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Capitolo 1 Il reperimento dei dati 1.1 I repertori utilizzati. Quadro generale

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Capitolo 1

Il reperimento dei dati

1.1 I repertori utilizzati. Quadro generale

Le fonti principali di quest’indagine a carattere prevalentemente statistico presentano un impianto redazionale ed un taglio contenutistico profondamente diversi. Anche se possono tutte rientrare nell’ampio genere della biografia, una è pensata per raccogliere in modo articolato i profili delle più eminenti personalità italiane in qualsiasi campo1; le altre due sono invece dei veri e

propri repertori a carattere esclusivamente militare2. Si ha quindi una chiara

disparità nella presenza di figure utili alla mia ricerca: ovviamente i combattenti, o comunque le personalità operanti nel campo militare, presenti nel Dbi sono solo una percentuale di un insieme estremamente variegato, mentre per le due enciclopedie sono l’unico argomento.

Un’altra differenza basilare tra queste opere risiede nella loro struttura: il Dizionario Biografico degli italiani è una raccolta di biografie, ognuna finalizzata a presentare la persona nella sua interezza, cercando, per quanto possibile, di delineare il contesto in cui questa si muove, e ancora illustrando, qualora questi si siano presentati, dubbi e interrogativi riguardanti l’indagine storiografica. Al contrario, lo scopo dei due volumi curati da Aldo Valori e Corrado Argegni, è totalmente diverso e, di conseguenza, lo è la loro struttura. Sono state redatte nell’ambito dell’ampio progetto dell’Enciclopedia Biografica Bibliografica Italiana, una collana le cui parti sono strutturate secondo le tipologie dei personaggi (artisti, scrittori, militari, etc.) e che ha l’aspirazione di mostrare quanto ampia sia la schiera degli italiani che hanno dato il loro contributo nei moltissimi

1 Dizionario Biografico cit.

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campi dell’ingegno umano; e principalmente per questo motivo si presenta quindi come poco più di un semplice elenco di nomi, volti a mostrare il numero piuttosto che la sostanza; cosicché per ogni persona citata in queste opere abbiamo solo le informazioni essenziali (e spesso non tutte): cognome, nome, stato di provenienza, esercito in cui combattevano e principali battaglie cui presero parte.

Nonostante queste diversità di fondo, ai fini dell’indagine è stato necessario mettere insieme tutti i dati. Sicuramente lavorare solo sui nomi ricavati dal Dbi ci avrebbe permesso anche osservazioni più approfondite, ma vista la limitata quantità di dati ricavati abbiamo ritenuto preferibile ampliare ulteriormente lo spettro dei dati su cui basare l’indagine statistica in modo che questa risultasse più rappresentativa possibile.

Inoltre, l’impressione avuta ad una prima analisi dei dati è che tutti i repertori, presi singolarmente, siano decisamente poco aderenti alla realtà e forse anche il risultato complessivo dello spoglio è ancora ben lontano da una fotografia corretta del mondo militare dell’età moderna. Ma prima di interrogarci sull’incompletezza delle fonti in campo militare, è opportuno andare ad indagare con attenzione vantaggi e limiti di ogni repertorio.

1.2 Gli Italiani e il mestiere delle armi nel Dizionario Biografico degli

Italiani

È noto che l’idea del Dbi nasce nel 1925, quasi parallelamente al progetto dell’Enciclopedia Italiana dell’Istituto Treccani, inserendosi nella scia delle altre nazioni che già si erano dotate di un Dizionario che raccogliesse tutte le figure di rilievo della propria storia3.

3 La maggior parte delle informazioni relative alla costruzione del progetto del Dbi sono state

ricavate dal saggio di Marcello VERGA «Il dizionario si farà». Note per una storia del Dizionario

Biografico degli Italiani, in Carlo OSSOLA, Marcello VERGA e Maria Antonietta VISCEGLIA, Religione, cultura e politica nell’Europa dell’età moderna. Studi offerti a Mario Rosa dagli amici,

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Ovviamente niente da dire in merito alla serietà di un opera come il Dbi: le voci sono ricche, precise, puntuali4; quello invece che ci preme sottolineare è che la

figura del militare non vi gode apparentemente di una grande considerazione. Questo problema era già stato posto da Claudio Donati5, il quale, lamentando la

quasi inesistenza di studi relativi ai militari italiani all’estero, ne cercava una possibile spiegazione nel diffuso disinteresse – almeno apparente – che gli intellettuali italiani hanno sempre avuto per questioni di ambito militare. La sua breve indagine aveva quindi lo scopo, in primo luogo, di confermare questa “disaffezione storiografica”, ma anche di provare che uno dei nostri principali strumenti biografici fosse pressoché inutile per uno studio della classe militare italiana.

La ricerca ha visto il confronto di alcune voci del Dizionario con una ricostruzione di genealogie nobiliari milanesi curata da Franco Arese6, e le

conclusioni raggiunte sono state quantomeno sorprendenti: solo il 18 % di coloro che hanno esercitato pratiche militari fuori dalla Lombardia ha avuto spazio per una voce nell’opera dell’Istituto Treccani.

Cogliendo lo spunto, abbiamo ripetuto l’esperimento di Claudio Donati includendo tutte le famiglie fino al cognome compreso ad oggi nel Dbi (aggiungendo, quindi all’indagine le famiglie: Erba, Fagnani, Gallarati e Litta),

4 Se un’osservazione può essere fatta è che, rispetto ai primi volumi, negli ultimi si nota una

minor ampiezza e minori dettagli nei singoli interventi: il tutto quasi sicuramente dovuto alla volontà di aumentare il ritmo di pubblicazione e soprattutto giungere ad una sua “rapida” conclusione senza per questo dover rinunciare a qualche inserimento. A questo proposito, aggiungo che al momento della conclusione di questa tesi è stato pubblicato un altro volume; abbiamo scelto però di non ampliare l’analisi dei dati considerando che l’aggiunta di un unico volume sarebbe stata praticamente priva di impatto sul piano statistico.

5 I risultati di quello che lui stesso definisce un «piccolo esperimento», sono contenuti nel già

citato Organizzazione militare e carriera delle armi nell’Italia di antico regime: qualche riflessione. Per dare un’entità a quella che lui supponeva essere una sottovalutazione del fenomeno dei militari italiani all’estero, si focalizza sulle famiglie il cui nome inizia per A, B o C, isolando i personaggi che esercitarono cariche militari, almeno per una parte della loro vita, fuori della Lombardia. Dei quarantatre nomi individuati, solo otto sono presenti anche nel Dbi e di molte famiglie non è presente neppure un nome, ad esempio gli Archinto, i quali sono invece molto presenti con altre categorie.

6Franco ARESE LUCINI ha curato una genealogia delle famiglie nobili milanesi dal XVII al XX secolo, in appendice a Dante E. ZANETTI, La demografia del patriziato milanese nei secoli XVII,

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ampliandolo a tutti i militari – non solo quelli che avevano combattuto all’estero – ma anche imponendo gli stessi limiti temporali di questa nostra analisi, quindi escludendo tutti coloro che avevano praticato il mestiere delle armi dopo il 1789. I risultati sono stati, se possibile, ancora più disarmanti: solo il 10 %. Abbiamo incluso quattro famiglie rispetto a quelle considerate da Donati e di tutte nemmeno un esponente militare è presente del Dizionario e, tanto per fare un esempio, nel caso della famiglia Litta, stiamo parlando di nessuno su un totale di otto!

