• Non ci sono risultati.

a terapia del Senso

N/A
N/A
Protected

Academic year: 2021

Condividi "a terapia del Senso"

Copied!
14
0
0

Testo completo

(1)

La terapia del Senso

Marcello Pignatelli, Roma

II primo impulso, il più spontaneo e il più serio, di fronte alla richiesta di discutere di psicosì è per me quello di parlare del mio folle dentro, di quel fratello che ho imparato a riconoscere all'epoca della puberta e che, me volente o nolente, non ha cessato mai di accompagnarmi: la differenza tra allora, al primo in- contro ufficiaie, e oggi, quando ufficialmente sono deputato a prenderne cura, è che ho cessato di ne - garlo, di chiuderlo in cantina, di odiarlo, di voler ucci- derlo; e invece mi interesso di lui, cerco di capirlo, giuoco e soffro con lui, talora semplicemente cammino tenendolo per mano.

Ma subito ho criticato il mio impulso, non tanto per il puòore della mia privatezza, per tema di essere con- siderato strano o sospetto, oppure per non mettere a repentaglio la stima e la credibilità della corporazione analitica, che anzi questa talora si vanta di una tale spregiudicatezza sfumata di superiorità e di essa si avvantaggia; ma soprattutto sono entrato in crisi per la preoccupazione di apparire preda di una dissacrante e liberatoria esaltazione masochistica. E questo uno psicoanalista non può farlo: non può essere preda, non può concedersi a quel masochismo, che sembra

(2)

costituire uno dei suoi più caratteristici vizi e offrirlo ai suoi denigratori.

Ben altro è il linguaggio della scienza: esso emette suoni composti, pretenderebbe, se fosse possibile, di non essere autobiografico, parla in terza persona astrae, obiettivizza.

Ammesso che il carattere distintivo dell'umano sia la coscienza, la nascita dell'lo dall'inconscio e dal magma originario rappresenta il momento determinante della separazione tra soggetto e oggetto, tra uomo e mondo fuori di lui. Separazione però non significa frattura, cioè mancanza di relazione, come sembra avvenire lungo le ultime propaggini della cultura occidentale.

Qui I'lo, divenuto ideale dell'lo e Super -lo, ha scavato un fosso difficilmente colmabile contra I'inconscio, alienando da se il contenuto fondamentale di que- st'ultimo, quell'amore che rappresenta I'altro elemento costitutivo dell'uomo.

Contra un tale rischio insorge violentemente la follia, che ripropone il regno dell'inconscio identificandosi in esso e distruggendo I'lo e la sua realtà. Ma c'è un'altra strada della follia, che ci viene dal-I'oriente:

I'uomo, presago dell'intelligenza dell'amore, dice che non si può comprendere I'oggetto se non toccandolo e amandolo; e a questo scopo accorcia le distanze fino ad annullarle. Entra così nella patologia d'identificazione con I'oggetto, dissolvendo la strut -tura dell'lo in uno pseudo -amore diffuso e indiffe-renziato.

Tutto quanto detto riguarda alcune componenti dina- miche della psicosì, individuale e collettiva, e lascia inalterato il problema della pregiudiziale genetica alla malattia; ma serve anche per ribadire che la follia è insita sostanzialmente nella natura umana nel mo- mento stesso in cui la sua costituzione duale e la premessa di una schizofrenia, che non sa trovare il terzo salvifico.

Riconoscere il folle dentro di noi non è un'esercita- zione intellettuale, un'etichetta progressista, una tro- vata paternalistica per gli ingenui, o una chicca per i malati: al contrario significa rendere testimonianza alla verita, per poter al contempo gestirla secondo le mi- 62

(3)

gliori intenzioni e difenderci dai pericoli che essa c ontiene.

