procedono in maniera totalmente autonoma rispetto alle forme reali, per cercare e trovare forme ed immagini del tutto inedite e diverse da quelle già esistenti.

L’astrattismo ha la forza di liberare la fantasia di molti artisti, che si sentono totalmente svincolati dalle norme e dalle convenzioni fino ad allora imposte al fare artistico. I campi in cui agire per nuove sperimentazioni si aprono a dismisura. E le direzioni in cui si svolge l’arte astratta appaiono decisamente eterogenee, con premesse ed esiti profondamente diversi.

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Punto di riferimento fondamentale è il testo di Wilhelm Worringer “Astrazione ed empatia”, del 1908, dove l'arte viene interpretata in base all'intenzionalità dell'artista. La forma viene intesa come risultato dell'incontro tra uomo e mondo, in un alternarsi di empatia, ovvero avvicinamento alla realtà, ed astrazione, cioè rifiuto della realtà. Con il termine "astrattismo" vengono quindi spesso disegnate tutte le forme di espressione artistica visuale non figurative, dove non vi siano appigli che consentano di ricondurre l'immagine dipinta ad una qualsiasi rappresentazione della realtà.

In quegli anni il pittore russo Wassilj Kandinskij operava a Monaco dove aveva fondato il movimento espressionistico «Der Blaue Reiter». Il suo astrattismo conserva infatti una matrice fondamentalmente espressionistica. È teso a suscitare emozioni interiori, utilizzando solo la capacità dei colori di trasmettere delle sensazioni. Inizialmente cerca di distaccarsi completamente dalla pittura futurista in diffusione ritenendo i dipinti futuristi troppo accademici ed i manifesti come "disordini senza precedenti che possono svilupparsi soltanto nella testa degli Italiani".

Successivamente si rese conto della novità assoluta del futurismo e pur continuando la sua ricerca autonoma, caratterizzò il suo lavoro come riflessione sulla sfida dell’innovazione. Kandinskij si concentra sulla forma ed il colore: la composizione pittorica è formata dal colore, che nonostante nella nostra mente sia senza limiti, nella realtà assume anche una forma. Colore e forma non possono esistere separatamente nella composizione. L'accostamento tra forma e colore è basato sul rapporto privilegiato tra singole forme e singoli colori. Se un colore viene associato alla sua forma privilegiata gli effetti e le emozioni che scaturiscono dai colori e dalla forma vengono potenziati. La composizione di un quadro non deve rispondere ad esigenze puramente

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estetiche ed esteriori, piuttosto deve essere coerente al principio della necessità interiore: quella che l'autore chiama onestà. Il bello non è più ciò che risponde a canoni ordinari prestabiliti. Il bello è ciò che risponde ad una necessità interiore, che l'artista sente come tale.

I suoi dipinti presentano spesso tinte accese e contrasti stridenti. Importante è il rapporto con la musica, dalla quale mutuerà i titoli dei propri lavori: Composizione, Improvvisazione, Impressione, addirittura numerati come si fa con i brani musicali, proprio per dimostrare il legame attivo fra musica e pittura che, per l'artista devono esprimere i sentimenti e non riprodurre la realtà, questo il principio base che distingue l'astrattismo dalle altre avanguardie del XX secolo.

Figura 21. Composizione 7, Kandinskij,1913.

Le riflessioni sui rapporti tra pittura e musica convincono Kandinskij che la pittura deve essere sempre più simile alla musica e che i colori devono sempre più assimilarsi ai suoni. La musica, infatti, è pura espressione di esigenze interiori e non imita la natura: è astratta. Anche la pittura, secondo Kandinskij, deve essere astratta, abbandonando l’imitazione di un modello. Solamente una pittura astratta, cioè non figurativa, dove le forme non hanno attinenza con alcunché di riconoscibile, liberata dalla dipendenza con l’oggetto fisico, può dare vita alla spiritualità.

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Nella seconda fase della sua crescita artistica , dopo l’esperienza alla Bauhaus, prevale la necessità della didattica, e quindi la razionalizzazione di un metodo per esprimere emozioni e spiritualità nell’arte, che possa essere di insegnamento agli allievi. Anche se ciò è stato spesso interpretato come un impoverimento della sua vena creativa, è questo uno sforzo che egli compie che sarà fondamentale per la nascita di una estetica veramente moderna e attuale.

