CAPITOLO 3
Lo strumento nelle fonti letterarie
L’ ambito degli strumenti musicali nella Grecia arcaica e classica è tra quelli meno esplorati dagli archeologi e musicologi. Eppure il significato
che la musica aveva nella vita dei Greci dei più vari livelli sociali, a
partire dal momento della loro formazione culturale e, via via, nelle
diverse occasioni della vita quotidiana, lo possiamo ricavare non solo dalle molteplici testimonianze dell’arte figurativa, ma anche da fonti letterarie di diverso genere, dalla riflessione filosofica (anche nota dalle
fonti letterarie) e, in particolare, dalle fonti letterarie stesse. Il concetto
di tetracordo, su cui è basata la teoretica musicale greca, è la chiave di volta per capire l’importanza attribuita nell’antichità classica agli
strumenti musicali da noi oggi denominati “cordofoni”1
.
Nelle fonti letterarie gli strumenti a corda della Grecia antica vengono
classificati come “strumenti a percussione” ( γ ),
oppure ι (tesi) o θ π ά (toccati); la definizione di “battere la corda” viene chiarita non solo da numerose testimonianze di scrittori antichi, ma soprattutto dalle innumerevoli immagini riscontrabili
nella ceramica a f.r. della fine del VI e degli inizi del V sec a.C.. Ad esempio, l’azione del plettro documentata dalle immagini vascolari è
1
confermata da alcuni reperti archeologici, come i plettri della lunghezza
di 20 cm conservati a Roma nel Museo di Villa Giulia2.
Se esaminiamo in ordine cronologico le fonti letterarie che citano
il barbitos, veniamo a sapere che lo strumento era usato dalla fine del VII
secolo dai poeti di Lesbo come accompagnamento ai vari tipi di lirica, tra cui le canzoni d’amore e quelle relative ai simposi; ma è soprattutto nel V secolo, quando lo strumento diventa comune in tutta la Grecia, che lo
strumento finisce per essere largamente usato per accompagnare il canto
e la danza durante il simposio o in altre circostanze connesse al culto di
Dioniso3. E’ probabilmente per questo suo legame privilegiato con il
vino e quindi con Dioniso, che l’uso del barbitos viene esteso dalle attività dei mortali a quelle dei satiri e delle menadi del suo tiaso e, in un
solo, eccezionale caso, a Dioniso stesso4 (Cfr. scheda n. 30).
La frequente associazione del barbitos con poeti quali Terpandro, Alceo,
Saffo e Anacreonte, sembra indicare che, era uno dei principali strumenti
usati durante le loro performance musicali. E’ possibile, quindi, fare alcune congetture ragionevoli circa il ruolo del barbitos nello
svolgimento della poesia lirica.
Gli autori del VI e del V secolo testimoniano come lo strumento fosse
usato in differenti occasioni, e come il suo nome, spesso, sia stato
frainteso, ritenendolo talora un sinonimo di liuto, lira o arpa, in realtà 2 Marcellino 1999, p.90 3 Snyder 1972, pp. 331-332 4 Castaldo 2000, p. 88
strumenti diversi, anche se tutti appartenenti alla famiglia degli strumenti
a corda.
La prima testimonianza letteraria la troviamo in un papiro che
conserva alcuni versi di Alceo (D12 2-3 LP)5, dove è presente una delle
varianti dialettali usate per indicare lo strumento, barmos, (l’altra è baromos)6:
…si diverte partecipando al simposio il barmos……
La strofa è incompleta ma sembra si stia criticando qualcuno per il fatto
che si stia bevendo mentre si ascolta la musica del barmos. Se ne deduce
che lo strumento veniva utilizzato durante un simposio.
Oltre ad essere uno strumento familiare, come visto, per Alceo, lo
era anche per Saffo ed Anacreonte.
