• Non ci sono risultati.

1.1 Nanomedicina 1 Introduzione

N/A
N/A
Protected

Academic year: 2021

Condividi "1.1 Nanomedicina 1 Introduzione"

Copied!
21
0
0

Testo completo

(1)

1

1 Introduzione

1.1

Nanomedicina

Le “Nanoscienze” rappresentano una nuova e complessa disciplina che studia i fenomeni e la manipolazione dei materiali su scala atomica e molecolare, dove le proprietà chimico-fisiche differiscono notevolmente da quelle osservate su scale maggiori. La creazione di materiali, sistemi e dispositivi attraverso il controllo della materia su scala nanometrica è ciò che correntemente si intende con il termine di “nanotecnologie”. Con “nanomateriale” si intende comunemente un materiale naturale o ingegnerizzato, in cui una o più dimensioni siano comprese fra 1 nm e 100 nm (figura 1). Un nanometro (nm) è un miliardesimo di metro (1 nm = 10-9 m). Per confronto, un unico capello umano è di circa 80.000 nm e una molecola d'acqua ha un diametro di quasi 0,3 nm. I nanomateriali rientrano in tre categorie: uni-dimensionale (ad esempio rivestimenti superficiali molto sottili), bidimensionale (ad esempio, nanofili, nanotubi) e tridimensionale (ad esempio, nanoparticelle (NP)). Le peculiari proprietà dei nanomateriali sono da imputare, in primo luogo, all’elevatissimo rapporto superficie/massa rispetto a quello del rispettivo materiale su scala macroscopica. Questo rende i nanomateriali chimicamente più reattivi e, in alcuni casi, materiali inerti nella loro forma macroscopica diventano reattivi su scala nanoscopica.

L’applicazione alla biomedicina delle potenzialità derivanti dalle nanotecnologie è quella che si definisce “Nanomedicina”: uno dei settori in più rapida crescita nel campo delle nanotecnologie. È un campo in rapido sviluppo che offre prospettive future promettenti in biomedicina per il trattamento o la diagnosi di diversi tipi di patologie. Essa si occupa, quindi, di materiali e dispositivi ingegnerizzati su scala nanometrica (1-100 nm) per studiare soluzioni innovative in biomedicina.

(2)

2

La nanomedicina si interessa dello sviluppo di nanovettori, superfici nanostrutturate, nanomateriali e nanodispositivi elettronici (“nanorobot”) per migliorare la diagnosi, la terapia e il monitoraggio delle malattie o per promuovere la rigenerazione dei tessuti (ingegneria tissutale). La nanomedicina mira quindi a fornire soluzioni innovative per il trattamento di quelle patologie attualmente non efficacemente trattate dalle terapie convenzionali. Inoltre, questi nuovi metodi, combinando tecniche biochimiche o approcci molecolari classici con tecniche avanzate di imaging e spettroscopia, forniscono spunti per lo studio del comportamento e il trattamento di singole cellule malate e del loro microambiente, con approccio talora paziente-specifico. Uno dei principali risultati attesi dalla nanomedicina riguarda, infatti, il progredire delle conoscenze nel campo della medicina “personalizzata”. Alcune delle più importanti applicazioni mediche delle nanotecnologie sono elencate in tabella 1 [Raffa, et al., 2010]. Tra le nanoformulazioni più promettenti e studiate spiccano le nanoparticelle magnetiche che trovano numerose applicazioni in campo clinico [Pankhurst et al. 2009].

Figura 1: Immagine rappresentativa di strutture microscopiche. Nanostrutture artificiali comparate a nanostrutture biologiche.

(3)

3

Applicazioni Utilizzo medico

Nanovettori artificiali Nanotrasduttori

Nanoattuatori

Agenti di contrasto

Nanomateriali con proprietà antibatteriche

Nano-biosensori Nano-scaffolds

Rilascio specifico di geni in siti specifici Terapie di elettrostimolazione, ablazione cellulare di masse tumorali

Rilascio controllato di farmaci, veicolazione farmaci, veicolazione cellule

Imaging diagnostico (MRI, NIR)

Agenti antisettici, terapia per batteri antibiotico-resistenti, bio-impianti, stents Diagnostica in vivo e in vitro