II normotipo è soltanto una finzione scolastica: cia- scuno di noi ha dalla nascita un punto debole nel tes- suto organico e nel meccanismo fisio-psichico, su cui si inserisce poi la malattia e la morte o può svilup - parsi la follia: quest'ultima, qu ando si manifesta sotto I'urto di fattori scatenanti ambientali, non può pre- sentarsi che con i caratteri dati fin dall'inizio, e cioè con un tipo specifico di devianza (schizofrenia, ciclo- timia, psiconevrosi fobico-ossessiva ecc). Le due cerniere, che articolano il trittico della vita, accettando la distinzione tra infanzia - eta adulta - vec-chiaia, le cerniere dell'adolescenza e della menopausa o del suo corrispettivo maschile evidenziano le sud-dette potenzialita psicotiche, ne d imostrano I'attivita e non a caso proprio in quelle fasi si producono fre- quentemente quadri sintomatici di rilievo. Gli aspetti schizoidi dell'adolescente si accompagnano a uno stato d'animo di perdita d'identità, proprio per-che richiedono il massimo sforzo, per altro costretto in tempi brevi, verso I'accettazione della realta, e per-che si oppongono all'onnipotenza infantile. L'lo, ov- viamente gia costituito, affronta una prova definitiva per validare la sua consistenza e per darsi un carat- tere (i riti di iniziazione, la cresima): ma I'urto è così duro da aprire crepe preoccupanti, sempre che invece non si sfasci del tutto I'abbozzo di uomo. Nella fase critica opposta, la depressione che si deli-nea alle soglie della terza eta, appunto perchè con-nessa al ciclo biologico, ripropone drasticamente il tema di questo bios, che è determinato dalla morte: pertanto non è ben chiaro perch è gli uomini non na-scano depressi e i neonati non vestano a lutto. Follia e morte sono per I'uomo ipotesi di riscatto dal-I'effettiva condizione d'impotenza: e a questo punto non importa se si tratti di impotenza parziale o totale; se cioè nel caso della follia ci inoltriamo in un viaggio straordinario privo dei riferimenti comuni ma tuttavia ancorato al tempo e allo spazio, che definiscono il nostro essere, e suscettibile di ritorno, oppure se, va- licando i confini della vita, vengano a mancare com -

(4)

pletamente le possibilità di conoscenza e di azione.

Resta da vedere che cosa significhi il vissuto di on- nipotenza (e di immortalità), che sembra intrinseco alla nostra immaginazione.

II desiderio di totalità, dove amare e conoscere si com- pongono nella evidenza del tutto, rimembranza nostal- gica e progetto di recuperò, approda nell'età adulta al reale, e necessariamente si parzializza. Ci si deve contentare dell'amore e della conoscenza parziali: lo specifico dell'incontro, quand'anche ammettesse una sufficiente saturazione dei tre livelli di scambio, quello istintuale-sessuale, quello erotico-sentimentale e quel- lo ideologico-spirituale, escluderebbe comunque tutte le varianti di un incontro alternativo contemporaneo, capace di attivare altre potenzialita integrative di quel- le al momento manifeste o preponderant!. Tutta la quota non applicata di libido viene rimossa e nel migliore dei casi sublimata. Quindi la totalità non ci appartiene, non è un bene reale; al massimo si può intuire nell'attimo di una chiarezza folgorante, quando essa invade I 'lo comprendendolo e superan-dolo insieme.

Le proposte della mistica, che nella riflessione su se stessi si rivolge ad un Tu transpersonale idealizzato, e le situazioni indotte dalla psicoanalisi, che svolgen- dosi con un Tu personale offre un modello concreto di integrazione, configurano campi ottimali per i'espe- rienza della totalita. E tuttavia queste strade presen- tano forti rischi di devianza: la follia della Croce pro- posta da S. Giovanni codifica testualmente il signifi- cato di un insegnamento, che predica I'annullamento dell 'lo (« non sei più tu che vivi, ma è Cristo che vive in te »); la relazione analitica d'altra parte può rap- presentare I'esempio indicativo di un incontro d'amore che, partendo per la tangente dell' inflazione, genera la follia a due, il binomio romantico di amore e morte.