Famiglia Militari

nel Dbi nell’Arese Militari Differenza Totali % rispetto Dbi al totale Archinto 0 3 3 3 0% Arese 0 4 4 4 0% Barbiano di Blgiojoso 3 12 9 12 25% Borromeo 4 6 2 6 67% Brivio 0 1 1 1 0% Busca 1 2 1 3 33% Confalonieri 0 3 3 3 0% Crivelli 0 5 5 5 0% Erba 0 2 2 2 0% Fagnani 0 3 3 3 0% Gallarati 0 3 3 3 0% Litta 0 8 8 8 0% MEDIA 10%

Tabella 1. Confronto tra la presenza militare del Dbi e quella enunciata dalle genealogie delle

famiglie milanesi redatte da Franco Arese.

Visti i risultati raggiunti, è stato ritenuto necessario continuare in questa sorta di verifica dell’affidabilità dei dati militari nel Dbi. Abbiamo quindi cercato altri repertori sia a carattere genealogico che militare, ma anche semplici liste di nomi trovate casualmente durante gli studi. Ogni volta controllavamo quanti dei militari delle “liste” rientravano anche nel database ricavato dal Dbi e, ogni volta, i risultati davano sempre la stessa conferma, portandoci ad interessanti riflessioni sulla struttura contenutistica di quella che originariamente doveva essere la nostra unica fonte.

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Il primo grosso controllo è stato fatto con un altro famosissimo repertorio di famiglie nobili, quello compilato nell’Ottocento da Pompeo Litta7. Data la

notevole mole di questo lavoro, abbiamo scelto di procedere in maniera leggermente diversa: abbiamo escluso dal confronto tutte le famiglie di cui non avevamo trovato neppure un esponente militare (con le sole eccezioni delle famiglie Archinto di Milano e Altemps di Roma), considerando solo le altre, sempre ovviamente fermandoci alla lettera L. Qui i risultati sono, per ovvi motivi statistici, migliori di quelli rilevati dal confronto con l’Arese, ma comunque ancora molto bassi: i militari che hanno avuto l’onore di essere inseriti nel Dbi sono solo poco più di un quarto di quelli rilevati da Pompeo Litta nelle sue ricerche. Casi abbastanza emblematici sono i Colonna, rappresentati dal Dizionario solo per un terzo del loro potenziale militare, oppure, ancora più stupefacente, la famiglia Castiglioni di Milano, dove, su ventisei combattenti che la famiglia ha prodotto in poco più di due secoli, ne compare solo uno (vedi Tabella 2).

Un altro confronto molto interessante è stato quello fatto con il lavoro sui condottieri napoletani scritto a fine Seicento da Raffaele Filamondo8: il frate

napoletano si proponeva, come ci racconta lui stesso nell’Introduzione9, di

rendere onore alla sua patria nell’unico modo possibile, cioè facendo sì che rimanesse memoria di coloro che, nel secolo che si stava concludendo, col loro ardore, coraggio e combattività, avevano tenuto alto il nome dello Stato Partenopeo. Ci presenta così cinquantaquattro ritratti di condottieri del Regno di Napoli, non tratteggiando vere e proprie biografie, ma narrandone le gesta militari. Ebbene, dei trentotto militari il cui cognome comincia con una lettera fino alla L, ne ritroviamo solo nove nel Dbi, cioè il 24 %. Riteniamo un po’ 7 Pompeo LITTA, Celebri famiglie cit.

8 FILAMONDO Raffaele Maria, Del genio bellicoso di Napoli cit. Raffaele Maria Filamondo, nato a

Napoli nel 1649 e morto a Sessa Aurunca (Caserta) nel 1706 ebbe una cattedra all’Università di Napoli, fu primo bibliotecario della Casanatense di Roma e vescovo di Sessa, dove morì in seguito ad una malattia contratta prestando soccorso alle vittime di un’epidemia. Del Genio

bellicoso è la sua unica opera di argomento militare. Cfr. Filamondo Raffaele Maria, in Dbi, ad voc.,

XLVII, pp. 567-568.

9 L’opera presenta vari tipi di introduzione, sia da parte dell’autore che dello stampatore. Quella

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singolare che una fonte di questo genere non sia stata adeguatamente presa in considerazione dal comitato scientifico del Dizionario.

Famiglia Militari

nel Dbi nel Litta Militari Differenza Totali % rispetto al Dbi totale Acquaviva 4 22 18 22 18% Adorno 1 6 5 6 17% Aldobrandini 2 8 6 8 25% Altemps 0 4 4 4 0% Archinto 0 10 10 10 0% Boncompagni 4 9 5 9 44 % Bonelli 2 6 4 6 33% Calcagnini 2 8 6 8 25% Cantelmi 2 6 4 6 33% Castiglioni 1 26 25 26 4% Colonna 7 23 16 23 30% Da Correggio 1 1 0 1 100% Erizzo 4 4 2 6 67% d’Este 3 18 15 18 17% Foscari 6 13 7 13 46% Fregoso 1 3 2 3 33% Gambacorta 1 8 7 8 12% Giustiniani 1 27 26 27 4% Gonzaga 5 47 42 47 11% Lando 1 5 4 5 20% MEDIA 28%

Tabella 2. Confronto tra la presenza militare del Dbi e quella enunciata dalle genealogie delle

famiglie celebri redatte da Pompeo Litta.

Ha forse una valenza meno generale il controllo che abbiamo eseguito con tre liste di nomi che Giampiero Brunelli inserisce in appendice al suo lavoro sull’organizzazione dell’apparato militare dello Stato pontificio nel Seicento10.

Le liste (una di capitani di «banda», una di sergenti maggiori e una ancora di maestri di campo) presentano un totale di 62 nomi, compresi tra la A e la L, dei

10 Giampiero BRUNELLI, Soldati del papa. Politica militare e nobiltà nello Stato della Chiesa

(1560-1644), Roma, Carocci, 2003. In appendice l’autore riporta alcune delle fonti da lui utilizzate per i

suoi studi. In particolare, quelle da me sfruttate sono state: Tabella 1: I capitani di «banda»

(1607-1610), pp. 277 e 278 (fonte: Archivio di Stato di Roma, Soldatesche e galere, Conti straordinari, b.

94) e la Tabella 3: Ufficiali superiori delle milizie (1623-1639): mastri di campo [MDC-MIL] e sergenti

maggiori [SM-MIL], pp. 279 e 280 (fonte: Biblioteca Apostolica Vaticana, Barb. lat., Indici 154-68 – Inventario dei carteggi scelti e ordinati da don Alessandro Pieralisi, Bibliotecario, Sezione militare).

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quali nessuno è stato riscontrato nel Dbi. E se per i capitani di banda possiamo trovare una motivazione nel fatto che erano molti e svolgevano un ruolo non sempre di estrema rilevanza per la loro terra, si può invece supporre (anche se non è sicuramente vero in tutti i casi) che i maestri di campo avessero uno spessore e un’influenza, anche non strettamente militare, di ben diversa entità. Curioso è comunque che Brunelli nell’introduzione affermi che il Dizionario sia prodigo di biografie di alti esponenti dell’esercito pontificio e lo consideri, di conseguenza, un buon strumento di ricerca11.