Medicina rigenerativa e ingegnerizzazione tissutale

Tabella 1: Campi di applicazione della nanomedicina

1.2 Nanoparticelle magnetiche

1.2.1

Sintesi e funzionalizzazione

Le nanoparticelle magnetiche (MNP) possono essere prodotte attraverso diverse strategie chimiche e fisiche che determinano le proprietà finali dei prodotti. Uno schema di classificazione ampio può essere fatto sulla base dello stato fisico dei materiali di partenza. La strategia comunemente utilizzata per la produzione di MNP è l'approccio “bottom-up” che utilizza unità atomiche o molecolari come materiali di partenza in grado di autoassemblarsi in strutture di ordine più elevato (in opposizione all’approccio alternativo di tipo “top-down” in cui il materiale di partenza è ridotto a scala nanometrica per asportazione di massa). La preparazione di soluzioni acquose di nanoparticelle monodisperse di dimensioni controllate è ottenuta prevalentemente attraverso reazioni chimiche di: coprecipitazione, impregnazione, microemulsione e processi sol-gel. L’applicazione più comune delle MNP in biomedicina consiste nell’uso di ferrofluidi, ovvero, una sospensione colloidale di nanoparticelle di ossido di ferro in un liquido vettore come l’acqua. La stabilità di un colloide magnetico dipende dall'equilibrio tra le forze di attrazione tra le particelle (Van der Waals e dipolo-dipolo) e quelle tra le particelle e il vettore liquido. In tal senso, anche la temperatura è un parametro

(4)

4

importante per la stabilità a causa del trasferimento di energia dalle molecole del liquido vettore (moto browniano) alle nanoparticelle. A causa delle forti interazioni dipolo-dipolo, per stabilizzare le MNP come sospensioni di singole particelle o piccoli aggregati (2-3 particelle) occorre rivestirle con un guscio di un materiale appropriato. Tale rivestimento ha l’effetto di aumentare il raggio idrodinamico delle nanoparticelle, rendendo più labili le interazioni magnetiche, la cui intensità decresce esponenzialmente col crescere della distanza tra le particelle interagenti. La superficie reattiva delle MNP è dunque generalmente funzionalizzata con rivestimenti biocompatibili. La repulsione sterica tra particelle funge quindi da barriera fisica che mantiene “a distanza” le particelle e stabilizza il colloide. I rivestimenti delle nanoparticelle possono essere costituiti da diversi materiali sia inorganici che polimerici [Gupta e Gupta, 2005]. I materiali di rivestimento polimerico possono essere classificati in sintetici e naturali. Polimeri di poli(etilene-vinil acetato), poli(vinilpirrolidone) (PVP), poli(acido lattico co-glicolico) (PLGA), poli(etileneglicole) (PEG), poli(alcol-vinilico) (PVA) sono esempi di polimeri sintetici. Polimeri naturali includono la gelatina, il destrano, il chitosano e il pullulano. Inoltre alcuni surfattanti, come sodio oleato, dodecilammina, sodio carbossimetilcellulosa, sono usati per migliorare la dispersione nel mezzo acquoso [Kim, et al., 2001].

Polimeri Vantaggi PEG Destrano PVD Acidi grassi PVA Poly(D,L-lactide)

Immobilazzazione non covalente di tale polimero sulla superfie migliora la bio-compatibilità, il tempo di circolazione sanguigna (emivita) e riduce l’uptake da parte del RES (sistema reticolo endoteliale)

Stabilizza la soluzione colloidale Stabilizza la soluzione colloidale

Stabilità colloidale, gruppi carbossilici terminali da utilizzare per ulteriori funzionalizzazioni

Previene l’agglomerazione delle nanoparticelle a lungo termine

Biocompatibile, assenza di citotossicità

(5)

5

Inoltre, l’aggiunta di molecole bioattive o di loro gruppi funzionali alla superficie delle MNP è una tecnica comunemente utilizzata per aumentare la loro specificità verso specifici bersagli cellulari, impedendo la loro interazione con tessuti o cellule diverse. Varie molecole biologiche come anticorpi, proteine e altri ligandi sono generalmente legate, chimicamente o elettrostaticamente, alle catene polimeriche che costituiscono il rivestimento superficiale delle nanoparticelle.

