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Capitolo 3 - Il bioetanolo

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Academic year: 2021

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Capitolo 3 - Il bioetanolo

L'uso di carburanti per autotrazione di origine vegetale - in particolare di etanolo - risale ai primi del '900 quando lo stesso Henry Ford ne promosse l'utilizzo, tanto che nel 1938 gli impianti del Kansas producevano già 18 milioni di galloni/anno di etanolo (circa 54.000 t/anno).

L'interesse americano per l'etanolo scemò dopo la seconda guerra mondiale in conseguenza dell'enorme disponibilità di petrolio e gas, ma negli anni '70, a seguito della prima crisi petrolifera, si ricominciò a parlare di etanolo e, alla fine del decennio, diverse compagnie petrolifere misero in commercio benzina contenente il 10% di etanolo, il cosiddetto gasohol, avvantaggiandosi del cospicuo sussidio fiscale concesso all'etanolo stesso.

Più recentemente, si pensò che i programmi di sviluppo per l'etanolo potessero ricevere una buona spinta dall'approvazione, da parte del Congresso Americano, degli emendamenti al Clean Air

Act (1990) che imponevano un contenuto minimo di ossigeno nelle benzine destinate alle aree

metropolitane più inquinate. Ma le cose non andarono nel senso voluto dagli "etanolisti" per la contemporanea presenza sul mercato di un competitor più forte sia dal punto di vista economico che prestazionale, l'MTBE (Metil Ter Butil Etere).

Oggi però, per una controversa questione ambientale nata da casi di contaminazione delle falde acquifere, il mercato americano sta cercando di mettere fuori legge l'MTBE e così l'etanolo ripropone la sua candidatura, spinto anche dalla necessità, sempre più pressante per la politica mondiale, di ridurre le emissioni di CO2.

1. Caratteristiche chimiche

L'etanolo è un alcol a corta catena, noto anche come alcol etilico o spirito di vino, la sua formula chimica è CH3CH2OH, il suo numero CAS è 64-17-5.

A temperatura ambiente si presenta come un liquido incolore dall'odore caratteristico, tendenzialmente volatile ed estremamente infiammabile.

È completamente solubile in molti solventi organici - ad esempio il cloroformio (noto anche come triclorometano, cioè un alogenuro alchilico la cui struttura è assimilabile a quella di una molecola di metano in cui tre atomi di idrogeno sono stati sostituiti da tre atomi di cloro) - ed in acqua , con cui forma in proporzione 95:5 un azeotropo bassobollente (cioè una miscela di due o più liquidi che presenta un punto di ebollizione più basso di ognuno dei componenti della miscela), che rende impossibile ottenere per semplice distillazione un etanolo di purezza superiore. L'etanolo puro

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al 100%, o etanolo assoluto viene ottenuto per rimozione dell'acqua dall'azeotropo tramite aggiunta di benzene e successiva distillazione frazionata.

Prodotto in natura dalla fermentazione degli zuccheri, è l'alcol più diffuso e l'unico adatto al consumo alimentare. È presente nelle birre in percentuali inferiori al 10%, nei vini in percentuali comprese tra il 10 ed il 15%, nei liquori in percentuali fino al 45%.

L'etanolo è tossico, un suo abuso produce effetti dannosi per il metabolismo, specialmente a carico del fegato. A causa dei legami idrogeno tra molecole di alcol allo stato liquido, è richiesta un’energia addizionale per separare ciascuna molecola di alcol da quella vicina con cui interagisce e questo spiega il punto di ebollizione più alto degli alcoli rispetto agli alcani. L’etanolo, come il metanolo e 1-propanolo sono solubili in acqua in tutte le proporzioni. All’aumentare del peso molecolare, le proprietà fisiche degli alcoli diventano più simili a quelle degli idrocarburi di pari peso molecolare. Gli alcoli a più alto peso molecolare sono molto meno solubili in acqua a causa dell’aumento di dimensione della parte idrocarburica della molecola (Figura 3.1).

Il bioetanolo è un alcool (etanolo o alcool etilico) ottenuto mediante un processo di fermentazione di diversi prodotti agricoli ricchi di carboidrati e zuccheri quali i cereali (mais, sorgo, frumento, orzo), le colture zuccherine (bietola e canna da zucchero), frutta, patata e vinacce (basta pensare che in media ogni 100 kg di cereali fermentati si ottengono circa 30 kg di etanolo).

ETANOLO

NOMI ALTERNATIVI Alcol etilico

Spirito di vino CARATTERISTICHE CHIMICO- FISICHE Formula bruta C2H6O Massa mol.: 46.07 Aspetto: liquido incolore

PROPRIETA’ CHIMICO FISICHE

Densità: 0.79

Indice di rifraz.: 1.3611 Solubilità in acqua: completa Ka: 1.26*10-16

Tfusi(K):158.8

ΔfusH° (kJ·mol-1):4.9

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Tebol(K):351.5 PROPRIETA’ TERMOCHIMICHE ΔfH°(kJ·mol-1):-277.6 ΔfG°(kJ·mol-1):-174.8 S°m(J·K-1mol-1):160.7 C°p.m(J·K-1mo1):112.3

INDICAZIONI DI SICUREZZA Flash point (K):285 Tautoignizione(K):698

Figura 3.1: Caratteristiche chimiche dell’etanolo.

Il bioetanolo può anche essere estratto dalle biomasse di tipo cellulosico e dai sottoprodotti delle coltivazioni ma al prezzo di un costo di produzione maggiore (Figura 3.2).

Figura 3.2: Processo di produzione di bioetanolo

2. Materie Prime

Attualmente le materie prime utilizzate per la produzione del bioetanolo possono essere comprese nelle seguenti classi:

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√ residui di coltivazioni forestali;

√ eccedenze agricole temporanee ed occasionali;

√ residui di lavorazione delle industrie agrarie e agro - alimentari; √ coltivazioni ad hoc;

√ parte biodegradabile dei rifiuti urbani ( Figura 3.3).

Figura 3.3:Materie prime utilizzabili

Per quanto riguarda le coltivazioni ad hoc, quelle più sperimentate e diffuse sono la canna da zucchero , il grano, il mais; ci sono poi altre colture, quali la bietola, il sorgo zuccherino, il topinambur ed altre, che si possono considerare ancora in fase sperimentale.

Secondo la loro natura, le materie prime possono essere classificate in tre tipologie distinte: √ Materiali zuccherini: sostanze ricche di saccarosio come la canna da zucchero, la bietola, il

sorgo zuccherino, taluni frutti, ecc.

√ Materiali amidacei: sostanze ricche di amido come il grano, il mais, l'orzo, il sorgo da granella, la patata.

√ Materiali lignocellulosici: sostanze ricche di cellulosa come la paglia, lo stocco del mais, gli scarti legnosi.

Di seguito verranno analizzate in dettaglio alcune delle specie precedentemente menzionate al fine di capire, tramite descrizione delle loro caratteristiche, gli sviluppi che sarà possibile ottenere

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per quanto concerne la bioenergia.

Tra le sostanze zuccherine vale la pena menzionare la canna da zucchero, la quale infatti, è considerata una straordinaria fonte di biocarburanti. Ogni tonnellata di canna da zucchero consente una trasformazione in energia potenziale equivalente a 1,2 barili di petrolio, inoltre la produzione di etanolo a partire da tale specie risulta un processo molto efficiente sia in termini di produzione di anidride carbonica, sia per quanto riguarda i costi. Il Brasile è il più grande produttore di canna da zucchero, seguito da India e Australia (mediamente il 55% della canna da zucchero brasiliana viene trasformata in etanolo e il 45% in zucchero).

In alternativa, il bioetanolo può essere prodotto a partire da biomasse di tipo cellulosico, ovvero dalla gran parte dei prodotti o sottoprodotti delle coltivazioni. In questo caso la biomassa viene idrolizzata per trattamento con acido solforico per produrre zuccheri che successivamente vengono inviati alla fermentazione utilizzando flore batteriche modificate geneticamente. Anche se impiega materie prime meno pregiate, questa seconda via è ancora molto costosa (30-40% in più rispetto alla fermentazione classica).

Per quanto concerne le sostanze amidacee (che rappresenteranno il punto di partenza della filiera ai fini di questa tesi) il mais è sicuramente la specie più significativa a tale scopo. Si tratta di una pianta ad alta resa produttiva (ricordiamo che i cereali, ed il mais in particolare, contengono zuccheri, sotto forma di amidi) e che pertanto potrebbe consentire una minimizzazione degli ettari da destinare a produzione energetica.

2.1. La fermentazione degli zuccheri

Il processo produttivo per la produzione del bioetanolo è funzione della biomassa utilizzata, però in linea teorica tutti i processi hanno il comune obiettivo di isolare il glucosio o comunque le sostanze zuccherine presenti nella biomassa trattata, così da poterle fare fermentare e ricavare l’etanolo.

Nell’individuazione della tipologia di biomasse da utilizzare, si tratta quindi di trovare gli “incroci” più appropriati rispetto ad alcuni importanti fattori o parametri quali il tipo di coltura in funzione della localizzazione, la produttività, la logistica e la tecnologia di processo.

La tecnologia maggiormente diffusa per la produzione di etanolo energetico è basata sulla bioconversione delle biomasse a zuccheri, la loro fermentazione e la successiva separazione e purificazione del prodotto. Da un chilo di zuccheri si ottengono circa 500 grammi di etanolo (quindi una resa in etanolo del 50%).

