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PROBLEMI DIAGNOSTICI E DI VALUTAZIONE CLINICA

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Academic year: 2022

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PROBLEMI DIAGNOSTICI E DI VALUTAZIONE CLINICA

Dott. Alberto Anglesio

Il contesto del giudizio all’interno del quale si svolge la valutazione peritale, nel campo della diagnosi psichiatrica, può interferire in modo significativo con il percorso diagnostico alterandolo e creando difficoltà che possono viziare l’esito del percorso stesso.

L'esame del malato in medicina segue un percorso che parte dalla individuazione del disturbo, prosegue con la raccolta dell'anamnesi, con l'esame obiettivo, con l'esecuzione di tutti quegli accertamenti strumentali e di laboratorio necessari e si conclude con una sintesi dei dati ottenuti che conduce alla diagnosi.

Il percorso dell'esame del paziente che presenta disturbi mentali comporta alcune sostanziali differenze delle tappe sopra indicate.

L'accesso alla diagnosi psichiatrica viene regolato dal paziente nel contesto della relazione paziente-psichiatra. All'interno di questa relazione si stabilisce un flusso di comunicazione dal paziente allo psichiatra che consente l'acquisizione delle informazioni necessarie per formulare il giudizio diagnostico, ma la regolazione del flusso è, anche se non totalmente, dominata dal paziente e dipende in parte dai vissuti che egli sviluppa nei confronti dello psichiatra, dall'ambiente all'interno del quale avviene la valutazione e dal contesto della valutazione stessa.

Anche lo psichiatra è partecipe e artefice del processo in quanto la comunicazione si stabilisce all'interno della specifica relazione con lui. È noto che una stessa persona comunica cose diverse a interlocutori diversi.

Il polimorfismo diagnostico che si osserva talora in psichiatria (diverse diagnosi per uno stesso caso in funzione delle persone che avevano formulato tale giudizio diagnostico) dimostra che lo psichiatra ha un ruolo attivo nel processo diagnostico che condiziona la stessa diagnosi.

Anche il contesto della valutazione, assoggettato ai diritti delle parti, comporta il fatto che la situazione di esame assume quasi sempre la connotazione di un " tribunale di valutazione ". Questo setting non favorisce certo lo stabilirsi di quel rapporto empatico che è essenziale per poter entrare in sintonia con e comprendere il periziando.

Ulteriore problema è costituito dalla posizione dello psichiatra che, anche se addestrato, non è in grado di controllare del tutto le sue valenze controtransferali. È noto che l’analisi delle proprie dinamiche controtransferali presenta lacune in quanto esistono alcuni movimenti emotivi profondi che non vengono analizzati o controllati.

Gli strumenti di cui dispone lo psichiatra per la valutare il danno psichico sono: 1) anamnesi, 2) esame obiettivo, 3) somministrazione di reattivi psico diagnostici, 4) esami di laboratorio.

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L'approccio al paziente che presenti un disturbo psichico inizia con la presentazione del disturbo da parte del paziente stesso. Questo è il primo momento di incontro, il prologo del percorso diagnostico ma la sua importanza è ancora maggiore che in medicina: assume significato diagnostico il modo di proporsi e di proporre i propri disturbi.

In questo specifico settore, più che in tutti gli altri settori della medicina, l'acquisizione dei dati anamnestici non può essere fatta limitandosi all’interrogazione del paziente perché, anche se questi fornisce alcune risposte alle domande che gli vengono proposte, non è detto che tali risposte siano attendibili. Per questo risulta fondamentale ai fini della valutazione l'acquisizione di informazioni da parte di persone vicine al paziente, specie nei casi di grave deterioramento mentale con deficit della memoria e nei casi in cui manca la coscienza di malattia, ma anche in alcuni casi in cui esiste l'esigenza di fornire un'immagine di sè finalizzata ad ottenere un risarcimento. Tali informazioni ricavate da terze persone possono proporre il problema delle testimoninze; questo verrà discusso più avanti.

La raccolta dell'anamnesi ha importanza, come in medicina; ma mentre in medicina i dati riferiti sono meno inquinati in quanto riferiti a eventi morbosi la cui dimensione è fisica (anche se la percezione è comunque sottomessa alle leggi dell’interpretazione soggettiva), l'anamnesi psicopatologica contiene una rilettura filtrata, appercepita, rilevante ai fini diagnostici ma sicuramente meno obiettiva.

Inoltre, mentre nella raccolta dell'anamnesi medica il sanitario deve sollecitare l'esposizione degli eventi morbosi pregressi anche mediante suggerimenti specifici (mai avuta l’epilessia, la polmonite, la tubercolosi, etc.) per non trascurare alcun settore, nella raccolta psicopatologica un simile atteggiamento può essere fonte di errore in quanto sollecitare ricordi o fornire suggerimenti rischia di evocare falsi ricordi o di dilatare le distorsioni contenute in tali ricordi. L'abilità dell'esaminatore in questo caso consiste nel saper evitare suggerimenti e domande specifiche, sapendo invece cogliere quegli indizi anche minimi sui quali costruire gli opportuni approfondimenti. Non si deve dimenticare che i soggetti che sono oggetto della valutazione (eccetto i simulatori) sono emotivamente disturbati e vengono influenzati dalla situazione d’esame e dall’atteggiamento dell’esaminatore. Per questo atteggiamenti troppo aggressivi oppure distaccati dell’esaminatore possono inibire la comunicazione da parte di quei periziandi che sono insicuri e ansiosi, penalizzandoli ingiustamente.

L’esame obiettivo in psichiatria (esame psichico) presenta significative differenze rispetto alla medicina. L'esame obiettivo medico serve a constatare, osservare, valutare qualcosa di fisico, reale, un corpo, un organo ammalato. Gli organi, in medicina, sono delle entità concrete, osservabili direttamente o indirettamente e, comunque, osservabili almeno all'esame necroscopico.

Ma dove si trova l'organo malato in psichiatria?

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A fatica si cerca di definire che cos’è la psiche, ma non la si può osservare; la psiche non è un'entità anatomica, una struttura, ma il prodotto di un funzionamento. Il funzionamento del cervello, se si privilegia la concezione organicistico-neurobiologica della mente; oppure il prodotto dell'interazione tra anima e cervello se si adotta una concezione non solo organicistica.

Il prodotto della psiche è il pensiero, ma non è solo questo, sono anche le sensazioni, le emozioni, le azioni.

Di queste le azioni sono osservabili direttamente, ma questa possibilità non fa parte del percorso diagnostico in quanto costringerebbe lo psichiatra a trasformarsi in un osservatore invisibile che segue il suo cliente nella quotidianità o, nel caso dell'indagine peritale, in una sorta di Sherlok Holmes che segue e spia il periziando. Che cosa rimane quindi? Il pensiero, le sensazioni, le emozioni. In un contesto terapeutico è possibile giungere ad avvicinarsi alla comprensione di questi tre elementi; non è altrettanto facile ottenere lo stesso risultato nel contesto della valutazione peritale in quanto l'interferenza dei vissuti del paziente nei confronti dell'esaminatore e dell’atteggiamento di questo interferisce con la comunicazione inibiendola.