1.2.3

Applicazioni biomediche delle MNP

Negli ultimi anni, le nanoparticelle magnetiche hanno attratto sensibilmente l’interesse della comunità scientifica per la loro versatilità nei diversi campi di ricerca come quello tecnologico e medico. In particolare nel settore biomedico possono essere sfruttate in differenti applicazioni come fluidi di contrasto per risonanza, sorgenti di calore per ipertermia e vettori per il trasporto di medicinali [Ito et al., 2005]. Tuttavia, per essere utilizzate per scopi biomedicali, le nanoparticelle magnetiche devono soddisfare, contemporaneamente, diverse condizioni, quali:

1. Minima tossicità per il corpo umano; 2. Buone proprietà magnetiche;

3. Omogeneità di dimensione;

4. Facilità di modificazione della superficie (rivestimento) per permettere mirate funzionalità delle nanoparticelle magnetiche in specifici contesti biomedicali; 5. Capacità di accumularsi nell’organo o tessuto bersaglio.

In tal senso l’uso di nanoparticelle con core di ossido di ferro, in particolare Fe2O3

(magnemite) e Fe3O4 (magnetite), è altamente preferibile rispetto ad altri metalli,

in quanto la biocompatibilità di questi materiali è già stata provata [Gupta et al., 2007]. L’organismo è infatti capace di ridurre tali particelle nei loro elementi, consentendone l’entrata nel normale metabolismo del ferro.

Diversi prodotti sono commercialmente disponibili, mentre altri sono oggetto di indagini cliniche approvate dalla FDA (Food and Drug Administration) (Tabella 3) [Goya et al., 2008; Maier et al., 2011].

(6)

6

Tabella 3: esempi di nanoparticelle magnetiche commerciali biocompatibili.

La funzionalizzazione delle nanoparticelle magnetiche con biomolecole attive quali peptidi, proteine, acidi nucleici e farmaci rappresenta una delle maggiori potenzialità nelle applicazioni biomediche di tale sistema. È possibile disegnare nanoparticelle con superfici diverse a seconda dell’applicazione. (Figura 2)

(7)

7

1.2.4 Nanoparticelle magnetiche per drug-delivery

Il termine drug-delivery (rilascio controllato di farmaco) si riferisce ad un sistema di trasporto mirato di un composto farmacologico nell’organismo, in grado di raggiungere il bersaglio, mantenendo inalterate le proprietà terapeutiche del farmaco.

La produzione e la caratterizzazione di nanoparticelle, ricoperte con polimeri biocompatibili, come vettori efficienti da utilizzare nel drug-delivery costituisce il centro di numerose ricerche in ambito biomedico, il cui obiettivo è lo sviluppo di sistemi alternativi di distribuzione mirata dei farmaci nell’organismo. Le potenzialità di un sistema di drug-delivery basato sull’uso di nanoparticelle come drug-carrier (trasportatori di farmaci) sono racchiuse nei seguenti vantaggi: i) capacità di localizzazione specifica nell’organo bersaglio; ii) miglioramento della stabilità del farmaco e della sua emivita; iii) conseguente riduzione del dosaggio; iv) minimizzazione degli effetti collaterali nei tessuti vicini.

Tali potenzialità sono oggi oggetto di studio soprattutto in campo oncologico dove uno dei maggiori svantaggi dei trattamenti convenzionali (chemioterapia) è la non specificità, per cui la somministrazione intravenosa di farmaci citotossici genera importanti effetti collaterali anche a carico dei tessuti sani. In tal senso, le nanoparticelle magnetiche offrono diversi vantaggi. Diversi esempi sono presenti in letteratura; è possibile in generale distinguere tre diverse strategie basate sull’uso delle MNP nel trattamento tumorale: i) drug-delivery: anticorpi o molecole specifiche possono essere coniugate alle MNP che, legandosi a specifici recettori o antigeni unicamente espressi nelle cellule neoplastiche, inibiscono la crescita del tumore; ii) ablazione cellulare: in risposta a campi magnetici alternati, le MNP - eventualmente funzionalizzate per il riconoscimento specifico della cellula tumorale - generano calore inducendo la morte della cellula neoplastica; iii) veicolazione: in risposta a campi magnetici statici generati da opportuni magneti, le MNP caricate con farmaci anti-neoplastici sono concentrate nel sito bersaglio sotto l’azione del campo magnetico generato, consentendo dunque una terapia farmacologica mirata; iv) imaging diagnostico: l’efficacia delle MNP

(8)

8

come mezzi di contrasto per risonanza magnetica (MRI) è documentato da decenni di prassi clinica.

