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ANALISI DELLA CONSISTENZA NUMERICA E DELLA DISTRIBUZIONE SPAZIALE DEI BRANCHI DI LUPO (Canis lupus) NELLA PROVINCIA DI AREZZO

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UNIVERSITÀ DEGLI STUDI DI MILANO Facoltà di Scienze Matematiche, Fisiche e Naturali

CORSO DI LAUREA MAGISTRALE IN

BIODIVERSITÀ ED EVOLUZIONE BIOLOGICA

ANALISI DELLA CONSISTENZA NUMERICA E DELLA DISTRIBUZIONE SPAZIALE DEI BRANCHI

DI LUPO ( Canis lupus ) NELLA PROVINCIA DI AREZZO

presso:

Centro Studi “I Stabbi”, Alpe di Catenaia

Relatore: Prof. GIOVANNI VAILATI Correlatore: Prof. MARCO APOLLONIO Correlatore: Dott. ANDREA GAZZOLA

Tesi di Laurea di:

SARA OCCHIPINTI Matricola 702807

Anno Accademico 2007-2008

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2 All’ombra dell’arcobaleno.

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Ringraziamenti

Ringrazio il Professor Vailati e il Professor Apollonio per la disponibilità mostrata nei miei confronti e la pazienza, oltre che per la possibilità che mi hanno offerto di avvicinarmi al mondo dei selvatici che tanto mi incuriosiva fin da bambina.

Un grazie particolare va alla Provincia di Arezzo per il sostegno e la collaborazione costante offerta durante il mio anno di tesi: Dott. Chianucci, Dott. Pedone, Dott. Mattioli, Nicola Vignoli e Antonella Bosi.

Ringrazio tutti i cacciatori, in special modo Mirco Geri, e le guardie forestali per le preziose segnalazioni.

Ringrazio tanto Claudia Capitani, Alessia Viviani, Marco Alboni e quanti altri hanno raccolto tutti i dati sul lupo dal 1998 al 2005, senza non avrei potuto scrivere la mia tesi.

Ringrazio Alessia perché mi è stata vicina con affetto i primi periodi in cui mi sentivo un po’ sola e mi ha fatto vedere i fenomeni sotto un’altra luce, quella della sua esperienza.

Ringrazio Andrea Gazzola, il mio correlatore, che è riuscito a farmi perdere la pazienza nonostante la pietra dell’equilibrio, che mi ha insegnato che la fretta fa i gattini ciechi e che la tenacia la vince su tutte (“bisogna fare una cosa per volta, farla morto di morto bene, col tempo che ci vo’”). Inoltre, lo ringrazio per le fagiolate, la fontina a quintalate e gli gnocchi ai quattro formaggi.

Ringrazio Paolo Bongi per l’aiuto che mi ha dato nella stesura dei risultati e il supporto morale.

Ringrazio Manuela Donaggio ed Elisa Bertolotto per avermi sostenuto in svariati momenti di tensione e per avermi portata al karaoke, Nadia Cappai perché ama e cura gli

“animalini”, cucina il cinghiale più buono del mondo e mi fa ridere.

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4 Ringrazio le mie “cipi-cipi”, Barbara e la Passi, e ricordo loro che il castoro è un animale monogamo, famiglia, lavoro e si svaga con l’hobby del trapano, che “chiudi quella porta o sei fuori” e che senza di loro non sarebbe stato lo stesso.

Ringrazio la Rappona, Elisa Rappucci, che è stata al mio fianco dall’inizio alla fine di questa avventura (DONNAVVENTURA), con cui ho condiviso gioie e dolori, mi sono fatta le peggio cadute e le peggio risate, con cui ho imparato a vivere la notte, la solitudine e a gestire i timori senza mai abbandonare l’obbiettivo.

Ringrazio il Gandelli, che nonostante tutto è stata una presenza costante e rassicurante nel mio periodo di tesi e mi ha soccorso diverse volte.

Ringrazio Rachele Bernasconi che è unica per sensibilità e dolcezza.

Ringrazio tutto il gruppo del Professor Apollonio perché è unito e costituito da persone molto in gamba che lavorano duro ma sono comunque capaci di divertirsi.

Ringrazio di cuore tutti i Professori del mio corso di laurea perché sono stati sempre molto disponibili e mi hanno fatto appassionare ai temi che trattavano.

Ringrazio i miei amici DELLUNIMI (Edu, Nau, Torte, Bru, Tilde, Claudia, Dimi, David, Vero, Lauretta, Peter, Silva, Sara, Pepe, Salvo, Paolino, Ros…) che hanno costituito la mia vita degli ultimi sei anni e grazie ai quali sono scesa dalle nuvole ed ho cominciato a vivere per davvero, in primo luogo Milano. Siete, grazie al cielo, mille e non riesco a scrivervi tutti ma sappiate che siete per gran parte artefici di quello che sono ora.

Ringrazio le mie storiche migliori amiche, che dopo più di dieci anni sono ancora qui:

Camilla e Serena, con le quali sono giunta alle stesse conclusioni seppur a partire da esperienze completamente diverse; Cecilia Granata con la quale ho condiviso momenti forti e bellissimi; la Vero, perché con il suo esempio di forza, con sei f maiuscole, mi impedisce di non percepire la vita come bella.

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5 Ringrazio Luigi, che seppur presente da pochi mesi, è riuscito a pescarmi dall’apatia in cui galleggiavo noncurante e a farmi rivivere la felicità dei bimbi. Non ci credevo proprio, ora sì.

Ringrazio mia sorella, che è una delle perle presenti nella mia esistenza che risulterebbe impoverita all’osso senza di lei.

Ringrazio i miei genitori perché ci sono sempre nel bene e nel male, perché mi hanno insegnato non solo a vivere ma anche a stare al mondo e che nonostante la loro esperienza mi hanno lasciata libera di intraprendere quello che mi piaceva, sempre, anche se talvolta poteva sembrare sconveniente.

Ringrazio tutta la mia famiglia che è unita e numerosa: Zio Rino e Zia Gabriella, con i loro gatti e la loro simpatica litigiosità, Zio Filippo e zia Concetta (la mia adorata CONCEPU, senza la quale manco sta volta ce l’avrei fatta), le mie cugine Silvia e Francesca che, ormai in fase “muliebre”, comunque continuano a starmi vicine.

Ringrazio i miei nonni perché senza di loro niente di tutto questo sarebbe stato possibile.

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Riassunto

Il presente studio analizza alcuni aspetti della biologia del lupo (Canis lupus), quali la determinazione della consistenza numerica e della distribuzione spaziale della specie nella provincia di Arezzo, dal 1998 al 2007.

Tale indagine è frutto della collaborazione tra l’Università di Sassari e la Provincia di Arezzo, che hanno avviato un progetto di ricerca volto al monitoraggio dello stato di conservazione del lupo, individuato come obiettivo prioritario dalla Direttiva CEE 92/43

“Habitat”.

Tale studio è stato condotto con metodi non invasivi quali: la percorrenza mensile, a piedi, di una rete di percorsi distribuiti uniformemente sul territorio provinciale; la rilevazione su neve di piste di impronte (snow-tracking), per valutare il numero degli individui presenti e raccogliere segni di presenza (escrementi, urine, raspate e campioni biologici) e il monitoraggio mediante la tecnica dell’ululato indotto (wolf-howling), per l’individuazione dei siti di allevamento dei cuccioli (rendez-vous sites) e per accertare l’avvenuta riproduzione nei branchi. Infine, sono state raccolte le localizzazioni degli avvistamenti di lupo e dei ritrovamenti degli esemplari morti.

Le localizzazioni di tutti i segni di presenza sono state effettuate con GPS e registrate su supporto informatico, attraverso l’utilizzo di GIS.

Dallo studio è emerso che il numero di branchi monitorati in provincia varia da 8 a 14 e che la densità media dei branchi di lupo è di 0,50,03 branchi/100 kmq.

Sebbene siano stati osservati branchi costituiti da 8 individui, la dimensione media del branco è di 4 lupi. Il numero di lupi presenti annualmente sul territorio provinciale varia da 38 a 56 individui (462,5). Nel corso del periodo d’indagine, sia il numero di branchi che il numero di lupi mostrano una tendenza positiva.

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7 La tecnica dell’ululato indotto ha evidenziato un successo riproduttivo annuale dei branchi che oscilla tra il 57% e l’83%.

Durante il periodo di studio sono stati rinvenuti 36 lupi morti, annualmente il numero di esemplari recuperati varia da 2 a 6.

Analizzando le cause di mortalità degli individui rinvenuti, si è osservato che il bracconaggio rappresenta il fattore più importante (39%), seguito dagli investimenti stradali (36%). Nel 25% dei casi non è stato possibile risalire alle cause di morte. Le differenti cause di mortalità non incidono diversamente su individui di sesso maschile e femminile, al contrario i giovani sono soggetti in maggior misura agli investimenti stradali, mentre gli individui adulti sono più soggetti ad episodi di bracconaggio.

