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CAPITOLO II

LA RIFORMA DEL TITOLO V DELLA COSTITUZIONE.

NUOVI ORIZZONTI PER I SOGGETTI PRIVATI?

Le stesse motivazioni che all'inizio degli anni '90 portarono a guardare con rinnovato interesse al problema dell'effettività della tutela del diritto alla salute, indussero il Legislatore ad intervenire nuovamente sull'assetto del sistema sanitario nell'intento di riqualificare il servizio nella prospettiva della promozione di condizioni di difesa e sviluppo della persona.

La riforma costituzionale del Titolo V ha contribuito a dare fondamento a questa prospettiva distinguendo la competenza statale a determinare i livelli essenziali delle prestazioni concernenti i diritti civili e sociali che devono essere garantiti su tutto il territorio nazionale (ex art.117, comma2, lett. m) Cost.) e la competenza regionale a disciplinare l'ordinamento dei rispettivi servizi.

La distinzione delle competenze riflette non soltanto esigenze di parità di trattamento quanto alla garanzia dei diritti dei cittadini ma dà anche rilievo ad una più generale finalità di sviluppo della persona umana. Come analizzato nel precedente capitolo, il risultato principale delle riforme del periodo 1992-99, dettate ad onor del vero anche e soprattutto dalla crisi fiscale dello stato e dal mutare dei soggetti pubblici, fu il recupero di importanza del momento della programmazione nel contesto di un nuovo raccordo tra pubblico e privato. Il D.lgs. 502/92 e da ultimo il D.lgs 229/99 diedero avvio ad un processo di vera e propria “esternalizzazione dei servizi sanitari” sia a livello organizzativo che a livello di azione amministrativa.

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Se tradizionalmente i soggetti privati avevano ricoperto semplicemente un ruolo di concorso al raggiungimento di finalità pubbliche, la nuova generalizzazione e personalizzazione del servizio ha fatto si che prendesse vita un sistema di fornitura caratterizzato dalla presenza di strutture pubbliche e private aventi requisiti tra loro comparabili e fungibili, tali da porle in posizione di parità e di reciproca concorrenzialità nei confronti del diritto di libera scelta dell'utente.

Questo sistema di concorrenza tra strutture pubbliche e private trovò successivamente valido fondamento costituzionale nella Legge Costituzionale n.3 del 2001 di riforma del titolo V, parte II, della Costituzione e più precisamente nell'affermazione, di cui al quarto comma dell'art.118, del principio di sussidiarietà orizzontale secondo cui le istituzioni pubbliche <<favoriscono la autonoma iniziativa dei cittadini, singoli e associati, per lo svolgimento di attività di interesse generale>>23. Dalla solidarietà delegata ai pubblici poteri si passa

dunque ad una solidarietà esercitata direttamente dai soggetti destinatari, dai singoli e dalle famiglie nei rapporti diretti tra loro. Ciò portò ad un ancor più incisivo spostamento di ruoli fra momento pubblico e privato e ad un'organizzazione diffusa del servizio sanitario stesso.

Allo spostamento della gestione in prossimità dei destinatari mediante la valorizzazione dei rapporti di solidarietà sociale corrisponde poi anche un parallelo cambiamento nell'allocazione delle responsabilità e delle funzioni verso livelli più prossimi alla collettività di utenti-destinatari. Le tendenze invalse nel campo della sanità vedono infatti le Regioni attribuirsi, con i piani regionali, compiti meramente

23 Art.118, comma4, Cost.: <<Stato, Regioni, Città metropolitane, Province e

Comuni, favoriscono l'autonoma iniziativa dei cittadini, per lo svolgimento di attività di interesse generale, sulla base del principio di sussidiarietà>>

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regolativi e non di governo, quest'ultimi demandati invece agli enti locali, Comuni e asl. Complice il nuovo assetto organizzativo le realtà locali da una parte mantengono il c.d. “ruolo Pac” (programmazione, acquisto e controllo) ma dall'altra perdono ogni ruolo gestorio a vantaggio dei soggetti accreditati. Niente di meno di una perfetta traduzione in termini concreti del principio di sussidiarietà istituzionale (o verticale) e dei principi di adeguatezza e differenziazione sanciti dal nuovo Titolo V nel primo comma dell'art.118.