L’uso efficace delle MNP per drug-delivery dipende da molti fattori sia legati al nanofarmaco (proprietà fisico-chimiche del farmaco da veicolare con le MNP, dimensione e carica delle MNP, magnetizzazione) sia al target da raggiungere (profondità del bersaglio, flusso sanguigno, ecc) che giocano un ruolo importante nel determinare l’efficacia terapeutica del sistema. La possibilità di funzionalizzare le MNP con diversi composti rende tale sistema estremamente versatile [Chomoucka et al., 2010].

Ad oggi, esistono numerose formulazioni basate su NP in commercio o in fase di trial clinico: tra le più popolari il Myocet® e il Caelix® (nanoparticelle di albumina contenenti doxorubicina), l’abraxane® (nanoformulazione di paclitaxel), il Genexol® (nanomicelle polimeriche di paclitaxel). La sfida emergente delle MNP è quella di creare nuove modalità “teragnostiche” (termine recentemente coniato per indicare l’unione di proprietà diagnostiche e terapeutiche in un unico farmaco) emergenti dalla combinazione delle proprietà magnetiche uniche delle MNP e dei vantaggi della chimica di superficie offerta dalle NP. La capacità delle NP di poter essere funzionalizzate con biomolecole riconosciute da specifici recettori cellulari che conferiscano specificità e selettività al trattamento è infatti una conoscenza oramai acquisita. Esistono numerosi esempi di nanoparticelle per il “targeting attivo” in trial clinico, in particolare alcune formulazioni liposomiali, quali MCC-465 (doxorubicina liposomiale coniugata con il frammento F(ab)2 dell’anticorpo umano antitumorale GAH), MBP-426 (oxialiplatina liposomiale coniugata con transferrina), SGT-53 (formulazione liposomiale di DNA plasmidico codificante per la proteina p53 fusa a un frammento di anticorpo contro il recettore della transferrina), CALAA-01 (formulazione liposomiale di siRNA funzionalizzata con transferrina) e L-BLP25 (vaccino a formulazione liposomiale funzionalizzata con MUC-1). La sfida imminente è dunque quella di esplorare le reali potenzialità derivanti dalla combinazione delle proprietà fisiche e chimiche delle MNP e le loro potenziali ripercussioni in vari settori della medicina.

(9)

9

1.2.5

MNP per drug-delivery nell’occhio

Da un’analisi della letteratura si evince chiaramente come le principali applicazioni delle nanoparticelle riguardino il settore oncologico, mentre gli approcci diretti al settore oculistico siano modesti e ancora timidi [Guadana et al., 2006]. La struttura oculare rende quest’organo scarsamente permeabile ai farmaci. L’occhio può essere diviso in un segmento anteriore, che comprende la camera anteriore, il cristallino e i corpi ciliari, e un segmento posteriore, si estende dalla superficie posteriore del cristallino alla retina con il corpo vitreo che riempie la cavità omonima. In particolare sono stati testati strumenti per il rilascio di farmaco nella camera anteriore dell'occhio, mentre il targeting della camera posteriore rimane ancora un problema aperto. La coroide e l’epitelio pigmentato retinico (RPE) sono strati sottili situati tra la sclera e la retina nel segmento posteriore dell’occhio: la coroide è uno dei due plessi vascolari dell’occhio mentre l’RPE è un singolo strato di cellule epiteliali pigmentate adiacenti alla retina. La retina e il tessuto RPE/coroide, collocato nella camera posteriore dell'occhio, sono responsabili della maggior parte dei casi di cecità sia dell'infanzia sia dell'età adulta, pertanto l’approccio a tale problematica rappresenta ovviamente una sfida che la comunità scientifica deve cogliere in tempi brevi. Le patologie più diffuse che interessano il segmento posteriore dell’occhio sono la degenerazione maculare senile (AMD), la retinopatia diabetica e altre tipologie di disordini retinici. Il trattamento con fattori neurotrofici o anti-angiogenici, sebbene non curativo, può fermare l’evolversi della malattia e pertanto costituisce un approccio terapeutico promettente. Il limite maggiore della terapia farmacologica oftalmica risiede proprio nella struttura anatomica e fisiologica dell’occhio (Figura.3).