Altri capiscuola dell'astrattismo mondiale sono Kazimir Malevič, Piet Mondrian, Paul Klee.

Piet Mondrian è il pittore più rappresentativo dell'Astrattismo Geometrico. In seguito al contatto con Teosofia e Cubismo, approda al rifiuto della natura per rifugiarsi nella perfezione spirituale delle forme astratte. L'oggetto viene sintetizzato in linee e colori, pur partendo da forme reali, fino a giungere alle campiture geometriche di colori primari. Nel suo lavoro porta alle estreme conseguenze il processo di riduzione e di decomposizione dell'immagine cubista, realizzando un'arte in cui gli elementi strutturali si limitano a linee verticali e orizzontali, ai colori primari giallo, rosso e blu, al bianco della tela e al nero della griglia di linee.

Malevič fu il fondatore del Suprematismo che si proponeva di raggiungere l'assoluta purezza attraverso la riduzione estrema degli elementi figurativi, fino a giungere al paradosso del Quadrato bianco su fondo bianco. Egli auspicava la supremazia assoluta della sensibilità plastica. "Per suprematismo intendo la supremazia della sensibilità pura nell'arte. Dal punto di vista dei suprematisti le apparenze esteriori della natura non offrono alcun interesse; solo la sensibilità è essenziale. L'oggetto in sé non significa nulla. L'arte perviene col suprematismo all'espressione pura senza rappresentazione".

Figura 22. Grande Composizione A, Piet Mondrian, 1920.

Figura 23. Suprematismo dinamico,

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Paul Klee considerava l'arte un discorso sulla realtà e non una sua semplice riproduzione. Nelle sue opere la realtà è quindi rarefatta, resa essenziale, talvolta ridotta a semplici linee o campiture colorate. La sua inesausta ricerca si manifesta anche attraverso la scelta dei supporti, che vanno dalla tradizionale tela alla carta di giornale, alla juta, a cartoncini di ogni qualità e spessore. Klee intende l'arte non come semplice rappresentazione della realtà bensì come indagine che svela i meccanismi più profondi e nascosti della natura. La sua pittura nasce tutta nella sua immaginazione. “Immaginazione” in un'accezione totale, come analisi estrema di figure e sensazioni, fisiche e psicologiche, condotta incessantemente come esercizio spirituale necessario e vitale per esplorare e giustificare la propria presenza nel mondo.

In Italia le idee dell'arte astratta pura vennero accolte piuttosto tardi, attorno agli anni trenta, ma si svilupparono in forme di grande spessore artistico, che aprirono la strada a molti dei più originali movimenti del secondo Novecento. Furono due i principali gruppi di pittori astrattisti: il primo, più eterogeneo, guidato dalle teorie espresse da Carlo Belli nel testo "Kn", si riunì attorno alla galleria "il Milione" di Milano, e annoverò nomi quali Mauro Reggiani, il giovane Lucio Fontana, Atanasio Soldati e Luigi Veronesi, il secondo, più coeso, fiorì a Como ispirato dall'architetto Giuseppe Terragni e dai pittori Manlio Rho e Mario Radice, includendo artisti quali: Aldo Galli, Carla Badiali e Carla Prina. Ovviamente data la vicinanza fra Como e Milano furono frequenti gli interscambi fra i primi astrattisti.

Il gruppo de "il Milione" praticò un'arte più "istintiva", seguendo il talento di Reggiani, che costruiva mosse geometrie partendo da linee oblique, e dalle originalissime e colorate sintesi di forme realizzate da Osvaldo Licini. La galleria ospitò nel 1934 una personale di Kandinskij voluta anche dall'architetto Alberto Sartoris, vicino a Terragni; la mostra venne certamente vista da Mario Radice che ne portò il messaggio a Como.

L’esperienza parigina di Alberto Magnelli raggiunse grande notorietà con composizioni propriamente astratte sin dal 1915. Magnelli, se pur Italiano, rimase defilato dal dibattito artistico italiano dell'epoca perché visse costantemente in Francia aderendo dopo il primo conflitto mondiale al gruppo Abstraction-Creation, associazione artistica fondata a Parigi nel 1931 da Herbin e Vantorgerloo per promuovere e sostenere l'arte

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non figurativa in tutte le sue tendenze, dal costruttivismo al neoplasticismo fino all'astrazione lirica, mediante esposizioni che si tennero in tutto il mondo.