Gli esami di laboratorio non sono inutili in questo tipo di valutazione; anzi E.E.G., T.A.C., R.M.N. encefalica e altri accertamenti che si omettono per brevità (tra cui anche i comuni esami ematochimici di routine) permettono di valutare se il disturbo psichico sia espressione di un disturbo organico e, in questo caso, ne definiscono la natura. Forniscono anche la conferma del nesso di causa tra la lesione, la sede di questa e il tipo di disturbo psichico osservato quando ci si trova di fronte alle patologie che sono state incluse nella categoria 1.a (vedasi la classificazione dei disturbi psichici).

Gli altri strumenti di valutazione ai quali ricorre lo psichiatra hanno invece precise limitazioni. Da questi possono derivare gravi errori diagnostici se non se ne conoscono caratteristiche, modalità di somministrazione corretta e limiti e se si omette di cercare la convalida degli elementi emersi in ambito clinico.

Questi strumenti sono i test psicologici. Le limitazioni di questi sono precise e devono essere ben conosciute se si vuole evitare di incorrere in errori valutativi. I test d’intelligenza più spesso utilizzati sono il Wechsler, il Termann Merril, il Binet Simon etc.; accanto a questi esistono prove per la valutazione dei deficit neurocognitivi. Il principale test proiettivo è il Rorschach, e con questo il T.A.T., il C.A.T. nel bambino, etc. Esistono test diagnostici come il M.M.PI. nelle sue due forme; alcuni autori utilizzano questionari valutativi composti da domande.

I questionari sono inutili in quanto falsificabili e soggetti a valutazione individuale. La domanda relativa a “ quanta ansia prova? “ che comporta alcune opzioni (nessuna, poca, molta, insopportabile) consente l’immediata comprensione del significato della risposta data e quindi è falsificabile; inoltre la valutazione del livello di gravità è soggettiva e non confrontabile. Sempre

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nel campo dei questionari alcune domande offrono la possibilità di interpretazioni soggettive, cosa che vale anche nella comunicazione durante i colloqui; classico il caso della depressione. La valutazione della depressione non deriva dalla risposta “ sono depresso “ ma dal contesto valutativo. “ Dottore, sono depresso! “ è la frase di rito con cui si presentano oggi i pazienti alle consultazioni e sostituisce la precedente “ Ho l’esaurimento “. Depressi si sentono gli schizofrenici, ma anche le isteriche e gli ansiosi.

I reattivi diagnostici tipo Minnesota (M.M.P.I.) sono sicuramente più attendibili ma sono comunque test a domande per cui molte di queste possono essere facilmente decodificate.

I test proiettivi, primo fra tutti il test del Rorschach, non sono riproducibili. Il test del Rorschach ha una qualità unica che lo rende insostituibile nella pratica clinica: l’impossibilità di decodificarne il significato e l’effetto sorpresa. Ma questo test non può essere usato come strumento diagnostico in sede peritale, come indicato dagli autori che hanno valutato l’attendibilità dei reattivi (Boncori et al.). Le sperimentazioni hanno dimostrato che uno stesso protocollo viene interpretato in modo diverso da diversi esaminatori e questo ha suggerito che il test debba essere utilizzato in sede di giudizio con molta prudenza. Inoltre il test del Rorschach è significativo quando eseguito per la prima volta poichè il fattore novità genera fenomeni che hanno grande valore interpretativo.

Anche se alcuni autori ritengono che si possa nuovamente somministrare dopo un certo tempo e cioè dopo che il soggetto si è dimenticato del test, il fatto che tale tempo sia per alcuni di sei mesi e per altri di due anni indica che non esistono certezze. Nella casistica è dato di osservare soggetti che ricordano il test anche dopo molti anni.

Le scale metriche per la valutazione dell’intelligenza e le prove di valutazione dei deficit neurocognitivi sono strumenti apparentemente perfetti in quanto forniscono valutazioni precise, numeriche, quantificabili e ripetibili. Ma questi test e queste prove non sono in grado di valutare se i deficit osservati siano dovuti a perdita della funzione oppure a interferenza di altri fattori (disturbi psicotici, ansia, depressione, etc.). Ne discende che quell’indicazione numerica precisa (Q.I. = n) in realtà fornisce solo l’indicazione del livello di prestazione che quel soggetto ha raggiunto in quel momento e in quella condizione emotiva, ma non consente di sapere quali siano le sue effettive capacità. Inoltre i test d’intelligenza subiscono limitazioni legate al livello di istruzione e di cultura dell’individuo che vi si sottopone.

Tutti i test psicologici, infine, senza esclusione, hanno un limite legato al fatto che il soggetto che li esegue può essere stato adeguatamente preparato o, in alcuni casi, può essersi egli stesso documentato e falsificare le risposte ad arte per ottenere il risultato desiderato.

Questo non significa che i test non devono essere utilizzati; significa che il loro utilizzo deve essere fatto con grande prudenza e che in nessun caso le indicazioni diagnostiche del test assumono valore se non convalidate dall'esame clinico. Invece si assiste spesso all'uso dei risultati dei test, in

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particolare di quelli proiettivi, al posto dell'indagine clinica e si vedono giudizi diagnostici che si fondano esclusivamente sulla valutazione dell'esito del test del Rorschach.

Come indicato nei maggiori trattati, nel capitolo relativo all’esame per la valutazione del caso, l’esame psichiatrico si fonda anche su notizie riferite da terze persone. Questo non vale solo nel caso delle psicosi ma aiuta a valutare meglio alcune patologie nevrotiche specie nei casi in cui il paziente minimizza oppure ingigantisce il proprio disturbo. Classici esempi i deliri nella schizofrenia paranoide; non sempre emergono durante l’esame e occorre una notevole abilità e molto tempo a disposizione per riuscire a individuarli; sapere prima quale sia il disturbo permette di orientare il colloquio portando l’esaminato a manifestarlo. Anche la valutazione della depressione e delle sue ricadute sui livelli di funzionamento si può valere dei contributi testimoniali: l’esaminato dice che è molto depresso ma risulta invece che la sera esce, che va regolarmente al lavoro che si diletta di guardare la televisione; non ci si trova certo di fronte a una grave depressione.

L’esaminato si limita a dire che talora è un po’ stanco ma i parenti riferiscono che si trascina dal letto alla sedia, che non riesce a uscire e così via: questo è un caso di depressione grave. Un altro elemento è costituito dall’insonnia: alcuni soggetti riferiscono di non dormire la notte ma i parenti raccontano che in realtà questo non è vero, oppure il contrario. Sono solo alcuni esempi per illustrare l’utilità delle acquisizioni di dati da persone che osservano il paziente nel suo ambiente.

In ambito peritale queste notizie possono essere desunte dalle testimonianze riferite direttamente al giudice e acquisite agli atti dal perito. Questo non esclude il rischio di manipolazioni ma, se la raccolta di questo tipo di dati avviene nelle sedi competenti, le dichiarazioni false assumono valore di reato e sono perseguibili. Il medico non ha compiti investigativi a questo livello, mentre il giudice ha il potere di vincolare al giuramento. Se invece le notizie vengono ottenute direttamente nel corso delle sedute peritali, sentendo [il C.T.U.] “ tutti coloro che ritenga necessario “, il rischio di false notizie fornite ad arte per influenzare l’esito della perizia aumenta. Il problema si potrebbe risolvere imponendo alle persone che forniscono questi dati di sottoscrivere le dichiarazioni rilasciate; in sede di dibattimento le dichiarazioni potrebbero essere riconfermate sotto giuramento.