2.1 Il nuovo quadro costituzionale delle competenze.

Per comprendere la <<direzione>> del nuovo Titolo V della Costituzione e di come esso influenzi la legislazione e l'amministrazione sanitaria risulta decisivo, oltre allo studio delle sue disposizioni, anche una corretta osservazione dello status quo legislativo che ha preceduto l'entrata in vigore della riforma.

La materia <<assistenza sanitaria e ospedaliera>>, così come era indicata nel previgente art.117 Cost., non poteva essere pienamente assimilabile agli altri settori di competenza regionale. I motivi addotti a sostegno di tale conclusione spaziavano dall'intensità dei limiti cui sono sottoposte in materia la legislazione e l'amministrazione delle Regioni, alle peculiari forme e modalità di finanziamento, nelle quali la parte essenziale della spesa sanitaria ed ospedaliera non può non gravare sullo Stato, per l'evidente ragione che <<il diritto alla salute spetta ugualmente a tutti i cittadini e va salvaguardato sull'intero territorio nazionale>>24.

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Con riferimento alla potestà legislativa, il nuovo articolo 117 diede risposta concreta all'esigenza di assicurare un trattamento uniforme agli interessi da soddisfare ridenominando, in primo luogo, la materia come <<tutela della salute>>25 ma confermandola come oggetto di

potestà legislativa concorrente ed infine articolando tale competenza in modo da riconoscere attitudine espansiva al <<limite dei principi>>.

Con l'autorevole avallo della Corte Costituzionale si è consentito al legislatore statale non soltanto di emanare disposizioni di dettaglio auto-qualificandole <<principi fondamentali e norme di riforma economico-sociale della Repubblica>>26, ma anche di usare

ampiamente la funzione di indirizzo e coordinamento come vero e proprio strumento di governo della sanità, con uno svuotamento di fatto dell'autonomia regionale.

L'obiettivo del legislatore riformista era quello di separare nettamente la potestà statale (esclusiva o concorrente “per principi”) da quella regionale (concorrente “di regolazione” o residuale). Tali sforzi hanno però dovuto fare i conti con l'oggettiva impossibilità di pervenire a

25 Tale dizione consente di ricomprendere al suo interno tutti i vari settori di attività protetti dall'art.32 Cost. tra cui, oltre alle attività di assistenza ospedaliera, anche gli interventi in materia di igiene e sanità pubblica e allo stesso tempo di equiparare sostanzialmente la posizione delle regioni ordinarie a quelle ad autonomia speciale, per le quali l'ambito materiale compreso nella potestà concorrente è indicato dai rispettivi statuti speciali in termini più analitici. Si veda a titolo di esempio l'art.3, lett l, st. V.d'A.: <<igiene e sanità, assistenza ospedaliera e profilattica>> o l'art. 17 lett b) e c) st. Sic.: <<igiene e sanità pubblica>> e <<assistenza ospedaliera>>.

26 Sulla prassi di estendere la qualificazione di “principi fondamentali” anche a norme di dettaglio si veda la sent. Corte Cost. n. 355 del 1993 per la

legittimazione delle norme di dettaglio collegate da un nesso di “coessenzialità” e “necessaria integrazione” con i principi attinenti alle strutture del S.s.n. Si distingue poi all'interno di esse tre diverse tipologie di norme di dettaglio: “interpretative”, volte cioè a specificare il senso dei principi fondamentali ad essi legate organicamente, quelle che fissano requisiti organizzativi minimi

rispondendo ad un interesse nazionale, ed infine quelle “dispositive” volte cioè a sollecitare l'operatività di nuove regole.

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rigide delimitazioni di confini per la potestà legislativa, soprattutto in un settore come quello del diritto alle prestazioni sanitarie (così come tutti gli altri tipi di diritti “sociali”), contraddistinto da ineliminabili interferenze tra potestà statale e regionale27. In una siffatta prospettiva

di necessaria coesistenza, i meccanismi di riparto prescelti appaiono pertanto solo formalmente forieri di separazione, ma nella sostanza legittimanti ampi spazi di sovrapposizione e di “intrusioni” statali28.