Nel campo dell’architettura e del design, l’arte astratta smuove finalmente un grosso vincolo che aveva condizionato tutta la produzione ottocentesca: quella di mascherare le cose e gli edifici, con una "pelle" stilistica a cui affidare la riuscita estetica del manufatto. L’arte astratta sembra dire che può esistere un’estetica delle cose che nasce dalle cose stesse, senza che esse debbano necessariamente imitare qualcosa di altro. E come l’arte

astratta possa divenire metodo di una nuova progettazione estetica, nell’architettura e nelle arti applicate, è un processo che si compie nella Bauhaus, negli anni ’20 e ’30, e che vede protagonista ancora Wassilj Kandinskij. Ma l’idea, che l’astratto potesse servire a costruire un mondo nuovo, era già nata qualche anno prima in Russia con quella avanguardia definita Costruttivismo.

Negli anni ’30, in coincidenza con quel fenomeno di ritorno alla figuratività, definito “ritorno all’ordine”, l’astrattismo subisce dei momenti di pausa. È un’arte che, al pari di quella delle altre avanguardie, non viene accettata dai regimi totalitari che si formano in quegli anni: il nazismo in Germania, il fascismo in Italia, il comunismo in Russia, il franchismo in Spagna. E, in conseguenza di questo atteggiamento, molti artisti europei emigrarono negli Stati Uniti dove portarono l’eredità delle esperienze artistiche dei primi decenni del Novecento europeo.

Le esperienze astrattiste hanno ritrovato nuova vitalità nel secondo dopoguerra, dando luogo a diverse correnti, quali l’Action Painting, l’Informale, il Concettuale, l’Optical art. Nuovi campi di sperimentazioni sono stati tentati dagli artisti, uscendo dal campo delle immagini, per rendere esperienza estetica la gestualità, la materia, e così via.

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3.3 Architettura

Per quanto riguarda l’architettura la ricerca si è focalizzata sui movimenti architettonici decostruttivisti ed architetture contemporanee prodotte dagli anni ‘80 ad oggi in cui si ritrovano le forme geometriche instabili e pure, ma comunque disarticolate, frammentate e deformate, ed i concetti di penetrazione dinamica del precedente futurismo pittorico.

3.3.1 Decostruttivismo

Il decostruttivismo è un movimento architettonico spesso contrapposto al movimento postmoderno. I suoi metodi, in reazione al razionalismo architettonico, vogliono de-costruire ciò che è costruito.

Il teorico del decostruttivismo è il filosofo francese Jacques Derrida e la nascita del fenomeno è avvenuta con una mostra organizzata a New York nel 1988 da Philip Johnson, nella quale per la prima volta appare il nome di questa nuova tendenza architettonica, che fu definita “Deconstructivist Architecture”.

Alla mostra di New York furono esposti progetti di Frank O. Gehry, Daniel Libeskind, Rem Koolhaas, Peter Eisenman, Zaha Hadid, Bernard Tschumi e del gruppo CoopHimmelb(l)au.

Figura 27. Busan Cinema Center, Coop Himmelb(l)au, 2012. Figura 26.Museo Guggenheim Bilbao, Frank Gehry, 1997.

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In questa esposizione veniva estrapolata un'architettura "senza geometria" (la geometria euclidea), piani ed assi, con la mancanza di quelle strutture e particolari architettonici, che sono sempre stati visti come parte integrante di quest'arte. Una non architettura, quindi, che si avvolgeva e svolgeva su sé stessa con l'evidenza e la plasticità dei suoi volumi2.

La sintesi di ciò è una nuova visione dell'ambiente costruito e dello spazio architettonico, dove è il caos, se così si può dire, l'elemento ordinatore. Le opere decostruttiviste sono caratterizzate da una geometria instabile con forme pure e disarticolate e decomposte, costituite da frammenti, volumi deformati, tagli, asimmetrie e un'assenza di canoni estetici tradizionali. I metodi del decostruttivismo sono indirizzati a "decostruire" ciò che è costruito, una destrutturazione delle linee dritte che si inclinano senza una precisa necessità. Siamo davanti a un'architettura dove ordine e disordine convivono.