Nel raccogliere le notizie fornite da terze persone è opportuno prestare attenzione alla differenza esistente tra un racconto e un rapporto; il primo consiste nel riferire quanto è accaduto e/o quanto si è osservato; il secondo contiene dei giudizi personali. Solo il primo fornisce un contributo per la valutazione, il secondo dev’essere omesso in quanto contiene già una valutazione dei fatti: quella del referente.

Nell'ambito della valutazione psichiatrica gli elementi relativi ai bisogni specifici di comunicazione, dalla parte del paziente - esaminato, e quelli relativi all'atteggiamento

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dell'esaminatore assumono rilievo ai fini della valutazione finale molto più che in medicina generale.

Ad esempio, il paziente può chiedere aiuto e questo è positivo ai fini della valutazione in quanto egli cercherà di comunicare quanto vive e percepisce della propria sofferenza, dilatandola di misura (in linea con la richiesta di aiuto), ma non falsificandola. In altri casi, il paziente tende a dilatare i sintomi per ottenere un risarcimento, cercando di fornire una comunicazione falsa finalizzata a raggiungere il risultato che si prefigge, oppure tende a mascherare o ancora la sua stessa patologia gli impedisce una comunicazione valida. Sarà compito dell'esaminatore individuare questo fornendo la valutazione corretta.

Considerare a priori che in ambito medico legale ogni paziente sia simulatore e cerchi comunque di ottenere qualcosa di più o si sforzi di nascondere qualcosa può provocare gravi errori di valutazione, errori che penalizzano quei poveri " non-simulatori " che, divorati dalle angosce dei lutti e dai sentimenti di colpa alimentati dalla depressione, spesso trascinati da altri a chiedere il giusto risarcimento, di fatto lo rifiutano in quanto lo vivono come una colpa ulteriore e, fissati al lutto, rifiutano qualsiasi tentativo di " alleviare " il lutto medesimo. L'atteggiamento aggressivo di chi effettua la valutazione su soggetti con queste caratteristiche corrisponde all'atteggiamento perverso e sadico di chi soffoca l'innocente per il solo piacere di dimostrare la propria superiorità, il proprio potere e di affermare una vittoria " di Pirro ".

Il numero dei soggetti che tende a simulare in modo abile al punto da riuscire a ingannare lo psichiatra è esiguo. Una valutazione approfondita del caso metterà comunque in evidenza le incongruenze su cui si fonda il sospetto della simulazione.

Il C.T.U. dev’essere un giudice imparziale: se si avvicina all’esaminando con un atteggiamento prevenuto perde di obiettività in quanto, soprattutto nell’abito della valutazione psichiatrica, l'atteggiamento dell'esaminatore interferisce in modo significativo sulla valutazione, alterandola. Il processo della percezione è un processo attivo (come è stato ampiamente dimostrato): anche l'esaminatore non è immune. Pertanto le sue osservazioni, soprattutto in un ambito come quello della psiche, rischiano di operare una selezione di elementi inconscia. In psicoanalisi uno dei fondamenti dell’interpretazione si basa sulla capacità di rilettura delle proprie dinamiche controtransferali, ma anche questa rilettura, come già è stato accennato in precedenza, risulta incompleta e presenta alcuni limiti. Non tutti gli psichiatri dispongono di questo bagaglio formativo; perché questo comporta uno specifico iter formativo che neppure le attuali scuole di psicoterapia forniscono; tanto meno le scuole di specializzazione in psicologia clinica, psichiatria e medicina legale.

La pratica clinica insegna che la condizione ideale per costruire un rapporto terapeutico si raggiunge quando si superano le difese del paziente; ma è anche necessario operare all’interno di un

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contesto empatico perché la relazione sia terapeuticamente efficace. Solo all'interno di un contesto strutturato in questo modo è possibile riuscire a comprendere ciò che il paziente vive.

Come è possibile realizzare questo tipo di relazione in un contesto di giudizio? Esiste una differenza profonda tra le due situazioni (terapeutica e del giudizio), differenza che crea nell'ambito della valutazione psichica un rischio di errore maggiore rispetto a quello che è presente in medicina generale.

Ritengo che, nel contesto del giudizio, l'esaminatore possa assumere due atteggiamenti opposti, uno dei quali lo allontana dalla verità creando quelle distorsioni valutative che penalizzano i soggetti non simulatori, l'altro lo avvicina alla verità ma comporta il rischio di riconoscere con minor facilità i simulatori.

Il primo atteggiamento è quello dell’inquisitore, di chi si pone nei confronti del paziente- periziando perseguendo lo scopo di smascherare le menzogne. Il secondo atteggiamento, che sostituisce quello empatico del terapeuta, è quello della ricerca della verità. Questo secondo tipo di atteggiamento guida all’interno della ricerca finalizzata a capire, a trovare le coerenze e le concordanze dei significati, a cercare la spiegazione dell'atteggiamento del periziando, qualunque esso sia. Anche la simulazione ha un significato e può essere riconosciuta se si è attenti a ricercare questo significato nell'ambito della personalità dell’esaminando, così come assumono significato la dilatazione dei propri vissuti, il mascheramento, la depressione e qualsiasi altro modello usato dal paziente nel contesto specifico.

Il risarcimento del danno alla salute è il risarcimento del danno biologico. Il danno biologico non comprende solo il danno fisico, la menomazione dell’organo o la perdita dell’organo, ma anche il danno psichico inteso come perdita o come menomazione dell’apparato psichico nel suo complesso o nelle sue parti specifiche. Se il danno psichico è una lesione dell’apparato psichico, per valutare il tipo di danno e l'incidenza dell'evento traumatico sull'insorgenza del danno medesimo, dobbiamo prendere in considerazione solo quei disturbi mentali che vengono inquadrati in una nosografia universalmente riconosciuta, quale è rappresentata oggi dal D.S.M.-IV, tentativo ormai consolidato di porre fine alla babele dei linguaggi, delle interpretazioni e delle diagnosi in psichiatria.

Questa affermazione può essere discutibile e criticata ma sembra necessaria per porre fine a una confusione che trae origine dalla stessa discussione sulla psichiatria e sul disturbo mentale. Se si esce da questo schema di riferimento si rischia di riprodurre quell’indeterminatezza valutativa che lascia spazio alla soggettività creando iniquità di giudizio e violando il principio dell’uguaglianza dei diritti sancito dalla Costituzione.

Secondo il DSM-IV il “ disturbo mentale è concettualizzato come una sindrome o un modello comportamentale o psicologico clinicamente significativo, che si presenta in un individuo,

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ed è associato a disagio (es. un sintomo algico), a disabilità (es. compromissione in una o più aree importanti del funzionamento), ad un aumento significativo del rischio di morte, di dolore o di disabilità, o a un'importante limitazione della libertà “.