L’analisi della distribuzione spaziale dei siti di allevamento dei cuccioli (rendez-vous sites) ha evidenziato una distanza media tra branchi limitrofi pari a 111651046 m. Le distanze tra i rendez-vous sites di branchi contigui non sono variate significativamente durante l’intero periodo d’indagine.

La dispersione dei siti di allevamento di ciascun branco è stata valutata misurando la superficie del minimo poligono convesso (MPC) che inscrive le localizzazioni dei rendez- vous sites. Tale superficie varia notevolmente da branco a branco ed in media è risultata pari a 1269250 mq.

Da questo quadro emerge che la provincia di Arezzo ha una grande importanza per la conservazione del lupo ed ospita una consistente popolazione vitale. Inoltre, la presenza di alcuni settori idonei disponibili permette di ipotizzare un’ulteriore crescita demografica.

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Sommario

Introduzione 10

1 Biologia della Specie ... 14

1.1 Origini ... 14

1.2 Classificazione e Tassonomia ... 15

1.3 Distribuzione mondiale ... 17

1.4 Situazione italiana ... 19

1.5 Morfologia... 22

1.5.1 Peso e dimensioni ... 23

1.5.2 Cranio ... 24

1.5.3 Colorazione ... 26

1.6 Habitat ... 27

1.7 Socialità ... 28

1.8 Riproduzione, svezzamento e sviluppo dei piccoli ... 32

1.9 Territorialità ... 35

1.10 Dispersione ... 38

1.11 Comunicazione ... 40

1.11.1 Marcatura odorosa ... 40

1.11.2 Comunicazione vocale ... 43

1.11.3 Ecologia alimentare ... 46

2 Area di Studio ... 50

2.1 Inquadramento geografico e morfologico ... 50

2.2 Uso del suolo ... 53

2.3 Popolazione umana e aree urbanizzate ... 54

2.4 Aree destinate alla protezione della fauna ... 55

2.5 Distribuzione e consistenza degli ungulati selvatici ... 59

2.6 Clima ... 63

3 Materiali e Metodi ... 66

3.1 Transetti campione ... 67

3.1.1 Metodologia di campionamento ... 67

3.1.2 Archiviazione dei dati ... 69

3.2 Rilevazione di piste su neve (snow-tracking) ... 70

3.2.1 La tecnica ... 70

3.2.2 Metodologie di campionamento ... 72

3.2.3 Archiviazione dei dati ... 73

3.3 Ululato indotto (wolf-howling) ... 75

3.3.1 La tecnica ... 75

3.3.2 Metodologie di campionamento ... 77

3.3.3 Archiviazione dei dati ... 79

3.4 Efficienza delle tecniche utilizzate ... 80

3.5 Analisi della consistenza numerica e della distribuzione dei branchi in provincia di Arezzo dal 1998 al 2007 ... 81

3.5.1 Numero e densità dei branchi ... 81

3.5.2 Numero di lupi e densità media dei branchi ... 81

3.5.3 Successo riproduttivo dei branchi ... 82

3.5.4 Ritrovamento di lupi morti ... 82

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9 3.5.5 Distribuzione annuale dei siti di allevamento dei cuccioli (rendez-vous sites)

82

3.6 Test statistici... 83

4 Risultati ... 86

4.1 Efficienza delle tecniche utilizzate ... 86

4.1.1 Segni di presenza lungo serie di transetti campione ... 86

4.1.2 Tracciatura su neve (snow-tracking) ... 88

4.1.3 Tecnica di monitoraggio dell’ululato indotto (wolf-howling) ... 91

4.2 Analisi della consistenza numerica e della distribuzione dei branchi in provincia di Arezzo dal 1998 al 2007 ... 92

4.2.1 Numero e densità dei branchi ... 92

4.2.2 Numero dei lupi e dimensione media dei branchi ... 94

4.2.3 Successo riproduttivo dei branchi ... 99

4.2.4 Ritrovamento lupi morti ... 101

4.2.5 Distribuzione annuale dei siti di allevamento dei cuccioli (rendez-vous sites) 105 5 Discussione ... 116

Bibliografia 125

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10 Introduzione

Il lupo (Canis lupus) rappresenta, in tutto il mondo, una specie di indiscutibile importanza naturalistica e di notevole interesse sociale. Dal punto di vista conservazionistico sono numerosi i motivi che avvalorano la scelta di concentrare su questa specie studi di ricerca e azioni di tutela.

Il lupo è definito come una “specie ombrello”, cioè una specie che, necessitando di ampi spazi per sopravvivere, può garantire la conservazione di altre forme di vita che vivono

“accolte” sotto il suo ombrello protettivo. Inoltre, questo grande carnivoro è parte della cultura e delle tradizioni di molte popolazioni. La conservazione del lupo, infatti, riveste una notevole importanza culturale ed educativa; è una delle specie selvatiche di maggior impatto emotivo sull’uomo, è fortemente presente nell’immaginario collettivo ed è stato oggetto di attenzione in letteratura e nelle arti figurative. Il lupo rappresenta quindi un simbolo, una “specie bandiera”, attorno al quale è possibile creare consenso e sensibilizzazione nell’opinione pubblica, nei confronti della tematica ambientale.

La conservazione del lupo rappresenta una priorità in molti Stati europei dove la sopravvivenza della specie è ancora minacciata (Promberger and Schröder, 1993).

In Italia, fino a metà del 1800, questo predatore era ampiamente diffuso sull’intera penisola. Intorno al 1920 si è assistito alla scomparsa della specie sull’arco alpino (Brunetti, 1984) e negli ’40 sul territorio siciliano. Dopo la seconda Guerra Mondiale, nel periodo compreso fra gli anni ’50 e ’70, la popolazione di lupi arrivò alla soglia dell’estinzione: erano sopravvissuti solo un centinaio di lupi nelle zone più inaccessibili dell’Appennino e dell'area tirrenica (Cagnolaro et al., 1974).

Negli anni seguenti si è assistito all’aumento demografico del lupo in Italia, in particolar modo sulla catena appenninica (Boitani e Fabbri, 1983; Pandolfi, 1983; Boitani e Ciucci, 1993; Francisci e Guberti, 1993).

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11 Tale ripresa è in parte legata all’estrema plasticità comportamentale della specie che è riuscita a sopravvivere alle nuove condizioni ambientali. La sua elevata adattabilità è anche dovuta ad un’ecologia alimentare di tipo opportunistico e generalista. Il comportamento di dispersione è un altro elemento che ha favorito il processo di ricolonizzazione. Inoltre, a partire dagli anni ’70, il graduale abbandono da parte dell’uomo delle zone montane ed il conseguente cambiamento degli indirizzi gestionali dell’ambiente e della fauna selvatica hanno contribuito alla ripresa demografica e all’espansione dell’areale di presenza del lupo.

Fino agli anni ’70 il lupo era definito “specie nociva”, pertanto ne veniva consentita l’uccisone con qualsiasi mezzo. All’inizio degli anni ’70, il dibattito sulla conservazione della specie portò all’emanazione, nel 1971, di un Decreto Ministeriale per la sospensione della caccia al lupo per i due anni successivi, finiti i quali, un successivo D.M. del 1973 prolungava la sospensione per altri tre. Nel 1976 un nuovo Decreto Ministeriale ne promulgò la protezione integrale, mettendo al bando anche l’uso delle esche avvelenate.

Con l’approvazione della Legge 968 del 27 dicembre 1977, il lupo non venne più considerato come “specie nociva”, inoltre tale legge trasformò tutta la fauna selvatica da

“res nullius” a “res communitatis”, cioè “patrimonio indisponibile dello Stato”.

L’art. 2 della Legge 157 del 1992 colloca il lupo tra le specie sottoposte a particolare tutela. Tale protezione è ribadita nella Convenzione di Berna (19 settembre 1979, approvata in Italia con L. 503 del 1981); nella Direttiva Habitat (92/43/CEE, ratificata dall’Italia nel 1997 con D.P.R. 357); nella convenzione di Washington (c.d. CITES, 1973, recepita dall’Italia nel 1975 con L. 874, e poi con L. 150 nel 1992. Regolamento della CEE n. 338/97)

Attualmente il lupo è incluso nella Lista Rossa delle specie minacciate dell’Unione Internazionale per la Conservazione della Natura e delle Risorse Naturali (I.U.C.N.) come specie vulnerabile.

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12 Nonostante il lupo sia una specie protetta, la mortalità provocata dall’uomo risulta piuttosto elevata e rappresenta in Italia il fattore principale che regola la consistenza delle popolazioni locali (Ciucci e Boitani, 1998).