(10)

10

Le strutture oculari, come la barriera emato-retinica, costituiscono delle barriere che limitano la biodisponibilità del farmaco a livello oculare non garantendone livelli efficaci a seguito di somministrazione sistemica. Inoltre anche altre vie di somministrazione, come l’instillazione superficiale o il rilascio subcongiuntivale, presentano gli stessi limiti nel raggiungimento della camera posteriore dell’occhio dovute alla scarsa permeabilità della cornea e della sclera. Le strategie più promettenti in tal senso, ad oggi, sono le iniezioni intravitreali (IVT) e subretiniche. Queste ultime permettono di raggiungere l’epitelio retinico pigmentoso (RPE) ma restano una metodica molto invasiva essendo necessarie, nella maggior parte dei casi, iniezioni ripetute a breve distanza. Le iniezioni intravitreali consistono nell’iniezione di un farmaco in soluzione direttamente nel corpo vitreo. Anch’essa non risulta essere una metodica ottimale in quanto l’elevata concentrazione iniziale di farmaco può causare danni come emorragie intravitreali e altri tipi di complicazioni; inoltre l’umor vitreo, circondando diversi tessuti oculari, rende biodisponibile il farmaco presso tutte le strutture oculari con cui è in contatto, facendo perdere specificità al trattamento. Inoltre, anche questo trattamento deve essere ripetuto molteplici volte aumentando il rischio di infezioni ed effetti collaterali.

L’uso di nanoparticelle come nanocarrier per drug-delivery oculare costituisce un settore biomedico in via di sviluppo. Recentemente sono state avanzate (ma non dimostrate) anche alcune proposte di NP con specificità verso l’RPE, come ad esempio nanoparticelle funzionalizzate con ligandi per vari trasportatori/recettori

(11)

11

(P-gp, MRP, ecc) [Guadana et al., 2009]. Una localizzazione specifica nell’RPE a seguito di iniezioni intravitreali è stata ottenuta nell’occhio sano di ratto con l’utilizzo di nanoparticelle di acido polilattico (PLA) e con nanoparticelle di albumina umana (HSA): in entrambi i casi è stato osservato un movimento delle nanoparticelle attraverso la retina fino alla localizzazione nelle cellule dell’RPE (dopo 4 mesi dall’iniezione) [Bourges et al., 2003; Kim et al., 2009].

L’uso di nanoparticelle magnetiche per applicazioni oculari non è stato ancora testato nell’uomo, anche se recentemente ne è stato proposto l’uso come strumento terapeutico nelle patologie oculari (brevettoUS20130225906). Inoltre, studi su ratti dimostrano la non-tossicità per le strutture oculari delle MNP di ossido di ferro[Raju et al., 2011].

Vari modelli in vivo sono stati proposti per lo studio delle interazioni tra le MNP e i sistemi biologici. Sebbene il sistema più diffuso sia il topo, questo presenta numerosi limiti (elevati costi, impatto etico considerevole, lunghi tempi sperimentali per la valutazione dei risultati, grosse quantità di nanomateriali richiesti per condurre un set sperimentale completo) che possono essere largamente superati utilizzando come sistema modello embrioni di vertebrati non mammiferi per studi in vivo. La biodistribuzione e la tossicità delle MNP è stata recentemente studiata in embrioni di Xenopus laevis [Giannaccini et al., 2013]. Gli embrioni giacché risultano essere indicatori molto sensibili di potenziali effetti avversi sull’organismo sono uno strumento eccellente per l’individuazione di potenziale nanotossicità [Giannaccini et al., 2014]. Nel 100% degli embrioni utilizzati non è stato riscontrato nessuno effetto avverso delle MNP sul normale sviluppo, e nessuna malformazione è stata registrata confermando la non tossicità delle MNP. In un altro studio condotto sempre su embrioni di Xenopus laevis è stato dimostrato come, in seguito all’iniezione al lato del cristallino nella regione anteriore dell’occhio, le MNP si localizzano precisamente nell’RPE senza diffusione nelle regioni oculari circostanti (Figura.4).

(12)

12

Figura 4: MNP (in blu) in embrioni di Xenopus laevis a 24 h (A), 48h (B), 72h(C) dall'iniezione intraoculare

La specificità della localizzazione non sembra dipendere dalle proprietà superficiali delle particelle, come dimostrato da esperimenti condotti saggiando lo stesso tipo di NP ma con cariche di superficie diverse (neutre, positive o negative) così come dalla dimensione delle MNP [Giannaccini et al., 2014b]. La localizzazione, inoltre, sembra non essere specie-specifica in quanto studi preliminari sembrano documentare che le MNP localizzino anche nell’RPE di zebrafish a seguito di iniezione intraoculare [Giannaccini et al., 2014b].