Nel fr. 176 di Saffo leggiamo7:
βά βι ς. βά ω ς. Βά ς
barbitos. baromos. barmos
5
Alceo, Fr. D12 2-3 LP, 1971 (Voigt E.M.) p.207
6
Frisk 1960, p.220
7
Tale attestazione conferma sia la caratteristica costruttiva dello strumento sia il suo utilizzo all’interno della sfera simposiale ma soprattutto che non si tratta della lira ma del barbitos.
Per quanto concerne Anacreonte invece, nel libro IV dei Deipnosofisti di
Ateneo al paragrafo 182e leggiamo8:
Euforione nel suo saggio sui Giochi Istmici afferma: quelli che oggi sono chiamati suonatori di nabla, di pandoura e di sambuca, non si servono di strumenti moderni: infatti il bàromos e il bàrbitos, nominati da Saffo e Anacreonte, la màgadis, i trgoni e le sambuche sono strumenti antichi.
Tuttavia il ruolo del barbitos all’interno del simposio è confermato
anche nella collezione di sessanta piccoli componimenti conosciuti come
Anacreontiche, non attribuibili tuttavia al poeta, ma di età ellenistica e
quindi di poco valore documentario; il massimo che si può dire è che
mantengono la tradizione circa l’uso del barbitos nei simposi e, al tempo
stesso, lo ritraggono come il principale strumento a corda usato per
l'accompagnamento della danza dionisiaca9.
8
Ateneo, Deip., Vol.IV in Canfora L. 2001, p. 444-445 (Gambato M.L.)
9
Una ulteriore testimonianza letteraria la troviamo in Crizia,
scrittore ateniese della seconda metà del V sec. a.C. che nel fr. 8D, citato
di seguito, discute il talento di Anacreonte come compositore di canti
destinati al simposio e lo definisce φιλ βά βι ς, cioè “amico del barbitos”:
Colui che un tempo canzoni su muliebri melodie compose, il dolce Anacreonte, Teo generò alla Grecia,
ardore dei simposi, delle donne ammaliamento,
agli auli contrario, amico del bàrbito, dolce senz’affanni. Mai l’affetto per te invecchierà o dovrà morire,
finchè l’acqua mescolando al vino nelle coppe il ragazzo servirà attorno,
guidando i brindisi con giro a destra,
e il piattino, figlio del bronzo, starà poggiato sulle punte del cottabo, cime elevate pronte alle stille di Bromo.
Ed è proprio questo il dio che il saggio Anacreonte celebra di continuo
nei suoi propri carmi; qui Crizia presenta Anacreonte con una fitta serie di qualificazioni: l’ispirazione legata alle donne (cfr. “muliebri melodie” cioè melodie che hanno per tema le donne); la destinazione simposiale della sua poesia (cfr. “ardore dei simposi”, dove l’ardore è il senso di festosa eccitazione provocato dalla musica, dalla danza e dal vino); e
infine il potere di seduzione del suo canto10.
Secondo Pindaro, poeta lirico del VI-V sec., l’inventore dello
strumento, usato soprattutto per allietare con la sua musica il simposio, fu
Terpandro di Lesbo11.
Nel fr. 125 Snell12 di Pindaro leggiamo:
Terpandro di Lesbo lo trovò, per primo, quando nei banchetti dei Lidi lo sentì pizzicare in contrappunto all’arpa acuta13.
10
Ateneo, Deip., Vol.XIII in Canfora L. 2001, p. 1541 (Gambato M.L.)
11
Maas-Snyder 1989, pp.113-138
12
Pind. Fr. 125, ed. Tevbneri 1964 (Snell B.) p.10; Cfr. Pind. Fr. 125, ed. Tevbneri 1989 (Maehler H.) p.111
13
Ateneo, Deip., Vol.XIV in Canfora L. 2001, p. 1642 (Gambato M.L.) La pectis è un particolare tipo di arpa
La maggior parte degli studiosi moderni interpreta questo frammento nel
modo seguente14:
lo trovò il lesbio Terpandro, per primo, un tempo, ai conviti dei Lidi,
all’udire il pizzicato dell’alta pectis che rispondeva.