L’ultimo confronto è stato fatto prendendo come termine di paragone coloro che scrivevano di tecnica militare. Non tutti quelli che discettavano di guerra vi avevano realmente preso parte, ma i più famosi (come Giorgio Basta e Raimondo Montecuccoli) generalmente erano stati anche grandi condottieri; possiamo quindi considerare anche questa piccola indagine assolutamente aderente alle esigenze di questo studio. Il punto di confronto, in questo caso, non è stato un repertorio, bensì un catalogo, creato da Carla Sodini12, la quale

ha raccolto tutte le Cinquecentine e Seicentine delle Biblioteche Militare Centrale e di Artiglieria e Genio dello Stato Maggiore. In questo caso le percentuali di comunanza salgono decisamente, anche se i livelli sono sempre molto inferiori a qualsiasi aspettativa: di 53 autori13 individuati nel catalogo,

sono diciannove ad essere presenti anche nel Dizionario, stiamo parlando quindi di un 36% di compresenze. Non è moltissimo, ma possiamo comunque notare come, nel momento in cui cominciamo a trattare di persone che hanno lasciato qualcosa di scritto, il Dbi riveli una maggior ricettività.

Rimando alle pagine seguenti per l’analisi dei risultati emersi dal confronto con i due repertori dell’E.B.B.I.; sono sicuramente molto interessanti e di grande 11 G. BRUNELLI, Soldati del papa cit., p. XIV.

12 Mi preme particolarmente esprimere tutti i miei più sentiti ringraziamenti alla professoressa

Sodini, la quale non solo mi ha permesso di consultare e spulciare il suo catalogo, ma mi ha anche fornito la sua collaborazione e il suo aiuto nell’impostazione e nella gestione di questo lavoro.

13 Ovviamente, anche in questo caso, siamo rimasti aderenti ai limiti temporali dello studio: da

questo numero sono quindi escluse tutte le opere concepite e scritte precedentemente al 1559. Inoltre da considerare anche che abbiamo inserito, come negli altri casi, solo coloro i cui cognomi iniziavano con le lettere dalla A alla L.

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rilevanza, ma risulteranno tali al lettore solo dopo aver fatto il quadro relativo anche al contesto in cui nascono i loro progetti e i loro autori.

Ciò su cui adesso è necessario riflettere è che i dati riscontrati da queste poche analisi sembrano – come già accennato – palesare un difetto di attenzione del Dbi per l’ambito militare. Cerchiamo ora di trovarne un riscontro anche nella sua storia.

Riguardo all’organizzazione dell’opera le questioni su cui inizialmente si concentrò il comitato scientifico, diretto da Giovanni Gentile, furono molte e investirono i più disparati argomenti. Il più controverso fu sicuramente quello relativo alla periodizzazione: cioè se includere o meno l’impero romano e se arrivare fino al periodo attuale. La decisione finale fu quella di cominciare con la fine dell’età antica ed arrivare fino all’epoca fascista inclusa. Ciò che però risulta più interessante ai fini della nostra tesi è il modo in cui sono stati gestiti gli inserimenti, ovvero su quali basi si è deciso di procedere. Inizialmente doveva essere un ampliamento delle voci biografiche presenti nell’Enciclopedia Italiana, successivamente l’idea cominciò ad allargarsi e il Dizionario si delineò come un’opera a sé stante, con una propria indipendenza profonda. Ci si domandava quale categoria di persone sarebbe dovuta essere inserita, soprattutto in merito al Dbi come strumento. Tra le carte delle discussioni tra Gentile e Nicolini14 emerge qualcosa di interessante: lo studioso napoletano

affermò che «Se conterrà abbondanti […] notizie bibliografiche sopra tutto degli scrittori, degli scienziati, degli artisti e dei personaggi storici poco noti o mal noti, sarà un ferro del mestiere molto più utile della stessa Enciclopedia»15. Ci

possiamo domandare che cosa intendesse per “personaggi storici”, comunque, già dagli inizi, sembra non essere considerato l’aspetto militare delle figure da censire.

Fu deciso di istituire commissioni regionali che si occupassero di stilare indici di nomi non presenti nell’Enciclopedia. Questo comportò un lavoro 14 Fausto Nicolini (Napoli 1869-1965) fu uno studioso poliedrico, anche se gran parte dei suoi

studi furono dedicati a Vico. Il suo sodalizio con Croce, conosciuto nel 1903, fu estremamente prolifico. Fu presidente della Commissione meridionale del Dbi.

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lunghissimo16 e grandi complicazioni in merito alla definizione dei criteri per la

scelta di questi nomi: sicuramente Gentile temeva fossero inserite troppe figure non all’altezza delle sue aspettative. Interessante è un’osservazione spedita dal filosofo alle commissioni regionali in merito all’inserimento dei combattenti della guerra del 15-18: il criterio utilizzato doveva essere molto severo ed «includere nello schedario soltanto quei militari che abbiano compiuto atti speciali di eroismo, quei generali che abbiano avuto parte cospicua nelle azioni di comando e che comunque abbiano lasciato traccia notevole dell’opera loro»17. Questo discorso mi sembra estremamente chiarificatore su quello che

doveva essere l’orientamento del progetto: coloro che hanno combattuto, a meno che non abbiano compiuto particolari imprese o che abbiano lasciato qualcosa di scritto in merito alla loro esperienza, non avrebbero dovuto essere inseriti. Effettivamente è un ragionamento comprensibile: non potevamo includere tutti i militari, allo stesso modo in cui non potevano essere inseriti tutti i rappresentanti possibili di qualsiasi altra categoria. Sorge però un dubbio legittimo: non ci sarà una particolare attenzione nei confronti dell’ambito militare? Non può essere che questa scelta restrittiva sia applicata più a questo campo che agli altri? Dubbio legittimo se consideriamo che siamo in un regime che ha tutta l’intenzione di cambiare l’immagine che all’estero, e, perché no, anche in patria, si ha degli italiani18, intendendo presentarli nella luce

sfolgorante dei grandi eroi e combattenti, come i loro antenati romani. Parimenti abbiamo a che fare con un direttore che afferma costantemente quanto tenga alla serietà intellettuale del suo progetto, come a voler sottolineare 16 Le commissioni furono istituite nel 1926; non giunsero notizie fino all’anno successivo, e, tra

contrattempi, lungaggini e correzioni date dalla sede centrale, niente fu pronto prima di dieci anni.

17 M. VERGA, Il dizionario si farà cit., p. 15.

18 A proposito della natura imbelle degli italiani e del giudizio che se n’è avuto nella storia, è

particolarmente interessante, oltre che divertente, il già citato articolo di Virgilio Ilari, Il valore

militare degli italiani. Secondo l’autore è una credenza connaturata non solo all’estero, ma anche

nell’immaginario collettivo nazionale. Tentativi di cambiare questa concezione attraverso una rinascita militare italiana, furono fatti sia durante il Risorgimento, che durante il ventennio fascista quando fu rilanciata l’idea della “nazione militare”, ma non andarono a buon fine. Viste le idee che sul nostro popolo circolano a qualsiasi livello, il Dbi potrebbe anche essere quindi semplicemente espressione della mentalità di un paese e di secoli di storiografia condizionata da questo fattore, come del resto qualsiasi altra produzione della mente umana.