Quando si tratta di organizzare un servizio a carattere nazionale infatti le regole del riparto fra Stato e soggetti dotati di autonomia in tema di legislazione concorrente non possono essere intese in maniera così rigida da impedire alla legislazione statale di porre in essere strumenti normativi ed organizzativi diretti al perseguimento dei fini generali del servizio29.

In primo luogo, già il criterio “federalista”30; scelto per individuare i

rispettivi settori di competenza, per cui quella statale è sempre espressa e titolata mentre quella regionale è generale e residuale, più che garantire un preciso riparto di compiti sembra piuttosto invertire l'onere della prova, facendo gravare sullo Stato la necessità di provare l'esistenza di un titolo di legittimazione espresso che sottrae l'oggetto

27 Cfr. C. Aquili, La potestà legislativa regionale nella riforma del Titolo V: le

prospettive aperte e i nodi connessi all'attivazione delle nuove disposizioni costitzionali, in http:// www.amministrazioneincammino.luiss.it

28 Cfr. E. Menichetti, La tutela della salute tra competenze <<divise>> e interessi

<<concordati>> in La sanità italiana tra livelli essenziali di assistenza, tutela della salute e progetti di devolution, a cura di Balduzzi R., Milano, Giuffré,

2004.

29 Cfr. sent. Corte Cost. n.294/1986.

30 Con la riforma costituzionale del 2001 il novellato art.117 adotta un criterio di individuazione delle competenze di Stato e Regione di tipo federalista,

esattamente opposto a quello vigente fino a quella data. Il vecchio art. 117 infatti enumerava tassativamente le materie oggetto di competenza regionale

attribuendo allo Stato una competenza “residuale” su tutto ciò che non rientrava in tale elenco. La L.cost. 3/2001 capovolge completamente tale meccanismo di riparto prevedendo una competenza esclusiva statale in materie individuate dal legislatore stesso mentre alle Regioni resta solo uno spazio residuale e generale.

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della competenza legislativa alla Regione31, in modo da riconoscere un

particolare e definito canale di intervento statale in materia32.

Nell'impianto dell'art.117, in secondo luogo, lo Stato mantiene una consistente sfera di potestà legislativa esclusiva con riguardo alla <<determinazione dei livelli essenziali delle prestazioni concernenti i diritti civili e sociali che devono essere garantiti su tutto il territorio nazionale>>33, la quale interessa da vicino il diritto alle prestazioni di

assistenza sanitaria. Tale disposizione costituisce certamente un notevole titolo per potenziali incursioni della legislazione statale nell'area della potestà legislativa regionale, concorrente o residuale che sia, per garantire l'attuazione minima del diritto alla salute ex art.32 Cost. in maniera uniforme per tutti i cittadini. Nell'esercizio di tale potestà il legislatore di rango statale può compiutamente regolare anche aspetti non secondari della materia, quali per esempio la definizione di standard essenziali di organizzazione e funzionamento del servizio sanitario, e inoltre disciplinare i poteri sostitutivi del governo, esercitabili ai sensi dell'articolo 120, comma 2, Cost., nei confronti degli altri enti territoriali, quando lo richieda la tutela dei livelli essenziali delle prestazioni concernenti diritti civili e sociali34.

La legge statale può infine utilizzare la legislazione per principi nelle

31 Chiara in tal senso la Corte Costituzionale con la sent. 282/2002, secondo la quale nel risolvere un eventuale conflitto di competenza tra Stato e Regione in materia sanitaria deve guardarsi-nel quadro del nuovo sistema di riparto di competenze operato dalla riforma del Titolo V, parte II- non tanto dalla ricerca di uno specifico titolo costituzionale di legittimazione dell'intervento regionale, quanto al contrario, dalla esistenza di riserve, esclusive o parziali, di competenza statale.

32 Si veda a proposito della sent. Corte Cost. 282/2002 il contributo di R. Bin, Il

nuovo riparto di competenze: un primo, importante chiarimento, in <<Le

Regioni>>, 2002, n.6.