Il DSM-IV descrive precisi quadri clinici che riportano alle singole diagnosi e afferiscono alle varie categorie dei disturbi. Avere un riferimento preciso è essenziale per non incorrere in una soggettivazione valutativa. Un disturbo non può essere tale se non comprende almeno una serie di sintomi ben precisi. Se mai, in psichiatria il problema consiste nell’individuazione dei sintomi, ma questo non esclude un’esigenza di rigore nella descrizione dei disturbi stessi.

La classificazione delle categorie dei disturbi così come è stata presentata risponde alle esigenze di chiarezza valutativa; si possono distinguere due categorie diagnostiche a loro volta suddivise in due gruppi:

1) disturbi con alterazioni del funzionamento cerebrale

1.a) su base anatomo - patologica evidente (sindromi c.d. psicoorganiche) 1.b) con alta probabilità di base anatomo - patologica (disturbi maggiori o

psicosi: schizofrenia, disturbi bipolari, depressione maggiore) 2) disturbi senza base anatomo-patologica (disturbi minori o psiconevrosi)

2.a) direttamente conseguenti all’evento Stress (Disturbo Post-traumatico da Stress, Disturbi dell’Adattamento)

2.b) non sempre o non sicuramente conseguenti a Stress (disturbi somatoformi, ansiosi e fittizi, etc.)

Questa suddivisione dei disturbi che interessano l'apparato psichico nelle categorie sopra elencate consente di fare una prima distinzione.

I disturbi del primo gruppo (1.a), patologie prodotte da lesioni anatomo-patolgiche che si sono verificate a livello della materia cerebrale per effetto di traumi fisici o di altri processi patologici, hanno precise connotazioni diagnostiche e eziologiche. Diagnostiche in quanto l'immagine del danno cerebrale può essere acquisita sottoponendo il soggetto leso ad accertamenti strumentali obiettivi che forniscono immagini o tracciati espressione di un danno organico (E.E.G.

T.A.C. encefalica R.M.N. encefalica). Eziologiche perché in questo caso l'accertamento del nesso di causa deriva, in genere, da un dato osservabile direttamente, non influenzato dalle interpretazioni dell’esaminatore.

Non in tutti i casi però, perché esistono quadri in cui i disturbi psichici sono il prodotto di lesioni traumatiche ma gli accertamenti di laboratorio sopra indicati non evidenziano la lesione. È noto che questi accertamenti sono soggetti al potere di risoluzione dello strumento che, pur essendo notevolmente migliorato nel corso degli ultimi anni grazie all'evoluzione delle apparecchiature per la T.A.C.e alla R.M.N., non è tale da consentire l'identificazione di microlesioni quali si verificano

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nei traumatismi cranici chiusi, lesioni che sono documentabili solo nel corso degli accertamenti anatomopatologici microscopici. In questo caso però l'entità del trauma subito, la sede dell’impatto del capo e i sintomi manifestati nel periodo successivo al trauma (perdita di coscienza, stato confusionale, etc.) possono fornire indicazioni utili per dirimere dubbi eziologici. Non tutti i dubbi, ovviamente, in quanto non sempre sono disponibili documentazioni esaustive per la valutazione, spesso i sanitari che hanno assistito l'infortunato si sono concentrati sulle patologie di maggiore evidenza clinica (fratture, lesioni interne, etc.) e non si trovano tracce di valutazioni obiettive relative allo stato del soggetto nel periodo immediatamente successivo al verificarsi dell'evento traumatico che ha prodotto le lesioni stesse.

Se le lesioni e le patologie sopra descritte propongono difficoltà di valutazione solo in alcuni casi e, comunque, comportano problemi per quanto attiene la valutazione dell'esistenza di un danno di tipo organico ma, risolto questo dubbio, non comportano problemi per quanto concerne la valutazione del nesso di causa, le grosse complicazioni iniziano quando si esaminano i disturbi psichici " sine materia ", cioè che non sono la conseguenza e l'espressione di un danno di tipo organico accertabile.

Queste patologie propongono problemi di tipo diagnostico e di obiettivazione, come sopra discusso, ma oltre ai problemi relativi alla valutazione, propongono dubbi sull’eziologia e difficoltà di accertamento del nesso di causa.

Nell'ambito di queste patologie è opportuno operare una distinzione e estrapolare dal gruppo tre quadri clinici particolari che sono stati classificati a parte (2.a), quadri che il D.S.M.-IV identifica come Disturbo Acuto da Stress, Disturbo Post-traumatico da Stress e Disturbo dell'Adattamento. Questa distinzione è necessaria in quanto il manuale li identifica come disturbi psichici prodotti da un evento stressante e ammettendo quindi il nesso di causa con l'evento stesso.

La distinzione tra i Disturbi " da Stress " e il Disturbo dello Adattamento viene fatta in base al tipo di evento che lo ha prodotto. Si tratta di entità cliniche ben determinate con precise caratteristiche semeiologiche. La diagnosi comporta l’individuazione dei sintomi tipici per ciascuna di esse. Non è l’esistenza dell’evento stressante che conduce a questo giudizio diagnostico ma le caratteristiche semeiologiche del disturbo stesso.

Nel caso dei disturbi psichici che appartengono alle due categorie (1.b) e (2.b) la discussione relativa all'eziologia del disturbo è la premessa per la valutazione medico legale, il riconoscimento del nesso di causa e la quantificazione del danno.

La maggior parte degli autori concorda sul fatto che un evento traumatico, anche gravissimo, non possa spiegare né essere la causa di quei Disturbi Maggiori (1.b) come la Schizofrenia, nelle sue varie forme cliniche o il Disturbo Bipolare. Tuttavia gli eventi traumatici possono favorire l'insorgenza o la riacutizzazione di disturbi di questo tipo. È noto che soggetti

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affetti da schizofrenia presentano una particolare labilità in situazioni di stress alle quali fanno fronte " ri-ammalandosi ". Cioè la riacutizzazione del disturbo (fase acuta della malattia) è la "

necessaria " risposta di difesa che consente all'individuo di far fronte a un evento (lo stress) che egli non si sente di tollerare. Analogo discorso vale per i Disturbi Bipolari. La risposta all'evento in termini di crisi acuta (psicotica, depressiva o maniacale) produce uno scompenso psichico che si mantiene per un certo periodo di tempo ma che, solo in linea teorica può cronicizzare. Nella maggior parte dei casi, la crisi acuta rientra dopo un periodo non così lungo da poterlo definire stato di malattia cronico.

Se mai potrebbe esistere un dubbio in quei casi in cui dalla storia clinica emerga che l'evento stressante ha prodotto il primo scompenso; si è verificata cioè la malattia in un soggetto, che si potrebbe definire clinicamente predisposto, ma non ancora malato prima dell'evento stressante medesimo. La letteratura psichiatrica propone molti esempi in merito: la depressione post partum può in alcuni casi evolvere verso un disturbo depressivo cronico oppure verso una psicosi; l’amenza può risolversi senza reliquati oppure evolvere verso un disturbo psicotico; una bouffee delirante può essere isolata nella vita di una persona e risolversi del tutto oppure può essere il primo episodio di una grave psicosi. Si tratta però in genere di casi in cui il quadro clinico è così evidente e chiaro da non proporre dubbi diagnostici; rimangono quelli eziologici e la dimostrazione del nesso di causa.