Comune alla ricerca dei decostruttivisti è l'interesse per l'opera dei costruttivisti russi degli anni venti del Novecento, che per primi infransero l'unità, l'equilibrio e la gerarchia della composizione classica per creare una geometria instabile con forme pure disarticolate e decomposte. È questo il precedente storico di quella “destabilizzazione della purezza formale” che gli architetti decostruttivisti esasperano nelle loro opere attuando così un completamento del radicalismo avanguardistico costruttivista. Da ciò

2 Fonte: VALTIERI S., Gli spigoli di Libeskind, su http://www.movemagazine.it/gli-spigoli-di-libeskind-archiviaggiando/

Figura 29. Centro culturale Heydar Aliyev, Zaha Hadid, Baku, 2012. Figura 28.Museo di storia militare, Libeskind, Dresda, 2011.

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scaturisce la cifra “de” anteposta al termine “costruttivismo”, che sta a indicare la “deviazione” dall'originaria corrente architettonica presa a riferimento.

Dopo il periodo postmoderno (anche se, per ironia, entrambi i movimenti, seppur antitetici, sono stati promossi da Philip Johnson) il decostruttivismo riconduce la ricerca architettonica nel filone iniziato dal Movimento Moderno, anche se alcuni critici ritengono comunque il decostruttivismo come esercizio puramente formale, dove sono assenti quei temi sociali che erano propri del Movimento Moderno. Molti critici annoverano tra i maggiori architetti decostruttivisti Frank O. Gehry, noto per il Guggenheim Museum di Bilbao (figura 26), anche se Gehry stesso ha sempre dichiarato di non sentirsi decostruttivista.

Ricordiamo tra i gruppi appartenenti a tale corrente i Coop Himmelb(l)au è una cooperativa di architetti avente la sede principale a Vienna, Austria. Nei progetti dei Coop Himmelb(l)au ritroviamo un’evidente e innegabile innovazione rispetto alla tradizionale concetto di progettazione: si caratterizzano infatti per una visione radicale ed estrema del progetto e dell'architettura. La poetica dello studio può essere descritta come distruzione delle forme della tradizione architettonica che identifica nuove strategie formali e progettuali.

È del 1980 il manifesto che rappresenta e rappresenterà il pensiero di Wolf D. Prix e Helmut Swiczinsky (fondatori della Coop Himmelb(l)au) dal titolo "Architecture must Burn":

“ Non vogliamo costruire Biedermeier.

Non ora né mai. Siamo stufi di vedere Palladio e altre maschere storiche. Non vogliamo un’architettura che esclude tutto ciò che è inquietante. Vogliamo un’architettura che dà di più. Un'architettura che sanguina, che sfianca, che turbina e che rompe, anche. Un'architettura che accende, che punge, che squarcia e sotto stress, lacrima. L'architettura deve essere cupa, ardente, liscia, rugosa, angolare, brutale, rotondeggiante, delicata, colorata, oscena, voluttuosa, sognante, seducente, repellente, asciutta, bagnata e palpitante. Viva o morta. Fredda - allora fredda come il ghiaccio. Calda - allora ardente come un’ala in fiamme. L'architettura deve bruciare “.

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3.3.2 Architettura contemporanea

Con architettura contemporanea si intende l'architettura prodotta odiernamente e quella degli ultimi decenni, indicativamente dagli anni ottanta ad oggi. Il breve lasso di tempo che intercorre tra la produzione dell'opera architettonica e la lettura critica dell'opera stessa è tale che l'individuazione delle correnti di pensiero dei progettisti e la qualità delle loro opere è spesso controversa ed assai dibattuta. La difficile determinazione dell'intervallo temporale delle opere appartenenti a questa definizione dipende dal concetto di "contemporaneità" che in architettura, così come nell'arte, nella musica o nel teatro, è cronologicamente dinamico. Ogni opera di architettura è "contemporanea" nel momento in cui viene creata. Solo dopo diversi decenni e con una più ampia prospettiva storica, sarà possibile riscontrare le similitudini formali, concettuali, tecnologiche o strutturali tra diverse opere che possano determinare la definizione di una corrente architettonica con altra denominazione.