La predazione sul bestiame domestico crea posizioni di forte opposizione da parte del mondo rurale, mentre il mondo venatorio vede nel lupo un pericoloso competitore.

La causa principale che provoca continui episodi di persecuzione nei confronti della specie è sicuramente rappresentata dal conflitto che si viene a creare fra questo predatore e l’attività zootecnica. Infatti, dall’analisi della distribuzione degli esemplari ritrovati uccisi negli ultimi venti anni su tutto il territorio nazionale, Duprè (1996) ha riscontrato che la maggior parte delle uccisioni di lupo è avvenuta nei luoghi in cui è più elevata la densità di ovini.

Oggigiorno il lupo rappresenta una delle priorità conservazionistiche e gestionali del nostro Paese. È necessario quindi avere una corretta visione del fenomeno affinché si trovino soluzioni tali da ridurre le forti tensioni esistenti e quindi raggiungere una possibile convivenza tra lupo e attività umane.

Una percezione del fenomeno può avvenire solo grazie ad un costante monitoraggio delle aree. In tale contesto si inserisce l’attività del Centro Studi Casa Stabbi, che è il frutto di un impegno “antico” della Provincia di Arezzo nel settore della tutela e corretta gestione della fauna. La Provincia di Arezzo ha ricoperto un ruolo importante nel processo di conservazione del lupo e dal 1998, con due anni di anticipo rispetto alla L.R. 56/2000, la quale prevede il monitoraggio obbligatorio delle specie di interesse prioritario da parte delle Province competenti per territorio, ha avviato una serie di indagini, in collaborazione con dipartimenti universitari, con lo scopo di studiare la consistenza, la dinamica e la struttura di popolazione del lupo nelle oasi di protezione della Provincia.

Il monitoraggio (definito come la misurazione ripetuta di una variabile nel tempo, dove le variabili d’interesse sono rappresentate dai parametri critici relativi alla presenza e/o allo

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13 status della specie nell’area di studio) del lupo è stato possibile grazie all’applicazione di tecniche di ricerca non invasive quali: i percorsi per la ricerca di segni di presenza, l’ululato indotto (wolf-howling), la rilevazione di piste su neve (snow-tracking), le analisi genetiche su campioni biologici.

La presente ricerca ha come obiettivo quello di fornire lo stato delle conoscenze sulla presenza del lupo nella provincia di Arezzo dal 1998 ad oggi, valutando la presenza e la consistenza numerica della specie nelle differenti aree del comprensorio provinciale, il successo riproduttivo dei branchi censiti, le cause di mortalità degli esemplari ritrovati morti e le relazioni spaziali dei branchi monitorati.

I risultati ottenuti hanno consentito di delineare un quadro molto interessante che ha confermato la grande importanza della provincia di Arezzo per il mantenimento di una popolazione vitale di lupo.

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1 Biologia della Specie

1.1 Origini

Matthew (1930) ha ipotizzato l’esistenza nel Terziario di un antenato comune per il lupo e le sue specie preda (ungulati). Probabilmente entrambi si sono evoluti da un animale con dieta generalista, caratterizzato da un alto grado di intelligenza e dalla capacità di percorrere lunghe distanze con una corsa rapida. Successivamente si sono separate le due grandi linee evolutive riferite a mammiferi a dieta carnivora e mammiferi a dieta erbivora.

Le prime testimonianze della presenza del gruppo dei carnivori si hanno in Nord America circa 60 milioni di anni fa, con i Creodonti. Lo sviluppo di dentatura specializzata nel tranciare carne (denti carnassiali) risale a 55 milioni di anni fa. Nel corso dei successivi milioni di anni si evolse una grande quantità e varietà di carnivori, tra questi Miacis, appartenente alla famiglia dei Miacidae, che aveva una morfologia simile agli attuali membri dell’ordine dei carnivori.

La linea evolutiva degli Ursidi e dei Canidi si è separata tra i 30 e i 40 milioni di anni fa.

L’antenato dei Canidi, Cynodictis, presentava lo stesso numero di denti del lupo, successivamente con Cynodesmus e Tomarctus, si affermarono le caratteristiche del lupo attuale: arti più lunghi, zampa compatta e allungata, dito interno vestigiale nella zampa posteriore e dito ridotto nella zampa anteriore. Cynodesmus aveva aspetto e proporzioni tra quelle di un lupo e quelle di una volpe, con Tomarctus, evolutosi a posteriori (15 milioni di anni fa), si affermarono le caratteristiche del lupo, la mole dell’animale era aumentata rispetto a quella della volpe.

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15 1.2 ClassificazioneeTassonomia

Classe: Mammiferi Sottoclasse: Placentati Ordine: Carnivori Famiglia: Canidi Genere: Canis

Specie: Canis lupus Linnaeus, 1758

Il lupo (Canis lupus L., 1758) appartiene all’ordine dei Carnivori, famiglia dei Canidi, genere Canis (Figura 1.1). Appartengono all’ordine dei Carnivori gli animali che si sono adattati in modo più o meno specifico ad una dieta ricca di proteine animali. I carnivori hanno una dentatura specializzata con lunghi canini e denti carnassiali trancianti, un sistema digerente semplice e gli artigli solitamente affilati.

E’ considerato uno dei gruppi che presenta uno dei più alti gradi d’intelligenza e capacità associative elevate (Matthew, 1930).

I caratteri morfologici principali che distinguono la famiglia dei Canidi dalle altre famiglie dell’ordine sono: la fila dentale più lunga della metà della lunghezza condilo basale del cranio, il numero elevato di denti (42), le lunghe code, gli arti digitigradi e le quattro dita nell’arto posteriore (Toschi, 1965) .

Il genere Canis, oltre al lupo, include altre 6 specie selvatiche viventi, tra cui il coyote (C.

latrans Say, 1832), lo sciacallo dorato (C. aureus L., 1758), lo sciacallo della gualdrappa (C. mesomelas Schreber, 1755), lo sciacallo striato (C. adustus Sundeval, 1847), lo sciacallo del Siemen o lupo abissino (C. siemensis Ruppel, 1869) e il lupo rosso degli Stati

Figura 1.1 Lupo appenninico (foto Graziano Capaccioli).

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16 Uniti sud-orientali (C. rufus Bailey, 1905), sebbene la classificazione a livello di specie di quest’ultima forma sia stata più volte messa in discussione. Il lupo è anche riconosciuto come progenitore selvatico del cane domestico (C. familiaris L., 1758); fino a pochi anni fa, il cane domestico era classificato come specie, ma, alla luce dei risultati attuali, si considera una sottospecie domesticata di lupo (C.l. familiaris) (Wilson e Reeder, 1993).

Data la vastità geografica dell’areale di distribuzione originario del lupo, non deve sorprendere la variabilità fenotipica del lupo (colorazione del pelo, peso, dimensioni) che si riscontra tra i lupi che vivono in zone geograficamente ed ecologicamente differenti. Di fatto, tale variabilità ha reso complessa e controversa la sistematica del lupo, soprattutto a livello sottospecifico.

Furono riconosciute inizialmente circa 24 sottospecie di Canis lupus nel continente nord americano e 8 in quello eurasiatico, sulla base di caratteristiche morfologiche, soprattutto del cranio, e della distribuzione geografica (Mech, 1970). Negli ultimi anni, i risultati delle ricerche sulla genetica molecolare e sulla morfometria, hanno consentito una revisione della tassonomia. Novak (1983 e 1995) riconosce al massimo 5 sottospecie in Nord America e non più di 6 nel continente eurasiatico. L’autore identifica le seguenti sottospecie eurasiatiche: C.l. albus, nelle terre artiche, C.l. communis, nella tundra siberiana, C.l. lupus, nell’Europa e nell’Asia centrale, C.l. cubanensis, nella regione caucasica, C.l. pallipes, dell’Asia sud occidentale, C.l. arabs, nella penisola arabica.

Ad inizio secolo, era stata descritta la sottospecie Canis lupus italicus, sulla base di alcune caratteristiche che lo differenziavano dalle altre sottospecie europee (Altobello, 1921): la colorazione del mantello, la dentatura meno tranciante e la taglia più piccola. Tuttavia la legittimità di tale assegnazione è stata in seguito dibattuta sulla base sia delle metodologie utilizzate dall’autore, considerate essenzialmente descrittive ed inadeguate alla luce degli attuali criteri tassonomici, sia del ridotto numero di esemplari analizzati (Boitani, 1981;

Boitani e Fabbri, 1983; Ciucci e Boitani, 1998). Attualmente la validità della specie

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17 italicus non viene generalmente riconosciuta. A supporto di ciò, analisi su DNA mitocondriale di lupi appartenenti a popolazioni eurasiatiche, compresa quella italiana, non consentono di giustificare l’esistenza della sottospecie italicus (Randi et al., 2000).