Diversa è la valutazione del danno nei disturbi definiti minori, inclusi nella categoria (2.b).

All’origine di questi disturbi è riconosciuta l'importanza eziologica dei fattori legati all'ambiente, quindi anche degli eventuali eventi stressanti. Perché possa svilupparsi un disturbo di questo tipo è necessaria una predisposizione, cioè si deve trovare una struttura di personalità ben definita sulla quale il disturbo trova terreno adatto per potersi sviluppare. In questi casi, a livello eziologico, la relazione tra l'evento e il disturbo osservato (danno biologico) è evidente. Più complessa è la dimostrazione del nesso di causa e la quantificazione del danno biologico. Non sempre semplice, per i motivi sopra indicati, l'accertamento dell'effettiva esistenza del quadro clinico inquadrabile nell'ambito del D.S.M.-IV. Paradossalmente il capitolo dei disturbi minori (gruppo 2.b) è quello meno significativo sotto il profilo della gravità del danno e quindi della valutazione (si tratta di quadri clinici per i quali le percentuali di danno sono in genere comprese tra il 5 e il 10 %) ma è anche il gruppo più affollato di casi e quello che propone i problemi diagnostici e valutativi più complessi.

Esiste una difficoltà comune nella valutazione della maggior parte dei disturbi mentali:

l’individuazione della quantità del difetto di funzionamento e delle singole aree funzionali su cui il difetto interviene. Solo quando si tratta di danni cerebrali che producono Demenza o Ritardo Mentale è abbastanza facile stabilire quali siano le funzioni deficitarie e avere un’indicazione quantitativa del deficit stesso. Ma in tutti gli altri disturbi tale valutazione è complessa in quanto

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non esiste sempre una relazione diretta tra il carattere della patologia e le invalidazioni che questa produce. Ad esempio un disturbo ansioso può comparire solo in alcune situazioni specifiche e può essere indipendente dall’evento stressante in certi soggetti, mentre in altri può invadere ogni settore della vita, rendendola impossibile e imponendo alla persona che ne soffre un grande sforzo per poterla affrontare.

Le considerazioni esposte sin qui sono la premessa necessaria sulla quale fondare la valutazione del danno derivante dal disturbo psichico. La letteratura propone alcune modalità di valutazione che si basano sulla diagnosi clinica, lasciando ampio margine per quanto attiene la gravità; desta perplessità l’inquadramento valutativo proposto da alcuni autori per la schizofrenia e la psicosi maniaco depressiva; stando a quanto sopra discusso, appare poco verosimile pensare che un episodio psicotico possa avere come unico agente causale il trauma in quanto, se mai, il trauma costituisce l'elemento scatenante. Inoltre il disturbo (crisi psicotica acuta, screzio di tipo maniacale o depressivo) che insorge a seguito di un evento stressante, quale può essere un trauma, è un episodio la cui durata è limitata nel tempo.

Il dubbio rimane invece nel caso di un " disturbo maggiore " che esordisca dopo un evento traumatico in un soggetto che sino a quel momento non presentava segni di patologia. I numerosi interrogativi sull'eziologia dei disturbi mentali lasciano spazio al dubbio che anche un disturbo così grave possa avere come agente causale un trauma.

Nel caso delle patologie sopra indicate e precisamente, nel caso della schizofrenia e dei disturbi bipolari, sostenere l’esistenza di un danno biologico, ove per danno biologico si intende una " menomazione permanente " dell'integrità psico-fisica dell'individuo, desta perplessità soprattutto perché il danno derivante da un evento traumatico è, in questi casi, transeunte.

La valutazione del danno nel caso della Depressione Maggiore propone alcune considerazioni particolari. Anche se il D.S.M.-IV la include nel capitolo relativo ai Disturbi Bipolari, si tratta di due patologie che hanno dei caratteri e delle ricadute sui " funzionamenti "

diverse. Inoltre è noto che per i Disturbi Bipolari esistono consistenti dati che orientano verso un’eziologia ereditaria. Infine il disturbo evolve in modo critico con alternarsi di episodi caratteristici per ogni forma clinica. La Depressione Maggiore non può per la sua stessa natura venire assimilata ai disturbi bipolari. Nel caso della Depressione Maggiore un trauma può costituire l’evento precipitante, causa dello scompenso. Tale scompenso è duraturo e lesivo in modo permanente o prolungato dell'integrità psico-fisica dell'individuo. Se mai occorre particolare rigore nell’individuare l’esistenza del nesso di causa e nel formulare il giudizio diagnostico, in quanto questo quadro clinico presenta caratteristiche specifiche e non può essere confuso con tutte quelle forme cliniche in cui il sintomo depressivo è presente ma la cui gravità è molto minore. Si tratta di quelle forme cliniche che il D.S.M.-IV indica come Disturbo Distimico e come Disturbo

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Depressivo Non Altrimenti Specificato; questi quadri clinici hanno ricadute molto inferiori sull'individuo che ne è colpito per cui la loro incidenza sui " funzionamenti " deve essere valutata con attenzione.

Problematica è la valutazione dei disturbi che nei vecchi trattati di psichiatria venivano indicati come disturbi minori, la cui ricaduta sul " funzionamento " è in genere modesta e in alcuni casi insignificante.

Si tratta di quei quadri clinici che sul D.S.M.-IV sono trattati nei capitoli relativi a Disturbi d'ansia, Disturbi somatoformi e Disturbi fittizi. Essi propongono problemi valutativi complessi in quanto la perdita di validità può riguardare il " funzionamento lavorativo" ma anche la relazione con gli altri, la perdita dell'entusiasmo, la difficoltà di fare progetti, la compromissione secondaria delle funzioni cognitive per interferenza dell'ansia e dell'emotività oppure per depressione. La complessità dei problemi comporta il rischio dell'adozione di criteri valutativi soggettivi e difformi.

Inoltre proprio questo settore della nosografia psichiatrica presenta i più complessi problemi di valutazione diagnostica in un contesto di giudizio come è quello peritale. Questo infatti è il campo in cui la diagnosi comporta la valutazione dei contenuti della comunicazione, lo studio e la conoscenza dei movimenti emotivi, delle sensazioni, dei processi del pensiero.

Infatti mentre nella patologia maggiore l'osservazione può fornire elementi utili ai fini della valutazione e anche la conoscenza o l'acquisizione di informazioni relative alla qualità della vita e delle relazioni, alla capacità o meno di svolgere attività lavorativa, nel settore dei disturbi minori (leggasi " nevrosi ") queste indicazioni sono decisamente meno evidenti. Anche l'espressione dell'ansia e della depressione non sono così marcate e possono essere soggette ad interpretazione distorta da parte dell'esaminatore che inconsciamente proietta sull'esaminato i propri vissuti. L'ansia espressa, clamorosamente evidente anche se non recitata, non corrisponde necessariamente ad un effettivo livello di sofferenza. Anzi, spesso è proprio il contrario: soffrono di più le persone in cui prevalgono le dinamiche introversive, in cui i vissuti interni non vengono comunicati e manifestati.

Lo stesso nella depressione. Analogo criterio vale per il funzionamento, perché queste patologie possono interferire in settori del funzionamento della psiche dei quali non si trova un corrispettivo nella realtà: ad esempio una persona può svolgere comunque la propria attività lavorativa ma questo può costarle una maggiore fatica o sofferenza in termini di ansia, di lotta per rimanere concentrata distogliendo la mente da altri pensieri angoscianti, come accade spesso nelle situazioni di lutto.