Si esperisce cos ì una citta celeste illusoria, un mi- raggio rarefatto che si dilegua quando ci si avvicina e si prova a toccarlo: il miraggio sussiste e funziona solo a patto che non si chieda di fruirlo direttamente e non lo si riduca alle categorie della storia. L'analisi consente di ripetere e saggiare il desiderio

(5)

infantile di amore totale, che però resta ancora insod- disfatto; sarebbe pertanto un errore tentare di risol- vere la problematica dell'amore nel rapporto analitico.

Se la psicoanalisi non riuscisse a dinamizzare I'estasi dell'incontro e cristallizzasse il narcisismo del per- fetto utilizzando la suggestione dei suoi rituali, dove tempo e spazio perdono di consistenza, fornirebbe un cospicuo incentivo per la psicosì; il suo operato si giustifica solo se è riferito all'esterno del setting e se incentiva la traduzione nella realta esistenziale.

Sembra tuttavia chiaro che le possibilità di realizza- zione del massimo valore umano si verificano attra- verso tutte e due le coordinate: quella verticale della meditazione, come percorso dell'lo in alto e in basso attraverso I'inconscio, e quella orizzontale della rela- zione, come affetto dell'lo per il Tu e per il collettivo.

Ouesto discorso ci ha portato alla linea di demarca- zione, che ovviamente è convenzionale tra psicologia e metapsicologia. A tale proposito si potrebbe adot- tare la definizione di alcuni critici, secondo la quale

« la metapsicologia e I'espressione sublimata, astratta di una psicologia irrisolta ». Ma quest'ultimo assunto parte da un preconcetto positivistico, che tende a ne- gare quanto supera la percezione del fenomeno at- traverso i sensi o non è verificabile con I'osserva - zione diretta; esso però rimane valido finchè scorag- gia uno psicologismo sotteso da teorie avventurose e velleitarie e contrasta I'abuso mistificante dell'incon- scio al servizio della logica del potere. Tuttavia, come lo stesso Freud sapeva bene, la meta-psicologia sconfina nella metafisica, nella filosofia e nella religione, alle quali non si può negare diritto di parola e che comunque appartengono alla storia del-I'uomo.

E allora qual è la capacita contrattuale della psicologia rispetto alla follia, che per molti versi invade gli spazi arcani del Senso?

II Senso e la giustificazione dell'esistere e investe la struttura stessa dell'umano. D'altronde un'ideologia che ignori la struttura e risolva tutto nel processo, senza considerare la premessa data, il modello di compor- tamento e la tendenza al fine, altera arbitrariamente 65

(6)

la composizione dell'uomo impoverendola. Riconosce- re che I'evoluzione individuale e collettiva è affidata ad una funzione dialettica non significa disattendere quelle immagini universali o archetipiche, I'origine del - le quali non è possibile scientificamente attribuire solo a condizionamenti culturali, in quanto non esi- stono condizioni sperimentali per una tale verifica.

Nell'impossibilit à di dirimere questo problema in un senso o nell'altro, se non con costruzioni razionali o brillanti intuizioni, che necessariamente approdano ad un atto di fede, I'approccio psicologico si limita alla considerazione e all'analisi del fenomeno. Quindi se la nevrosi in una certa misura investe le modalita di operare, di individuare I'idea informatrice e il desiderio autentico per metterli in pratica, la psi-così invece è a monte, inficia la nascita del desiderio e impedisce di formulare un'ipotesi e tanto meno un progetto.

Naturalmente il Senso ha rilievo e contorni solo se contrasta con il non-Senso: tuttavia bisogna che pre- valga su di esso, che ammetta e capisca il non-Senso, mentre questo non è in grado di comprendere il primo.