1.3 Distribuzione mondiale

Secondo solo al leone (Panthera leo) del Pleistocene, il lupo rappresenta il carnivoro terrestre selvatico che ha raggiunto, per lo meno in tempi storici, la distribuzione geografica più estesa (Novak, 1983). L’areale pregresso della specie, infatti, si estendeva dal 20N al 80N parallelo di latitudine, comprendendo l’intero continente nordamericano, Messico incluso, e il continente eurasiatico con il Giappone. Tale distribuzione è definita

“oloartica circumpolare” (Figura 1.2).

In epoca recente la distribuzione del lupo si è drasticamente ridotta a causa della persecuzione persistente dell’uomo. In Europa, alla fine del XVIII secolo, la specie era presente ancora in tutti i Paesi fuorché Gran Bretagna e Irlanda. Durante il XIX secolo e in particolare negli anni che seguirono il secondo conflitto mondiale, la persecuzione della specie fu così intensa che il lupo si estinse in tutti i Paesi dell’Europa settentrionale e centrale. Sebbene in alcune zone dell’areale di distribuzione il lupo continui a subire gli effetti di una continua persecuzione antropica, in Nord America e in Europa, negli ultimi venti anni, si è assistito ad una lenta ripresa della specie; si sono registrati, infatti, tentativi di espansione e ricolonizzazione spontanea dell’areale pregresso tutt’ora in atto (Carbyn et al.,1995).

Attualmente le aree continentali di distribuzione che ospitano il maggior numero di lupi sono quelle settentrionali. Si osserva una progressiva riduzione e frazionamento scendendo nelle fasce temperate.

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18 In Nord America (Canada e Alaska), il lupo ha una distribuzione praticamente continua.

Negli USA settentrionali, il lupo è attualmente presente in alcune località grazie ad un processo di ricolonizzazione spontanea (Wisconsin, Minnesota, Montana, Wyoming, Michigan, Stato di Washington) e in seguito a reintroduzioni (Parco Nazionale di Yellowstone e Idaho). E’ completamente assente nel resto degli Stati Uniti.

Attualmente il lupo è presente, con popolazioni più o meno ridotte, in Portogallo, Spagna, Francia, Italia, Grecia, Paesi della ex Jugoslavia e Paesi Scandinavi, con una distribuzione continua, invece, nell’Europa orientale. Nella Penisola Iberica vive la principale popolazione di lupo dell’Europa occidentale (Ciucci & Boitani, 1998). In Germania si registrano presenze di tipo erratico che stanno diventando stanziali al confine con la Polonia.

Inizialmente, in Francia, il lupo si è stanziato nel Parco del Mercantour intorno agli anni novanta e analisi di genetica hanno confermato che si è trattato di una ricolonizzazione ad opera di esemplari della popolazione italiana (Taberlet et al., 1996; Scandura et al., 2001).

Attualmente sono presenti 11 aree in cui è confermata la presenza di un branco o di individui indipendenti da almeno due anni consecutivi; la distribuzione di lupi in Francia include ampiamente l’arco alpino francese al confine con il territorio Italiano (A.A.V.V., 2001). In Svizzera, la popolazione di lupi è limitata a presenze occasionali e non è mai stata confermata la presenza di un branco stabile (Weber, 2004). Per quanto riguarda la gestione della specie, il lupo è considerato come specie protetta (convenzione di Berna 1979) ma sia la Francia che la Svizzera si sono dotate di piani di gestione che prevedono la possibilità di abbattimento di individui particolarmente problematici. In Francia, per l’anno 2004, è stato previsto l’abbattimento di 4 lupi (Plan d’action sur le loup 2004). In Svizzera nel biennio 2000-2001 sono stati abbattuti 3 lupi (Weber, 2004).

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19 Fonte: Ciucci e Boitani 1998.

Figura 1.2 Areale originario (chiaro) e attuale (scuro) del lupo nel mondo.

1.4 Situazione italiana

Ampiamente diffuso sull’intera penisola fino alla metà del secolo scorso, il lupo venne sterminato sulle alpi negli anni ’20 (Brunetti, 1984) e in Sicilia negli anni ’40, mentre in Sardegna non è mai stato presente (Cagnolaro et al., 1974).

La distribuzione della specie, che appariva continua lungo la catena appenninica fino agli anni ’50, subì un’ulteriore drastica riduzione durante il ventennio che seguì il secondo conflitto mondiale (Cagnolaro et al., 1974).

A partire dagli anni ’70 si assiste, al contrario, ad una graduale espansione dell’area di presenza osservatasi fino a quel momento, soprattutto lungo la catena appenninica (Boitani

& Fabbri, 1983; Pandolfi, 1983; Boscagli, 1985a; Boitani & Ciucci, 1993; Francisci &

Guberti, 1993).

(20)

20 Attualmente il lupo è distribuito lungo l’intera catena appenninica, dall’Aspromonte fino alle Alpi Marittime, con ramificazioni nelle zone collinari tirreniche di bassa quota tra il Lazio settentrionale e la Toscana centro-meridionale. Nella Figura 1.3 a) e b) sono riportate le distribuzioni della specie in Italia nel 1974 (Cagnolaro et al., 1974) e nel 2001 (Scandura et al., 2001).

L’espansione della popolazione appenninica ha permesso il ritorno del lupo sull’arco alpino. Il primo avvistamento confermato sulle Alpi è del 1987 nell’area del Col di Tenda (nei pressi di Fontan); negli anni successivi la presenza si è consolidata sia in Francia che in Italia. Sul versante italiano le prime segnalazioni della specie sono riconducibili all’area della Valle Pesio e della Valle Stura, in provincia di Cuneo, nei primi anni ’90. In provincia di Torino ed in Valle Po, le prime segnalazioni risalgono al 1994 ma la presenza stabile di un branco di lupi è stata accertata nel 1997, documentata dalla riproduzione di una coppia all’interno del Parco Naturale del Gran Bosco di Salbertrand (A.A.V.V., 2001).

a) b)

Figura 1.3 Distribuzione della specie nel 1974 a) e nel 2001 b).

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21 Le analisi genetiche condotte su 604 campioni fecali e 6 tessuti raccolti su tutto il territorio regionale attestano che i lupi campionati in Piemonte appartengono alla popolazione italiana di lupo (A.A.V.V., 2001). Il totale della popolazione di lupi insediata sulle Alpi occidentali è oggi stimato in circa 40-50 esemplari, con circa una decina di unità riproduttive. Di queste unità almeno 3-4 (forse 5) sono insediate sul versante italiano, dalla valle Pesio fino al Parco del Gran Paradiso (A.A.V.V., 2001). In provincia del Verbano- Cusio-Ossola, le analisi genetiche, condotte su alcuni campioni di escrementi raccolti tra Novembre 2002 e Luglio 2003, hanno dimostrato la presenza di due individui distinti di lupo. Uno di questi individui risulta provenire da un branco dell’area cuneese (A.A.V.V., 2003). Nell’ arco alpino orientale non si hanno segnalazioni sicure di avvistamenti di lupi in territorio italiano, anche se è possibile, alla luce delle tendenze demografiche attuali, una colonizzazione in un prossimo futuro (Ciucci e Boitani, 1998). La tendenza demografica positiva del lupo in Italia è la conseguenza di più fattori: da una parte, l’estrema plasticità del lupo che è riuscito, nonostante la pressione umana, a sopravvivere e ad adattarsi alle nuove condizioni ambientali, dall’altra, il graduale abbandono da parte dell’uomo delle zone montane ed il conseguente cambiamento della linea di gestione dell’ambiente e della fauna selvatica, avvenuto dopo gli anni ’70. L’attuazione di una serie di programmi rivolti alla tutela ambientale, come l’istituzione delle aree protette, la reintroduzione ed il popolamento di ungulati selvatici, hanno consentito al lupo di riappropriarsi, almeno in parte, del proprio ambiente naturale. La definizione della legislazione specifica, finalizzata alla conservazione della specie, ha le sue origini nel 1971, quando fu approvato un D.M., a validità biennale, che prevedeva il divieto dell’esercizio venatorio a carico del lupo su tutto il territorio italiano. Tale decreto è stato poi rinnovato nel 1973 con un D.M. a validità triennale. Nel 1976, un nuovo D.M. accorda la protezione totale e vieta l’utilizzo di bocconi avvelenati. La legge nazionale 968/77 e la successiva 157/92 hanno

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22 definitivamente dichiarato il lupo specie pienamente e particolarmente protetta, condizione ribadita ultimamente dal D.P.R. 357/97 (attuazione della direttiva 92/43/ CEE).