33 Art. 117, comma 2, lett m), Cost.

34 Cfr. B.Pezzini, Diritto alla salute e diritto all'assistenza tra tensione

all'uniformità e logiche della differenziazione in R.Balduzzi, G.Di Gaspare, a

cura di, Sanità e assistenza a confronto. Il nuovo Welfare State dopo la riforma

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materie di legislazione concorrente, quale la “tutele della salute”, per sovrapporre alla disciplina regionale propri interventi regolatori. Il novellato art.117, comma 3, prevede un vero e proprio riparto di competenza tra legge regionale di regolazione, e legge statale di principi, spettando alle Regioni la potestà legislativa in via ordinaria ed essendo riservata allo Stato la determinazione dei principi fondamentali35.

La normativa di fonte statale è dunque rivolta a disciplinare gli aspetti fondamentali del servizio sanitario in maniera uniforme e vincolante, ma limitatamente a quest'aspetto, per tutte le Regioni.

Secondo l'orientamento prevalente della giurisprudenza costituzionale solo le disposizioni dirette a porre i principi concernenti l'organizzazione del servizio sanitario vanno considerate come norme fondamentali e per questo vincolanti nei confronti della potestà regionale, che ha il compito di emanare unicamente norme attuative della legislazione statale al fine di preservare esigenze di uniformità di disciplina di tale materia su tutto il territorio nazionale. Le regioni possono derogare ad ogni disposizione di dettaglio, non legata ai principi fondamentali da un “rapporto di coessenzialità e necessaria integrazione”, oltre ad ogni disposizione che il legislatore statale dichiari cedevole rispetto alle leggi regionali, fermo restando ovviamente il limite della congruità al principio fondamentale sotteso alla disposizione di dettaglio36.

35 Art.117, comma 3, ultima parte: “Nelle materie di legislazione concorrente

spetta alle Regioni la potestà legislativa, salvo che per la determinazione dei principi fondamentali, riservata allo Stato”.

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2.2 Riflessi amministrativi del nuovo riparto di competenze.

Trova giustificazione nel nuovo riparto di competenze un assetto, già consolidatosi in precedenza alla riforma del 2001, che riconosce alle regioni una preminenza tale nell'organizzazione e nella predisposizione del servizio di assistenza sanitaria37 al punto di dover

considerare il servizio sanitario non come un servizio attribuito a più livelli istituzionali tra loro concorrenti ma come sommatoria di servizi regionali, i quali trovano una regolamentazione unitaria a livello centrale con riguardo unicamente alla definizione legislativa dei principi fondamentali della materia e di quanto necessario ad assicurare i livelli essenziali di assistenza su tutto il territorio nazionale38.

Il passaggio dall'equazione “eguaglianza dei diritti-uniformità organizzativa” all'equazione “uniformità dei diritti essenziali-differenziazione organizzativa” è stato fondato sulla consapevolezza che l'obiettivo di assicurare una sostanziale eguaglianza nella fruizione del diritto alle prestazioni sanitarie, (ma tale considerazione è da estendersi all'intero nucleo di diritti tutelati dalla parte prima della Costituzione), non può prescindere da un'adeguata presa in considerazione delle condizioni di base caratterizzanti i vari ambiti territoriali. Il concetto di eguaglianza deve dunque relazionarsi con le

37 Si veda l'art.114 d.lg. n.112/1998 per quanto riguarda l'assegnazione alle regioni della titolarità delle funzioni e compiti amministrativi in materia di “salute umana” e l'art. 3, comma 1, e art. 8bis, comma 1, d.lg. 502/1992 riformato dal d. lg. 229/1999 nella parte in cui assegnano alle regioni il compito di assicurare l'assistenza sanitaria attraverso le usl e le altre strutture erogative di cui la regione si avvale.

38 Una tale definizione, contenuta nell'art.1, comma 1, d.lg. 502/1992 come riformato dal d.lg. n.229/1999, si motiva in funzione della garanzia del

godimento delle prestazioni essenziali, assicurate su tutto il territorio nazionale e dell'accessibilità alle stesse per tutti i cittadini indipendentemente dall'ambito regionale di residenza ed iscrizione al servizio.