La fermentazione alcolica è un processo di tipo micro-aerofilo che opera la trasformazione dei glucidi contenuti nelle produzioni vegetali in bioetanolo (alcool etilico).

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Gli zuccheri sono gli intermedi necessari alla produzione di etanolo per via fermentativa. Essendo pressoché tutte le piante costituite da carboidrati e quindi da zuccheri, la scelta della materia prima viene a dipendere da fattori locali quali clima, suolo, gamma di colture praticabili, etc. con una conseguente ampia gamma di opzioni (la fermentazione è operata dai microrganismi, come lieviti, batteri e funghi).

Dunque tutte le sostanze contenenti zuccheri in buone quantità possono essere lasciate fermentare in condizioni aerobiche con relativa facilità e da esse può essere ricavato etanolo (alcool) utilizzabile, dopo ulteriori trattamenti, come combustibile.

Anche le biomasse lignocellulosiche possono essere trasformate in etanolo, ma queste richiedono alcuni passaggi tecnologici in più e si tratta di una tecnologia non ancora pienamente sviluppata e più costosa come si evidenziava in precedenza.

La produzione di etanolo da sostanze zuccherine richiede quattro passaggi tecnologici comuni:

√ il trattamento della materia prima per ottenere una soluzione zuccherina; √ l’utilizzo di lieviti o batteri per la conversione dello zucchero in etanolo; √ la distillazione dell'etanolo dal substrato di coltura;

√ la deidratazione dell'etanolo (se necessaria).

Nel caso della canna da zucchero (che ha un contenuto di zuccheri del 16-17% e fibre solide che possono essere utilizzate per la combustione, le cosiddette "bagasse") il succo viene fatto fermentare ad una temperatura di 33-35°C; la reazione viene fermata quando la concentrazione d’alcool raggiunge il 10% perché oltre tale livello l'etanolo risulta corrosivo nei confronti dei lieviti (principalmente saccaromyces cervisae).

A questo punto il liquido viene distillato ottenendo alcool idrato che poi viene eventualmente deidratato con trattamenti chimici (benzene o cicloesano) o mediante filtri molecolari.

Il processo per l'ottenimento di alcool dalla barbabietola da zucchero non è molto differente, tranne per il fatto che le fette di barbabietola durante il processo di estrazione devono essere portate ad una temperatura di 70-80°C. Tale range di temperatura è cruciale per l'estrazione degli zuccheri. I residui dell'estrazione, dopo essiccamento, vengono poi utilizzati per l'alimentazione animale.

L'ottenimento degli zuccheri dal granoturco è leggermente differente, poiché si parte dagli amidi invece che da zuccheri semplici, in media ogni 100 Kg di cereali fermentati si ottengono circa 30 Kg di etanolo (quindi avrò un rendimento in etanolo pari al 30%). Per fare ciò vi sono varie procedure, ma le più comuni sono rappresentate dal dry milling e dal wet milling.

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Il dry milling è la tecnologia che viene utilizzata nella maggior parte dei casi e ha il grande vantaggio di risultare efficiente anche per quantitativi di cereali abbastanza ridotti, ciò rende tale processo fondamentale per lo sviluppo nella Comunità Europea della produzione di etanolo come carburante considerando che in Europa, a fronte delle ridotte superfici, non è possibile produrre grandissime quantità di biomasse.

Il processo di tipo “dry milling” può essere schematizzato come segue:

√ Macinazione: dopo che la biomassa è stata lavata, viene fatta passare attraverso dei martelli macinatori che la tritano fino a che non diventa una polvere finissima;

√ Liquefazione: la farina viene mischiata con acqua e con un enzima (alfa amilasi), e fatta passare attraverso dei fornelli dove l’amido si liquefa. Viene mantenuto un pH 7 aggiungendo acido solforico o idrossido di sodio. Il calore viene applicato per facilitare la liquefazione. I fornelli sono utilizzati con una fase ad alta temperatura (120°-150° C) e un periodo di ritenzione a bassa temperatura (95° C). L’alta temperatura diminuisce il livello dei batteri del miscuglio acquoso.

√ Saccarificazione: il miscuglio proveniente dai fornelli viene fatto raffreddare e viene aggiunto l’enzima glucoamilasi per convertire le molecole di amido in zuccheri fermentabili (destrosio).

√ Fermentazione: il lievito viene aggiunto al miscuglio per fermentare gli zuccheri in etanolo e biossido di carbonio. Usando un processo continuo, la poltiglia che fermenta fluisce attraverso numerosi fermentatori fino a quando la poltiglia non è fermentata completamente e viene poi lasciata a riposo in un serbatoio. In un processo discontinuo, la poltiglia rimane in un fermentatore per circa 48 ore prima che inizi il processo di distillazione.

√ Distillazione: la poltiglia fermentata, che ora chiamiamo “birra”, contiene circa il 10 % di alcool più tutti i solidi non fermentabili provenienti dal mais e dalle cellule di lievito. La poltiglia viene pompata al flusso continuo, sistema di distillazione su più colonne dove l’alcool viene scisso dai solidi e dall’acqua. L’alcool lascia la parte superiore dell’ultima colonna a circa il 96% di energia, e la poltiglia residuale, chiamata supporto, è trasferita dalla base della colonna alla zona di lavorazione dei co-prodotti.

√ Disidratazione: l’alcool a questo punto attraversa un sistema disidratante dove l’acqua rimasta viene rimossa. Molti impianti produttivi usano un setaccio molecolare per catturare le ultime gocce di acqua presente nell’etanolo. L’alcool in

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questa fase del processo è denominato etanolo anidro che è approssimativamente intorno al 100% di gradazione alcolica.

√ Denaturazione: l’etanolo che viene usato come carburante viene denaturato con una piccola quantità di alcuni prodotti, come la benzina, per renderlo non commestibile.

Per mezzo del processo di macinatura a secco si generano oltre all’etanolo, altre sostanze di scarto, tra le quali un importante contributo è dato dal DDGS , un integratore con un elevato contenuto proteico da destinare all’uso zootecnico, soprattutto per l’alimentazione dei bovini da carne. La produzione di DDGS è in relazione alla quantità di biomassa immessa nel processo produttivo, è praticamente il 25-30% della biomassa utilizzata.

Un altro importante co-prodotto è la CO2 prodotta durante tutto il processo produttivo di

conversione della biomassa in carburante liquido, soprattutto nella fase di fermentazione; la CO2

viene immagazzinata e successivamente commercializzata; il mercato di riferimento più importante è costituito dall’industria delle bevande. La possibilità di recuperare la CO2 permette

di limitare ulteriormente la quantità delle emissioni del maggior gas a effetto serra. La produzione di CO2 rappresenta il 20-25% della quantità di biomassa.

In contrapposizione al processo appena descritto, in quanto valido soprattutto in condizioni di grosse dimensioni in termini di grosse quantità di biomasse, c’è il cosiddetto sistema wet milling, per mezzo del quale è pertanto è possibile produrre grandi quantità di etanolo. Il mais è il prodotto con il quale si riesce a sfruttare maggiormente tale tipo di impianto, anzi si può affermare che il processo “wet” è stato sviluppato per tale prodotto.

A differenza delle distillerie dry milling, la preparazione di un substrato fermentabile è solo una delle tante possibilità che si possono scegliere tra i tanti prodotti ottenibili.

Le frazioni non amidacee risultanti dal processo vengono vendute separatamente (olio raffinato, glutine, etc.) e da sole remunerano circa il 60% del valore della materia prima. Da questi dati comprendiamo la notevole redditività di questo tipo di lavorazione rispetto al processo dry milling. Di contro un grosso svantaggio della tecnologia “wet” è costituito dai rilevanti costi di investimento iniziale, necessari per la costruzione e messa a produzione dell’impianto, che risultano essere praticamente il doppio della tecnologia “dry”.

Il processo wet milling in linea di massima ha l’obiettivo di dividere il mais nei suoi componenti fondamentali: amido, proteine, gemma e fibra. Il vantaggio di tale lavorazione sta nel fatto che ognuno di questi componenti può essere venduto separatamente, quindi, oltre all’etanolo, alla fine del processo produttivo verranno prodotte anche tali sostanze. Ha però uno svantaggio abbastanza rilevante, soprattutto ai fini ambientali: l’utilizzo nel processo dell’acido

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solforico e la necessità di maggiori quantità di energia. Il processo wet milling si divide in due sezioni: la prima ottiene un amido grezzo partendo dal mais, mentre la seconda consiste in un reparto di raffinazione, dove l’amido viene processato in una miriade di prodotti finali.

Come per il precedente processo, anche in questo caso di seguito saranno descritte le varie fasi del processo:

√ Pulitura: prima di cominciare il processo di trasformazione, la biomassa viene fatta passare attraverso dei pulitori al fine di togliere tutte quelle sostanze che non sono funzionali al processo produttivo; i pulitori agitano la granella sopra una serie di lastre perforate attraverso le quali le piccole impurità cascano. Successivamente un soffio di aria pulisce la granella dalla polvere e un elettromagnete “cattura” la parti di metallo che possono essere presenti.