Dunque se la psicosì, come abitualmente si afferma, è legata ad una mancanza d'identità e se I'identità implica il Senso, essa non può affrontarsi con la sola psicologia e richiede anche un approccio metapsico- logico. Cio vuol dire, estendendo il concetto freudiano e sottolineando I'etimo del prefisso « meta », osser- vare il fatto nella sua trasformazione e nella suc- cessione evolutiva con un punto di vista che, per tra- sposizione, vada oltre gli angusti limiti della scienza.

Tutto ciò non contraddice a quanto acclarato a propo- sito della psicogenesi della malattia mentale, del di- sturbo di rapporto oggettuale, della difficoltà di farsi soggetto, alienando da se a questo scopo la totalita istintuale per mezzo dell'incontro positivo con la ma- dre, con la realta, con i processi di comunicazione e socializzazione, che coincidono con I'articolazione del linguaggio.

Rimane il fatto che, se la psi così coinvolge tutto I'uo- mo nella sua attualita e nella sua storia, non le si può rispondere soltanto con la tecnica psicologica, e cioè

(7)

con il « logos » della psiche, che usa categorie epi- stemologiche ben definite e le persegue secondo i canoni della scienza empirica.

Ecco perchè Freud ha vietato alla psicoanalisi di in- teressarsi della follia e perchè Jung invece, attratto da essa e di essa esperto, ha inventato la « funzione trascendente » e « I'individuazione » intesa quest'ul- tima come « tendenza al Se ». Di conseguenza quando vogliamo decifrare il gergo dello psicotico dobbiamo entrare nel mondo dei simboli e delle immagini arche- tipiche: cioè adottare una dimensione transpersonale.

Torniamo così alle modalita metapsicologiche.

Affermare I'importanza di queste ultime comporta quin- di di servirsi della psicologia fino al punto in cui ar - riva alla sua fascia irrisolta, perchè irrisolvibile in quanto si confonde e trapassa in uno spazio ult eriore, dove I'uomo può responsabilmente inoltrarsi utilizzan- do altre peculiari qualita. Questo principio non desau- tora la psicologia, ne la psicoanalisi: semmai, ridi- mensionando i presuntuosi e miopi sacerdoti della ve- rita che si afferma tale solo perchè è I'ultimo verbo, ribadisce il valore di esse, proprio mentre ne limita i confini. E' chiaro che il ricorso alla metapsicologia debba essere corretto e subentrare dopo aver esau- rito la ricerca scientifica: ogni energia va applicata secondo la propria legge e sull'oggetto appropriate Quindi nell'intento di affrontare la psicosì bisogna in- tegrare gli strumenti psico analitici con interventi di- versi. Abbiamo sostenuto la metapsicologia: ma dalla sponda opposta anche la sociologia avanza i suoi di- ritti, proclamati in questi ultimi anni persino con trop- pa enfasi. Nella disamina critica, che ha acutamente individuate nel folle semplicemente il diverse nella denuncia mossa al collettivo di emarginare il diverso, perchè detto collettivo ha paura di tutto quanto non capisce e non è come lui, nella diatriba aspramente polemica e politicizzata si è rischiato di scotomizzare il malato mentale, come se bastasse formulare la teo- ria e impostare la lotta perchè il malato, etichetta a parte, non esista più con tutte le sue drammatiche e concrete richieste. La nostra utopia umana ci spinge ad adoperarci affin-

(8)

chè scompaiano guerre e follia; ma finchè queste per- sistono nonostante i nostri sforzi, dobbiamo occuparci di feriti, di morti, di folli; che altrimenti, negando la realtà, saremmo per definizione folli noi stessi. Non fa parte di questo mio tema proporre un modello di intervento articolato, che avvii a pratica soluzione il problema psichiatrico; anche perchè altri in questo stesso libro se ne occupano. A me preme ribadire che la difficolta non è nelle idee, nei modi di attua- zione o nel disagio economico: ma si fonda nella mancanza di onesta, di volonta politica, di preparazione culturale e tecnica, di affinamento umano in termini sia comunitari che individuali. In ogni modo non ba- stano gli uomini adatti senza le strutture adatte e viceversa.