Se in questo settore la valutazione per diagnosi presenta lacune, potrebbe essere più adeguata la valutazione per sintomi. Quest’ultima è teoricamente più equa in quanto valuta il danno effettivo; tuttavia la mancanza di un riferimento alla diagnosi lascia aperto il rischio di un eccesso di soggettività. Solo la combinazione dei due criteri può consentire una valutazione rigorosa. Inoltre

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una tabella valutativa potrebbe indicare il valore massimo del danno valutabile per ogni specifica patologia.

Il capitolo dei Disturbi Minori (2.b) propone il problema della valutazione della durata del disturbo mentale. Se è chiaro che i danni che hanno un substrato eziologico organico sono permanenti (si veda come esempio il Ritardo Mentale oppure la Demenza) e se l’epidemiologia indica che le crisi psicotiche acute o le riacutizzazioni maniacali o depressive dei Disturbi Bipolari hanno una durata che si può misurare in mesi, diversa è la valutazione della durata nel caso degli altri quadri clinici: dal Disturbo Post Traumatico da Stress, alla nevrosi d'ansia, alla depressione. In questi casi l'evento stressante agisce come elemento di scompenso, determina la perdita di quei punti di riferimento sui quali si fondano le " sicurezze" dell'individuo; ma qual è la durata di tale scompenso sopravvenuto? È possibile che intervengano, in un momento e per dei motivi che non sono prevedibili al momento della valutazione, dei fatti nuovi che sostituiscono i precedenti punti di riferimento ri-compensando l'individuo e producendo la cosiddetta guarigione. Un esempio è costituito dal caso di una persona emotiva, fragile, dipendente che resta vedova; la perdita del coniuge la precipita in una situazione di angoscia e il quadro clinico, assai grave e invalidante, è costituito da un disturbo d'ansia generalizzato che si mantiene costante in tutte le ore della giornata e interferisce con tutte le attività di quella persona. Ma col tempo la ferita si rimargina, lentamente;

non solo, ma per delle circostanze del tutto fortuite e imprevedibili la suddetta signora si viene a trovare a contatto con una persona che si interessa a lei e, a poco a poco, ella si accorge con stupore di provare un nuovo sentimento. La nuova relazione riempie il vuoto, restituisce i punti di riferimento perduti: la sintomatologia regredisce. Ma, rispetto al momento della valutazione, questo fa parte di un futuro ipotetico non prevedibile, che potrebbe anche non sopravvenire mai.

Anche se gli elementi sin qui esposti dimostrano chiaramente quali sono le difficoltà che intervengono quando si valuta un danno psichico, questo non significa che non esistano dei punti di riferimento.

Per individuare il nesso di causa è necessario cercare gli elementi coerenti che collegano l'evento, il disturbo e la struttura di personalità. Cioè l'evento deve intervenire su una struttura di personalità di un certo tipo perché possa insorgere il disturbo. Il mancato raggiungimento e la mancata individuazione di questi elementi e di queste coerenze inficia la validità delle deduzioni relative al nesso di causa. Non è sufficiente che sia stata osservata una coerenza tra il tipo di evento, la sua gravità e il disturbo. Se così fosse sarebbe sufficiente stilare un elenco completo degli eventi stressanti e valutare la loro gravità senza neppure proporsi il problema della diagnosi. Quell’evento produce un effetto in quanto in quell’individuo agisce privandolo di elementi essenziali per il funzionamento; ad esempio lo priva della sicurezza o dell’appoggio o del riferimento o dell’affetto.

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Ogni situazione va studiata nella sua dimensione psicopatologica e psicodinamica per poter arrivare a una logica che conferisce al processo valutativo dignità di prova.

La correlazione tra l'evento traumatico, le conseguenze dell'evento e le ricadute di queste conseguenze sull'individuo dev’essere individuata soprattutto nel campo dei disturbi minori (nevrotici) ma anche nei Disturbi generati direttamente dallo Stress (2.a). In questi casi la correlazione è diretta. In assenza dell'evento, il soggetto viveva in equilibrio stanti le sue caratteristiche di personalità. L'evento traumatico lo ha privato di un elemento fondamentale per il suo funzionamento e da questo si origina il danno psichico. Senza quell'evento non è possibile affermare che l'individuo avrebbe presentato quel disturbo anzi è probabile che non lo avrebbe manifestato affatto.

In questi casi si propone il problema della valutazione prognostica poiché non è sempre semplice rispondere alla domanda: " quanto dura questo disturbo? ". Questa affermazione non vale in tutte le situazioni e non vale in quelle situazioni in cui cessando l'effetto della " noxa patogena "

si abbia la certezza che verrà a cessare l'effetto nevrotizzante. In molti altri casi invece lo psichiatra si trova nella posizione dell'indovino o del metereologo.

Il problema degli accertamenti diagnostici e delle cure, nel settore dei disturbi mentali merita una considerazione particolare in quanto non si può adottare lo stesso criterio usato per le malattie fisiche. Accade talvolta che nel contesto di un ragionamento di carattere medico legale, venga richiesto al soggetto sottoposto a valutazione per l'accertamento del danno psichico se si sia sottoposto a visite specialistiche neurologiche o psichiatriche, a ricoveri, a cure.

Il quesito ha significato in medicina dove il mancato trattamento tempestivo con ricorso a valutazione e cura può favorire la cronicizzazione o aggravare il disturbo iniziale.

In psichiatria invece la situazione è ben diversa. Anche se l'introduzione di psicofarmaci sicuramente molto più attivi ed efficaci, meno pesanti per quanto riguarda le controindicazioni e gli effetti collaterali, consente di intervenire efficacemente su molti disturbi psichici che sino a 30-40 anni fa erano praticamente incurabili, l'azione di questi farmaci è spesso sintomatica e non sempre curativa. Inoltre anche se, come sopra indicato, questi farmaci sono evoluti, non sempre sono immuni da effetti collaterali e spesso provocano sonnolenza, astenia, tremori, disturbi gastrici, etc.

Questo giustifica la perplessità che molti pazienti hanno a ricorrere alle cure dello specialista. Inoltre, proprio nei casi in cui il disturbo psichiatrico è il prodotto di un trauma, il paziente stesso è impedito dalla sua logica comune privata a prendere coscienza dell'esistenza di una patologia. È noto che la maggior parte delle persone che presentano importanti disturbi psichici tende a negarli e li percepisce non come malfunzionamento del proprio apparato psichico, ma come logica conseguenza di eventi reali. Inoltre alcune patologie come quella depressiva, generando sentimenti di colpa, impediscono la ricerca di aiuti che influiscano sui vissuti, in quanto la stessa

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sofferenza depressiva viene vissuta come espiazione e subita. Per questo non deve stupire che, anche a distanza dal trauma, il paziente non si sia ancora sottoposto a cure. Spesso accade che l'inquadramento del disturbo sopra indicato venga condiviso dal medico di base o da altri sanitari non psichiatri che abbiano l'occasione di interagire con il paziente.