√ Bagnatura (stepping): la prima fase è la bagnatura. Essa viene effettuata a circa 50°C per un periodo di 30 ore aggiungendo al cereale macinato acqua e anidride solforosa al 1,6%. Questa fase è finalizzata all’aumento dell’umidità fino al 45%, permettendo un intenerimento della struttura del cereale con una conseguente maggiore facilità di rimozione del germe e separazione delle proteine. Le acque di lavaggio vengono concentrate e riutilizzate fino a ottener il “Condensed Fermented Corn Estractives”, da utilizzare come integratore nei mangimi zootecnici liquidi, mentre una parte dell’acqua residua viene anche venduta come nutriente nel processo di fermentazione.

√ Germ system: il cereale bagnato passa attraverso dei dischi dentati che ne separano il germe. Questo viene poi separato dal resto delle impurità mediante l’utilizzo di idrocicloni, in quanto essendo ricco di olio tende ad avere un peso specifico inferiore e quindi a galleggiare. Seguono alcune fasi di lavaggio in controcorrente con acqua e una fase di essiccazione in tamburi rotanti. Viene estratto l’olio dalle germe e viene venduto come farina o come parte per un mangime a base di glutine. √ Fiber system: lo scarto della separazione precedente è una miscela di amido,

proteine e fibre con particelle di varie forme e dimensioni. Mentre i primi due hanno dimensioni più piccole, le fibre sono più grandi anche perché hanno adesso una notevole quantità di amido. Dopo la separazione con setacci delle fibre “sporche”, si ha una loro macinazione, un ulteriore lavaggio in controcorrente per separarne l’amido ancora presente e un’ulteriore fase di essiccazione della fibra stessa.

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√ Gluten separation: le parti rimaste di questa miscela (amido e proteine) vengono disidratate utilizzando più centrifughe in serie che lavorano a circa 3000 giri, permettendo la separazione delle proteine. Queste vengono ulteriormente concentrate da una successiva centrifuga e separate utilizzando un filtro sotto vuoto. Queste proteine sono molto richieste dal mercato mangimistico in quanto contengono un lipide (xantofilla) molto apprezzato perché conferisce colore giallo alle uova, caratteristica fondamentale per certi mercati.

√ Starch washing: l’amido grezzo proveniente dalla fase precedente necessita infine di alcune rilavorazioni al fine di diminuire la percentuale di proteine residue (2%), caratteristica necessaria al buon andamento delle fasi successive. Vengono quindi realizzati un gran numero di lavaggi in controcorrente (fino a 15) utilizzando diverse tipologie di idrocicloni e impiegando infine acqua pulita. Le acque luride da questi step di lavorazione vengono rinviate all’uscita del fiber system; l’amido risultante dalla lavorazione contiene al massimo 0,3% di proteine residue. Esiste la possibilità della presenza di lipidi nascosti tra le spirali dell’amido, ma questi possono essere rilasciati solo dopo l’idrolisi dello stesso. Buona parte dell’amido viene convertito in sciroppo di grano, destrosio e in uno sciroppo con alta quantità di fruttosio.

√ Syrup conversion: l’amido viene sospeso in acqua e liquefatto con acidi e/o enzimi. Il prodotto risultante è una soluzione a basso contenuto di destrosio. La soluzione viene trattata con gli enzimi al fine di continuare il processo di conversione dell’amido in sciroppo. Durante il processo, i raffinatori possono interrompere l’azione degli enzimi o degli acidi ai punti necessari per produrre la miscela adeguata di zuccheri per gli sciroppi. Lo sciroppo viene raffinato in filtri, centrifughe e nella colonna di scambio ionico così che l’acqua in eccedenza evapora. Gli sciroppi possono essere venduti direttamente così come sono, cristallizzati in destrosio puro, o vengono ripromessati per creare uno sciroppo con un alto contenuto di fruttosio.

√ Fermentation: l’amido inoltre è usato come materia prima nel tradizionale processo di fermentazione con lieviti o batteri e attraverso l’utilizzo di enzimi è possibile fare in modo che l’amido diventi la materia prima da far fermentare: il risultato finale del processo di fermentazione è l’etanolo.

L’etanolo prodotto poi viene distillato per rimuovere l’acqua in eccesso e quindi pronto per il mercato. Nel processo wet milling i co-prodotti (Corn Steep Liquor, Corn Germ Meal,

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Corn Gluten Feed) sono un elemento importantissimo, si tratta di prodotti altamente energetici e proteici che rappresentano il 20-30% del prodotto finale del processo. Questi prodotti hanno pertanto, importanti proprietà nutrizionali che aggiungono valore alle razioni di mangime nei programmi nutrizionale di allevamento. Essi consentono che il bilancio totale del processo sia in attivo; senza la possibilità di riutilizzo dei materiali di scarto della produzione, questo processo risulterebbe essere troppo oneroso e poco remunerativo.

In riferimento a quanto è stato detto circa la natura delle materie prime dalle quali è possibile produrre bioetanolo e tenendo conto dei processi fermentativi precedentemente descritti e del rendimento in etanolo delle diverse classi produttive, è possibile stimare le quantità di etanolo ottenibile per ettaro di coltura (Tabella 3.4).

MATERIA PRIMA COLTURA PRODUZIONE MEDIA (t/ha) CONTENUTO IN ZUCCHERO (%) ZUCCHERO (t/ha) RESA (%) BIOETANOLO OTTENIBILE (t/ha) ZU CC HER INE Canna da zucchero Barbabietola da zucchero Biomassa: 80-100 Radici: 40-60 17 13,6-17 6,8-10,2 50 6,8-8,5 3,4-5,1 AMI D ACEE Mais Cereali vernini Granella: 8-12 Granella: 3-6 30 2,4-3,6 0,9-1,8

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3. Il bioetanolo in Italia e nel Mondo

Per quanto riguarda la produzione di bioetanolo, dagli anni ottanta ad oggi, è possibile osservare un notevole incremento che chiaramente interessa in proporzioni diverse i diversi Paesi (Figura 3.5).

Sebbene durante gli anni ottanta la riduzione dl prezzo del petrolio e il continuo aumento di quello della canna da zucchero abbiano invertito la tendenza, il Brasile è ancora il maggiore produttore e utilizzatore di bioetanolo, con 14 miliardi di litri nel 2006 (30% del consumo di benzine); seguono gli Stati Uniti con 12 miliardi di litri (2% del consumo di benzine), e Cina con 3 miliardi di litri (Fonte:www.scienzaegoverno.org).

A livello mondiale il bioetanolo oggi rappresenta un biocarburante di grande interesse e in continua ascesa, essendo la sua produzione stimabile tra 11,5 milioni di t/anno.

Figura 3.5: Produzione di etanolo nel mondo

I dati relativi alla capacità installata e di impianti in costruzione evidenziano una crescita molto significativa nel settore.

Nel contesto Americano si riscontra la presenza di 115 impianti attualmente funzionanti e di ulteriori 79 impianti in costruzione (Apr ’07); oltre il 25% del mais americano finisce in etanolo (Fonte:www.scienzaegoverno.org).

Di seguito verranno riportati i dati relativi alla produzione di etanolo espressi in milioni di galloni rappresentativi del triennio 2004-2006 e riferiti ai diversi Paesi (Tabella 3.6). (Fonte:

Associazione Produttori Etanolo USA)

Produzione di bioetanolo nel mondo 1980- 2005

Source: Worldwatch/International Energy Agency and F.O. Licht

0 1 2 3 4 5 6 7 8 9 10 11 12 19 80 1982 1984 1986 1988 1990 9219 1994 1996 1998 2000 2002 2004 Anni Milia r d i d i

g

a

llo n i

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Paese 2004 2005 2006 Brazil 3,989 4,227 4,491 U.S. 3,535 4.264 4,855 China 964 1,004 1,017 India 462 449 502 France 219 240 251 Russia 198 198 171 South Africa 110 103 102 U.K. 106 92 74 Saudi Arabia 79 32 52 Spain 79 93 122 Thailand 74 79 93 Germany 71 114 202 Ukraine 66 65 71 Canada 61 61 153 Poland 53 58 66 Indonesia 44 45 45 Argentina 42 44 45 Italy 40 40 43 Australia 33 33 39 Japan 31 30 30 Pakistan 26 24 24 Sweden 26 29 30 Philippines 22 22 22 South Korea 22 17 16 Guatemala 17 17 21 Cuba 16 12 12 Ecuador 12 14 12 Mexico 9 12 13 Tabella 3.6: Produzione di etanolo nel mondo (2004-2006)

Per l’anno 2012 è prevista una produzione totale di oltre 52 milioni di tonnellate, un aumento di circa 73% paragonato all’anno 2003. L’impiego di biocarburanti in Europa soddisfa una quota abbastanza marginale rispetto alle sue potenzialità (circa 2.5 Mt/anno di bioetanolo nel 2006); all’avanguardia risultano soprattutto i Paesi del centro-nord Europa;la Francia (750mila t), la Svezia e la Germania (600mila t) puntano infatti molto sulla produzione di biodiesel e bioetanolo.

Anche in Italia ha senso parlare di bioetanolo (la produzione relativa al 2006 è stimabile a 120mila t), ma tale produzione è essenzialmente collegata all’ industria vinicola (nessun impianto rilevante da mais o frumento), soprattutto in alcune regioni (Emilia Romagna e Puglia)

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in cui esiste o può essere avviata un’agricoltura da alcol anche se per ora la nostra produzione nazionale riesce a coprire meno di un quinto della domanda.