Personalmente ho operato da medico e non mi sento ovviamente immune da colpe: ma qui non importa tanto intrattenersi su di esse, quanto vedere cosa ha comportato una siffatta esperienza, anche se esporre il proprio personale può essere giudicato narcisistico;

e il narcisismo, così come il masochismo su men- zionato, è un altro vizio capitale, da cui I'analista deve accuratamente guardarsi. Tuttavia, convinto che I'altra faccia del narcisismo sia la sincera volonta di parte- cipazione e il coraggio di esporsi alle critiche oltre che ai consensi, userò la prima persona. II mio primo contatto con la malattia mentale fu la porta di un gabinetto piuttosto robusta; lui, un ra-gazzo di venticinque anni mio coetaneo, era chiuso dentro da varie ore, non apriva, non rispondeva alle suppliche della madre e della sorella (il padre era morto), mugugnava, alternava lunghi spessi silenzi a rumori sospetti; aleggiava lo spettro del suicidio, del resto plausibile. Rimasi per molte ore fiducioso, ma anche impotente dietro quella porta, cercando di cal-mare le ansie dei familiari, che poi avevano tutte le ragioni di essere in ansia: alla fine, aderendo alle loro reiterate sollecitazioni e con il vissuto della scon-fitta, stilai non senza fatica e perplessita il famoso certificato di ricovero coatto, che doveva ricevere I'ap-provazione della Polizia. Mi resi conto direttamente, con compiacimento ed orrore, del potere insito nel mio

(9)

ruolo; non mi convinceva in ogni modo il connubio con la Polizia, che sostituiva la forza alla persuasione.

Molti anni dopo una mia amica, che abitualmente cu- ravo con pochi farmaci e molta comprensione per i suoi mali psicosomatici, cominciò a scivolare gradual- mente nel pozzo della depressione: lei scivolava ed

io cercavo di ritirarla su, le parlavo, la rassicuravo, le insegnavo dove aggrapparsi, come usare le proprie for- ze. Ma ancora una volta dovetti arrendermi: fu chia- mato a consulto I'eminente psichiatra, consiglio il ri- covero con decisione e dottrina; i familiari erano fa- vorevoli, I'interessata era sfinita, in fondo anche lei consenziente di demandare ad altri la propria stan- chezza. Comincio la serie degli elettroshocks, dap- prima insinuati con accorte lusinghe, ma accettati con diffidenza; poi, mano a mano gli shocks, che cresce- vano di numero nei successivi ricoveri, diventarono una consuetudine tra il rassegnato e il gradevole. E però, dietro il miglioramento dei sintomi acuti della depressione e in difetto di una seria psicoterapia ri- costruttiva, aumentavano Io sfaldamento di base della personalità e le lacune della concentrazione e della memoria, vanificando anche I'efficacia operativa e re- lazionale della paziente.

Un'altra volta, più di recente, mi introdussi quasi di prepotenza nella casa di un giovane in trattamento psicoanalitico presso di me: non mangiava da giorni, stava disteso sul letto, non rispondeva, si dibatteva ai tentativi di muoverlo. Lo psichiatra aveva sancito il ricovero, i familiari erano allarmati e stupefatti di fronte a un comportamento esploso all'improvviso, così stridente con lo stile della casa e dello stesso paziente fino allora. Stetti lì varie ore vicino al suo letto, gli tenevo la mano, gli carezzavo la fronte; ho bevuto il latte insieme con lui, ho avuto le prime ri- sposte gestuali, I'ho sostenuto e preso sotto braccio mentre si alzava, ho svolto le funzioni della mamma buona. Si è fatta notte; ormai era tardi per ricoverarlo, lo psichiatra I'aspettava prima di sera: « aspettiamo domani » dissi, e I'indomani di colpo tutto era cam- biato, normalizzato, e i genitori ancora più allibiti, in- creduli (un complotto, una truffa, una magia?), quasi