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specificità regionali così da consentire un'articolazione territoriale dettagliata dei modelli organizzativi per la realizzazione del contenuto essenziale dei singoli diritti. In virtù di tali premesse, appare ormai superata la tecnica dell'uniformità organizzativa del servizio sanitario su scala nazionale, considerata tradizionalmente come presupposto indefettibile dell'eguaglianza nella fruizione del diritto a trattamenti sanitari ed invocata a giustificazione di norme di coordinamento, finanziamento e programmazione uniformi di rango statale; oltre che smentita dalla realtà dei fatti39. Una realtà contraddistinta da grandi

squilibri territoriali che finì per relegare le esigenze unitarie, ferma restando la determinazione dei livelli essenziali delle prestazioni, unicamente alla fissazione dei principi fondamentali della materia e al momento dell'allocazione delle funzioni amministrative. La riserva allo Stato della determinazione dei livelli essenziali di assistenza, non detiene il valore di una mera precisazione ma riflette l'esigenza di assicurare che la tutela dei diritti avvenga a parità di condizioni sul territorio nazionale mentre il nuovo assetto costituzionale delle autonomie e delle rispettive competenze implica la potenziale diversificazione, organizzativa e funzionale, dei modelli regionali, capaci di assicurare queste prestazioni minime ed uguali per tutti. Essendo tali livelli essenziali indicati dallo Stato, si verifica una scissione tra la loro determinazione e la loro gestione.

L'impressione che deriva, anche alla luce dalla declaratoria di cui al d.p.c.m. 9 novembre 2001, dal loro problematico intendimento come livelli “minimi”, “massimi” o “uniformi” è che la competenza dello stato sia stata attuata in termini piuttosto timidi in modo da

39 Cfr. E. Menichetti, La tutela della salute tra competenze <<divise>> e interessi

<<concordati>> in La sanità italiana tra livelli essenziali di assistenza, tutela della salute e progetti di devolution, a cura di Balduzzi R., Milano, Giuffré,

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riconoscere alle Regioni ampi margini di manovra e differenziazione normativa. Di conseguenza la sede regionale diventa, nel rispetto dei principi fondamentali posti dalla legislazione statale40, l'unica

competente a regolamentare ed implementare i meccanismi, gli strumenti e gli aspetti organizzativi preposti ad assicurare i diritti sociali.

Per assicurare questa impostazione vi è la possibilità che il legislatore statale si impegni a formulare leggi-cornice o ad adeguare la propria normativa in direzione restrittiva; oppure possono essere le Regioni a riscrivere gli assetti normativi interni in senso ampliativo, riformulando le proprie leggi e desumendo direttamente i principi fondamentali dalla legislazione vigente.

L'intervento normativo regionale risulterebbe pienamente coerente con il pieno riconoscimento delle competenze legislative regionali in materia di <<assistenza sanitaria e ospedaliera>>41 e con la pacifica

attribuzione alla regione della qualifica di soggetto allo stesso tempo titolare e gestore del servizio pubblico di assistenza sanitaria42

riunendo regolazione, organizzazione e gestione delle competenze e servizi in materia.

In tema di allocazione delle funzioni amministrative infatti l'art. 118 Cost., modificato con la L.cost. n.3 del 2001, si apre sancendo un principio di integrazione e concentrazione a livello comunale, ma prosegue prevedendo una rilevante eccezione: l'intestazione ad un livello superiore sulla base dei principi di sussidiarietà, adeguatezza e differenziazione per assicurarne l'”esercizio unitario”43. Gli unici

40 E nei limiti di spesa posti dal “federalismo fiscale”... 41 Ex art.2 D.lgs. 502/1992 e succ. modd.

42 Ex artt. 3 e 8-bis del D.lgs. 502/1992

43 Art. 118, comma 1, Cost: << Le funzioni amministrative sono attribuite ai

Comuni salvo che per assicurarne l'esercizio unitario, siano conferite a Province, Città metropolitane, Regioni e Stato, sulla base dei principi di sussidiarietà, differenziazione ed adeguatezza>>.