L’Italia chiaramente non può competere a grandi livelli ma, rispetto al mercato mondiale potrebbe lavorare per costruire “filiere-nicchia” che risulterebbero indispensabili per sviluppare sinergie tra ambiente, sviluppo agricolo ed economico.

4. Usi e forme del bioetanolo

In campo energetico, il bioetanolo può essere utilizzato direttamente come componente per benzine o per la preparazione dell'ETBE (EtilTerButilEtere), un derivato alto-ottanico alternativo all'MTBE (MetilTerButilEtere).

Il bioetanolo risulta un prodotto utilizzabile nei motori a combustione interna normalmente di tipo “dual fuel”. Ricordiamo che qualsiasi motore a combustione, che sia diesel o benzina, necessita di tre elementi base per il suo funzionamento: un carburante, un comburente e la giusta miscela di entrambi nella camera di scoppio.

Ciò vuol dire che per far andare un’auto non è necessario obbligatoriamente utilizzare della benzina o del gasolio ma un combustibile che abbia caratteristiche simili. Tali prodotti esistono e sono, principalmente, d’origine vegetale quali il biodiesel, o semplicemente degli olii vegetali, quali sostituti del gasolio, l’etanolo e il metanolo (o alcol metilico che però normalmente viene sconsigliato per il suo alto potere corrosivo e la sua tossicità) in sostituzione della benzina. Quest’ultima, essendo un idrocarburo, contiene atomi di idrogeno e carbonio ma non è un composto sempre uguale, non contiene sempre lo stesso tipo di molecole, non ha una sua formula chimica. Possiede piuttosto una serie di caratteristiche chimico-fisiche che vengono definite per legge. E’ un bel miscuglio a cui si aggiungono inoltre vari additivi quali coloranti, antidetonanti, antiruggine e spesso anche una piccola quota di acqua. Eppure viene sempre chiamata benzina ed il motore la utilizza senza problemi.

Questo è importante per capire che un’auto per funzionare non ha bisogno di un liquido particolare ma piuttosto che rispetti dei parametri di fondo.

Dimostrazione di ciò è la semplicità con cui si può alimentare un motore a benzina con GPL o metano (di fatto a parte il serbatoio separato è solo un problema di carburazione, della giusta miscela aria-combustibile).

Il migliore carburante (dal punto di vista fai da te) risulta essere l’alcool etilico (CH3CH2OH)

che è possibile tranquillamente trovare nei supermercati, discount e negozi tipo drogherie ad un prezzo che oscilla tra i 70 centesimi e 1,10 euro al litro. Questo per quanto riguarda quello denaturato, di colore rossastro e a 90°. La gradazione è fondamentale e apre due grandi categorie:

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l’alcool a 90°, e quello con gradazione superiore a 95°. La quantità di acqua presente nell’alcool è la discriminante delle 2 categorie poiché essa non si miscela nella benzina, se non in minima parte, e richiede perciò due tipi di approcci diversi.

La condizione principale per utilizzare l’alcool 90° è quello di usarlo puro, ovvero senza miscelarlo alla benzina proprio perché l’alta percentuale di acqua va a stratificarsi nel serbatoio ingolfando ad un certo punto la carburazione o facendo comunque “saltellare” il motore. Usato tal quale invece non provoca problemi particolari e può essere utilizzato su tutte le auto che montano una centralina ECU a tre vie (praticamente tutte le catalizzate), o sonda Lambda che rilevando il quantitativo di ossigeno nei gas di scarico vanno a correggere in automatico i parametri di carburazione settando al meglio la combustione. Nonostante l’ottimo lavoro eseguito dalla centralina si potrebbe riscontrare una non perfetta carburazione specialmente quando l’auto è fredda ed ai bassi regimi. Ricordiamo che l’alcol etilico per il fatto di avere un’unica e semplice formula chimica che comprende anche elevata presenza di ossigeno, implica una combustione molto più pulita e completa rendendo gli scarichi ricchi di vapore acqueo con bassissima presenza di monossido di carbonio.

Un’ultima attenzione va riservata, nel primo periodo di sostituzione del carburante, ai filtri dove passa la benzina. Infatti l’alcool ha un buon potere detergente e tenderà ad asportare lo sporco presente nel carburatore ed i residui carboniosi depositati all’interno del motore. Per cui, dopo un centinaio di chilometri percorsi utilizzando alcool, è bene pulire i filtri ed eventualmente sostituirli. E’ bene inoltre ricordare che tutto questo funziona grazie al lavoro di ricarburazione effettuato dalla centralina ECU (Figura 3.7).

Figura 3.7: Centralina ECU

Se si vuole comunque risparmiare qualcosa e inquinare molto meno, un buon compromesso si può ritrovare nell’uso di alcool etilico a 95° (o superiore). Infatti da tale gradazione la quantità di acqua presente riesce a miscelarsi nella benzina, e questo mix può alimentare tranquillamente il motore senza modifica alcuna; fino ad una certa percentuale di alcool. Spesso si fa uso di un 5% di

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etanolo o metanolo nelle benzine per aumentare il numero di ottano. In effetti in Italia questa pratica non è seguita come invece avviene in moltissimi Paesi europei anche se per legge, tutte le auto immatricolate dopo il 1998 devono essere predisposte (come materiali) all’uso di alcoli in tale percentuale. Inoltre moltissime case automobilistiche dichiarano che i loro motori possono sostenere valori percentuali anche più alti, che arrivano fino al 20%. Di fatto la presenza della benzina rende quasi innocuo il potere leggermente corrosivo dell’etanolo e l’invecchiamento dei componenti diventa così paragonabile alla normale usura. E’ importante assicurarsi però di non avere parti in magnesio poiché tale metallo è particolarmente sensibile agli alcoli.

In definitiva il consiglio è quello di procedere a gradi testando da prima una percentuale del 5% (ad es. un litro di etanolo 95° su 20 litri di verde), per passare ad un 10, 12, 15% e così via.

5. Carburanti derivanti dall’etanolo

In modo più dettagliato dal punto di vista chimico, di seguito sono riportati i principali carburanti derivabili dall’etanolo.

5.1. Etanolo idratato (90°)

Questa soluzione, offrendo la possibilità di utilizzare direttamente l’alcol ottenuto per distillazione, è la più semplice ed economica. Ma i motori (a benzina o diesel) in questo caso devono subire leggere modifiche o essere concepiti espressamente per questo scopo. E’ la soluzione adottata in Brasile con i veicoli “100% etanolo” e in Svezia con i bus sviluppati da Scania con motori diesel. In questo caso il numero di cetano è relativamente basso e il funzionamento a freddo pone qualche problema.

5.2. Etanolo anidro in miscela con carburanti convenzionali

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Questa variante dipende essenzialmente dalla percentuale di etanolo nella benzina:

- da 0 a 85% si può adottare la soluzione dei “"flexible fuel vehicles" (FFV) che possono utilizzare indifferentemente etanolo o benzina nello stesso serbatoio. Sì tratta di veicoli speciali di cui esistono almeno una dozzina di modelli diversi negli Usa. In Europa Ford propone due modelli di FFV, la Ford Taurus e la Ford Focus;

- il Brasile utilizza anche una miscela al 24% in media nei veicoli normali a benzina, senza modifica del motore purché i materiali impiegati siano compatibili con un tasso così alto;

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- negli Usa e in Svezia si utilizzano generalmente miscele al 5-10% di etanolo senza modifica del motore. Per evitare problemi di scomposizione della miscela, questa viene effettuata più a valle possibile, ossia direttamente alla pompa ("splash blending", mentre i brasiliani miscelano al deposito). Attualmente quasi tutte le vetture vendute negli Usa, compresi i modelli europei e giapponesi, hanno una garanzia del fabbricante per impiego dell’etanolo almeno al 10%.

- le norme europee invece fissano il tasso massimo di miscela con benzina senza piombo al 5%. L’alcol in questo caso è considerato un additivo che non richiede alcuna modifica dei motori e della loro manutenzione, se non un controllo periodico del filtro.

5.3. ETBE

L’alternativa più valida al problematico impiego diretto dell’etanolo è l’ETBE, un omologo dell’MTBE con caratteristiche tecniche e funzionali simili e di gran lunga migliori di quelle dell’alcool di provenienza.

L’ETBE (etere etilbutilico) è ottenuto tramite la reazione del bioetanolo con l'isobutilene e deriva solo al 47% da fonti energetiche rinnovabili. L’ETBE non ha problemi di volatilità o di miscibilità con la benzina, possiede un numero di ottani (valore indicante il potere antidetonante di un prodotto sotto grande pressione ed ad alta temperatura) il cui indice elevato permette di aumentare il tasso di compressione, e di fatto, aumenta l’efficacia del motore. In quanto etere, contiene anch’esso ossigeno nella molecola che gli consente di contribuire al miglioramento delle emissioni veicolari di agenti inquinanti. L'ETBE è attualmente la filiera di utilizzo del bioetanolo più ampiamente diffusa in Europa. Ma a suo svantaggio, la produzione di ETBE necessita di infrastrutture e soprattutto di un carburante fossile – la nafta – che solo le grandi raffinerie possono offrire oggi a costi accettabili. Gli Usa inoltre potrebbero proibire il suo impiego per i possibili effetti nocivi degli eteri.