Le MNP hanno dunque un enorme potenziale per lo sviluppo di sistemi di drug-delivery nell’occhio, capaci di rilascio controllato e specifico di composti nell’RPE. Per di più, le MNP potrebbero essere sfruttate anche per trattamenti di ipertermia magnetica nelle patologie iperproliferative dell’occhio in modo tale da aumentare la specificità del trattamento.

(13)

13

1.3 Zebrafish

Lo zebrafish (Danio rerio) è un pesce tropicale di piccole dimensioni utilizzato come sistema modello di vertebrato in diversi campi di studio: biologia dello sviluppo, neurodegenerazione, rigenerazione tissutale, invecchiamento, patogenesi tumorale, ecc.; in particolare, ha dimostrato di essere particolarmente efficace nella predizione di effetti avversi dei farmaci, con una buona correlazione tra i dati ottenuti su zebrafish e dati disponibili sia da studi clinici che pre-clinici. Lo zebrafish è dunque diventato un modello utile per lo screening rapido di effetti teratogeni e tossicologici di farmaci, inclusi nanomateriali [Giannaccini et al. 2014a].

Lo zebrafish produce un gran numero di embrioni per ciascuna fecondazione (centinaia), fornendo in tal modo la significatività necessaria per l’analisi statistica, oltre a facilitare la raccolta di materiale per gli studi. Lo sviluppo embrionale è esterno e rapidissimo, l’embrione si sviluppa completamente 120 ore dopo la fecondazione (hpf) e il tempo di generazione è di circa tre/quattro mesi (Figura 5). Rispetto agli studi basati su mammiferi, i costi di stabulazione e i tempi sperimentali sono molto minori, la valutazione delle interazioni nanomateriale/organismo richiedono piccole quantità di reagenti e, cosa altrettanto importante, l’impatto etico è minore, giacché l’uso dello zebrafish non richiede una licenza (cioè non è regolato da procedure etiche) nell’intervallo temporale che va dalla fecondazione al momento in cui le larve diventano capaci di alimentazione indipendente (5 giorni dalla fecondazione, dpf). Inoltre gli embrioni di zebrafish sono trasparenti durante le fasi di sviluppo e le procedure di microiniezione e microchirurgia sono ampiamente consolidate. Un’altra caratteristica indispensabile che rende favorevole l’utilizzo di zebrafish come modello è la stretta analogia tra il suo genoma e quello umano. Una notevole somiglianza nei processi di segnalazione molecolare, struttura cellulare, anatomia e fisiologia è stata infatti osservata tra zebrafish e vertebrati superiori, in particolare per le strutture oculari. Inoltre, la comunità scientifica di zebrafish ha sviluppato una gamma di risorse, tra cui numerosi ceppi mutanti, collezioni di cloni di cDNA e sequenziamento completo del genoma (www.zfin.org). Infine, linee transgeniche di zebrafish possono essere facilmente generate. Nel loro

(14)

14

insieme, queste caratteristiche rendono lo zebrafish un modello efficace per lo studio e la comprensione delle malattie umane, incluse patologie oculari e un ottimo sistema per il drug-screening.

La diffusione di tale sistema modello ha portato alla generazione di numerose linee transgeniche utili nello studio di pathway molecolari e nella ricerca di geni coinvolti in determinati processi patogenici; diverse linee transgeniche sono state generate per l’imaging di particolari strutture in modo tale da poter seguire in vivo lo sviluppo, apprezzando eventuali discostamenti da una situazione di normalità. La linea transgenica esprimente la GFP (Figura 6C) nelle cellule vascolari endoteliali (tg(kdrl:EGFP)) è ad esempio particolarmente usata negli studi in vivo sulla vascolatura (Figura6). La linea mutante (roy-/-;nacre-/-) detta “casper” presenta un fenotipo caratterizzato da completa assenza degli iridofori e dei melanofori derivanti dalla cresta neurale, mentre le rimanenti strutture epidermiche sono pressoché intatte; grazie a queste sue caratteristica risulta molto

(15)

15

utilizzata soprattutto in studi che richiedano l’utilizzo di microscopia in fluorescenza.