Pur essendo evidente la tendenza positiva della specie in Italia e pur essendo definito lo status legale della specie, purtroppo si riscontra una continua persecuzione antropica a livello locale, retaggio di tradizioni e convinzioni errate delle popolazioni rurali.

Nonostante vi siano leggi regionali che prevedono l’indennizzo totale o parziale dei danni provocati dal lupo al patrimonio zootecnico, le uccisioni illegali continuano ad essere alcune delle maggiori cause di mortalità del lupo.

1.5 Morfologia

Figura 1.4 Lupo appenninico.

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23 1.5.1 Peso e dimensioni

Il lupo è uno dei membri di maggiori dimensioni della famiglia dei canidi.

Il peso di un individuo adulto varia secondo un gradiente latitudinale all’interno dell’areale di distribuzione (regola di Bergman): i lupi che vivono in regioni settentrionali (Canada, Siberia) hanno una mole maggiore (60-80 Kg), rispetto a quelli di latitudini inferiori. In Italia, per esempio, il peso di un maschio adulto raggiunge in media i 25-35 Kg e non si sono mai registrati casi superiori ai 45 Kg.

La femmina è inferiore (circa del 20%) rispetto al peso ed alla taglia del maschio.

In generale, considerando entrambi i sessi, un individuo in media è lungo 110-148 cm, dalla testa alla base della coda, la quale misura 30-35 cm (meno di un terzo della lunghezza del corpo), l’altezza al garrese varia tra i 50-70 cm (Ciucci & Boitani, 1998).

La corporatura è slanciata ma robusta: gli arti sono più lunghi rispetto a quelli degli altri Canidi (Hildebrand, 1952), il torace è possente, i fianchi stretti, la testa ampia, il muso ampio ed appuntito, il collo corto e robusto. Gli arti anteriori sembrano compressi nel torace, hanno il gomito ruotato all’interno e le zampe all’esterno, ciò permette sia alla zampa anteriore che a quella posteriore dello stesso lato di muoversi lungo la stessa linea.

Nell’insieme, questa conformazione consente un’andatura al trotto e, in generale, permette l’acquisizione di movimenti agili e veloci. La postura del lupo è digitigrada, con cinque dita negli arti anteriori, di cui uno non tocca terra, e quattro negli arti posteriori. Ogni dito ha un polpastrello calloso e un’unghia robusta non retrattile e posteriormente è presente un grosso cuscinetto plantare a forma lobata (Figura 1.5).

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24 1.5.2 Cranio

La testa è ampia, con muso allungato terminante in un callo nasale nudo, occhi frontali e pupilla rotonda. Le orecchie sono a forma triangolare, a base larga e misurano circa 10-11 cm. Il cranio è largo e massiccio caratterizzato da un lungo rostro, dalla scatola cranica fortemente ossificata con ampie e robuste arcate zigomatiche e cresta sagittale particolarmente sviluppata, in cui si inserisce la muscolatura dei massenteri e dei temporali, particolarmente robusta. L’angolo orbitale (angolo acuto formato dalla intersezione tra la retta tangente la sommità del cranio e quella tangente l’arcata zigomatica) è un parametro di distinzione tra cranio del lupo e del cane (Figura 1.6).

Figura 1.5 Zampa di lupo.

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25

Nella maggioranza delle razze canine, l’angolo misura tra i 53° e i 60°, ad eccezione delle razze più primitive (es. pastore tedesco) che possiedono un angolo orbitale di 50°-52°. Nel lupo, l’angolo misura dai 40° ai 45° conferendo al cranio un aspetto più schiacciato e affusolato (Iljin, 1941).

La bulla timpanica è larga, convessa e sferica, a differenza di quella del cane che appare più atrofizzata, piccola e compressa. La formula dentaria per un individuo adulto è I 3/3, C 1/1, P 4/4 e M 2/3, per un totale di 42 denti, la dentizione definitiva rimpiazza quella da latte tra la 16a e la 26a settimana. I denti ferini (P4 e M1) sono particolarmente taglienti e consentono la lacerazione di tendini e grossi pezzi di carne. La combinazione di un cranio massiccio, muscoli potenti e dentizione forte sono prerogative fondamentali per un predatore, come il lupo, che si nutre di prede di grandi dimensioni (Figura 1.7).

Figura 1.6 Cranio di lupo a) e di cane b).

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26 1.5.3 Colorazione

All’interno dell’areale di distribuzione della specie, la colorazione del mantello è estremamente variabile. La colorazione del mantello varia non solo tra le diverse popolazioni ma anche all’interno delle stesse. Le tonalità predominanti sono il grigio- fulvo, il nero, il bianco, il color crema, il marrone e l’argento.

Alcune colorazioni sono esclusive di determinate aree geografiche, con fasi monocromatiche bianche e nere più frequenti alle latitudini più elevate. In Italia la colorazione tipica è grigio-fulva, con tonalità tendenti al marrone-rossiccio nel periodo estivo. Sono comunque presenti anche i lupi neri (Figura 1.8).

Figura 1.7 Dentizione di un esemplare di lupo.

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27

In Italia e in generale nelle regioni dell’Europa meridionale, il lupo presenta evidenti bandeggi scuri, tendenti al nero, nella regione dorsale, sulla punta della coda, delle orecchie e lungo gli arti anteriori. La regione ventrale e addominale è più chiara, tendente al color crema. E’ caratteristica la mascherina facciale bianca.

Le caratteristiche e l’aspetto del mantello (lunghezza, spessore e lucentezza) possono dipendere dallo stato di nutrizione e di salute dell’animale ma anche dalle condizioni di muta. Il ricambio del pelo si verifica una volta l’anno, con caduta in primavera e ricrescita del pelo invernale in autunno. Il mantello invernale appare più folto ed è caratterizzato da una maggiore percentuale di “borra”, che consente l’isolamento termico e di “giarra”, che copre quasi interamente la “borra” sottostante. Tale composizione consente al lupo di sopportare le rigide temperature invernali, anche quelle delle regioni più settentrionali.

1.6 Habitat

Il lupo non ricerca habitat particolari come si può intuire dall’ampiezza geografica dell’areale di distribuzione originario della specie: al suo interno, infatti, sono rappresentati la maggior parte degli habitat presenti nell’emisfero settentrionale (Mech, 1970; Carbyn,

Figura 1.8 Lupo con mantello nero fotografato nell’area delle Foreste Casentinesi (foto Graziano Tortelli).

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28 1987). I maggiori fattori che limitano la sua distribuzione sono le persecuzioni dirette ed indirette da parte dell’uomo, la disponibilità di prede, la distribuzione e la frammentazione degli habitat naturali (Fuller, 1995).

In Italia, la specie è stata storicamente riscontrata in differenti tipi di habitat: dall’altezza del mare alle più alte catene montuose (Cagnolaro et al., 1974). Attualmente si riscontra ancora tale tendenza, benché in misura più ristretta (Ciucci e Boitani, 1998). Inoltre la recente espansione lungo l’arco alpino ha incluso, nell’areale della specie, habitat presenti ad altitudini maggiori rispetto a quelle appenniniche.

Sebbene, in Italia, la specie sia presente in una grande varietà di habitat, le zone montane, ricche di foreste, relativamente intatte e immuni da interferenze umane, rappresentano i capisaldi della distribuzione della specie nel territorio nazionale (Zimen e Boitani, 1975).

Sono proprio queste stesse zone, attraverso l’interazione di una serie di fattori ambientali ed ecologici (Apollonio, 1996), che svolgono un ruolo critico nel facilitare ulteriori processi di espansione dell’areale della specie e nel favorire la stabilizzazione del lupo in aree nuove (Ciucci e Boitani, 1998; Corsi et al., 1999).

Tali ambienti vengono quindi definiti habitat ottimali e sono caratterizzati da uno scarso impatto antropico.

Le uccisioni dirette, la distruzione e l’alterazione dell’habitat, la scarsità di specie preda e la scarsità di spazi disponibili sono alcuni dei fattori, conseguenti ad elevata interferenza antropica, che possono rendere l’habitat inospitale o determinare tassi di mortalità insostenibili per le popolazioni di lupo locali.

1.7 Socialità

L’ organizzazione sociale del lupo si basa sul branco: un gruppo di individui che si spostano, cacciano, si nutrono e si riposano assieme, in una libera associazione ma uniti,

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29 l’uno con l’altro, da vincoli sociali (Mech, 1970). Il branco corrisponde essenzialmente ad un’unità familiare che prende origine quando due individui di sesso opposto si incontrano su un territorio idoneo e si riproducono (Rothman e Mech, 1979; Fritts e Mech, 1981) e la sua coesione viene assicurata dai legami sociali esistenti tra i componenti del gruppo.