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la sua lontananza da un certo tipo di atteggiamento del Regime. Potrebbe quindi essere una spiegazione: il tentativo di Gentile di non voler intaccare lo spirito dell’opera con la volontà militarista del Fascismo potrebbe averlo portato a decidere l’esclusione anche di alcuni esponenti illustri dell’età moderna, per non parlare, ovviamente, di tutti coloro che tanto illustri non furono, ma che, dal punto di vista in cui si colloca questo lavoro, sembrano esclusioni altrettanto penalizzanti.

Oltre che sugli indici impostati dalle commissioni regionali, il Dbi si basa anche su altre fonti, generalmente altri repertori esistenti, che erano spesso compilati da ecclesiastici, i quali naturalmente privilegiavano i loro simili. Questa la motivazione che Donati adduce a conclusione del suo esperimento, affermando che «sulla base di uno strumento d’uso generale come il Dbi, la fisionomia di alcune famiglie nobili milanesi risulta più o meno fortemente alterata e il peso della componente ecclesiastica rispetto a quella militare appare spesso sovradimensionato»19. Se queste affermazioni sono vere, ovviamente risultano

tali per tutta Italia e non solo per le famiglie nobili milanesi.

1.3 I repertori di epoca fascista

Così come probabilmente il Dbi tenta di distaccarsi il più possibile da una certa ideologia guerrafondaia e votata all’esaltazione del “mito italiano” – e forse proprio per questo presenta importanti limiti di inclusione –, gli altri due repertori consultati ne sembrano invece il frutto più maturo. L’E.B.B.I. nasce nel 1936 con lo scopo di abbracciare, «nella sua grandiosità, l’opera compiuta in dieci secoli da migliaia e migliaia d’italiani in tutto il mondo, a favore della civiltà umana»20. Difficile ricostruirne la storia. Nella presentazione dell’opera,

che si trova al principio della diciannovesima serie, si parla di più di centosessanta volumi previsti; abbiamo rintracciato almeno quaranta serie, di cui alcune su poetesse, attori, pedagogisti, ministri, uomini politici in generale e addirittura ceramisti. Si tratta comunque di un’opera destinata sin dal suo 19 C. DONATI, Organizzazione militare cit., p. 27.

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inizio a esaltare al massimo il nome dell’Italia e degli italiani, ma oltre ai dubbi che possono presentarsi in merito alla scientificità di questo scopo, sono molti altri gli elementi che ci possono far dubitare della serietà del progetto come, ad esempio, il fatto che non tutte le serie presentino un’introduzione che chiarisca i limiti cronologici o i sussidi tecnici utilizzati o altro che possa risultare utile per tale strumento di lavoro. Anche l’affermazione che chiude la pagina di presentazione dell’opera sembra testimoniare la scarsa scientificità, se non altro, dell’obiettivo di lavoro: «L’E.B.B.I. è perciò la più cospicua rassegna e il più coraggioso tentativo editoriale fatto per prova della nostra supremazia spirituale»21.

Dobbiamo ora analizzare nel dettaglio, per quanto possibile, i due repertori. Comincerò, a dispetto dell’ordine cronologico, da quello di Aldo Valori che presenta una maggiore facilità di accesso alle informazioni sull’opera e sull’autore.

Condottieri e generali del Seicento è la Serie XX dell’E.B.B.I., ha una lunga introduzione, la quale permette all’autore, non solo di chiarire le basi del suo lavoro, ma anche di offrire al lettore un quadro di storia militare del XVII secolo. I toni di questa introduzione suonano un po’ strani ai giorni nostri e anche qualche affermazione sembra forse dettata più dalla volontà di esaltare il ruolo degli italiani che dalla scientificità di un corretto lavoro storico. Si pensi solo alla parole di apertura: «Non si ha idea della ricchezza di quel mondo militare italiano che vive quasi di vita propria in un paese apparentemente morto alle armi; o porta il nome di Italia, gloriosamente, in altri Paesi più fortunati, dove la guerra è presente e sentita, dove c’è volontà e possibilità di coltivarne l’arte»22. Da queste parole traspare la concezione del Seicento come

secolo morto in Italia: idea che non stupisce, in quanto la rivisitazione storiografica del XVII secolo non è avvenuta che da pochi decenni. Sconvolgente è invece la parallela apparente consapevolezza che gli italiani combattenti fossero comunque molto presenti: solo negli ultimi anni quest’idea 21 Ibid.

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sta cominciando ad insinuarsi tra gli storici. Come mai l’idea e il lavoro di Aldo Valori non sono mai stati presi in considerazione? In merito possiamo fare due possibili valutazioni: o l’autore si è lasciato trascinare in questa propaganda da un chiaro intento celebrativo (e di conseguenza vi ha trascinato anche tutte le sue ricerche), oppure, anche vista l’enorme quantità di nomi che compaiono nel suo repertorio23, le ricerche sono sicuramente fondate, ma non hanno avuto

alcuna eco nel panorama storico nazionale, tant’è che, come già detto, non è molto che il dubbio di una sottovalutazione della presenza italiana in campo militare si è insinuato nelle ricerche sull’argomento24.

Nel Ventennio la storia militare ha goduto di una certa importanza, illustrata chiaramente da Piero Del Negro, che, nel suo ottimo excursus sulla storiografia militare italiana del ventesimo secolo, non manca di sottolineare come, sotto il Regime, fosse stato rivalutato anche il cosiddetto periodo nero, quello considerato del “servaggio più puro”, analizzato ponendo l’accento sui grandi «condottieri che la penisola aveva generosamente “prestato” all’Europa»25.

Questo è anche il momento in cui, come dice sempre Del Negro, si vede declinare la pura descrizione di guerre e battaglie a favore di un genere più prettamente biografico, genere che è più adatto a mettere in luce, e quindi a far sì che sia rivalutata la forza dell’uomo italico.

Torniamo al lavoro di Valori per il quale non possiamo non concordare con Claudio Donati che lo definisce una «lacunosa raccolta»26. Effettivamente su

114327 condottieri, sono 205 coloro dei quali non riusciamo a stabilire né lo

23 Nel mio lavoro, che comprende le persone i cui cognomi cominciano con le lettere dalla A alla

L, ho utilizzato 1143 nomi; possiamo ipotizzare che ce ne siano altrettanti per le restanti lettere dell’alfabeto, quindi un totale di 2200 persone circa.

24C. DONATI, Organizzazione militare cit., p. 26. L’autore si augura un inizio di studi sulla

presenza militare italiana all’estero «riprendendo cioè in una chiave rinnovata e non apologetica la polverosa tradizione di studi sugli italiani all’estero. Solo così potremo ricostruire una realtà che altrimenti rischia di essere sottostimata sia sul piano quantitativo sia su quello qualitativo».