(10)

delusi. Sapevo che si era trattato di una irruzione di sintomi gravi su di un terreno nevrotico; la mia fi- ducia e il comportamento fermo e disponibile si erano trasferiti al paziente, che aveva ritrovato in se proprio queste stesse qualita per opporsi ad un progetto pseu- do-terapeutico sicuramente pericoloso. « Dottore mi aiuti! »: I'esclamazione disperata è tal-volta gridata, talaltra scritta sul viso o leggibile nello sguardo sgomento, sperduto nel vuoto; il lungo este-nuante braccio di ferro con il fratello matto dentro sta per concludersi con una disfatta. Fino a quel punto I'lo conserva la sua lucidità, ma sente mancarsi il terreno sotto i piedi: affiora la tentazione di abbando- narsi alla corrente come i fiori sparsi sul ruscello e il canto leggiadro di Ofelia; affiora il paradiso dell'in- coscienza, che riesce persino a neutralizzare la vio- lenza degli uomini, che nella polivalenza infinita della follia può assumere qualunque veste ma nessun nome, se non quello di un altro, felice, che si desidera pe- rennemente di essere.

E il dottore naturalmente conosce questa storia, ma non è in grado di nulla se non vive il proprio matto, non lo fa parlare sciogliendo le riserve, per compren- dere I'interlocutore ed essere compreso: è un giuoco la cui posta può convertirsi nella distruzione dei due giuocatori, un giuoco pericoloso ma I'unico possibile.

II rischio diminuisce se chi tiene il banco ha i nervi saldi, se non tralascia di osservare, vagliare, registrare tutto quanto succede e riportarlo al centra; senza tut- tavia sottrarsi alla passione del giuoco. Certo perchè ne valga la pena e perchè si riesca a vincere è necessario rispettare le regole del giuoco:

lo facevamo da ragazzi, quando credevamo che man- care alla parola data, tentare imbrogli o infine barare fosse I'ultima delle aberrazioni. Poi siamo diventati grandi e ci hanno fatto vedere, magari per finta al cinema, che quelle impeccabili e affascinanti sale da giuoco facevano capo ad una saletta nascosta, dove il boss dietro le quinte regolava tutto il sistema senza altro scrupolo che il profitto personale.

lo non so fino a che punto tutti quanti operano nel sistema della follia, psichiatri, psicologi, pedagoghi,

(11)

sociologi, politici siano consapevoli del male che fan- no: talora però ho il sentore che facciano apposta.

Se invece sono ignoranti dell'effetto prodotto, tanto peggio ancora, perchè nell'altro caso almeno la con- sapevolezza riscatta la qualita di uomo, anche se non ne comprova la moralita.

I sistemi tradizionali dell'intervento psichiatrico sono stati spesso promossi da buone intenzioni: ma sap- piamo che esse erano sostanzialmente rivolte a pro- teggere la societa, i sani, piuttosto che a curare i ma- lati. A parte i metodi di contenzione, fin troppo pale- semente ostili al malato, anche gli atti su di lui, scien- tificamente studiati per giovargli, dallo shock terapeu- tico agli psicofarmaci, sono usati del tutto inconscia- mente per distruggerlo: e ancora la proiezione del nostro malessere, I'antico desiderio di distruggere il matto dentro di noi, invece di amarlo perchè insoppri- mibile e necessario.

lo credo che il Molière del « malato immaginario » o I'ultimo Ivan Illich di « nemesi medica » usino il sar- casmo o la metafora fino al paradosso perchè in fondo hanno stima della medicina, che pubblicamente di- sprezzano: ma bisogna ugualmente capire la lezione, distinguere I'ipocrisia dell'istituzione dalla pregnanza del contenuto, rifiutare il piedistallo, che i dolenti in- timiditi erigono a propiziare Esculapio; bisogna diven- tare uno di loro, che rispetto a loro ha maggiore espe- rienza e consapevolezza solo perchè gli è toccato di soffrire di più o da più tempo, oppure perchè è riu- scito a impossessarsi del segreto di un complicato congegno.