Inoltre non è detto che il ricorso alla cura sia risolutivo e che il ritardo possa aggravare i disturbi; in alcuni casi invece il ricorso a cure crea una situazione artificiale, una semeiotica psichica dipendente dalle sostanze farmacologiche assunte che può inquinare il giudizio diagnostico o ancora innesca processi regressivi. È opportuno proporre e richiedere l’assunzione di una terapia nei casi in cui la stessa sia indicata e sottoporre il caso a nuova valutazione in corso e dopo assunzione della cura stessa.

Quanto osservato a proposito delle terapie ripropone il problema della correlazione esistente tra tipo di patologia, tipo di struttura di personalità del paziente e atteggiamento nei confronti delle richieste di risarcimento.

Una persona depressa, divorata da sentimenti di colpa, tende a rifiutare il risarcimento medesimo minimizzando i propri disturbi e giustificandoli con il trauma, come sopra indicato.

Un soggetto con una struttura paranoide della personalità o con un disturbo di tipo isterico vive invece il risarcimento come la punizione da infliggere a colui che lo ha leso, come la riparazione del danno e della ferita alla propria autostima.

La comprensione delle dinamiche intrapsichiche specifiche correlate alla categoria clinica e alla struttura della personalità dev’essere presa in considerazione per poter valutare correttamente la richiesta e la gravità del danno stesso. In alcuni casi gli atteggiamenti dei soggetti danneggiati vengono interpretati come recita, come se fossero finalizzati ad ottenere un risarcimento e vengono ingiustamente penalizzati.

Due aspetti particolari della valutazione del danno psichico riguardano il momento della valutazione e alcuni danni particolari.

Il momento della valutazione dipende dalle indicazioni statistiche relative ai tempi necessari per poter porre la diagnosi, facendo riferimento ai criteri del D.S.M.-IV. Il periodo necessario per osservare disturbi stabilizzati è in genere di due anni; le sequele delle lesioni organiche cerebrali sono ormai sufficientemente stabilizzate e si può avere la certezza dell'esistenza di danni psichici come il Disturbo Distimico che deve essere presente stabilmente per almeno due anni.

Danni particolari da valutarsi sono quelli del bambino. Il bambino propone all’osservazione un quadro clinico particolare, in quanto è collegato con il suo stadio di maturazione psico-affettiva e con gli interessi del momento. Ma se al momento della valutazione è possibile che il disturbo psichico conseguente all'evento sia moderato o addirittura assente, non si può escludere che nel divenire e modificandosi le condizioni e le esigenze emerga un disturbo.

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Due possono essere gli esempi. Un danno estetico al volto di una bambina di otto anni. Al momento della valutazione fatta, a nove anni di età, la bambina non ha ancora sviluppato quegli interessi che potrebbero favorire l'insorgere di un disturbo. I suoi rapporti sono a livello di gioco, il trauma legato all'evento che ha prodotto la lesione non ha inciso in modo significativo sul soggetto, trattandosi di persona con buone capacità. La valutazione del danno psichico è minima. Passano gli anni, la bambina diventa una giovinetta, si interessa anche alla ricerca del partner attraverso la seduzione e la presentazione di un'immagine femminile attraente. Ma la ex-bambina deve fare i conti con l'aspetto del suo volto, profondamente segnato dalla cicatrice. Questo può produrre l'insorgere di un complesso e successivamente di un disturbo psichico, di tipo depressivo per esempio. Nel momento della valutazione, fatta molti anni prima, questa evoluzione era prevedibile ma non definibile nei suoi caratteri specifici e nelle sue ricadute sulla persona. In casi di questo genere non si sviluppa necessariamente un disturbo psichico ma possono comparire dei comportamenti compensatori che garantiscono l'omeostasi e che non hanno niente a che fare con un disturbo psichiatrico.

Un altro esempio, sempre riferito al bambino, è il danno da lutto per perdita di uno dei genitori. La perdita genera una ferita. Quali le conseguenze in età adulta? Non è possibile fare previsioni ma l'eventuale insorgere di un disturbo depressivo con colorito affettivo non è infrequente. Al momento della valutazione, subito dopo il trauma, non è possibile disporre di alcun elemento di certezza che consenta di ipotizzare le successive evoluzioni. Ma in questo caso il danno psichico che insorgerà in età adulta potrà essere molto grave. Questi problemi devono trovare una risposta concreta: una stima equitativa può essere ingiusta. L'ideale sarebbe garantire la possibilità di una seconda valutazione a distanza. Ma questo per esigenze pratiche non è sempre possibile. A meno che sia possibile affinare il percorso valutativo cogliendo quei segni precoci della formazione dello stile di vita che, ormai stabilizzati nelle loro linee essenziali all’età di cinque anni, possono mediante adeguata e approfondita analisi portare a formulare previsioni relative al divenire del soggetto; analisi teoricamente possibile che non consente però di fare altro che ipotesi di massima.

In quanto tale esame non potrà in nessun caso contenere indicazioni relative a quelle situazioni legate al caso che non sono oggetto di previsione.

Fatte queste ulteriori considerazioni che completano il quadro, si torna al problema centrale:

quello della valutazione del danno biologico. La sintesi dei dati emersi consente di definire alcuni punti essenziali. Non è certo compito dello psichiatra valutare il danno, in quanto questo non rientra nelle sue competenze specialistiche, ma lo psichiatra deve saper trasmettere al medico legale l’immagine del disturbo, assieme a tutti i dati relativi ai fattori eziologici, alla durata, al decorso, etc. La valutazione presuppone la conoscenza della dimensione del danno che va “ fotografato “ per

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poter essere quantificato. Per questo lo psichiatra deve sforzarsi di fornire una descrizione concreta delle limitazioni derivanti all’individuo dal disturbo.

Partendo dalla classificazione sopra riportata i vari quadri sono stati rielencati per poter giungere all’esposizione degli elementi importanti ai fini della quantificazione del danno stesso.

1.a) Disturbi con alterazioni del funzionamento cerebrale su base anatomopatologica evidente

Questa categoria include le Demenze, il Ritardo Mentale e le cosiddette Sindromi Psicoorganiche, a condizione che si possa dimostrare che tali quadri clinici insorti dopo il trauma sono prodotti dallo stesso. In alcuni casi, infatti il disturbo può essere preesistente oppure la sua insorgenza può essere concomitante. Ad esempio un bambino può avere un Ritardo Mentale legato p.e. a esiti di cerebropatia, subire un trauma che produce una lesione, ma il quadro del deficit rimane inalterato.

Una persona anziana subisce un trauma fisico cerebrale oppure psichico: in questi casi va dimostrato che il quadro Demenziale non fosse preesistente o che l’insorgenza di questo non sia indipendente dal trauma. Quadri psicotici possono essere espressione di lesioni cerebrali; ma anche in questi casi occorre accertarsi che non si tratti di patologie preesistenti.

1.b) Disturbi con alterazioni del funzionamento cerebrale con alta probabilità di base anatomopatologica

Questa categoria include la schizofrenia e il disturbo bipolare nelle sue varie forme. Come è stato ampiamente discusso in precedenza la correlazione tra un trauma psichico e il disturbo è evidente ma essa è conosciuta solo per quanto riguarda gli episodi acuti. Si tratta infatti di quadri psicopatologici a decorso cronico che presentano periodiche esacerbazioni del quadro clinico la cui durata è variabile e si misura, in genere, in mesi. In questo caso si tratta quindi di disturbi temporanei.