La tendenza all’aggregazione è stata interpretata, nel lupo ed in altri carnivori sociali, come adattamento specifico al ruolo di predatori di grandi mammiferi (Bekoff e Well, 1980;

Zimen, 1976), anche se esistono testimonianze di predazioni su grossi ungulati da parte di animali solitari (Cowan, 1974; Thurber e Peterson, 1993).

Secondo Mech (1970) esistono quattro fattori principali che influenzano la dimensione del gruppo: (1) il numero minimo di lupi richiesto per localizzare e uccidere la preda, (2) il numero massimo di lupi che la preda cacciata può sfamare, (3) il numero di altri membri del branco con cui ogni individuo può stabilire legami sociali, (4) il grado di competizione sociale che ogni individuo può sopportare.

Schmidt e Mech (1997) successivamente hanno proposto l’ipotesi della kin selection, per interpretare la tendenza dei lupi a vivere nel branco: gli adulti investono sui figli attraverso la condivisione del cibo in surplus e attraverso l’insegnamento, in modo da massimizzare l’efficienza energetica nell’ereditarietà genetica. Questi autori basano la loro ipotesi su tre considerazioni: (1) solitamente un branco è composto dalla coppia parentale con i figli del 1°-3° anno (Murie, 1944; Mech, 1970, Mech et al., 1998), (2) due individui dimostrano maggior efficienza di caccia anche su grandi mammiferi, (3) i membri della coppia acquisiscono più cibo per lupo rispetto ad un branco di 3-4 individui.

La disponibilità delle prede è un ulteriore fattore che interviene nella regolazione del branco: influenza direttamente il tasso di sopravvivenza e di produttività e indirettamente l’intensità della competizione tra i membri del gruppo (Zimen, 1976).

La dimensione del branco è in funzione della mortalità, della produttività e dell’età media in cui gli individui entrano in dispersione.

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30 Centinaia di osservazioni in natura in aree diverse hanno confermato la struttura sociale del lupo: dei 5000 lupi segnalati in Alaska, circa il 91% era in compagnia di almeno un altro lupo, in Minnesota, l’ 85% degli avvistamenti riguardava gruppi di due o tre animali, in Finlandia e in Lapponia, il 72% e l’86% rispettivamente dei 311 e dei 984 lupi erano avvistati non da soli.

La composizione media di ciascun branco è di circa 7 individui (Mech, 1970) e può variare dai 2 ai 21 individui, anche se gruppi composti da più di 13 esemplari sono rari (Zimen, 1976). Sono riportati, comunque, casi eccezionali come quello di un branco segnalato in Alaska che era composto da 36 individui (Rausch, 1967), mentre gruppi di 20-22 lupi erano presenti sull’ Isle Royale nel Lago Superiore (Jordan et al., 1967). Si tratta ad ogni modo di eventi eccezionali, lo stesso Rausch (1967) riporta che il 28% di 1357 avvistamenti erano branchi con al massimo 7 individui. In Italia, secondo le stime disponibili, le dimensioni dei gruppi variano tra i 2 e i 9 individui (Apollonio e Mattioli, 2006; Gazzola et al., 2007).

I legami sociali sono fondamentali per la coesione del branco e si verificano durante il corteggiamento e l’accoppiamento della coppia dominante, durante l’allevamento dei piccoli da parte degli adulti e tra gli stessi cuccioli nelle prime settimane di vita (Figura 1.9).

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31 Spesso il branco include, oltre alla coppia parentale, i giovani dei precedenti 1-3 anni (Murie, 1944; Mech, 1970; Mech et al., 1998). Raramente si formano associazioni di più famiglie (Murie, 1944; Mech et al., 1998). Eccezionalmente il branco accetta un lupo non imparentato o parente di uno dei due riproduttori (Van Ballenberge, 1983; Mech et al.,1998); talvolta un genitore può essere rimpiazzato da un lupo estraneo (Rothman e Mech, 1979; Fritts e Mech, 1981). Il branco è un’unità stabile durante tutto il corso dell’anno (Mech, 1970).

Studi condotti in cattività hanno descritto la struttura sociale del branco come una gerarchia lineare di dominanza che interessa i componenti di entrambi i sessi (Rabb et al., 1967; Zimen, 1976; Van Hoff et al., 1987), nella quale le relazioni individuali sono regolate da una serie di comportamenti ritualizzati (Mech, 1970; Zimen, 1976). La gerarchia sociale si traduce in differenze di ruoli all’interno del branco che si possono manifestare in termini di iniziativa (spostamenti, caccia, difesa del territorio, etc.) e

Figura 1.9 Coppia di lupi appenninici.

(32)

32 privilegio (accesso al cibo, riproduzione, etc.). Attraverso la gerarchia di dominanza ed i suoi meccanismi di mantenimento, l’aggressività dei singoli individui viene ritualizzata e inibita e vengono invece assicurate l’intesa e l’integrazione funzionale tra i componenti del gruppo. Il rango superiore è occupato da due individui di sesso opposto (coppia alfa), ai quali gli altri individui di rango inferiore sono sottomessi.

Secondo Mech (1970 e 1999), il ruolo sociale degli individui non è permanente, anche un subordinato può essere un potenziale riproduttore: nel momento in cui si riproduce diventa automaticamente un individuo alfa. Tale ipotesi si contrappone all’idea della posizione sociale innata, o definita precocemente, affermata da Fox (1975).

Frequentemente alcuni lupi vivono per un periodo una condizione solitaria: spesso si tratta di vecchi individui che hanno perso il compagno, di lupi cacciati dal branco o di giovani maturi sessualmente che si sono distaccati volontariamente dall’unità familiare alla ricerca di un nuovo territorio e di un compagno per riprodursi (Messier, 1985a; Gese e Mech, 1991; Mech et al., 1998). I lupi solitari tendono a seguire a distanza il branco, cibandosi di carcasse abbandonate (Harrington e Mech,1979).

1.8 Riproduzione, svezzamento e sviluppo dei piccoli

Il lupo raggiunge la maturità sessuale non prima del secondo anno di età, sebbene in cattività siano stati riportati casi di femmine in grado di riprodursi all’età di 10 mesi.

Nel lupo esiste un solo ciclo riproduttivo (conseguenza dell’unico estro annuale femminile), strettamente legato ai fattori climatico-ambientali e di latitudine. La latitudine alla quale vivono le popolazioni di lupo condiziona il decorso della stagione degli accoppiamenti, che si colloca in un periodo compreso tra la fine di gennaio e di aprile.

Secondo Mech (1970) esiste una correlazione marcata tra le alte altitudini e il ritardo del

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33 periodo degli accoppiamenti. In Italia gli accoppiamenti hanno luogo nel periodo tra febbraio e marzo.

Le potenzialità riproduttive dipendono dallo stato nutrizionale dell’animale (Bjoertje e Stephenson, 1992).

L’estro della femmina dura in media dai 3 ai 5 giorni (Mech, 1974). Nel periodo invernale è frequente trovare tracce su neve con le perdite della femmina che precedono di qualche settimana la fase di estro.

Almeno tre settimane prima della nascita dei piccoli (Jordan et al., 1967; Fuller, 1989), la femmina ricerca il luogo adatto dove partorire e realizza la tana (Jordan et al., 1967), dove generalmente vi attende il parto (Young, 1944). Molte tane di lupo sono cavità naturali ricavate da tronchi o anfratti di rocce, oppure possono essere utilizzate tane di altri mammiferi abbandonate (volpe, istrice e tasso) (Figura 1.10).

Uno studio condotto in Minnesota da Ciucci e Mech (1992) ha rivelato che la scelta della localizzazione della tana, all’interno del territorio, può dipendere dall’interazione di molti

Figura 1.10 Cuccioli in tana.

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34 fattori: (1) dalla tradizione (una tana può essere utilizzata più volte dalla stessa femmina o da femmine diverse) (Murie, 1944; Mech, 1970; Harrington e Mech, 1983), (2) dalla disponibilità e distribuzione delle risorse di cibo, (3) dall’influenza dei branchi vicini e (4) dalla dimensione del territorio. La loro ricerca suggerisce una correlazione positiva tra la posizione della tana e la dimensione del territorio: in territori vasti, essa tende ad essere centrale in modo da minimizzare le distanze da e per la tana, in territori relativamente piccoli, la sua localizzazione rispetto al centro è casuale. Spesso le tane sono situate in zone isolate e prossime ai corsi d’acqua.

La gestazione dura circa 63 giorni e la femmina partorisce in media 6 cuccioli, con variazione da 1 a 11 (Mech, 1974). La dimensione delle cucciolate, così come la sopravvivenza dei cuccioli entro il primo anno di vita, sono direttamente proporzionali alla disponibilità di prede, misurata come biomassa preda/lupo (Keith, 1983). Sebbene siano riportati casi in cui 2 cucciolate sono state prodotte all’interno dello stesso branco (Canada e Alaska) nella stessa stagione riproduttiva, la riproduzione è generalmente prerogativa del maschio e della femmina dominanti: tramite meccanismi di controllo sociale viene ridotta la possibilità che altri due individui si accoppino, benché fisiologicamente maturi. In tal modo gli adulti che non si riproducono e i giovani di un anno sono disponibili ad aiutare la coppia dominante nella cura della loro prole (cure alloparentali), aumentando in tal modo le probabilità di sopravvivenza dei cuccioli.