In tal senso ricordiamo il teatro dell'opera di Sydney (la Sydney Opera House) il quale costituisce una delle più significative architetture realizzate nel XX secolo e tale da rappresentare quasi un'icona non solo per la città di Sydney, in cui sorge, quanto per l'Australia stessa. Progettato dall'architetto danese Jørn Utzon che studia una complessa composizione di gusci a sezione sferica che talvolta ricordano la flottiglia di barche a vela che si reca in crociera nei mari australiani.

Quel che è certo è che oggi più che mai lo scopo dell’architettura non è solo quello di stupire ed affascinare, creando soluzioni innovative ai problemi più disparati, ma anche e soprattutto quello di integrare e unire: entrare a far parte dei diversi contesti con

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severa imposizione piuttosto che con blanda armonia a seconda del significato che l’opera architettonica stessa vuole assumere nella sua funzione urbana e sociale.

La nuova sede Norddeutsche Landes-banca ad Hannover, ad esempio, è ritenuta uno straordinario edificio. Con i suoi coraggiosi aggetti e gli innovativi concetti di sfruttamento dell’energia progressiva , viene definito come pioniere tra i complessi di uffici costruiti in Germania. Progettato dal famoso studio di architettura di Stoccarda Behnisch, Behnisch & Partner, nasce e si sviluppa con lo scopo di infondere allo spazio urbano nuova vitalità. Esso funge da elemento di congiunzione importante tra le varie attività che definiscono i quartieri limitrofi della città: retail, commerciali, residenziali, culturali, sportive e ricreative. Attraverso altezze variabili si integra dolcemente nel tessuto urbano preesistente. La forma espressiva della torre si riferisce né agli stili dei dintorni immediati, né alla griglia ortogonale della città post-bellica; invece si tratta di una risposta alle geometrie del centro storico più a nord. D’altra parte i giardini pensili generosi vogliono non solo ammorbidire l'aspetto dell'edificio, ma agiscono anche per migliorare il clima generale per gli occupanti, e per raccogliere l'acqua piovana per l'irrigazione e l'uso all'interno dell'edificio.

Altri esempi li rivediamo nei sorprendenti progetti del gruppo MVRDV, uno studio di architettura e progettazione urbana di Rotterdam (Paesi Bassi) fondato nel 1993. Ci riferiamo in particolare al Wozoco Housing, costruito tra il 1994 e il 1997 e contentente ben 100 unità abitative per la popolazione oltre i 55 anni. Si trova ad ovest di Amsterdam, in una zona minacciata dalla crescita della popolazione e della densità abitativa, che frequentemente portano all'eliminazione delle aree verdi e degli spazi comuni all'aperto. La sfida era quella di fare un edificio in grado di rispettare la qualità della vita e la crescita urbana. Il profilo stravagante di Wozoco nasce da uno degli ostacoli incontrati in corso di progetto: il numero di appartamenti per blocco era limitato a 87 unità abitative dal piano regolatore, e ad ogni inquilino era stata promessa una buona illuminazione naturale. Ma erano necessarie almeno 100 unità abitative per

Figura 31. Nord LB Building, Behnisch &

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blocco. Creare 13 unità abitative in più avrebbe limitato ulteriormente lo spazio verde comune. Per evitare ciò, le 13 unità addizionali sono state sospese dal lato della struttura principale. Questa idea si è trasformata in uno degli edifici più originali nel panorama dell'architettura contemporanea: le 13 unità "surplus" sono state letteralmente appese alla facciata nord del corpo principale, come grandi scatole proiettate: dalle pareti spuntano delle scatole "estruse", connesse alla struttura principale da travi a sbalzo, che eseguono la lunghezza della proiezione.

A conclusione della ricerca, le immagini e le visioni di maggiore ispirazione hanno lasciato spazio alle forme, ai volumi, alle connessioni e ai materiali che esse stesse richiamavano affinché potessero essere rielaborate soggettivamente per dare vita al processo stesso di progettazione. Soluzioni innovative derivanti da volumi che rappresentano il dinamismo plastico in aggetto, forme e linee irregolari e curvilinee, connessioni e penetrazioni per rispondere alle esigenze di continuità ed infine i materiali, che meglio si riadattano alle irregolarità degli involucri, hanno definito i punti di partenza dell’elaborazione progettuale più avanzata ed inaspettata.