Figura 6: (A) Adulto di zebrafish selvatico; (B) Adulto con fenotipo Casper (roy-/-;nacre-/-); (C) Embrione transgenico a 48 hpf esprimente la GFP nei vasi: tg(kdrl:EGFP)

(16)

16

1.3.1

Zebrafish

come

modello

per

lo

studio

dell’angiogenesi

Il controllo della neo-angiogenesi è una componente fondamentale nella progressione delle malattie vascolari e della crescita tumorale. La stimolazione dell’angiogenesi negli adulti ha la potenzialità di rendere più efficace il trattamento delle malattie vascolari ischemiche, mentre l’inibizione terapeutica della neo-angiogenesi è un’importante strategia in varie forme di tumori solidi mediante la soppressione della crescita del tumore e la prevenzione delle metastasi.

Lo zebrafish risulta un ottimo modello per lo screening di composti che influenzano la formazione dei vasi sanguigni in quanto il pattern di espressione è estremamente caratterizzato durante i vari stadi dello sviluppo dell’embrione. Già dopo 24 hpf, nell’embrione è presente un semplice loop circolatorio costituito da un abbozzo cardiaco, dall’aorta dorsale e dalla vena assiale (vasculogenesi) e dal dotto di Cuvier in cui circola il sangue nello yolk nelle prime fasi dello sviluppo garantendo sostentamento all’embrione. Tra le 48 e le 72 hpf i vasi maggiori del tronco sono formati e nella regione gastro-intestinale compare la regione delle vene subintestinali (SIV) che si sviluppa tramite processo angiogenico, indotto dal legame tra il VEGF e il suo recettore tirosin-chinasico (KDR) specifico per le cellule endoteliali, dando luogo ad una regione che appare estremamente definita in embrioni a 72 hpf (Figura. 7).

Figura 7: Sviluppo del sistema vascolare in embrioni di zebrafish nelle prime fasi di sviluppo [Serbedzija et al, 2000]

(17)

17

La regione delle vene subintestinali nelle prime fasi dello sviluppo appare come un canestro che si estende sulla superficie dorsolaterale dello yolk in entrambi i lati (Figura.8). Presenta un pattern di vasi sanguigni molto definito, con ramificazioni precise, di cui è possibile seguire lo sviluppo in vivo o tramite colorazioni istologiche, per cui risulta di facile osservazione la valutazione di eventuali modificazioni del fenotipo.

Diversi sono gli studi presenti in letteratura che utilizzano le SIV come modello di neo-angiogenesi, sia per screening di composti pro o anti-angiogenici, sia per lo studio dell’angiogenesi tumorale. Nel primo caso, ad esempio, Serbedzija et al.[2000] hanno verificato l’azione di due inibitori angiogenici già testati in mammifero. In entrambi i casi è evidente la riduzione delle formazione dei vasi sanguigni quando gli embrioni sono trattati con tali inibitori; allo stesso tempo è

Figura 8: (A) Schema delle fasi di sviluppo delle vene subintestinali (SIV). (B)Embrioni di zebrafish mostranti lo sviluppo e il pattern di espressione della regione delle SIV [Nicoli e Presta, 2007]

(18)

18

evidente un effetto pro-angiogenico quando gli embrioni sono trattati con VEGF (Figura 9).

Figura 9: Embrioni di zebrafish trattati con composti ad azione anti-angiogenica (sinistra) e pro-angiogenica (destra). [Serbedzija et al., 2000]

L’effetto pro-angiogenico osservato negli embrioni zebrafish trattati con VEGF o con altri composti pro-angiogenici si riflette sempre in modificazioni della regione delle subintestinali, il cui fenotipo è pressoché sempre lo stesso: la presenza di vasi soprannumerari e la formazione irregolare di tale regione è generalmente ben visibile, anche tramite studi in vivo di fluorescenza condotti su embrioni Tg(kdrl:EGFP), come documentato in numerosi lavori [Ma et al., 2007; Raghunath et al., 2009](Figure 10 – 11).

Figura 10: Modificazione del fenotipo angiogenico della regione delle SIV in embrioni zebrafish trattati con VEGF A) embrione di controllo, B) embrione iniettato. [Ma et al., 2007]

(19)

19

1.3.2

Zebrafish e nanoparticelle

Lo zebrafish essendo dunque un ottimo modello per lo screening di composti differenti risulta, ad oggi, il sistema modello tra i non mammiferi più utilizzato anche in studi di nanotossicologia. Le nanoparticelle da testare vengono in genere somministrate in embrioni allo stadio prescelto tramite tre diverse vie: microiniezione, assorbimento o sotto forma di cibo. Studi diversi basati sullo studio delle interazioni tra NP e sistemi biologici rivelano che le malformazioni più comuni causati dall’assorbimento di nanoparticelle tossiche in zebrafish sono difetti gastrointestinali, difetti del muscolo scheletrico, della coda o di flessione del midollo spinale, edema, assenza della coda, notocorda contorta, bassa frequenza cardiaca, edema pericardico, degenerazione di parti del corpo, difetti