I piccoli alla nascita sono sordi, ciechi e pesano circa 500 gr (Rutter e Pimlott, 1968). Per i primi 23 giorni, i cuccioli si nutrono esclusivamente di latte materno; inseguito ricevono il cibo predigerito e rigurgitato dalla madre e anche dagli altri componenti del branco (maschio alfa e adulti ausiliari) (Mech et al., 1999). Dopo 40 giorni, i cuccioli cominciano a nutrirsi da soli.

I cuccioli si allontanano definitivamente dalla tana dopo 7-8 settimane dalla nascita e l’intera attività del branco si sposta in aree (rendez-vous sites) dove avviene la fase finale

(35)

35 dello sviluppo dei nuovi nati. Se non esistono elementi di disturbo, gli home sites (tane e rendez-vous sites) possono essere utilizzati anche per più anni di seguito (Joslin, 1966).

L’abbandono dei rendez-vous sites avviene con il sopraggiungere dell’inverno, nel periodo compreso tra settembre e ottobre (Murie, 1944; Joslin, 1966; Harrington e Mech, 1982b), al momento in cui i giovani hanno maturato le capacità fisiche per seguire gli adulti negli spostamenti.

I giovani hanno uno sviluppo fisico veloce: all’età di sei mesi hanno già acquisito il fenotipo di un adulto ma l’accrescimento definitivo avviene ad un anno, con la fusione delle ossa lunghe.

1.9 Territorialità

Il lupo quando preda specie stanziali è una specie territoriale ed ogni branco tende ad occupare un territorio esclusivo dal quale eventuali conspecifici estranei vengono attivamente estromessi (Mech, 1974).

Il territorio occupato da un branco comprende le aree di caccia e di spostamento (Mech, 1970). Questo è difeso mediante segnali di presenza acustici (che agiscono a favore della distanza), come l’ululato (Harrington e Mech, 1979 e 1983) e olfattivi (che agiscono per un tempo prolungato) (Peters e Mech,1975; Rothman e Mech,1979): tutto ciò consente di ridurre al minimo l’incontro diretto con individui estranei. Gli incontri visivi con lupi di territori limitrofi sono rari ma possono essere causa di scontri anche mortali. Tuttavia nei periodi di scarsità di prede ed in condizioni di alta densità intraspecifica, le invasioni territoriali possono essere frequenti e determinare alti tassi di mortalità (Mech, 1977).

Spesso i territori di branchi vicini possono sovrapporsi, si creano aree cuscinetto (buffer zones) frequentate da entrambi i branchi in momenti diversi. Le marcature odorose

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36 diventano, quindi, indicative dell’intervallo temporale trascorso dall’ultimo passaggio (Mech, 1970 e 1994; Peters e Mech, 1975; Fritts e Mech, 1981).

Vicino alle buffer zones aumenta il livello di marcatura (Peters e Mech, 1975; Lewis e Murray, 1993; Mech, 1994).

La dimensione del territorio può variare in funzione (1) della densità e distribuzione delle prede, (2) della densità intraspecifica e (3) del livello di alterazione del paesaggio ad opera dell’uomo.

In Nord America le dimensioni dei territori variano da 80 Kmq (Fuller, 1989) a oltre 2500 Kmq (Ballard et al., 1987), aumentando con la latitudine, in dipendenza dalle specie preda principali e dalla loro densità (Carbyn, 1987).

In Minnesota, le dimensioni variano dai 64 ai 384 Kmq (Mech, 1973); in presenza di un’ampia densità di lupi (1 lupo/25,6 Kmq), il territorio è ampio in media dai 125 ai 310 Kmq.

Casi eccezionali si riscontrano in quelle popolazioni di lupo che si nutrono principalmente di specie migratrici: la tipologia del territorio stabile (inteso come area attivamente difesa) non viene rispettato. In Ontario, per esempio, la dimensione del “territorio” è in funzione degli spostamenti del cervo a coda bianca (Odocoileus virginianus); si verificano variazioni dai 98,84 ai 1851,21 Kmq, con un valore medio di 480 Kmq (Cook et al., 1999).

Lo stesso fenomeno è riscontrato nel resto del Canada e in Alaska, dove esistono popolazioni di lupo che compiono lunghi spostamenti, con escursioni extraterritoriali rilevanti, seguendo le migrazioni delle specie preda (p. es. il caribou, Rangifer tarandus caribou e il bisonte, Bison bison) (Carbyn 1981 e 1997).

Al contrario, in Europa centrale e nelle regioni del Caucaso, la dimensione ridotta degli home range della specie (80-200 kmq) coincide con la distribuzione continua del cervo (Cervus elaphus), la preda preferita del lupo nel territorio (Okarma et al., 1998).

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37 La distanza degli spostamenti dipende dalla distribuzione delle prede; i lupi che vivono in aree con una bassa densità di prede si spingono in zone extraterritoriali e presentano una dimensione del territorio ampia e instabile nel corso dell’anno (Messier, 1985a, 1985b).

In alcune aree, caratterizzate da una forte antropizzazione e scarsità di prede selvatiche, i lupi hanno sfruttato in modo opportunistico le risorse di origine antropica (rifiuti), causando uno sconvolgimento delle attività svolte nel territorio (reso estremamente piccolo e stabile nel corso dell’anno a causa della fonte di cibo fissa).

In Italia, in tali circostanze, i valori medi oscillano per l’Appennino centrale (Abruzzo) tra i 120-200 kmq (Boitani, 1982; Ciucci et al., 1997). Lo stesso fenomeno è stato riscontrato in una popolazione di lupi arabici in Israele (60,3 kmq) (Heffner e Geffen, 1999).

L’utilizzo del territorio da parte del branco può variare durante l’anno in dipendenza del ciclo biologico dell’animale e della distribuzione stagionale delle prede.

In Polonia si passa dai 99 kmq del periodo estivo ai 271 kmq in inverno (Okarma et al., 1998); in Minnesota rispettivamente dai 230 kmq ai 267 kmq (Fritts e Mech, 1981).

Nel periodo primaverile-estivo l’attività del branco è centrata attorno agli home sites (il sito della tana e i luoghi dei rendez-vous). I rendez-vous sono una sorta di punti di ritrovo in cui i cuccioli, non ancora capaci di seguire gli adulti negli spostamenti, aspettano il loro ritorno. Sono stati descritti (Josling, 1967) come aree semiaperte, caratterizzate da un sistema di piste, giacigli e aree di attività, circondate da un fitta vegetazione e prossime a fonti d’acqua. Possono essere utilizzati, in sequenza da luglio ad ottobre, fino ad 8 luoghi di rendez-vous anche se, solitamente, è uno il preferenziale (Murie, 1944; Joslin, 1967;

Mech, 1970; Voigt, 1973, Harrington e Mech, 1982a, 1982b).

L’attività del branco è caratterizzata da movimenti radiali di individui singoli o in coppia che si dipartono dall’home sites e che generalmente vi fanno ritorno dopo un giorno (Murie, 1944; Joslin, 1967, Harrington e Mech, 1978b, 1982a, 1982b; Fritts e Mech, 1981;

Messier, 1985b; Ciucci et al., 1997; Okarma et al., 1998). Gli spostamenti avvengono

(38)

38 soprattutto di notte a partire dal tramonto e terminano all’alba, probabilmente correlati con l’attività di foraggiamento delle specie preda e con le temperature più fresche del giorno (Mech, 1970; Harrington e Mech, 1982a; Ciucci et al., 1997).

A partire da ottobre i piccoli sono in grado di seguire gli adulti e lasciano gli home sites.

Uno studio condotto in Minnesota (Harrington e Mech, 1982b) ha osservato che l’abbandono non è definitivo ma graduale fino all’inverno. Anche due mesi dopo alcuni individui si allontanano dal branco, ritornano all’home sites (di solito quello più utilizzato nel periodo estivo) e vi trovano rifugio per giorni. Il forte legame al sito, luogo di esperienza positiva per il lupo, è indipendente dalle risorse e dimostra un ruolo rilevante della dinamica spaziale della specie. Da dicembre inizia la fase di coesione del branco, le separazione diventano rare fino ad aprile (Harrington e Mech, 1982b) e l’attività diventa di tipo nomadico.