Solo casi particolari (di rara osservazione) potrebbero giustificare il risarcimento di un danno biologico (psichico) permanente. Se un soggetto che non ha mai presentato disturbi prima del trauma e che ha un’anamnesi familiare negativa sviluppa, dopo un trauma, un disturbo avente il carattere delle patologie incluse in questo gruppo, si potrebbe ipotizzare un legame tra il trauma subito e la patologia insorta. Poiché si tratta di un settore in cui non esistono dati certi, il caso specifico, anche se si tratta di evenienza assai rara, dev’essere preso in considerazione e, solo in questo caso, il danno sarà valutato adottando ad esempio, indicazioni già disponibili in letteratura, alcune delle quali considerano l’ipotesi genetico-biologica ma lasciano aperto il dubbio di una genesi traumatica.

Un discorso a parte dev’essere dedicato alla Depressione Maggiore in quanto si tratta di un quadro clinico particolare che, risolti i problemi relativi all’accertamento dell’esistenza di tale patologia e accertata l’esistenza del nesso di causa, potrebbe essere conseguenza di un evento traumatico; per

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cui, pur essendo necessaria una predisposizione, l’evento stesso può scatenare il quadro che non si sarebbe manifestato in quella persona senza l’azione di un agente scatenante. Si deve trattare quindi di un evento che privi il soggetto delle precedenti compensazioni e anche questo va dimostrato nell’ambito dell’indagine.

2.a) disturbi senza base anatomopatologica direttamente conseguenti all’evento Stress

Questa categoria include il Disturbo Post-traumatico da Stress e il Disturbo dell’Adattamento.

Il Disturbo Acuto da Stress che è incluso in questa categoria diagnostica è un disturbo temporaneo, in quanto si risolve entro un mese dalla conclusione dell’evento traumatico.

Le altre due patologie solo in alcuni casi evolvono verso la cronicità per cui, pur essendo questo un disturbo mentale che provoca un danno biologico e che è la conseguenza diretta di un trauma psichico, occorre dimostrare l’esistenza del nesso di causa e valutare che si tratti di un caso che tende con buona probabilità a cronicizzare; infatti, nel caso del Disturbo Post-traumatico da Stress almeno la metà dei soggetti guarisce entro tre mesi e nel caso del Disturbo dell’Adattamento il disturbo cessa entro sei mesi dal cessare dell’evento stressante per cui non è sostenibile un danno permanente nel caso di siffatta patologia ove si tratti di stress acuto; nel caso di stress cronico invece sarà opportuno accertare che si tratti di evento le cui conseguenze sono sufficientemente lunghe nel tempo da configurare una condizione cronica.

La valutazione del danno in questi casi è, alla luce delle considerazioni esposte e dei dati della letteratura sull’eziologia, da riferire totalmente all’effetto dell’evento. Non è invece possibile limitarsi a una valutazione per patologia ma è necessario individuare quali siano le effettive ricadute sui funzionamenti dell’individuo che presenta tale disturbo. Questa modalità valutativa è la stessa dei disturbi della successiva categoria 2.b ad eccezione della correlazione evento-disturbo che nel caso dei disturbi descritti in questo gruppo è diretta.

2.b) disturbi senza base anatomopatologica non sempre o non sicuramente conseguenti a Stress

Questa categoria include essenzialmente quei disturbi che sul D.S.M.-VI vengono classificati come Disturbi d’Ansia, Disturbi Somatiformi e Disturbi Fittizi (con esclusione, per i motivi sopra indicati, del Disturbo Post-traumatico da Stress e del Disturbo Acuto da Stress che il manuale include nel capitolo dei Disturbi d’Ansia). Assieme a tali disturbi devono essere anche presi in considerazione il Disturbo Distimico e il Disturbo Depressivo N.A.S.

I disturbi inclusi in questa categoria rappresentano il maggior problema in ambito peritale e di valutazione del danno per i seguenti motivi: si tratta di una categoria di disturbi mentali che non sempre hanno evoluzione cronica e che possono “ guarire “ impervedibilmente, con il venir meno delle condizioni che li hanno prodotti o dei finalismi ad essi legati o per la comparsa di nuove

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compensazioni sostitutive; l’eziologia di tali disturbi è controversa e discussa in quanto alcuni autori sostengono l’esistenza di una base biologico-costituzionale mentre altri la negano e riconducono l’eziologia a fattori ambientali e familiari (nel senso di relazione, educazione, etc.); per questo motivo non è sempre facile valutare con certezza quale sia la conseguenza diretta del trauma subito e individuare il nesso di causa; anche l’entità del danno è difficile da valutare in quanto il disturbo psichico può produrre un difetto di funzionamento selettivo (che compare solo in certe specifiche circostanze) oppure accessuale (che si manifesta sono periodicamente, per un tempo limitato).

I disturbi della categoria 2.b, più di tutti gli altri richiedono un assoluto rigore diagnostico. Per questo motivo l’autore ritiene che sia necessario, prima della valutazione, stabilire quale sia il disturbo mentale prodotto dal trauma. Anche se l’autore ritiene che il D.S.M.-IV costituisca attualmente il riferimento diagnostico più solido e universalmente riconosciuto, il manuale presenta alcune limitazioni specie nel casi di alcuni disturbi specifici che non vi trovano adeguata classificazione. Questo non deve lasciare lo spazio a pericolosi eclettismi, come di fatto si è verificato da sempre nel settore della diagnostica psichiatrica. Per evitare questo rischio, si suggerisce che il disturbo debba essere diagnosticato in modo preciso, specificando anche a quale sistema di classificazione si fa riferimento per la sua valutazione. Alcune formulazioni diagnostiche infatti (nevrosi d’ansia, sindrome depressiva, reazione depressiva, etc.) sono troppo generiche, e il ricorso a formulazioni di questo tipo comporta il rischio di mancare di chiarezza, non consente una revisione critica del percorso diagnostico e genera una confusione con il danno morale sovrapponendosi ad esso. E indubbio che una persona che ha perso un figlio non è allegra e il suo umore è depresso, ma questo non significa necessariamente che questa persona abbia un disturbo mentale; per questo (ad esempio) la formulazione “ disturbo depressivo “ è troppo generica e confusiva.

I disturbi di questa categoria propongono anche problemi di valutazione eziologica; si ritiene che, perché un disturbo nevrotico si possa sviluppare, ci debba essere un terreno predisposto; spesso l’evento è quella “ occasione “ che il soggetto coglie a proprio vantaggio e che pone tra sè e il mondo per mascherare la propria ansia e inadeguatezza. Tutte le principali teorie di personalità concordano almento su un punto: alla base dei disturbi nevrotici (ma forse anche delle psicosi) si trova una grave insicurezza, un profondo vissuto di inferiorità. La nevrosi, la cosiddetta malattia o disturbo mentale è un artificio di compenso. Alla luce di tali considerazioni l’evento traumatico che produce il viraggio verso il disturbo e lo slatentizza assume la dimensione di concausa.

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Riferimenti

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