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corollari derivanti da tale disposizione riguardano la sua non immediata applicabilità, essendo necessaria un'intermediazione legislativa, statale o regionale, per trasferire i relativi mezzi, risorse e personale; e la presenza di esigenze di esercizio unitario, unico titolo di legittimazione per modificare l'allocazione comunale delle funzioni44.

Restano però aperti due problemi di non trascurabile rilevanza.

In primo luogo non si specifica chi sia competente a decidere se sussistono esigenze di esercizio unitario. La soluzione più coerente è quella di attribuire tale facoltà ai soggetti dotati di potestà legislativa ai sensi dell'art. 117 Cost. Tale scelta però porta con sé tutte le problematiche derivanti dall'applicazione delle regole di riparto della competenza legislativa in particolare per le materie concorrenti come la tutela della salute, in particolare per quanto riguarda fino a dove possono spingersi i principi fondamentali previsti con legge statale nell'allocazione delle funzioni amministrative, se possano ricomprendere anche i principi strumentali e funzionali a quelli fondamentali e se possano prevedere anche clausole “intrusive” della potestà regionale.

In secondo luogo tale disposizione pone in evidenza il nodo del ruolo dei Comuni, che non essendo titolari di potestà legislative, risultano meri soggetti passivi dell'allocazione. Piuttosto rumoroso suona infine il silenzio con cui l'art.118 copre le modalità di esercizio concreto delle funzioni, rimesso all'autonomia dei singoli livelli coinvolti. In definitiva, il nuovo Titolo V della Costituzione, disegna un assetto delle competenze sostanzialmente compromissorio, con la potestà

44 Cfr. L. Torchia, <<Concorrenza>> tra Stato e Regioni dopo la riforma del

Titolo V: dalla collaborazione unilaterale alla collaborazione paritaria, in <<Le

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legislativa solo tendenzialmente “divisa” tra Stato e Regioni45 cui

corrisponde un assetto delle funzioni amministrative “integrato e concentrato” a livello comunale solo sulla carta. Entrambi i riparti presentano confini mobili a seconda dell'estensione che si ritenga da attribuire, per l'assetto legislativo alle clausole orizzontali previste dall'art.117, comma 2 lett m), e all'area di disciplina occupabile dai principi fondamentali previsti dal comma 3 dello stesso art.117; mentre per il riparto delle funzioni amministrative alle esigenze di esercizio unitario poste alla base della attribuzione ad un livello superiore, in deroga al principio di conferimento generale di funzioni amministrative ai Comuni46.

Le nuove regole costituzionali relative all'assetto delle funzioni amministrative si basano infatti non più sul parallelismo con la funzione legislativa ma sulla decisione legislativa, statale o regionale, che ravvisi nella deroga all'ordinaria allocazione comunale le predette esigenze di esercizio unitario, di cui i principi di sussidiarietà, adeguatezza e differenziazione costituiscono semplici criteri guida per una oggettiva definizione dei contorni47. La giurisprudenza ante 2001

ha ravvisato esigenze unitarie in sanità suddividendole in tre gruppi principali.

Il primo prende in considerazione le esigenze di coordinamento ed uniformità attinenti soprattutto alla programmazione, al servizio pubblico e al finanziamento48.

45 V.supra paragrafo 2.1.

46 Cfr. E. Menichetti, La tutela della salute tra competenze <<divise>> e interessi

<<concordati>> in La sanità italiana tra livelli essenziali di assistenza, tutela della salute e progetti di devolution, a cura di Balduzzi R., Milano, Giuffré,

2004. 47 Cfr. Id., Ibid.

48 Si veda Corte Cost., sent. n.124/1994 per quanto riguarda le esigenze di esercizio unitario, Corte Cost., sent.29471986 per quello che concerne la programmazione e il servizio e Corte Cost., sent. 245/1984 per gli interventi statali in materia di finanza e “trasferimenti”.

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Il secondo riguarda il livello statale costituzionalmente necessario delle funzioni amministrative, come nei casi di regolazione e controllo in materia di farmaci e della prevenzione e contrasto alla diffusione di malattie infettive o diffuse49.