25 Piero DEL NEGRO, «La storia militare» cit., pp. 20-21.

26 Claudio DONATI, «Esercito e società civile nella Lombardia del secolo XVIII: dagli inizi della

dominazione austriaca alla metà degli anni Sessanta», in Società e storia, XVII (1982), p. 552.

27 Ovviamente ci stiamo sempre riferendo alle voci da me prese in considerazione; come già

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Stato, né tantomeno il luogo di nascita, quindi un buon 18 %; di 574 (50 %) non conosciamo né possiamo dedurre lo stato sociale e addirittura di alcuni non sappiamo neppure il nome di battesimo, e non sono pochi: 95, cioè quasi l’8 %. Possono essere considerati limiti giustificabili, dati i tempi in cui l’autore lavorava, lo stato degli studi all’epoca e anche la probabile maggiore difficoltà nel reperimento dei dati rispetto a quella che abbiamo noi oggi, restano comunque indicativi del livello scientifico preteso dalla collana.

La serie XIX dell’E.B.B.I., curata da Corrado Argegni, è invece molto più difficile da inquadrare: in primo luogo perché non presenta alcun tipo di introduzione, né alcuna nota da parte dell’autore. Nello scorrere i dati capiamo che non vanno oltre la fine del Seicento, ma non è chiaro da dove partano, probabilmente da dopo la caduta dell’impero romano, anche se del periodo precedente al Quindicesimo secolo risultano comunque pochi nomi rispetto al totale. La maggior parte dei condottieri citati risale principalmente al periodo delle guerre d’Italia, lasso di tempo escluso dalle mie ricerche, ma indubbiamente molto ricco di occasioni dal punto di vista militare per gli abitanti della penisola e sicuramente di notevole rilevanza a livello emotivo per gli italiani, in particolare per il Fascismo.

Riflettendo invece sul periodo da me preso in considerazione, colpisce molto la massiccia presenza dei combattenti che presero parte alla battaglia di Lepanto: sono il 14% del totale: il che, considerando che ci stiamo riferendo ad un’unica battaglia è una cifra veramente alta. Indubbiamente non possiamo negarne la valenza: vi presero parte tutti gli Stati della cristianità con le loro migliori forze, fu forse l’ultimo grande scontro tra Occidente e Impero ottomano. Ma anche questo non giustifica la disponibilità così ampia di presenze rispetto ad altre guerre, più lunghe e ugualmente combattute in “zona italiana” 28. Queste cifre

sono invece ben più comprensibili se valutiamo la valenza emotiva che questa battaglia conserva sin dalla sua conclusione: considerata la rivincita

28 Anche paragonato alla percentuale dei combattenti della guerra di Castro (3% del totale) e

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dell’Occidente sui Turchi, in realtà non cambiò molto nello scenario politico internazionale, ma da un punto di vista emotivo fu molto importante sul momento e ancora di più lo diventò negli anni. Col tempo infatti divenne il simbolo anche della capacità combattiva degli italiani29. Ne derivano quindi

due ovvie conclusioni: la prima è che sembra scontato che il Regime si sia voluto impadronire di questo evento come ulteriore dimostrazione della bellicosità del popolo italiano e quindi l’autore del repertorio, anche volendo mantenere la distanza da facili entusiasmi, sarà comunque stato, almeno a livello inconscio, influenzato da una certa ideologia. La seconda considerazione è di tipo storiografico: secoli di immaginario collettivo focalizzato su un unico episodio non possono non aver influenzato le fonti, facendo, se non altro, risaltare maggiormente quelle di un tipo, rispetto a quelle di un altro. Luciano Pezzolo addirittura fa notare quanto di Venezia si sia privilegiato, almeno fino a pochi anni fa, l’aspetto marittimo rispetto a quello terrestre30.

Tornando all’analisi dei limiti di questo repertorio, anche qui ritroviamo le stesse lacune di quello del Valori: sono il 13 % i combattenti di cui non conosciamo lo stato di nascita; è invece del 38 % la percentuale di coloro che non hanno collocazione sociale; almeno di tutti i citati abbiamo il nome di battesimo, il soprannome o al limite le iniziali. Al contrario dell’altro, dove probabilmente esistono, ma sono forse meno grossolani e quindi meno evidenti, emergono qui molti errori. Alcuni chiaramente di battitura o distrazione, ad esempio: un combattente è presente ad una battaglia del 1615, ma muore nel 1590 e in questo caso, dove mancano altri palesi punti di riferimento, è difficile

29 A proposito della battaglia di Lepanto, della sua sopravvalutazione, ma anche della sua reale

importanza più a livello morale che pratico, vedi il lavoro di Hale, L’organizzazione militare di

Venezia nel ‘500, Roma, Jouvence, 1990 in particolare il primo capitolo; ma anche i lavori del

convegno tenutosi nell’anniversario dei quattrocento anni dalla battaglia, raccolti in Gino BENZONI (a c.), Il Mediterraneo nella seconda metà del ‘500 alla luce di Lepanto, Firenze, Olschki, 1974.

30Luciano PEZZOLO, Fonti e problemi per la storia dell’esercito veneziano nella prima età moderna, in Livio ANTONIELLI e Claudio DONATI (a c.), Al di là della storia militare: una ricognizione sulle

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capire quale delle due sia la data sbagliata. Altri sembrano invece piuttosto dovuti ad una erronea consultazione delle fonti: nei casi di compresenza di personaggi con il Dbi, vediamo alcune gravi discordanze temporali e, fatti altri controlli, possiamo escludere che si tratti di persone diverse: Mario Farnese secondo l’Argegni è nato nel 1527 e morto nel 1616, mentre secondo l’autore della voce nel Dizionario ha visto la luce nel 1548 ed è deceduto nel 1619. È difficile considerare errato il secondo dato, mentre è facile dubitare dell’Argegni, anche vista l’inconsueta (considerati epoca e mestiere) durata della vita di quest’uomo. Infine ci sono anche alcuni errori che sembrano denunciare, se non una scarsa conoscenza del metodo di indagine storico dell’autore, almeno un altissimo livello di inaccuratezza: Fabrizio Colloredo è presente ben due volte, sotto la voce Colloredo e anche all’interno dei Di Colloredo, le date di nascita e morte sono appena un po’ sfalsate e i dubbi che possano realmente essere due persone diverse non esistono.

Questi sono solo alcuni esempi degli errori che ho trovato: è presumibile che ce ne siano molti altri più difficili da individuare. Dobbiamo quindi fare come Gregory Hanlon e dubitare delle «credenziali universitarie»31 dei loro autori?

Credenziali che, per altro, non esistono. Hanlon, nell’introduzione al suo lavoro sulla nobiltà combattente italiana, elenca tutti i limiti dei repertori fascisti, mettendo in luce non solo i loro errori e le loro mancanze, ma anche i limiti, o presunti tali, dei loro autori. Questa pratica, assolutamente doverosa e necessaria nei momenti in cui un autore illustra le fonti utilizzate, è forse affrontata da Hanlon con un atteggiamento non molto professionale, almeno per quanto riguarda il tono utilizzato32, soprattutto visto che sono l’unica base

31 HANLON Gregory, The twilight of a military tradition. Italian aristocrats and European conflicts,

1560-1800, UCL Press, 1998, p. 6.