Ho detto « segreto »: ma è davvero il segreto di Pul- cinella, I'uovo di Colombo! Basta sostituire la prepo- sizione contro con verso; così « sano contro folle»

diventa « sano verso folle ». Invece della elisione di forze contrarie si ottiene la somma di forze conver- genti sullo stesso oggetto, da punti diversi ma nella stessa direzione: il movimento si fa più veloce e più correttamente diretto che se fosse sospinto in un punto unico dalla sola energia del sano. Detto così sembra facile: in realtà il momento magico dell'inversione di marcia, dell'intuizione rivoluzionaria

(12)

scatta solo se è stato preceduto da un lavoro quoti- diano, dove si guadagna a fatica qualche metro al giorno nel lungo cammino di accostamento. L'uomo tormentato, alla sera addormentandosi, regredisce nel- la beatitudine infantile e si aspetta, con una speranza commovente di fronte agli sberleffi della ragione, che di notte la fata buona sbaragli la Strega, che la mat- tina dopo il campo sia sgombro, la mente chiara, il cuore leggero e soprattutto che quel fastidiosissimo fratello sia partito, abbia lasciato la sponda del letto.

E invece è sempre lo stesso uomo e nemmeno si accorge, guardandosi continuamente allo specchio, che qualche ruga si è spianata, che è andato un po' avanti.

Bisogna allora al mattino ricucire pazientemente la tela, infilare un'altra pietra nella collana. Poi ci sono gli altri, che aspettano, i parenti, gli amici, la societ à:

aspettano che lui guari sca, ma non sanno che fare per affrettare i tempi; cercano qualche timido goffo approccio, ma subito si ritraggono terrorizzati se lui digrigna i denti. Ma, come dicevo sopra, hanno ragione ad aver paura: come potrebbero non averne se non sanno con che cos a hanno a che fare, se si trovano in una macchina senza freni, se fronteggiano un cavallo imbizzarrito? Più si ha paura e più I'av-versario si imbaldanzisce. Pertanto bisogna istruire e assistere i sani, fornendo le chiavi possibili dell'enig-ma, stando loro vicino perchè imparino a destreggiarsi e abbiano meno paura.

Ci ò si chiama intervento sul territorio; termine di moda per indicare un impegno capillare e assiduo di sensibilizzazione e di formazione, che comincia una volta tanto dall'altra parte, dalla parte dei cosìddetti sani: capire i genitori, ormai da troppi anni sul banco degli accusati, dopo che un freudismo malinteso ha riversato su di loro tutte le colpe e ne ha paralizzato la spontaneita degli affetti; capire la comunita, che troppo spesso diventa cattiva, perchè ignorante e suc- cube di ripetute violenze.

Qui, ahime!, il discorso diventa morale, e di morale non si può parlare nel regno della psicologia e della scienza, tanto meno nel tempio della cultura. Eppure se la morale riguarda il comportamento degli uomini

(13)

ed attribuisce ad esso un giudizio di valore, non è comprensibile come una qualsiasi ideologia, per quan to effimera possa essere, sussista e si affermi se non ritiene se stessa valida, se non riconosce valore al comportamento di chi la rappresenta. Ne è pensabile di fare a meno dell'ideologia, perchè questa si coa- gula non appena I'individuo pensa e si dispone ad attuare il suo pensiero; quindi ogni idea ed ogni atto implicano una visione etica, qualunque sia I'oggetto che riguardano.

Ma non ci stiamo riferendo ad un'astrazione ideali- stica, che sia fissata in un sistema rigido e che esclu- da o strumentalizzi I'esterno da se; piuttosto si vuol parlare di una ricerca del Senso, che verifichi e ag- giorni pragmaticamente i propri assunti attraverso la esperienza, e sia disposta ad accogliere il nuovo.