In inverno il branco si muove, caccia e si riposa in posti occasionali all’interno del territorio (Muriel, 1944; Mech, 1970; Harrington e Mech, 1978b, 1979, 1982b; Okarma et al., 1998). I lupi sono sempre attivi sia di giorno che di notte (Mech, 1970) ma nelle aree con maggiore disturbo antropico l’attività si concentra nelle ore notturne (Ciucci et al., 1997; Hefner e Geffen, 1999).

I lupi si spostano frequentemente lungo sentieri, strade forestali, linee spartifuoco e lungo piste di altri animali (Thompson, 1952; Joslin, 1967; Mech, 1970; Peters, 1979). I lupi sono spesso abitudinari e utilizzano tendenzialmente gli stessi sentieri anche per anni (Mech, 1970).

1.10 Dispersione

Oltre gli individui che vivono in branchi territoriali, esiste una discreta proporzione di lupi solitari e transienti che si muovono preferibilmente lungo i margini di territori già occupati

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39 (Peters e Mech, 1975; Rothman e Mech, 1979) ma con incursioni occasionali elusive nei territori adiacenti (Messier, 1985a). Questi sono animali che hanno abbandonato il territorio natale per andare in dispersione.

Si definisce dispersione natale il movimento di un animale dal sito di origine a quello di riproduzione, o al luogo dove si sarebbe potuto riprodurre nel caso in cui avesse scontrato un compagno (Howard, 1960).

Secondo Gese e Mech (1991) i fattori che determinano la dispersione del lupo sono: (1) la competizione per le risorse, soprattutto quando sono scarse; (2) la competizione per il partner, elevata nel periodo riproduttivo per la maggiore aggressività del maschio dominante nei confronti dei probabili competitori sub-adulti; (3) la necessità di impedire l’imbreeding e favorire la dispersione dei “geni” parentali.

La dispersione è un processo dinamico e graduale, non necessariamente legato ad un singolo evento ma caratterizzato da una serie di spedizioni solitarie extraterritoriali, alternate al ricongiungimento con il branco (Van Ballenberghe, 1983; Messier, 1985a;

Gese e Mech, 1991). La loro durata può variare da pochi giorni (Fritts e Mech, 1981) ad una settimana, a dodici mesi (Gese e Mech, 1991). La tendenza al rientro riflette, probabilmente, il fallimento nel trovare un’area vagante e/o un compagno (Van Ballenberghe, 1983), questo è particolarmente diffuso in ambienti saturi e con scarsità di prede.

Solitamente la tendenza a lasciare il branco si manifesta nei giovani di 2-3 anni (Ballard et al., 1987; Fritts e Mech, 1981; Peterson et al., 1984; Hefner e Geffen, 1999). Gese e Mech (1991) riportano un età tra gli 11-12 mesi, una bassa percentuale di adulti dispersi e nessuna differenza tra i sessi. Durante l’anno si verificano due picchi di dispersione: uno tra febbraio-aprile e l’altro tra ottobre-novembre (Gese e Mech, 1991), il picco autunnale è confermato in altri studi (Fritts e Mech, 1981).

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40 Un lupo in dispersione può percorrere dagli 8 fino ai 354 km (Gese e Mech, 1991), sono state riportate distanze di addirittura 670 e 886 km in Nord America (Van Camp e Glukie, 1979; Frits, 1983). Sembra che la saturazione del territorio aumenta la distanza percorsa (Fritts e Mech, 1981).

Il successo della dispersione può dipendere: (1) dalla disponibilità delle prede; (2) dalla disponibilità delle aree vaganti; (3) dall’incontro positivo con il compagno (Fuller, 1989);

(4) dall’esperienza; (5) dalla maturità sessuale. Solitamente i giovani inesperti si allontanano molto dal territorio natale a seguito di numerosi fallimenti, gli adulti invece, tendono a stabilirsi in aree limitrofe al luogo di origine e hanno un successo maggiore (Gese e Mech, 1991).

1.11 Comunicazione 1.11.1 Marcatura odorosa

La marcatura odorosa è una forma di comunicazione olfattiva in cui il lupo lascia il suo odore in una posizione strategica, ben visibile, in modo che altri lupi possano in seguito ispezionarla (Mech, 1970). Kleiman (1966) definisce la marcatura odorosa quella che: (1) è orientata verso particolari oggetti sconosciuti, (2) è stimolata da riferimenti del paesaggio noti o da odori e oggetti sconosciuti, (3) è ripetuta frequentemente sullo stesso oggetto.

Informazioni olfattive possono essere lasciate attraverso: (1) l’urinazione (Peters e Mech, 1975; Asa et al., 1985a), (2) la defecazione (Peters e Mech, 1975; Vilà et al., 1994; Asa et al., 1985a), (3) le secrezioni della ghiandola anale (solitamente rilasciate con le fatte ma anche singolarmente) (Asa et al., 1985a, 1985b), (4) le raspature (rilascio di secrezioni ghiandolari attraverso il raschiamento del terreno con le zampe sia anteriori che posteriori) (Fox, 1975; Peters e Mech, 1975).

Urina: sono state osservate tre modalità, relative a posture differenti di minzione: (1) con tre zampe a terra e una alzata (RLU), (2) con quattro zampe a terra leggermente divaricate

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41 (SQU), (3) con una zampa flessa sotto il corpo (FLU) (Kleiman, 1966).

Le caratteristiche delle RLU evidenziano la funzione comunicativa rispetto alla semplice eliminazione fisiologica: sono frequenti, caratterizzate da piccole quantità di urina, rivolte soprattutto su oggetti verticali e depositate frequentemente lungo le strade e i sentieri in punti strategici (p. es. incroci). Esse consentono un duraturo e prominente segnale, sia olfattivo, sia visivo, soprattutto nel periodo invernale con copertura nevosa (Peters e Mech, 1975). Inoltre, osservazioni in cattività hanno rilevato che solo gli individui alfa urinano con la postura RLU e FLU e che il comportamento è estremamente stereotipato (Woolpy, 1968; Asa et al., 1985b).

La marcatura con urina (RLU) assolve un ruolo importante nel mantenimento del territorio, una frequenza di marcatura più elevata è riscontrata nelle zone di confine tra i branchi (Peters e Mech,1975; Lewis e Murray, 1993). Harrington e Mech (1983) attribuiscono questo fatto al fenomeno dell’ispezione e rimarcatura, stimolata in maggior misura se si tratta di segni lasciati da individui estranei. Il tasso di marcatura, quindi, è più elevato nelle buffer zones, perchè frequentate da lupi estranei di zone limitrofe. La variazione della frequenza di marcatura nel territorio può essere anche in funzione del tempo trascorso dal branco in determinate aree. Il tasso di marcatura, per esempio, può essere più elevato nelle zone dove la densità delle prede è elevata, in quanto intensamente frequentate per l’attività di caccia (Paquet e Fuller, 1990). La marcatura con urina (RLU) riveste un ruolo fondamentale nella formazione e nel mantenimento del legame di coppia. Lo studio di Rothman e Mech (1979), sulla marcatura odorosa nelle coppie di nuova formazione, rileva nel periodo del corteggiamento e subito dopo la riproduzione, (1) un aumento del tasso delle RLU, (2) un aumento della doppia marcatura (due urine sovrapposte compiute dai membri della coppia), questa solitamente associata ad una mutua ispezione. Questo comportamento sembra essere un rafforzamento del legame e consente la sincronizzazione sia fisiologica sia comportamentale degli individui per il successo riproduttivo.

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42 Successivamente quando la coppia è diventata stabile il tasso di marcatura diminuisce.

La marcatura con urina fornisce informazioni sul sesso, stato riproduttivo e stato di dominanza (Asa et al., 1985a; Mech et al.,1987; Ryon e Brown, 1990).

La funzione della SQU è reputata per lo più solo escretiva (Peters e Mech, 1975), anche se in alcuni autori permangono perplessità (Barrette e Messier, 1980; Paquet, 1991). I lupi solitari depongono per lo più SQU al di fuori dei sentieri e hanno (1) un basso tasso di marcatura, in conformità della natura elusiva che devono mantenere rispetto al branco, (2) mostrano un comportamento ispettivo elevato che gli consente di evitare incontri spiacevoli con il branco dominante (Rothman e Mech, 1979).

Da studi di animali in cattività, è stato osservato che la marcatura con urina può essere utilizzata dal lupo per contrassegnare un nascondiglio di cibo ormai vuoto (Harrington, 1981).

Fatte: la marcatura fecale è ambigua e più volte è stata messa in discussione in quanto: (1) non è caratterizzata da una postura stereotipata, (2) non è sempre fisiologicamente disponibile, (3) la secrezione della ghiandola anale (ulteriore segnale olfattivo) è presente solo nel 10 % degli escrementi (Asa et al., 1985a e 1985b) (Figura 1.11).

Figura 1.11 Escremento di lupo.

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