5.4. Esterolo (bioetanolo/biodiesel)

Un’altra filiera possibile, in fase di valutazione in Svezia e negli Usa, è l’esterolo, una miscela di bioetanolo e biodiesel. E’ un carburante previsto per l’impiego nei motori diesel, che dovrebbe combinare i vantaggi dei due biocarburanti di base: minori emissioni, riduzione di gas serra, migliore densità energetica dell’etanolo, prezzo competitivo, alcune modifiche ai motori.

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L’impiego di un catalizzatore a due vie utilizzabile col bioesterolo dovrebbe consentire un’ulteriore sensibile riduzione delle emissioni inquinanti.1

1 Nella pratica comune non sarebbe nemmeno impossibile produrre bioetanolo in casa a partire da barbabietola da

zucchero e vegetali ad alta concentrazione zuccherina.

Di seguito viene riportata la “ricetta fai da te” per la produzione del bioetanolo. La barbabietola dovrebbe essere tagliata a fette e trattata con acqua calda.

Il liquido così ottenuto deve essere concentrato fino ad ottenere uno sciroppo denso che a sua volta verrà fatto evaporare nuovamente fino a che, per raffreddamento, non si rapprende in una massa semisolida e cristallina la quale contiene il saccarosio.

Tale massa sarà diluita con un po’ d’acqua distillata e inserita in una beuta, poi vengono aggiunti un po’ di sali di Pasteur e metà panetto di lievito da pasticceri.

La beuta viene chiusa con un tappo forato attraverso il quale viene fatto passare un tubo ad U (rovesciato) il quale deve andare a pescare in una beuta entro la quale sarà messa una soluzione di ossido di bario coperta da circa un dito di olio minerale.

Il tutto viene fatto riposare a circa 25°C, la formazione di un precipitato bianco nella beuta con l’idrossido di bario sta ad indicare la formazione di anidride carbonica e la reazione di conversione del saccarosio in etanolo. Quando la reazione è completata il residuo nella prima beuta deve essere distillato e si otterrà etanolo puro (bolle a 78°).

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6. I motori Flex Fuel

Da quanto detto è possibile immaginare auto in grado di essere alimentate benzina e/o bioetanolo grazie a modifiche non sostanziali, un po’come avviene da noi quando si intende utilizzare il GPL.

Fino a qualche tempo fa era così, ma oggi le cose sono cambiate e i grandi produttori di auto commercializzano motori con tecnologia FLEX FUEL (Figura 3.8).

Figura 3.8: Motori Flex Fuel

Questa tecnologia permette ai motori di funzionare con una grande varietà di carburanti, compreso l'alcool. La nostra FIAT vende in Brasile una vasta gamma di auto Flex Fuel come la Stilo, Palio ecc. ; lo stesso fanno gli altri produttori come la Volkswagen o la Renault (Figura 3.9).

Figura 3.9: Auto in vendita con motore flex fuel

Per il momento esiste un solo motore “Flex” in Italia : si tratta del 1.8 FlexyFuel da 125 CV del Gruppo Ford, che equipaggia le seguenti vetture: Ford Focus 1.8 FlexyFuel 5p, Ford Focus 1.8

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FlexyFuel S.W., Ford Focus 1.8 FlexyFuel Titanium, Volvo C30 1.8 FlexyFuel Kinetic, Volvo C30 1.8 FlexyFuel Momentum, Volvo C30 1.8 FlexyFuel Summum, Volvo S40 1.8 FlexyFue Kinetic, Volvo S40 1.8 FlexyFuel Momentum, Volvo S40 1.8 FlexyFuel Summum, Volvo C30 1.8 FlexyFuel Momentum, Volvo V50 1.8 FlexyFuel Kinetic, Volvo V50 1.8 FlexyFuel Momentum, Volvo V50 1.8 FlexyFuel Summum.

La Saab e la Renault sono già entrate nel pianeta bioetanolo. La prima con l’Ammiraglia 9-5 spinta da un 2.3 turbo, capace di migliorare i valori di potenza e coppia rispetto alla corrispondente versione a benzina (+20 e 25% rispettivamente). Non se ne conosce la data di commercializzazione, ma si può ipotizzare un arrivo entro il 2008. Poi ci sono i francesi: con la Megane 1.6 da 105 CV in vendita da qui a breve. Queste auto “biocarburanti” permettono di fare il pieno con la normale benzina, con alcool (cd bioetanolo) o con una qualsiasi miscela fra i due. In Brasile potremmo comprarla anche oggi al prezzo di una qualsiasi utilitaria.

Quello che però lascia sorpresi è scoprire che in Brasile queste automobili sono prodotte dalla FIAT con tecnologia italiana della Magneti Marelli. La Fiat è infatti la maggior produttrice di auto “biocarburanti” del Brasile. Proprio in questi giorni sul mercato brasiliano FIAT ha lanciato i modelli più popolari della Mille, Palio e Siena dotati di motorizzazione flex da un litro (non cercatele in Italia, sono vendute solo in Brasile).

Il boom dei biocarburanti sembra pertanto già avviato, pronto a disegnare i prossimi scenari futuri mondiali. Come ben sappiamo la storia è molto spesso scritta dai carburanti. Iran e Cina hanno già mostrato interesse ai motori Flex Fuel. Non a caso il presidente brasiliano Lula in una sua recente visita in Cina ha portato in dono proprio una Fiat Palio “bicarburante” prodotta dagli stabilimenti brasiliani. Il 25% del mercato brasiliano è già flex e la rete distributiva delle stazioni di servizio è stata sufficientemente adeguata alla duplice offerta "verde" o "rossa". Rispetto all'Italia, però, la benzina verde in Brasile è "veramente" verde, ossia bioetanolo.

Tutto ciò ha portato ad una domanda crescente di bioetanolo con evidenti effetti nel settore dell'agricoltura infatti le piantagioni di canna da zucchero in Brasile stanno letteralmente sostituendo le storiche coltivazioni del caffè; una vera rivoluzione tecnologica e commerciale, firmata col contributo di una casa automobilistica italiana in Brasile.

Paradossalmente proprio in Italia i biocarburanti sono ancora sospesi in una lunga fase sperimentale nonostante la stessa Unione Europea spinga per una loro rapida introduzione. Le solite stranezze del vecchio continente.

Sembra addirittura che la Embraer, il quarto più grande produttore di aerei del mondo, abbia appena presentato il Neiva Ipanema, il primo aeroplano di serie progettato specificamente per andare ad alcool.

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7. Il Bioetanolo e la questione ambientale

La spinta più forte allo sviluppo dei biocarburanti è sempre stata quella di tipo ambientale.

In Italia, il “Libro Bianco sulle fonti rinnovabili” approvato dal Cipe (Comitato Interministeriale per la Programmazione Economica) nel 1999 afferma che:

“Il particolare interesse verso la filiera dei biocombustibili, bioetanolo e biodiesel, è collegato alla necessità di individuare soluzioni praticabili per il contenimento dell’inquinamento, soprattutto nelle grandi città, causato dai combustibili fossili usati per i trasporti. Il traffico stradale è, infatti, responsabile per il 93% delle emissioni di ossido di carbonio, il 60% di quelle di idrocarburi e ossidi di azoto, il 12% di anidride carbonica; i bio-combustibili, di contro:

- sono di origine vegetale e quindi non contribuiscono all’emissione di anidride carbonica nell’atmosfera;

- non contengono zolfo;

- contengono maggiori quantità di ossigeno consentendo una significativa riduzione delle emissioni di ossido di carbonio e di composti incombusti;

- evitano l’emissione di altre sostanze nocive associate alla combustione di combustibili fossili;

- sono totalmente biodegradabili”.

A livello mondiale il bioetanolo oggi rappresenta il biocarburante di maggiore interesse, essendo la sua produzione stimabile tra 11 e 11,5 milioni di t/anno (di cui la stragrande maggioranza negli USA e in Brasile).

Come già detto l’etanolo può essere miscelato, in percentuali variabili, direttamente nella benzina in osservanza alle normative locali: dal 20% e oltre del Brasile, tra il 5,7 e 10% degli USA, al 5% massimo dell’Europa, tanto per citare le più importanti.

Inoltre è certo che le colture da energia rispondono sia a istanze di natura ambientale, in quanto fonti rinnovabili, sia a istanze di natura socioeconomica, in quanto possono contribuire a un equilibrato sviluppo dei territori rurali.

In questo contesto che rientra la questione della multifunzionalità dell’agricoltura, che tra l’altro si manifesta attraverso:

- La conservazione di pratiche atte a tutelare il paesaggio rurale e a mantenere le sistemazioni idraulico-agrarie, anche in territori soggetti a fenomeni di marginalizzazione;

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- La conversione verso modelli colturali a basso input, per l’adozione di metodi colturali integrati e biologici, ma anche grazie a orientamenti produttivi meno “chimicizzati" per la rusticità e per l’adattabilità delle specie;

Produzioni con finalità non alimentari che permettono di derivare materie prime a sostituzione dei prodotti di sintesi e l’utilizzazione a tali fini dei sottoprodotti colturali e agro-industriali.

8. Il bioetanolo e la politica

La scelta tra i biocarburanti e la benzina non è di natura tecnologica o ecologista bensì prettamente politica. Il loro elevato costo di produzione e le materie prime coinvolte, sono tali da richiedere un’opportuna scelta strategica dei governi. Per questo, si potrebbe dire che il bioetanolo è un prodotto “politico”, la sua presenza sul mercato, nel quadro economico attuale, può derivare da una politica coerente in campo agricolo, finanziario, energetico e non ultimo ambientale. Ciò richiede un adeguato sostegno finanziario a suo favore, normalmente costituito da una defiscalizzazione di elevata entità.