Nel primo caso il barbitos sarebbe stato inventato da Terpandro per
rispondere, con tono grave, all’acuta pectis; nel secondo caso, invece, lo
strumento sarebbe stato inventato sul modello della pectis, impiegata dai Lidi in “risposta” o ad un altro strumento non specificato, o alla voce
umana15. Questa ultima interpretazione appare preferibile perché il
frammento pindarico è ripreso da Ateneo da un passo di Aristosseno (fr.
98 Wehrli) dedicato alle arpe, nel quale il melico tebano era citato
proprio a supporto del fatto che la magadis e la pectis si suonano senza
plettro, mediante pizzicamento16. Che il barbitos potesse essere pizzicato
è per lo meno ammissibile, dal momento che gli strumenti della famiglia
delle lire erano suonati sia mediante percussione con il plettro, sia mediante pizzicamento, sicuramente a partire dall’età classica ma forse già prima. D’altra parte, però, le testimonianze iconografiche (a partire
dall’ultimo quarto del VI sec. a.C.) mostrano che il barbitos era
prevalentemente suonato con il plettro17: è perciò evidente che, se si deve
14 Franklyn 2007, p.197 15 Ercoles 2012, p.5 16 Rocconi 2003, pp.26-30 17 West 1992, pp.57-59
individuare un tratto caratteristico dello strumento derivato dalla pectis,
questo può difficilmente essere riconosciuto nel modo di esecuzione18.
Il barbitos inventato dal Lesbio condivideva verosimilmente con l’arpa lidia il fatto di suonare in “risposta” (ad un altro strumento o alla voce umana), ovviamente su una tonalità grave e non acuta come quella della
pectis. Nondimeno va ricordato come lo stesso Pindaro nel suo Encomio
125-126, afferma che uno dei risultati più lodevoli che Terpandro abbia
raggiunto è stata l’aggiunta di tre corde al barbitos, che prima ne aveva
solamente quattro19. A Terpandro è connessa anche un’ antica idea
riguardante l’ordine del “microcosmos”, cioè l’influenza della musica utilizzata per nobilitare e/o svilire uno stato d’ animo; per esempio, Orfeo
suonando la lira otteneva un effetto “addomesticante” sugli animali
selvatici, un esempio questo, che rende conto di come la musica eserciti
un’influenza benefica sullo spirito umano20
.
Un altro poeta lirico legato particolarmente al barbitos è Bacchilide, che
inizia una delle sue poesie (fr. 20)21 con una dedica al barbitos:
oh barbitos, non restare più appeso al chiodo, non trattenere la chiara voce delle tue sette corde
venire qui nelle mie mani
18 Ercoles 2012, p.6 19 Van Schaik 2007, p.2 20 Cfr. p.10 21 Edmonds 1927, p.216
Non sappiamo con esattezza se si tratta semplicemente di un concetto
poetico ad imitazione dei suoi predecessori, Alceo e Saffo, o se
realmente Bacchilide accompagnasse la sua musica o il suo canto con il
barbitos.
Anche Simonide di Ceo (ca.556-468 aC), zio di Bacchilde, nonostante
non faccia mai menzione del barbitos nella sua produzione, viene
associato allo strumento da Teocrito che scrivendo nel III a.C., si
riferisce a Simonide come al divino cantore (aedo) di Ceo, che con
l'accompagnamento del suo barbitos "a più corde" ha cantato le lodi dei re, che, nonostante la loro grande ricchezza, l’hanno tramandato ai
posteri (Teoc.16.42-47)22.