Figura 11: Effetti pro-angiogenici in embrioni zebrafish trattati con composti ad azione angiogenica . A) controllo, B) iniettato con VEGF, C) iniettato con HDZ 0.5 mM, D) iniettato con HDZ 1 mM [Raghuntan et al., 2009]

(20)

20

della mandibola, difetti della testa, danni neurologici e raramente acefalia. Studi su zebrafish hanno permesso di determinare i parametri che più influenzano le interazioni in vivo, determinando tossicità più o meno acuta. Ad esempio, in alcuni studi condotti su roditori e poi riconfermati su zebrafish, la dimensione risulta essere un parametro che può influenzare la tossicità di particelle: ad esempio, la tossicità di nanoparticelle di silice diminuisce con il diminuire della dimensione [Cho et al., 2009]; simili osservazioni sono state riscontrate anche con nanoparticelle di oro, nichel o chitosano [Hu et al., 2011; Geffroy et al., 2012; Ispas et al. 2009]. Altri studi, condotti sempre su zebrafish, mostrano come anche la carica delle particelle giochi un ruolo fondamentale: particelle d’oro cariche positivamente o negativamente hanno effetti tossici sull’embrione rispetto alle stesse particelle neutre [Harper et al., 2011]. La funzionalizzazione della superficie delle nanoparticelle può anche essa giocare un ruolo importante nel determinare effetti tossici nei sistemi biologici in quanto il rivestimento della nanoparticella può interagire con proteine o altre strutture, causando agglomerati o fenomeni di opsonizzazione. Uno studio su zebrafish ha esaminato due diverse nanoparticelle di PbS con un nucleo identico e di dimensione equivalente, che sono stati funzionalizzate con sodio 3-mercaptopropanesulfonate (MT) o con sodio 2,3-dimercaptopropanesulfonate (DT). È stato osservato che l’uso del ligando MT aumentava il tasso di mortalità e la velocità di formazione di malformazioni in contrasto con il ligando DT, effetto probabilmente dovuto alla decomposizione più veloce del ligando MT che causa l’aggregazione delle NP e la produzione di ioni Pb tossici [Truong et al., 2011].

Studi interessanti riguardano l’uso di zebrafish per la valutazione di effetti angiogenici da parte di particolari NP. Embrioni di zebrafish sono stati iniettati con nanoparticelle di PLGA funzionalizzate con la proteina 1K1 (potente agente angiogenico); un significativo incremento nella formazione di vasi sanguigni e di proliferazione cellulare è stato ottenuto dall’iniezione delle nanoparticelle funzionalizzate, rispetto all’effetto osservato dall’iniezione della proteina tal quale (Figura 12). Effetti simili sono stati osservati anche in topo [Roy et al., 2010].

(21)

21

Figura 12: Zebrafish trattati con nanoparticelle funzionalizzate con la proteina 1K1 (destra), effetti pro-angiogenici sulla regione delle SIV

Riferimenti

Documenti correlati

Tra i vari tipi di propulsori elettrici è molto promettente per le applicazioni ad alta potenza la famiglia di motori ad effetto Hall, sia nella tipologia SPT (Stationary

Dall’analisi della “carta di sintesi del rischio idrogeologico”, realizzata dall’Autorità di Bacino del Fiume Serchio, è emerso che esistono zone ad elevato e molto elevato

Now we explore whether the insights obtained from the infinite size limit of the global interaction case carry over to setups with a finite but large population, where agents

[r]

Gli studi effettuati nella prima parte di questa tesi sono stati condotti al fine di migliorare la biodisponibilità dell’ ossitetraciclina cloridrato nelle specie

Abbiamo realizzato un progetto Europeo che riguarda il tema delle persone che hanno problemi ai piedi, quindi tutto ciò che si può fare per migliorare la progettazione delle

Concerning the first channel of privatization, a number of social sector firms throughout Yugoslavia have from mid- 1990 onwards offered internal shares to their

In the contemporary media scenario, access to the Internet is a necessary condition for a concrete achievement of some fundamental human rights such as freedom of speech,