32 Per altro, lo stesso Hanlon sembra incorrere in un apparente errore se non storico, almeno di

valutazione. Parlando della complementarità dei tre repertori da lui consultati (oltre al Valori e all’Argegni, Hanlon ha visto anche la serie XXI a cura di Leone Andrea MAGGIOROTTI, L’opera

del genio italiano all’estero) analizza le scelte geografiche fatte dagli autori e in particolare le scelte

che a lui possono apparire non convenzionali e tra queste indica, come azzardate, o quantomeno strane, quelle di aver incluso nella categoria di “Italiani”, Savoiardi, Dalmati, famiglie veneziane residenti a Creta e i Corsi, come se non sapesse, se non altro, che la Corsica era sotto la Repubblica di Genova e passò alla Francia solo nel 1768 e quindi, per quanto riguarda i secoli centrali dell’età moderna è considerabile italiana tanto quanto oggi può essere

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del suo lavoro. Hanlon ha ovviamente anche compiuto ricerche per appurare il background culturale degli autori e, non trovandone traccia alcuna in nessuna rivista storica dell’epoca, neppure nella parte bibliografica, afferma che molto probabilmente non si trattava di storici professionisti33.

Nel 2003 è uscito un volume che ci permette di conoscere qualcosa della figura di Aldo Valori34. Il fascista che non amava il regime è la pubblicazione di una parte

delle sue memorie, scritte tra il 1945 e il 1946, e lasciate poi dall’autore al figlio con la preghiera che ne facesse ciò che più gli fosse sembrato adeguato. Come ci racconta Sergio Romano nell’introduzione, Aldo Valori decide di far cominciare le sue memorie nei primi anni del secolo, ma le interrompe bruscamente (nel senso che abbiamo il titolo di un capitolo mai scritto) durante la narrazione del 1941, a causa di un estremo sconforto. È un testo veramente molto interessante, ci fornisce il giudizio di un intellettuale di alto livello sul Regime, i suoi uomini, i suoi pregi e i suoi difetti: non si abbandona mai a critiche spietate, che sarebbero state forse un po’ ipocrite da parte di un uomo che comunque aveva la tessera del partito, ma non manca comunque mai di evidenziare pro e contro di ogni situazione, né di celare quelli che sempre sono stati i suoi apprezzamenti alla dittatura, al pari dei suoi profondi dubbi legati in particolare alla corruzione regnante tra le file del potere.

Se da una parte questo volume ci dà la possibilità di avere un’idea abbastanza chiara della persona e degli atteggiamenti di Aldo Valori (anche grazie alla

considerata francese. Non volendo incorrere nello stesso peccato che gli attribuisco, citerò le esatte parole da lui usate a pagina 221 della sua opera: «They make the same basic assumptions as to the identity of the ‘Italians’ in the seventeenth century: the entries include a few Savoyards who moved in court circles in Turin and some Croatian notables living in the Italian-speaking cities along the eastern Adriatic; they integrate the Venetian families established in Crete for generations; and they count Corsicans as Italians without hesitation».

Ovviamente con queste mie osservazioni e critiche non voglio in nessun modo sminuire la serietà e la scientificità del lavoro dello storico canadese che è stato per altro estremamente utile per la mia indagine.

33 Le ricerche di Hanlon, esposte sia in The twilight of a military tradition (op. cit., p. 6 n.) che

nell’articolo pubblicato precedentemente, «The decline of a provincial military aristocracy: Siena 1560-1740», in Past and Present, n° CLV (1997), p. 65, sono state condotte attraverso lo spoglio di tre tra le maggiori riviste storiche dell’epoca: Archivio storico italiano, Rivista storica

italiana, Nuova rivista storica. Tra le recensioni dei libri e tra i testi ricevuti, non vengono mai

citati né Corrado Argegni, né Aldo Valori, né Leone Andrea Maggiorotti.

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prefazione di Romano e alla postfazione di Spadolini), dall’altra scopriamo che, in più di trecento pagine, il lavoro svolto per l’E.B.B.I. non viene nominato neppure una volta.

Ma chi era Aldo Valori? Fiorentino, nato nel 1882 e laureatosi alla Facoltà di Lettere e Filosofia all’inizio del ventesimo secolo, scoprì il giornalismo quasi per caso; lavorò prima alla Nazione di Firenze, poi al Resto del Carlino, infine al Corriere della Sera fino a diventarne capo della redazione romana. Nella sua lunga carriera compaiono moltissimi lavori di storia e altrettanti lavori giornalistici in campo militare. Tra il 1924 e 1925, quando ancora lavorava per il giornale bolognese, seguiva gli sviluppi e le riforme di esercito e marina; per il Corriere, nel 1938, affrontò un viaggio attraverso l’Europa per preparare un lavoro di carattere politico-militare; fino al ’41 aveva buoni rapporti con il Ministero della Guerra, in cui accedeva dall’entrata posteriore e nel quale aveva diversi importanti contatti che gli permettevano una buona conoscenza degli avvenimenti. Come detto, molti sono anche i suoi studi storici (che lui definisce lavoro, al pari di quello di giornalista) i quali spaziano dall’analisi della Prima guerra mondiale35 alle rievocazioni dell’assedio di Firenze del 1529-3036. Una

ricerca che Valori rievoca parlando addirittura di divertimento nell’affrontarla, è quella che lo vede girare per l’Italia nell’arco di due anni, dal 1930 al ’32, studiando celebri campi di battaglia, da cui sostiene di ricavare «articoli generalmente molto letti»37. Questo è forse, di tutti i lavori di cui ci parla nelle

sue memorie, quello che, come genere, più si avvicina al repertorio dell’Enciclopedia. La delusione per la non presenza di alcun accenno a questo lavoro è grande e cercare di individuarne i perché non è facile. Sicuramente, la prima riflessione da fare è di tipo temporale: la serie XX dell’E.B.B.I. fu pubblicata nel 1943, mentre le memorie di Aldo Valori si interrompono al 1941, ma sembra strano che a quella data il lavoro non fosse neppure in cantiere. Un’altra spiegazione può essere che, dedicando molto spazio alla narrazione

35 Aldo VALORI, La guerra italo austriaca, Bologna, Zanichelli, 1920.

36 Aldo VALORI, La difesa della repubblica fiorentina, Firenze, Vallecchi, 1929. 37 A. VALORI, Il fascista cit., p. 168.

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dei fatti sconvolgenti che si susseguivano in quegli anni, Valori non abbia ritenuto importante citare i lavori preparatori del suo repertorio, contando forse di riferirne al momento della loro pubblicazione. Tutto ciò probabilmente sottolinea anche la rilevanza che questa ricerca può aver avuto per il suo autore: se fosse stato un incarico prestigioso, probabilmente lo avrebbe annotato tra le cose che, in un periodo magari non molto ricco di soddisfazioni, lo avrebbero reso più felice. Ancora un’altra spiegazione, ma forse stiamo andando un po’ troppo oltre con le ipotesi, potrebbe essere che Valori sia stato coinvolto solo all’ultimo momento nel progetto e quindi abbia messo la sua firma a ricerche fatte aggiungendo solo l’introduzione; di conseguenza, essendo stato coinvolto solo alla fine, non ne compare traccia nelle narrazioni fino al 1941.