Il terzo gruppo si fonda invece su ragioni organizzative ed in particolare sulla correlazione tra enti che esercitano compiti e funzioni di rilevanza sanitaria50.

Sicuramente la programmazione continua ad integrare il momento, seppur concordato, di individuazione degli interessi unitari, i quali non sono solo quelli di livello statale, ma ormai anche quelli regionali. La programmazione rientra infatti fra i principali strumenti finalizzati a garantire l'essenzialità dell'attività sanitaria e gode di una difesa costituzionale rispetto alle innovazioni della riforma del 2001, sia che si consideri come attività economica tout court o che si qualifichi come servizio pubblico nazionale. In quest'ultimo significato essa discende direttamente dalla presenza dei pubblici poteri per assicurare il dover essere del diritto alla salute sancito dall'art. 32 Cost., che attribuisce alla Repubblica il compito di garantire l'effettività della tutela del correlativo diritto con tutti gli strumenti all'uopo necessari, programmazione compresa. Considerando invece la qualificazione dell'attività sanitaria come attività economica il momento della programmazione viene direttamente preso in considerazione dal comma 3, art. 41 cost51. Saranno quindi il livello statale e quelli

regionali a programmare i servizi sanitari, ciascuno per l'area di propria competenza, nonostante il nuovo Titolo V della Cost. prefiguri uno slittamento della programmazione dall'area legislativa a quella

49 Si veda Corte Cost., sent. 17/1997. 50 Ancora, Corte Cost., sent. 245/1984.

51 Art. 41, comma 3, Cost. “La legge determina i programmi e i controlli opportuni

perchè l'attività economica pubblica e privata possa essere indirizzata e coordinata a fini sociali”

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delle funzioni amministrative, in quanto indicato come criterio per orientarne il trasferimento52.

Per quanto riguarda invece la gestione dei servizi le riforme degli anni '90, in particolare l'aziendalizzazione e la regionalizzazione, hanno condotto a definire il S.s.n. come “complesso delle funzioni e delle attività assistenziali dei servizi sanitari regionali” mantenendo però un preciso ruolo del “centro” statale53.

Le novità intervenute sono in grado di incidere profondamente sull'estensione e sulla disciplina del S.s.n., riconducendo l'area del servizio nazionale solo a ciò che il legislatore nazionale riconoscerà come tale mediante la previsione dei livelli essenziali delle prestazioni, lasciando alla libera iniziativa economica ampi spazi di operatività. L'interesse perseguito da ogni azienda sanitaria, pur essendo calibrato sulla popolazione del territorio di riferimento, finisce poi per trascendere i limiti regionali o locali e per estendersi su più larga scala. In questa prospettiva assume particolare rilievo non solo la proiezione territoriale degli interessi, in base al quale fissare i confini della potestà concorrente, ma anche la tendenza ad una considerazione frazionata del diritto alla salute nella sua dimensione sociale. Il diritto alla salute tende infatti a frazionarsi in una molteplicità di situazioni soggettive, come la facoltà di libera scelta del medico e del luogo di cura o il diritto a prestazioni di qualità, che sottendono ad una marcata differenziazione nei singoli trattamenti concreti riservati a ciascuna situazione soggettiva nella realtà dei Servizi sanitari regionali. La potenziale capacità di differenziazione territoriale trova così linfa vitale nell'intrinseca natura divisibile del

52 Così l'art. 6, comma 1, d.d.l. 23 Gennaio 2003 n.1545 “La Loggia”:

<<Disposizioni per l'adeguamento dell'ordinamento Repubblicano alla legge costituzionale 18 ottobre 2001 n.3>>.

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diritto alla salute e fa da propulsore per lo sviluppo di un servizio sanitario omogeneo nei suoi aspetti fondamentali ma fortemente diversificato a livello regionale54.

2.3 Il principio di sussidiarietà: giustificazione

costituzionale di un intervento dei privati in sanità.