θ ĩ ς ά ιδάς Κήι ς ί λ φω έω Βά βι ς π λ δ έ δ ι θή ς
Οπλ έ ις ι ς δέ ί θ έ ς έλλ ιππ ι
se il cantore di Ceo, d'arte mirabile, modulando con vario tono i canti sopra il barbitos dalle molte corde,
presso i posteri non li avesse resi degni di fama ed ebbero anche onore, tornando dalle loro sacre gare, con le corone,
i rapidi cavalli.
22
Uno strumento quindi collegato all’accompagnamento di odi di vittoria, encomi e altri tipi di canti oltre a quelli semplici destinati al simposio.
Oltre ai citati poeti lirici arcaici a parlare del barbitos è anche il
commediografo greco Aristofane nella sua opera “Tesmoforiazuse” (vv.137-138). Le Tesmoforie sono una delle feste più antiche e diffuse in
Grecia, sia nella madrepatria, sia nelle colonie d’Oriente e d’Occidente;
avevano carattere tipicamente agrario e riconoscevano in Demetra e
Persefone-Kore le divinità tutelari.
Il poeta Agatone è rappresentato con indosso un costume che lui stesso
associa con l’abito di poeti ionici come Anacreonte e Alceo, comprendente il krokotos (tunica color zafferano), lo strophion (cintura),
il kekrypahlos e la mitra. La festa delle Tesmoforie, era limitata alle sole
donne ed è proprio qui che Euripide desidera che Agatone vada alla festa
travestito da donna in modo che possa infiltrarsi e difendere la sua
reputazione. La ragione per cui Agatone è stato scelto è perché possiede
un aspetto effeminato, descritto in dettaglio nella commedia. Ciò che
tuttavia a noi interessa sono le caratteristiche tecniche dello strumento
illustrate da Aristofane, il quale dichiara che si tratta di uno degli attributi
per eccellenza di Dioniso23.
23
Ai versi 136-38 della sua opera leggiamo24:
da dove (viene) quest’uomo effeminato? quale è la patria? quale la veste?; che cosa è questo disordine della vita?
che cosa dice il barbitos alla veste color zafferano? che cosa la lira alla kekryphalos?
Tra i poeti comici del V sec. che citano il barbitos, ricordiamo il fr.
15 di Anassila di seguito riportato25:
Costruivo barbiti tricordi, arpe, pektides, cetre, lire, skindapsoi.
E’ molto interessante notare come, a distanza di tempo, Ateneo (IV 183b) citi Anassila come “costruttore di lire” ma al tempo stesso non
accetta la sua versione proponendo invece la seguente:
Costruivo barbiti, tricordi, arpe (pektìdes), cetre, lire, skindapsoi.
24
Cfr., p.8
25
Leggendo la versione di Anassila si è indotti a pensare che il barbitos
fosse uno strumento a tre corde, quindi un tricordo; ma Ateneo,
aggiungendo una virgola dopo la parola barbiti, ci fa comprendere come
il barbitos non fosse affatto uno strumento a tre corde. Una conferma di c
questo è la notizia relativa all’aggiunta delle corde effettuata da
Terpandro (da quattro a sette), prima ricordata.
Dei tragediografi del V secolo, solo Euripide menziona il barbitos,
una volta nel Ciclope e una volta nell’ Alcesti. E’ interessante notare
come entrambi i riferimenti mostrano il collegamento speciale del
barbitos con il tiaso dionisiaco.
Nel Ciclope ai versi 37-40, leggiamo26:
Che cosa è questa? lo strepito dei miei danzatori di sikinis, un uguale baldoria ora per noi come quando con Bacco
marciando compatti andavamo alla casa di Altea, sculettando al suono di barbiti27
Qui il vecchio Sileno, prigioniero di Polifemo, sente nella grotta del
ciclope, le pecore guidate da un satiro-pastore e dice che il rumore gli
26
Eurip. Cycl. Vv. 37-40, ed. Oxford 1988 (Seaford R.), p.64
27
ricorda i vecchi tempi, quando tutti erano liberi e solevano bere in onore
di Bacco mentre danzavano sulle note delle “canzoni per barbitoi”28
.