Per quanto riguarda Corrado Argegni ho invece incontrato molte più difficoltà, rivelatesi, alla fine, insormontabili: come già detto, sui volumi non ci sono né note né trafiletti riguardanti l’autore e ricerche condotte su repertori bibliografici non recano tracce di nessun Corrado Argegni. Guardando su cataloghi cartacei si trova, con la firma di Corrado Argegni, una Piccola enciclopedia del mobile38, pubblicata a Milano nel 1961, che ugualmente non reca

alcuna notizia sull’autore: considerando la rarità del nome possiamo pensare che sia la stessa persona, basandoci sul fatto che anche questo è un repertorio, per quanto di intarsiatori, mobilieri, architetti. Neanche Internet ci aiuta: svariate interrogazioni di diversi motori di ricerca ci riportano, come unico dato “nuovo”, cioè diverso da citazioni afferenti alle due opere già citate, alcuni articoletti sugli alberi sacri pubblicati negli anni 1956 e ‘57 nel Notiziario forestale39. Tutte queste ricerche non portano a niente di certo, ma c’è un’ipotesi

che appare più verosimile di altre, anche se ci apre la traccia più difficile da seguire. È probabile che Corrado Argegni sia uno pseudonimo (anche perché 38 Corrado ARGEGNI, Piccola enciclopedia del mobile: mobilieri, intarsiatori, intagliatori, architetti,

stili e stilisti, trattatisti, ebanisti, scultori, Milano, 1961. Ho trovato la scheda nel catalogo cartaceo

della Biblioteca Universitaria di Pisa, ma si trova ovviamente anche sul principale opac italiano, quello dell’indice sbn, consultabile alla pagina internet: http://opac.sbn.it/.

39 Rivista dell’Unione forestali d’Italia, pubblicata nel 1956 e 1957, diventata poi Notiziario Forestale

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sul sito Internet che raccoglie i cognomi d’Italia40 non esiste nessun Argegni) e

possiamo forse ipotizzare che fosse un ufficiale del corpo forestale dello stato. Se questa ipotesi fosse corretta saremmo di fronte sicuramente ad un non professionista della storia, indubbiamente non uno sprovveduto, quasi certamente un autodidatta. Ma queste rimangono, per adesso, solo ipotesi.

Tornando al contenuto dei due repertori fin qui analizzati, mi preme molto concludere parlando del confronto fatto tra le voci presenti in questi e quelle del Dbi. Un confronto che lascia alquanto sbigottiti: non solo – come abbiamo visto verificarsi in tutti gli altri controlli – il Dizionario difetta di moltissime figure presenti in repertori indubbiamente più specializzati (ovviamente in campo militare); ma è paradossalmente vero anche l’inverso. Siamo di fronte a due insiemi che si intersecano pochissimo e questo non può far altro che farci riflettere su quanto siano sfuggenti i militari italiani dell’età moderna. Come vediamo dai dati riportati nella tabella in nota, i militari in comune tra i tre repertori sono centotrentasette, cioè l’8%: pochissimi.

Numeri Percentuali

Militari del Dbi presenti nell’Argegni 75 19 %

Militari del Dbi non presenti nell’Argegni 312 81 %

Militari dell’Argegni presenti nel Dbi 75 24 %

Militari dell’Argegni non presenti nel Dbi 236 76 %

Militari in comune tra Argegni e Dbi 75 12%

Militari del Dbi (solo ‘600) presenti nel Valori 62 38 % Militari del Dbi (solo ‘600) non presenti nel Valori 116 62 % Militari del Valori presenti nel Dbi (solo ‘600) 62 5 % Militari del Valori non presenti nel Dbi (solo ‘600) 1143 95 %

Militari in comune tra Valori e Dbi 62 5 %

Militari in comune tra Valori, Argegni e Dbi 137 8 %

Tabella 3. Confronto tra il Dbi e i repertori curati da Aldo Valori e Corrado Argegni.

40 Il sito in questione è http://gens.labo.net/. Il sito si propone di individuare e mappare

geograficamente tutti i cognomi italiani: ha creato un database con oltre cinque milioni di records, basati sulle circa ventimila utenze telefoniche italiane.

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1.4 Italiani combattenti in età moderna e lo stato attuale degli studi

I dati fin qui elaborati ci fanno capire quanto sia difficile individuare i militari italiani nei secoli dell’età moderna.

Analizzare le motivazioni di questa lacuna della storiografia italiana, ma probabilmente anche delle stesse fonti, richiederebbe una tesi a sé, qui mi limiterò semplicemente a formulare delle ipotesi, servendomi delle moltissime riflessioni in proposito elaborate soprattutto negli ultimi quindici anni41.

Com’è noto, i secoli dell’età moderna sono quelli che vedono la formazione dello Stato così definito moderno. È stato ormai ampiamente dimostrato quanto l’aspetto dell’organizzazione militare sia importante e quasi centrale in questo processo di formazione42. Di conseguenza nei secoli da me studiati l’ambito

militare non è ancora perfettamente definito come uno status a sé stante contrapponibile ad uno definito civile, come facciamo invece oggi; quindi anche i personaggi operanti in questo campo, non sono sempre chiaramente definibili come “agenti” del militare, anzi hanno spesso ben altre occupazioni e definizioni.

Oltre a questa spiegazione, tanto immediata quanto importante, ce ne sono molte altre, spesso riconducibili anche a quella appena espressa. Ad esempio è molto difficile capire che cosa possiamo includere nel concetto di “militare” e soprattutto che cosa significasse, in età moderna, “affrontare la carriera militare”: quali fossero i motivi per cui veniva intrapresa, se per scelta, per necessità o per costrizione. Da non sottovalutare innanzitutto il fatto che erano

41 Sono molti gli studi che negli ultimi dieci anni hanno tentato di fare un quadro

dell’evoluzione degli studi italiani nel campo della storia militare in Italia, molti dei quali sono già stati citati. I maggiori contributi vengono da Claudio DONATI: il già citato L’organizzazione

militare e Il «militare» nella storia dell’Italia moderna dal Rinascimento all’età napoleonica, in Claudio

DONATI (a c.), Eserciti e carriere militari nell’Italia moderna, Milano, Unicopli, 1998, pp. 7-39 e l’introduzione alla raccolta dei lavori di un convegno tenutosi a Messina, dal titolo Al di là della

storia militare: una ricognizione sulle fonti; insieme a quello, anch’esso già citato di Piero DEL

NEGRO, «La storia militare dell’Italia moderna nello specchio della storiografia del Novecento». Tra i vari contributi, tutti molto stimolanti, del già citato convegno tenutosi a Messina nel 1999, colpisce particolarmente la riflessione che Paola Bianchi mette in chiusura della sua analisi sui governatori del Piemonte.

42 Vedi José Antonio MARAVALL, Stato moderno e mentalità sociale, Il Mulino, Bologna, 1991, 2

voll. In particolare l’ultimo capitolo (secondo volume), dal titolo: I mezzi d’azione dello stato.