L’avvio di un programma per la bioenergia richiederebbe ai governi una politica ambientale di elevato profilo. La tipologia delle colture energetiche si concentra su poche specie e se da un lato tutte devono, comprensibilmente, poter massimizzare le rese dall’altro vi sono necessità irrinunciabili da gestire quali, l’ampliamento delle superfici coltivabili e la quantità da destinare a questo fine, la loro ubicazione, gestione e sfruttamento, la protezione della biodiversità e delle altre risorse ambientali.

Lo sviluppo di una politica pro bioetanolo è oggi all’attenzione in numerosi paesi, tra cui gli USA, la Cina, l’Australia, l’India e la Comunità europea.

Tuttavia, i tempi di implementazione dei programmi annunciati diventano talvolta, tra dubbi e difficoltà, lunghissimi. Ma partiamo da considerazioni di carattere internazionale.

Sebbene vantaggiosi per innumerevoli fattori, dietro al termine biocarburanti si celano in realtà infinite polemiche di carattere politico ed etico. La questione biocarburanti infatti si è trasformata negli ultimi mesi in una vivace polemica internazionale che a mio avviso è importante menzionare, iniziata quando il Presidente degli Stati Uniti ha dovuto prendere atto della crescente pressione interna a favore di un maggiore impegno in campo ambientale.

Con i sondaggi sulla sua popolarità in picchiata George W. Bush ha cercato un lifting di immagine, senza modificare sostanzialmente il netto rifiuto di ogni impegno internazione di tagliare le emissioni serra che stanno cambiando il clima. Sotto l’incalzare dei rapporti scientifici delle Nazioni Unite, la Casa Bianca si è limitata a proporre una correzione di tiro nella politica energetica americana, una mini svolta basata sul minor uso del petrolio e su un maggiore impiego dei

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carburanti di origine vegetale, ma questa linea è stata attaccata frontalmente dall’asse Castro- Chavez-Morales, che ha fatto intravedere il rischio di un ulteriore impoverimento dei Paesi tropicali. Secondo i governi di Cuba e del Venezuela, la creazione di nuovi latifondi destinati ad ampliare le colture energetiche porta ad un’ulteriore riduzione delle aree destinate alla produzione di cibo per i mercati nazionali.

Il governo americano considera l’etanolo, in sostituzione alla benzina, come soluzione per ridurre la dipendenza dal petrolio proveniente dall’estero ma, mentre nell’arco di quest’anno la produzione dell’etanolo è cresciuta, lo stesso è successo al prezzo del granturco (elemento principale usato attualmente per la produzione di etanolo); ed è proprio tale aumento che ha indotto l’opinione pubblica a ritenere l’etanolo responsabile per l’incremento dei prezzi dei prodotti alimentari.

Uno scontro solo parzialmente risolto dalla mediazione del Presidente brasiliano Lula, secondo il quale non vi è opposizione tra i biocombustibili e i combustibili fossili ma c’è invece complementarità ed esperienze internazionali diverse.

Gli Stati Uniti potrebbero concludere un accordo di partenariato sui biocarburanti con il Brasile per avviare la produzione su scala del bioetanolo. I due paesi sono già i principali produttori mondiali del carburante vegetale, diretto sostituto della benzina (complessivamente Brasile e Stati Uniti coprono il 70% della capacità produttiva mondiale di etanolo); l'accordo consentirebbe a entrambi i paesi di catalizzare le risorse comuni e rinforzare la capacità produttiva.

L'annuncio arriva dal numero tre del dipartimento di Stato americano, il sottosegretario di Stato per gli affari esteri Nicholas Burns in visita all'Università di San Paulo. Durante le sue dichiarazioni Burns ha fatto presente che gli Stati Uniti non saranno obbligati a dipendere per sempre dai Paesi produttori di petrolio, con esplicito riferimento all’attuale gelo diplomatico tra Washington e Caracas. Tra gli obiettivi dell'accordo USA-Brasile la creazione di una filiera nella produzione dei biocarburanti estesa anche ad altri paesi dell'America Latina e il decollo del mercato mondiale dell'etanolo. Le ragioni economiche che determinano tale accordo sono essenzialmente tre.

In ambito di biofuel i rapporti commerciali tra i due paesi erano già stati avviati negli anni scorsi (gli Stati Uniti producono 4,9 miliardi galloni di etanolo ogni anno, sono però costretti ad importare altri 1,7 miliardi di galloni dal Brasile per far fronte alla crescente domanda interna).

A questo si aggiunge il recente annuncio di Bush di voler tagliare il 20% della benzina entro il 2017, un obiettivo equivalente al potenziamento della capacità produttiva di etanolo fino a 35 miliardi di galloni.

Infine, l'etanolo prodotto in Brasile dalla canna da zucchero possiede inoltre una maggiore efficienza rispetto al prodotto statunitense.

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Il presidente George W. Bush ha elogiato i vantaggi dei biocarburanti e delle automobili che li utilizzano, in occasione di una riunione con i principali costruttori di automobili nordamericani, esortandoli ad accelerare la modifica delle catene di produzione e agevolare la commercializzazione dei veicoli a combustibile alternativo. Su questa linea il presidente americano ha presentato al Congresso l'introduzione di una legislazione per produrre 132 miliardi di litri di combustibile alternativo entro dieci anni e imporre all'industria automobilistica parametri più restrittivi sul piano del consumo e del risparmio di carburante.

Allo stesso tempo, il presidente brasiliano Lula conclude la sua prima missione in Europa portando a casa un'asse Brasile-Ue sui biocarburanti e un importante accordo a Bruxelles su produzione e vendita dei carburanti ecologici. Brasile e Unione europea hanno sottoscritto un documento per la creazione di un partenariato sullo sviluppo della filiera dei biocarburanti. Al centro dell'accordo c’è la nascita di un mercato internazionale dell'etanolo. Durante gli incontri diplomatici il presidente Lula ha negato l'esistenza di un impatto sociale e ambientale conseguente alla produzione del biocarburante, ribadendo che l'esperienza brasiliana dimostra come la filiera del bioetanolo avvantaggi proprio le popolazione agricole più svantaggiate. In tal modo anche il presidente Lula ha dimostrato di volersi schierare contro il fronte sfavorevole ai biocarburanti.

Anche l’Europa, come è stato più volte ribadito, mostra particolare attenzione al nascente mercato dei biocarburanti ponendosi l'ambizioso obiettivo di arrivare entro il 2020 a coprire fino al 10% dei suoi consumi con i combustibili verdi. La politica internazionale proposta da Lula verte sull'abbattimento dei dazi che oggi penalizzano le esportazioni agroalimentari allo scopo di favorire l'internazionalizzazione del mercato biofuel.

Di contro i legislatori messicani hanno deciso di dare la priorità alla sicurezza alimentare in Messico, permettendo l'uso di mais per la produzione di etanolo solo nel caso in cui ce ne sia una quantità superiore al consumo nazionale necessario (fonte: www.peacereporter.net). La Commissione per l'agricoltura e il bestiame della Camera dei deputati ha emendato la legge sulla bioenergia che il presidente Felipe Calderon aveva vietato a settembre. "Solamente quando ci sarà un surplus nella produzione di scorte di mais per soddisfare il consumo nazionale verrà dato il permesso di usare il grano di mais, nelle sue diverse modalità, per la produzione di etanolo", questo è quello che prevede l'art. 8 della legge.

8.1. Il Protocollo di Kyoto

Nell’ambito della politica ambientale, ha rappresentato una tappa di capitale importanza l’adozione, nel dicembre del 1997, del cosiddetto “Protocollo di Kyoto” da parte della terza conferenza delle parti alla Convenzione Quadro delle Nazioni Unite sui Cambiamenti Climatici,

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(New York 9 maggio 1992). Esso ne rappresenta, lo strumento esecutivo contenente obiettivi legalmente vincolanti e decisioni sulla attuazione operativa. Il Protocollo impegna i paesi elencati nell’Annesso I della Convenzione (paesi industrializzati e paesi ad economia in transizione) a ridurre, nel periodo 2008-2012, le emissioni annue di gas ad effetto serra del 5,2% rispetto ai valori del 1990, con riduzioni differenti per ogni singolo paese, mediante azioni mirate tra cui l’utilizzo di fonti rinnovabili e la promozione dell’agricoltura sostenibile. Esso prevede due tipi di strumenti attuativi:

√ Le politiche e misure, ossia gli interventi previsti dallo Stato attraverso programmi attuativi specifici realizzati all’interno del territorio nazionale.

√ I meccanismi flessibili i quali, offrono la possibilità di utilizzare a proprio credito attività di riduzione delle emissioni effettuate al di fuori del territorio nazionale.

8.2. Normativa Comunitaria

A livello comunitario, sulla scia del Protocollo di Kyoto, il “Libro Bianco” del 1997 sulle fonti rinnovabili ed il “Libro Verde” del 2000 della Commissione sulla Sicurezza dell’approvvigionamento energetico, ribadiscono l’esigenza di favorire la promozione delle fonti rinnovabili e impegnano gli Stati membri a ridurre le proprie emissioni di gas serra. Inoltre, entrambi i provvedimenti, invitano gli Stati a realizzare l’obiettivo della sostituzione del 5,75% dei carburanti con altri di origine agricola entro il 2010 e del 20% entro il 2020 e a coprire, mediante misure di ordine fiscale, il differenziale di prezzo tra biocarburanti e prodotti concorrenti di origine fossile.