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4. CREATIVITA’

“…. quando si crea un’opera, bisogna tenere a mente lo scheletro strutturale cui si sta dando forma ... Di necessità il lavoro umano procede in sequenza, quando risulta intero alla fine è creato pezzo per pezzo …. l’immagine guida non è tanto una previsione fedele dell’immagine finale, ma principalmente lo scheletro strutturale, la configurazione di forze visive che determina il carattere dell’oggetto visivo ...” (Arnheim)

4.1 Simbolismo della fiamma

L'Arma dei Carabinieri è una delle quattro forze armate della Repubblica Italiana: nata e rimasta al rango di Arma nell'ambito dell'Esercito Italiano, nel 2000 è stata elevata al rango di forza armata, con collocazione autonoma nell'ambito del Ministero della Difesa. È un corpo di gendarmeria, avente anche funzioni di polizia.

Nel 1917 un Regio Decreto istituì un'onorificenza per premiare quei reparti che combattevano il nemico austriaco durante la prima guerra mondiale. Successivamente, nel 1932, un altro Regio Decreto stabilì la forma definitiva dei motti araldici per tutti i reggimenti dei vari corpi dell'Esercito Italiano.

Il primo stemma araldico fu concesso all'Arma dei Carabinieri il 2 maggio 1935 da Vittorio Emanuele III in occasione del 121° Annuale della Fondazione dell'Arma.

All'indomani della nascita della Repubblica, il Ministro per la

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difesa emanò disposizioni relative alle modifiche o alla nuova realizzazione degli stemmi araldici dei Corpi, nei quali dovevano essere aboliti tutti i simboli in contrasto con la nuova forma costituzionale assunta dallo Stato. In ottemperanza a tali norme il Comando Generale dei Carabinieri avanzò proposta di un nuovo Stemma Araldico, che del precedente conservava soltanto i colori (rosso ed azzurro), il serpente verde e la granata dirompente, non più d'oro ma d'argento e non più sullo scudo, ma sopra di esso. Il fregio da apporre sullo scudo era costituito da una granata dirompente dalla cui parte inferiore uscivano le cordelline della grande uniforme dei carabinieri.

Su proposta del Comando Generale dell'Arma abrogò il precedente fregio ed istituì il nuovo, in tutto simile al primo, ma con le cifre d'onore R.I., intrecciate sulla granata.

Nel suo complesso e nei suoi particolari costitutivi, lo stemma evidenzia l'alta funzione sociale dei Carabinieri che, impersonificando la legge e la forza dello Stato, lottano contro l'insidia quotidiana della sovversione e del crimine.

Il fregio, nello specifico, attualmente è costituito dalla tradizionale granata dell’Arma, sormontata da una fiamma con tredici punte, piegata dal vento con monogramma R.I., segno di vicinanza con i Granatieri (che hanno uguale granata ma con la fiamma ritta),

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dorata per ufficiali e marescialli, argentata per i brigadieri e metallica per il rimanente personale.

La granata sormontata da fiamma, oltre ad essere da sempre l'emblema di tutti gli appartenenti all'Arma dei Carabinieri, richiama i concetti di lealtà, fedeltà ed altissimo onore.

4.2 “Forme Grido Viva l'Italia”

Un aspetto centrale per la comprensione della visuale “estensiva” del Futurismo nei confronti della società, è quello del cosiddetto “Interventismo”, cioè la campagna avviata dai futuristi allo scoppio della prima guerra mondiale, nell’estate del 1914, per incitare all’intervento dell’Italia “contro” l’Austria, con la quale eravamo però alleati con il trattato della “Triplice alleanza” (Germana, Austria e Italia). In gioco c’era il tema dei “confini”, e la “liberazione” di Trento e Trieste, enclave italiane in seno all’Impero Austro-Ungarico, ma era un po’ l’idea stessa di “unità nazionale italiana” che sin dalle ottocentesche guerre d’indipendenza era nata e cresciuta in senso “anti-austriaco”. Dalle colonne del giornale “Lacerba”, dal numero del 15 agosto del 1914 sino a quello del 22 maggio del 1915, si spronò e attaccò il Governo, finché, grazie anche a innumerevoli manifestazioni di piazza, questi capitolò e si decise, il 24 maggio del 1915, per l’ingresso in guerra a fianco di Francia ed Inghilterra. I futuristi, che avevano auspicato la guerra anche come “sola igiene del mondo”, intendendo con questa espressione estrema che la guerra poteva essere uno dei modi di rinnovamento della società, non tanto fisicamente ma soprattutto intellettualmente, coerenti al loro assunto partirono per il fronte dal quale né Boccioni, né Sant’Elia tornarono più, mentre Marinetti rimase ferito.