Seaford, nel suo commento al Ciclope, ricorda che questo strumento
rientra nel registro grave ed è più lungo rispetto alla lira; appare frequentemente con l’aulos in immagini di komoi, di satiri e di scene generalmente dionisiache. Si tratta della prima testimonianza letteraria circa l’uso del barbitos per accompagnare una danza, dal momento che
l’opera è anteriore al 438 a.C.29
Nell’ Alcesti ( vv. 343-347) leggiamo30:
Non potrei più toccare le corde del barbitos, né innalzare l’animo per cantare al suono del flauto libico31.
Qui Admeto dichiara quanto le mancherà Alcesti dopo che gli avrà
salvato la vita morendo al suo posto. Tra le cose che egli promette di fare
durante il lutto sono i festeggiamenti e durante il simposio utilizzerà il
suo barbitos ed anche l’aulos. Eppure sembra chiaro che qui il barbitos,
non abbia un significato speciale a causa della sua associazioni con il
simposio32. 28 Snyder 1972, p.78 29 Wegner 1949, p. 186 30
Eurip. Alc. vv. 343-347, ed. Oxford 1984 (Diggle E.) p. 432
31
Traduz. dell’Autore
32
Susanetti, nel suo commento ad Alcesti, fa riferimento al barbitos
ricordando, semplicemente, che è uno strumento a corda simile alla lira,
ma con corde più lunghe33.
Al termine di questo “excursus letterario” merita una citazione
anche un autore del I secolo d.C., Plutarco, il quale, nei suoi Moralia
contrappone in modo mirabile le qualità del musico alle caratteristiche
che dovrebbe avere un uomo politico.
Nel commento di Caiazza all’opera leggiamo34:
Come, dunque, il musico che ama la consonanza userà ogni strumento accordandolo con perizia tecnica al canto e maneggiandolo con regola a seconda del suono che per natura è adatto a produrre, ma alla fine, dopo aver messo da parte pettini, sambuche, salteri di diversi suoni, barbiti e trigoni, preferirà la lira e la cetra; allo stesso modo l’uomo politico ben maneggerà l’oligarchia spartana istituita da Licurgo, accordando a sé
33
Cfr. Susanetti 2001, p.203
34
gli uomini di uguale potere e dignità, imponendosi moderatamente; si adatterà bene anche alla democrazia che ha molti suoni e molte corde, ora allentando ora tenendo le corde del governo, cedendo in un’occasione e altra volta mostrando un carattere deciso, sapendo contrastare e resistere…
Sembra questo discorso riprendere ciò che, precedentemente, ho accennato riguardo l’ordine del “microcosmos” in Terpandro; questa in Plutarco, invece, è una musica da prendere come esempio nell’organizzare l’amministrazione di un popolo, il cui capo deve essere abilmente preparato ad affrontare qualche “sconveniente stonatura”. A tal proposito, è bene ricordare come, fra i Greci, fin dai tempi più
antichi, era molto diffusa, e comunemente condivisa, l’idea che la musica
fosse in grado di operare potentemente sugli esseri umani, e di
influenzare i modi nei quali vengono registrate le percezioni, formulati i
pensieri, regolato il modo di vivere.
Quando i poeti dicevano che la musica viene -agli dèi, intendevano
certamente dire che porta qualcosa di buono in un mondo altrimenti
aspro e difficile; ma intendevano anche significare che può agire su di
noi con la stessa forza e la stessa potenza di un intervento diretto degli
dèi, e in modi altrettanto miracolosi35.
35
La musica può dare gioia, come Afrodite d’oro; può infondere coraggio,
o far perdere il senno, proprio come gli dèi omerici possono destare lo
spirito guerresco di un eroe o indurlo a compiere azioni sciocche e
insensate, o, come in Plutarco, può “armonizzare” il potere politico con il