Il progetto europeo in materia di biocarburanti ha completato il proprio iter normativo nel corso del 2003 con l’emanazione rispettivamente della Direttiva 2003/30 sulla promozione dell’uso di biocarburanti – che esorta gli Stati membri a provvedere affinché una percentuale minima di biocarburanti sia immessa sui loro mercati e a definire degli obiettivi indicativi nazionali – e della Direttiva 2003/96 che ristruttura il quadro comunitario per la tassazione dei prodotti energetici e sancisce, all’art. 16, la possibilità per gli Stati dell’Unione di applicare esenzioni o riduzioni di aliquote di imposta su una serie di prodotti tra cui l’alcol etilico denaturato.

Nel 2005 è stato pubblicato dalla Commissione Europea il “Piano d’azione per la biomassa” (COM(2005) 628), nel quale si sottolinea che nell’UE, il solo 4% del fabbisogno energetico è attualmente soddisfatto dalle biomasse, e che se si sfruttasse l’intero potenziale di tale risorsa, di qui al 2010 tale valore potrebbe più che raddoppiare; attraverso delle buone

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pratiche agricole, la produzione di biomassa risulterebbe sostenibile sotto il profilo ambientale e senza riflessi significativi sulla produzione interna di prodotti alimentari.

E’ del 2006 il documento programmatico relativo alla “Strategia dell’UE per i biocarburanti”, dove si riconosce che il sistema di incentivi e obblighi fino a ora realizzato dai singoli Stati membri non è sufficiente per raggiungere gli obiettivi previsti per il 2010 e che ulteriori specifici incentivi economici sono necessari al fine di incoraggiare e promuovere il mercato dei biocarburanti. Nell'ambito della sua cooperazione internazionale con altri partner, la Commissione è attivamente impegnata nel dialogo e in altre forme di cooperazione sulle questioni energetiche, inclusi i biocarburanti.

Il Brasile ha dato vita al forum internazionale sui biocarburanti allo scopo di promuovere il mercato internazionale dei biocarburanti sostenibili, scambiare esperienze e avviare una più stretta collaborazione in materia di norme e codici al fine di facilitare gli scambi di biocarburanti e incrementare la collaborazione nel campo della ricerca. Il forum internazionale sui biocarburanti in una prima fase riunirà 6 partecipanti (i governi del Brasile, degli Stati Uniti, dell'India, della Cina, del Sudafrica e la Commissione europea).

La Commissione, attraverso la sua partecipazione regolamentata dalla normativa 2007/446/CE relativa, appunto, alla partecipazione della Commissione delle Comunità europee al forum internazionale sui biocarburanti, sarà maggiormente in grado di coordinare le attività in materia, tra cui la ricerca, con quelle di altre nazioni sviluppate e in via di sviluppo.

La Commissione, in data del 10 gennaio 2007, ha deciso, conformemente al disposto dell'articolo 262 del Trattato che istituisce la Comunità europea, di consultare il Comitato economico e sociale europeo in merito ai progressi compiuti nell'uso dei biocarburanti e di altri combustibili provenienti da fonti rinnovabili negli Stati membri dell'Unione europea.

Il Comitato riserva la più grande attenzione ai temi legati all'efficienza energetica, al cambiamento climatico e alla riduzione dei gas ad effetto serra e condivide in generale le conclusioni del Consiglio europeo, dove sono stati ribaditi i tre pilastri della politica energetica europea (PEE):

√ garantire la sicurezza dell'approvvigionamento,

√ garantire la competitività delle economie europee e la disponibilità di energia a prezzi accessibili,

√ promuovere la sostenibilità ambientale e lottare contro i cambiamenti climatici. Nella relazione sui progressi compiuti in materia di biocarburanti la Commissione rileva che, in assenza di obiettivi obbligatori, non sarà possibile raggiungere una quota soddisfacente di uso di biocarburanti. Poiché è risultato che l'obiettivo di arrivare ad una quota del 5,75 % del

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mercato nel 2010 non è realizzabile, per rispondere alle esigenze definite dal Consiglio occorre fissare un obiettivo raggiungibile, che secondo la Commissione sarebbe quello di una quota di mercato del 10 % entro il 2020, avvalendosi della facoltà prevista all'articolo 4, paragrafo 2, della direttiva 2003/30/CE, detta «clausola del riesame». Curiosamente la Commissione evidenzia i benefici basandosi su uno scenario di utilizzo dei biocarburanti pari al 14 %, mentre l'obiettivo dichiarato è del 10%, e mostrando quindi risultati non troppo realistici (Fonte Unione Europea; Strategia dell’UE per i biocarburanti).

L'uso dei biocarburanti di prima generazione pone spesso dei problemi etici, quali la competizione tra cibo e carburante, che la Commissione sembra minimizzare. Il Comitato sottolinea l'esigenza di una più stretta collaborazione con le istituzioni e le agenzie mondiali che operano nel campo dell'agricoltura e dell'alimentazione, quali appunto la FAO e il PAM (Programma alimentare mondiale).

Sia nel documento della Commissione che nello studio di impatto collegato, non si riscontrano diversi elementi di criticità che sono invece assai significativi. Per quanto riguarda il bioetanolo si evidenziano in particolare il problema della produttività limitata (ma meno del biodiesel), dell’elevato consumo di acqua e fertilizzanti e spesso l’inadattabilità a essere trasportato via (le attuali pipeline per carburanti da petrolio implicano problemi di corrosione). Il Comitato sottolinea l'esigenza che vengano attentamente valutate, accanto agli impatti sociali, ambientali ed economici, anche le problematiche tecniche legate allo sviluppo dei biocarburanti. In particolare, si pone la questione del rendimento produttivo delle materie prime per biocombustibili. Inoltre sottolinea l’importanza di riservare una particolare attenzione alla cura e alla protezione del suolo, il problema del consumo di acqua per la produzione dei biocarburanti, i rischi della deforestazione e quelli relativi allo stoccaggio delle materie prime e raccomanda di procedere ad un'analisi che verifichi nella chimica della combustione con molecole diverse da idrocarburi la possibile formazione e sviluppo di radicali liberi, responsabili dello stress ossidativo, considerato uno stato patologico preliminare a forme di malattia più gravi.

Fatte salve queste preoccupazioni, che potrebbero diminuire se fossero adottate misure di monitoraggio e di certificazione dei metodi di produzione dei biocarburanti, eventualmente attraverso dei sistemi di tracciabilità dei prodotti, il Comitato ritiene che inoltre debbano essere sostenute ulteriormente la ricerca e lo sviluppo dei biocarburanti di seconda e anche di terza generazione come ad esempio il biobutanolo.

Il Comitato considera anche le opportunità che lo sviluppo dei biocarburanti potrebbe rappresentare per l'economia europea, contribuendo al raggiungimento degli obiettivi dell'Agenda di Lisbona. L'opportunità che il mondo agricolo vede nello sviluppo dei

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biocarburanti va incoraggiata, a condizione che anche gli agricoltori si impegnino a contribuire alla tutela dei beni primari ambientali e al rispetto delle risorse comuni, quali l'acqua, il cibo per gli esseri umani e per gli animali.

Per quanto riguarda il trattamento fiscale, e in particolare le accise sui biocarburanti, le agevolazioni agli agricoltori, quelle alle industrie dell'automobile per sostenere le necessarie spese di ricerca, quelle ai consumatori per i necessari interventi sulle automobili non predisposte all'utilizzo di biocarburanti, e quelle ai produttori stessi di biocarburanti, è ovvio che la platea dei candidati al sostegno pubblico sia sterminata. In Germania, dove recentemente sono state sensibilmente ridotte le agevolazioni fiscali, si è determinata una immediata contrazione nei consumi e una altrettanto immediata protesta delle industrie. Gli investimenti hanno bisogno di certezze e stabilità, ma i mercati dei biocarburanti sono ancora praticamente inesistenti. Resta comunque acquisito che gli eventuali aiuti non dovranno determinare distorsioni alla concorrenza.

Per quanto riguarda il settore trasporti, nella proposta esso non risulta sottomesso al sistema delle quote di emissione. Il Comitato raccomanda alla Commissione di studiare la possibilità di estendere il sistema dei certificati di emissione per il trasporto che possono costituire un ulteriore stimolo a migliorare l'efficienza nella ricerca di nuove soluzioni che riducano le emissioni nocive.

Il Comitato concorda con la risoluzione del Parlamento europeo sulla strategia per la biomassa e per i biocarburanti: in essa il Parlamento invita la Commissione a introdurre una certificazione obbligatoria e completa che consenta la produzione sostenibile di biocarburanti in tutte le fasi, e ad appoggiare lo sviluppo e l'utilizzazione del sistema di monitoraggio globale per l'ambiente e la sicurezza (GMES) per controllare l'utilizzazione del suolo nella produzione di bioetanolo al fine di impedire la distruzione delle foreste pluviali e altre ripercussioni negative sull'ambiente.