La guerra, dunque, entrò prepotentemente nell’arte dei futuristi, né modificò e ampliò la percezione e le coscienze. E tutto cambiò.

Dunque la guerra è un “mezzo” per rinnovare la società, tagliando i pesi del passato e quindi per poter correre spediti verso il futuro. Il “cuneo dinamico” diviene perciò non solo sinonimo di “forza penetrativa”, di sfondamento delle linee nemiche, ma anche un “simbolo del dinamismo universale”, che poi sarà ripreso non solo dai futuristi stessi ma anche dalle altre avanguardie.

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Per il panorama artistico si trattò di un evento del tutto nuovo e rivoluzionario proprio perché sottraeva la creatività "artistica" a quell'aura ancora bohémien dell'artista inteso come colui che coglie la sua "ispirazione" nell'atelier, opponendovi invece l'attitudine del tutto moderna della "progettualità", cioè del concepire la creazione di un'opera d'arte non più come evento quasi metafisico, (l'ispirazione, intesa come una "visione psichica"...), ma piuttosto come il risultato di una speculazione intellettuale.

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E’ proprio in termini di raffigurazione futurista dell'idea di Patria che Balla da il meglio di sé: in "Forme Grido Viva l'Italia" la patria viene raffigurata come organismo vivente pulsante di energia cinetica e luminosa: le forze nere dei neutralisti si oppongono allo sventolio tricolore dei patrioti, a simboleggiare l'irradiazione del sentimento d'identità e di appartenenza come nucleo centrale della struttura dell'essere (figura 33).

"Va, va con la tua forza che doma la forza del mare, con tutte bandiere spiegate,

va, va dove il Destino ti scorge in tuo solco infinito, o Nave, più bella e più grande

Nave che dai possenti fianchi la Patria espresse

ne l’acque liberate —e su le prue taglienti con la sua forza eresse le sue speranze alate—,

Va, Nave d’Italia, va ." (G. D'Annunzio)

4.3 Fiamme futuriste

Partendo dunque da questioni di simbolismo dell’Arma, che ritroviamo nel fregio della granata sormontata dalla fiamma a 13 punte, e unendole alle dissertazioni sul dinamismo plastico del futurismo si perviene alla visione di una particolare opera di spirito interventista di Giacomo Balla che recupera gli ideali della patria “Forme Grido Viva l'Italia” (figura 33). Le forme ed i volumi rappresentati da quell’immagine si combinano e vengono divisi, elaborati e riassemblati (figura 34).

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Figura 34. Estratto Tavola Creatività. percorso di rielaborazione dei segni verso la composizione dei volumi,

attraverso l'utilizzo del modellino di studio.

Da un’arte non figurativa, dove non vi sono appigli che consentano di ricondurre l’immagine dipinta ad una qualsiasi rappresentazione della realtà, scaturiscono invece dei volumi realizzabili e resi funzionali. L’immagine si materializza sotto forma di progetto.

Nel tentativo di avere una chiara visione, di giungere alla rappresentazione più armonica del complesso di idee sopravvenute, si crea un modello di studio più “plastico” e fisico, delle “palpabili fiamme”.

Nel modello si ricercano le proporzioni e si creano le connessioni da proiettare nelle due dimensioni. Le proiezioni si relazionano tra loro, trovando ispirazione nell’astrattismo

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più puro di Kandinskij, nelle forme curve, nei cerchi e in quello che rappresentano e ancora più nella radialità delle linee.

Figura 35. Estratto Tavola Creatività: percorso di costruzione del dialogo delle forme in pianta

Colore, forma e materia non possono d’altronde esistere separatamente nella composizione: se la materia come il colore viene associato alla sua forma privilegiata gli effetti e le emozioni che scaturiscono vengono potenziati.

La distinzione tra forme e volumi avviene sul piano dei colori e della materia: le fiamme vengono rese più vive dall’acciaio Cor-Ten ed i legami vengono resi più leggeri dalla trasparenza del vetro, che lascia che la luce si diffonda nell’intero complesso di idee.

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