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molti i modi per lavorare nel campo militare: anche lasciando da parte i tecnici – che pur erano moltissimi e generalmente di grande professionalità riconosciuta anche all’estero - i cosiddetti combattenti lo potevano essere sotto diversi aspetti: andando realmente a dare il loro contributo sui campi di battaglia, oppure entrando a far parte delle Milizie, istituite e organizzate in vari modi a seconda degli Stati43, o ancora, per quanto riguarda soprattutto i

nobili, spesso essere un militare poteva voler dire non molto di più che partecipare a qualche torneo e gioco.

Quasi sicuramente le milizie erano composte da cittadini ordinari, spesso contadini, i quali vi entravano o per costrizione, o per scelta della comunità o anche sperando di trovarvi una possibilità di ascesa sociale, o almeno una giustificazione di superiorità rispetto ai loro concittadini44. Comunque sia le

milizie, se escludiamo i comandanti e gli ufficiali medio alti, erano composte da gente comune di cui non è così facile ricostruire la storia.

È a questo proposito che mi preme molto affrontare adesso, anche se in maniera sicuramente parziale - ne tratterò meglio in seguito - l’argomento della presenza nobiliare negli eserciti della penisola. Non possiamo ignorare, infatti, che con ogni probabilità lo status sociale della maggior parte dei combattenti rientrati nel mio studio fosse quasi sicuramente alto. Sfortunatamente non riusciamo a risalire alle fonti utilizzate da Aldo Valori e Corrado Argegni, ma possiamo presumibilmente supporre che fossero documenti di una certa accessibilità45 e

43 Delle Bande parleremo più accuratamente in seguito, nel frattempo do qualche indicazione

bibliografica. Un quadro generale dell’organizzazione delle milizie si ha nel primo capitolo del lavoro di Virgilio ILARI, Storia del servizio militare in Italia, vol. 1, Dall’ordinanza fiorentina di

Machiavelli alla costituzione dell’esercito italiano (1506-1870), Roma, Rivista militare, 1989, e per

quanto riguarda il Granducato di Toscana è molto preciso il saggio di Franco ANGIOLINI, Le

Bande medicee tra «ordine» e «disordine», in Livio ANTONIELLI e Claudio DONATI, Corpi armati e ordine pubblico in Italia (XVI-XIX sec.), Soveria Mannelli, Rubbettino, 2000, pp. 9-47.

44 Claudio Donati afferma, in conclusione al già citato Organizzazione militare e carriera delle armi,

anche se non parlando propriamente di milizie, ma di “eserciti regolari”, che entrare a far parte di un reggimento è considerato un «mezzo efficace per poter portare e usare armi non contro il nemico del sovrano di cui si riconoscevano sudditi, ma contro i propri nemici nell’ambito della realtà locale, in modo da affermarvi e consolidarvi un’egemonia sociale, in cui il controllo delle risorse economiche e dell’amministrazione locale conviveva con il ricorso sistematico alla violenza armata».

45 Una delle fonti delle quali possiamo ritenerci sicuri è la lista dei cavalieri dell’Ordine militare

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che comunque, data la mole di dati riportati, che nessuno di questi abbia richiesto ricerche estremamente approfondite; come allo stesso modo possiamo presumere che, anche se fossero esistite liste di nominativi di soldati semplici, queste non siano state conservate fino a noi, se non altro con la stessa accuratezza con cui invece furono conservate carte scritte da personaggi di spicco o racconti di battaglie.

Possiamo spingerci in un calcolo forse un po’ audace, ma che può aiutarci ad avere un’idea vagamente più precisa di quelli che possono essere i numeri, non con i quali stiamo trattando, ma con i quali dovremmo fare i conti quando parliamo di militari italiani in epoca moderna. Date le riflessioni apportate sin qui, potremmo valutare che i “nostri” combattenti siano per la maggior parte (possiamo ragionevolmente stimare attorno all’80 % del totale) ufficiali. Basandoci sui dati che ci fornisce Claudio Donati46, ricavati dallo studio delle

liste nominative dei reggimenti italiani dell’esercito imperial-regio, possiamo stimare, tenendoci bassi per sicurezza, un centinaio di soldati per ogni ufficiale. Di conseguenza abbiamo circa 140.000 soldati, di cui non abbiamo e forse non avremo mai alcuna notizia. Anche contando che molti di questi ufficiali combatterono all’estero e che forse alcuni di loro gestirono truppe locali e non della loro stessa provenienza, saremmo comunque in presenza di una cifra altissima, ancora più alta se stabiliamo che moltissimi ufficiali probabilmente sono sfuggiti anche ai repertori da me utilizzati.

Queste valutazioni non possono prescindere dalla situazione della storiografia militare italiana, la quale, come raccontano mirabilmente Piero Del Negro e

chiara nobiltà. Siamo quasi certi dell’utilizzo di queste carte perché moltissime, tra le voci sia del Valori che dell’Argegni, sono di cavalieri gerosolimitani di cui non c’è scritto niente tranne nome, cognome, incarico e relativo periodo di durata di questo all’interno dell’Ordine.

46 Nel già citato Al di là della storia militare, è presente un lavoro di Donati, nel quale sono

spiegati tutti gli studi che possono essere fatti basandoci sulle Muster-Listen, ovvero le liste nominative che venivano compilate in occasione delle mostre dei reggimenti. Ovviamente tra i moltissimi spunti di analisi che queste ci offrono, c’è anche il dato base del numero di uomini di cui è composto un reggimento. Nella nota 30 a pagina 161, l’autore parla di 2700 membri per reggimento, escluso lo stato maggiore che variava, a seconda del periodo, tra i dieci e i trenta membri. Abbiamo un po’ sottostimato questi dati, non certo perché non li riteniamo adeguati, quanto piuttosto per non esagerare un numero che si riferisce ad un particolare esercito in un determinato momento, che noi invece pretendiamo di allargare a tutti gli eserciti europei per un periodo di più di due secoli.

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Claudio Donati in diverse occasioni47, solo da pochi decenni sta uscendo da una

situazione che la vedeva ai margini, relegata ad una nicchia composta più da militari professionisti che da storici. Se escludiamo il grandissimo contributo di Piero Pieri, fondamentale, ma forse un po’ isolato, sono gli anni Ottanta del secolo scorso a vedere la comparsa dell’interesse per il militare: un interesse che, come già avvenuto con Pieri, è ormai quanto di più lontanto dalla pura storia evéneméntielle. Ci si occupa dell’aspetto militare non solo, per quanto possibile, andando ad indagare la “vita privata” dei soldati in battaglia, ma anche, e soprattutto, considerando lo studio della parte militare di uno stato come assolutamente fondamentale e centrale per capirne la sua organizzazione ed evoluzione.

È questa ancora troppo giovane tradizione di studi sul militare che, da una parte, forse ci spiega tutti i dubbi e le lacune incontrati in questa analisi, da un’altra ci offre anche la speranza che, continuando su questa strada ben presto avremo molto più materiale su cui indagare e basi sempre più solide da cui partire.

47 Vedi i saggi di Donati e Del Negro citati più volte in questo capitolo e raggruppati nella nota

Figura

Tabella 1.  Confronto tra la presenza militare del Dbi e quella enunciata dalle genealogie delle
Tabella 2. Confronto tra la presenza militare del Dbi e quella enunciata dalle genealogie delle

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