La Commissione introduce la Relazione sui progressi compiuti nell'uso dei biocarburanti, sottolineando il fatto che per il periodo 2005-2020 per il solo settore dei trasporti è previsto un incremento delle emissioni dei gas ad effetto serra (in questo caso solo CO2) di 77 Mt all'anno, cioè oltre il 60 % del totale dell'incremento delle emissioni, che si prevede dell'ordine di 126 Mt all'anno.

Da tale relazione risulta che lo sviluppo dell'utilizzo dei biocarburanti è stato significativo, ma solo due paesi hanno raggiunto gli obiettivi: questo ha comportato nel 2005 un risultato complessivo dell'1 %, con una quota dell'1,6 % nel caso del biodiesel e dello 0,4 % nel

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caso del bioetanolo. Sulla base di queste premesse la Commissione conclude che nel 2010 l'obiettivo del 5,75 % non sarà realizzato.

L'esperienza ha dimostrato che risultati concreti sono stati raggiunti sia attraverso politiche di incentivazione fiscale, senza fissare limiti quantitativi ammessi, sia attraverso obblighi fatti ai fornitori di commercializzare, sul totale dei carburanti, una data percentuale di biocarburanti. La Commissione ritiene che questi obblighi siano la metodologia più efficace.

Nell'analisi di impatto economico e ambientale vengono ipotizzati diversi scenari, collegati da una parte all'andamento del prezzo del petrolio, alle importazioni e alla competitività dei prezzi agricoli, e dall'altra allo sviluppo di nuove tecnologie in grado di far decollare lo sviluppo dei biocarburanti di «seconda generazione», che aiuterebbero a diminuire il costo ambientale.

La Commissione propone infine di rivedere la direttiva sui biocarburanti, di fissare al 10 % gli obiettivi minimi per la quota di biocarburanti nel 2020 e infine di garantire l'uso di biocarburanti efficienti e rispettosi dell'ambiente (Fonte: C 44/34 IT Gazzetta ufficiale

dell'Unione europea, 16.2.2008).

8.3. Normativa nazionale

L’Italia ha ratificato il Protocollo di Kyoto attraverso la legge n. 120 del 1° giugno 2002, in cui viene illustrato il relativo Piano nazionale per la riduzione delle emissioni di gas ad effetto serra.

Il Programma Nazionale per l’energia Rinnovabile da Biomasse (PNERB), messo a punto dal Ministero delle Politiche Agricole, indica quali dovrebbero essere le linee guida per lo sviluppo del settore, in sintonia con quanto evidenziato dal “Libro Bianco” della Commissione europea e dal “Libro Verde” nazionale sulle fonti rinnovabili.

L’art. 22 della Legge 388/2000 (Finanziaria 2001) ha dato la possibilità di incrementare l’utilizzo di fonti energetiche rinnovabili attraverso uno stanziamento di 45,5 milioni di euro, in termini di minori entrate per l’erario, per defiscalizzare parzialmente il bioetanolo e l’Etbe. In attuazione delle citate disposizioni e del regime fiscale previsto nella Legge Finanziaria, è stato emanato il Decreto del Ministero delle Finanze 96/2004 recante agevolazioni fiscali all’etanolo di origine agricola che stabilisce le modalità di attuazione della defiscalizzazione, rendendo finalmente operativo il progetto italiano sul bioetanolo. In particolare, all’art. 1 comma 1, si approva il progetto sperimentale, della durata di un triennio, “al fine di incrementare l’impiego

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di fonti energetiche che determinino un ridotto impatto ambientale” attraverso l’utilizzo come carburanti, da soli o in miscela con oli minerali, dei prodotti di seguito riportati:

- bioetanolo derivato da prodotti di origine agricola;

- etere etilbutilico (Etbe) derivato da alcole di origine agricola;

- additivi e riformulati, prodotti da biomasse, utilizzati come additivi per benzine e per gasolio, escluso il biodiesel.

La Legge 30 dicembre 2004 n. 311 (Finanziaria 2005) ha modificato quanto previsto nella Finanziaria 2001 traslando il progetto bioetanolo al triennio 2005-2007 e, soprattutto, allocando 219 milioni di euro per le agevolazioni fiscali. Questo stanziamento consentirà di produrre in 3 anni circa 3 milioni di ettolitri di etanolo di origine agricola (da vinacce, da barbabietole e da cereali) da destinare principalmente alla trasformazione in Etbe. Nel marzo 2005 è stato siglato un accordo di filiera sul bioetanolo tra AssoDistil, Itabia, Cia, Coldiretti e Confagricoltura, che impegna i firmatari a promuovere la produzione e l’uso del bioalcol in Italia, ad individuare i bacini produttivi e le colture più idonee e a valutare i costi/benefici delle varie opzioni.

La Finanziaria 2007 allinea la legislazione italiana sui biocarburanti alla Direttiva europea 2003/30/CE sugli obiettivi di miscelazione obbligatoria dei biocarburanti nei carburanti petroliferi, secondo una percentuale progressiva (1% al 2005, 2,5% al 2008, 5,75% al 2010).

Vengono fissate le sanzioni amministrative pecuniarie, proporzionali e dissuasive, per il mancato raggiungimento dell'obbligo previsto per i singoli anni di attuazione della suddetta disposizione successivi al 2007, tenendo conto dei progressi compiuti nello sviluppo delle filiere agro-energetiche.

Gli importi derivanti dalla comminazione delle eventuali sanzioni verranno riassegnati quale maggiorazione del quantitativo di biodiesel che annualmente può godere della riduzione dell'accisa o quale aumento allo stanziamento previsto per l'incentivazione del bioetanolo e suoi derivati o quale sostegno della defiscalizzazione di programmi sperimentali di nuovi biocarburanti.

A questo fine si rende operativo l’utilizzo di circa 16,7 milioni di euro, derivanti da sanzioni irrogate dall’Antitrust, già destinate con Decreto, alle bioenergie. Viene convogliata al biodiesel anche una parte dei 73 milioni di euro destinati negli anni precedenti al bioetanolo e all’ETBE e non utilizzabili a questi fini a causa del contenzioso con la Commissione europea (in caso di risoluzione tale cifra sarà ridestinata al bioetanolo).

Nella selezione dei progetti industriali sarà data priorità alla creazione di filiere agricole comunitarie e all’efficienza energetica della produzione di biocarburanti.

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Con la Finanziaria 2007 è stata ampliata la portata della legge 81-2006 sull’argomento “Bioetanolo” in due diversi articoli (Art.26 e Art.156) rendendo più razionale e realistico (1% nel 2007 e 2% nel 2008) l’obbligo di integrazione del bioetanolo nelle benzine (o meglio dei biocarburanti nei carburanti fossili) e rinnovando per un triennio la defiscalizzazione per il bioetanolo (per 73 milioni di euro l’anno)

E’ stata altresì confermata la vigenza dell’ultimo anno di defiscalizzazione (il 2007) sancito dalla Finanziaria 2005. Sul fronte attuativo, mancano ancora i regolamenti previsti dalla Finanziaria 2007 relativamente alle procedure di applicazione dell’obbligo e le sanzioni per chi non dovesse adempirvi.

Quanto alla defiscalizzazione, non è stato ancora ottenuto il nulla osta al progetto italiano. Nella finanziaria 2007 l’Italia si è impegnata a rispettare la sentenza Deggendorf sugli aiuti di Stato illegittimi, ma Bruxelles finora non ha ritenuto sufficiente quest’impegno, anche se ha giudicato impeccabile sotto il profilo fiscale ed ambientale il progetto italiano di defiscalizzazione del bioetanolo (Fonte: www.governo.it).

E’ bene ricordare che la riforma del titolo V della Costituzione Italiana assegna competenza specifica alle Regioni per quanto riguarda la materia energetica e che la Comunità Europea all’interno delle politiche per lo sviluppo delle fonti energetiche alternative e dei biocarburanti in particolare, coinvolge le Regioni attraverso il Piano di Sviluppo Rurale (PSR) e il Piano Energetico Regionale (PER) affinché diventi strategico il coordinamento a livello locale tra la programmazione agricola e la pianificazione energetica attraverso un ampia concertazione e un’approfondita analisi territoriale.

In Italia sono in fase di avvio alcuni progetti di rilevanti dimensioni per la produzione di bioetanolo (si parla di riadattamento dei vecchi zuccherifici al fine di produrre tale biocarburante) ma nella realtà la questione biocarburanti risulta ancora oggi molto complessa perché allo stato attuale della tecnologia, i costi di produzione della materia prima in Italia sono ancora troppo elevati rispetto a quelli di analoghe produzioni provenienti dall’estero. Situazione complessa quindi dal punto di vista attuativo ma soprattutto normativo a causa dei sempre più numerosi intralci burocratici che rendono spesso il nostro Paese “il fanalino di coda” della più moderna Europa.

9. Costi e sviluppi futuri

Lo sviluppo dei biocarburanti è fortemente influenzato dal prezzo del petrolio sul mercato mondiale, ma altre variabili fondamentali sono la scala di produzione, la dimensione del mercato nazionale, gli investimenti necessari in infrastrutture, il grado di sostegno delle politiche, la

Figura

Figura 3.2: Processo di produzione di bioetanolo
Figura 3.3:Materie prime utilizzabili
Tabella 3.4: Quantità di etanolo ottenibile per ettaro di coltura
Figura 3.5: Produzione di etanolo nel mondo
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