Quest'ultima parte del mio argomentare sembra es- sersi discostata dal tema; ma invece propone di ri- volgersi al folle, come portatore di nuovo, come ri- cercatore confuso e sofferente di significati inconsci, esploratore coraggioso e sprovveduto di mondi oscuri, difensore strenuo e disperato di coerenza morale. La parola del folle è a mezza strada tra i suoni inartico- lati dei primati e I'armonico linguaggio del futuro, fa- miliare per tutti,

Chi si interessa di psicosì, per presunta vocazione o perchè costrettovi dall'incontro con essa, non può mi- nimamente distrarre I'attenzione dal fenomeno, che gli viene presentato come un rebus; deve decifrarlo ricevendone il messaggio straordinario e restituirlo al- I'interlocutore rifomulato: tutto questo funziona però solo se e pregno d'amore e squisitamente persona- lizzato.

Rimane quindi estremamente arduo e persino ingiusto richiedere ai parenti e alla comunità un siffatto com- portamento, che è il risultato di un lungo esercizio:

chi ha sperimentato cosa voglia dire avere un matto in casa, magari il proprio fratello, sa quanto coinvolga vivere quotidianamente con lui, sa come, nonostante il desiderio, la preparazione teorica, I'apertura sociale e la forza morale, nonche la consapevoiezza delle pro- prie colpe e il bisogno di espiarle, nonostante tutto

\

(14)

ciò i limiti di resistenza si sgretolino inesorabilmente e si profili I'orrido rigetto, il « non ce la faccio più », che significa lasciar uscire di casa la follia per non esserne posseduti.

Ecco perchè è indispensabile condividere I'esperienza con altri, più temprati, più freschi in quanto non im- plicati direttamente, o più abili nel disinnescare la esplosione dell'irrazionale: la solidarietà compatta e affettuosa del gruppo infatti può trasformare la pre - sunta disgraz ia in un fermento comune di crescita.

II folle contiene una carica dirompente di aggressività, certamente legittima data la contraddittorietà della mi- scela umana, che ha bisogno di uno spazio adatto per espandersi, distruggendo senza danneggiare, scate- nando il suo potenziale su di una sostanza apparente- mente inerte, ma capace di trasformare in positivo tale carica. E' una rabbia che acceca, una violenza senza obiettivi. Si tratta ancora di restituire il Senso al caos: il Senso è la resina che aggrega le varie parti della personalità, impedendone la scissione e dando ad essa una forma, senza tuttavia fissarla in un composto definitivo ma al contrario internamente fluido. Restituire il Senso comporta riconoscere la di- gnita dell'lo, prevedere un fine, guardare verso, espri- mere un progetto: e quanto va dato allo psicotico, che invece ha perso il contatto con la realt à, perch è trop - po ingrata e troppo assurda, che non ha memoria, non ha luogo, non ha tempo, e solo attuale nell'eternita del suo delirio.

Egli tuttavia ci trasmette il desiderio di trascendere le angustie della struttura, ci propone disperatamente di essere, al di la dei troppi compromessi con la de- bolezza di avere.

Riferimenti

Documenti correlati

Here we describe DLA, the algorithm we propose for sequential pattern mining. It is based on the Apriori property and can be summarized in three iterative steps. Each iteration of

These hurdles have shifted the attention of many researchers in the field of cell-based therapy to other stem cell types, in particular to adult bone marrow-derived

As shown in Figure 4, the deletion of the proximal S1 site affected utrophin promoter activity by over 60 %, while mutations of either S2 or S3 sites affected utrophin

Oppure, si potrebbe prevedere la conferma della quota ridotta per ulteriori 12 mesi se nell’anno successivo a quello di maturazione dello scatto di anzianità il lavoratore fosse

[Raccomandazioni basate su evidenze di qualità da mo- derata a molto bassa da trial controllati randomizzati e su studi di costo-efficacia con limiti potenzialmente

Mediante questa procedura sono facilmente ottenibili forme chiuse in una o in tutte e due le direzioni (u,v) come mostrato in Figura 2-23. Figura 2-22 Esempio di