Le innovazioni apportate al Titolo V dalla riforma costituzionale del 2001 non si esauriscono nella semplice modifica, nei termini già richiamati, dell'art.117, ma contemplano anche l'introduzione di nuovi e importanti principi, quale quelli di differenziazione, adeguatezza, leale collaborazione ma soprattutto quello di sussidiarietà che rappresenta sia l'elemento attraverso cui i primi acquistano senso e significato concreto e sia un decisivo aspetto nel campo della regolazione dell'erogazione delle prestazioni sanitarie.

L'introduzione del principio di sussidiarietà non fu però priva di remore e dubbi dettati dal fatto che tale inserimento nella Carta Costituzionale potrebbe originare una non ammissibile alterazione dei “principi fondamentali” in essa riconosciuti. Per quanto riguarda la sussidiarietà orizzontale infatti, essa provoca una rilevante modifica del complesso rapporto tra pubblico e privato, già disciplinato dalla prima parte della Costituzione, ed è per questa ragione che da più parti si è avanzata la proposta di limitarne l'introduzione unicamente al suo aspetto “verticale”, cioè a quanto attinente l'organizzazione e la divisione dei pubblici poteri.

Con il principio di sussidiarietà orizzontale prende corpo un maggior

54 Cfr. E. Menichetti, La tutela della salute tra competenze <<divise>> e interessi

<<concordati>> in La sanità italiana tra livelli essenziali di assistenza, tutela della salute e progetti di devolution, a cura di Balduzzi R., Milano, Giuffré,

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coinvolgimento del cittadino nell'organizzazione e soprattutto nella gestione dei servizi pubblici, in quanto esso da mero destinatario diventa uno dei soggetti erogatori delle stesse prestazioni di servizio pubbliche ad esso rivolte, al fianco dei tradizionali erogatori pubblici. Il novellato comma 4 dell'articolo 118 dispone infatti che <<Stato,

Regioni, Città metropolitane, Province e Comuni favoriscono l'autonoma iniziativa dei cittadini, singoli e associati, per lo svolgimento di attività di interesse generale, sulla base del principio di sussidiarietà>>.

2.3.1 La sussidiarietà nel pensiero giuridico.

Da un punto di vista storico la “costituzionalizzazione” del concetto di sussidiarietà non rappresenta affatto un innovativo punto di svolta nella definizione dei rapporti tra pubblico e privato.

La norma in questione infatti non aggiunge nulla di nuovo a quello che, da secoli, i più svariati pensatori e filosofi del diritto avevano elaborato e sostenuto. L'importanza dell'autonoma azione degli organismi inferiori, cioè della società civile, rispetto a quella degli organismi superiori statali e il ricorso ad essi solo in caso di necessità quando i primi si rivelano insufficienti fu avvertita già nel medioevo con S. Tommaso d'Aquino. Il filosofo cristiano sottolineò più volte il valore dell'azione dei singoli uomini e delle loro associazioni rispetto a quella statale e individuò anche i limiti e le condizioni dell'intervento dell'autorità politica55. Nella Germania del seicento venne elaborata

55 S.Tommaso d'Aquino, in “Summa contra gentiles”: <<La perfezione per ogni governo consiste nel provvedere ai suoi governati nel rispetto della loro natura: questa è la nozione di giustizia nel governare. Come per un capo della città opporsi, salvo che momentaneamente in ragione di qualche necessità, a che i governati adempiano i propri compiti sarebbe contrario al senso di un governo umano, ugualmente non lasciare alle creature la facoltà di agire secondo il modo

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una teoria politica che proponeva un accordo fra i diversi livelli sociali secondo la quale il carattere essenziale del buon governo risiede nella tutela delle autonomie sociali. Ciascun gruppo sociale è capace di perseguire i propri fini e la propria autonomia costituisce un valore da tutelare rispetto all'intervento dello Stato, limitato ad un ruolo suppletivo, unicamente per lo svolgimento di quei compiti che la società civile non è in grado di adempiere da sola56.

In tempi più recenti, nella Germania di inizio Novecento, l'esperienza del liberalismo costituzionale e il suo principale esponente Jellinek, riconobbero il primato dell'iniziativa individuale rispetto a quella statale, nel perseguire e realizzare obiettivi di interesse generale. I poteri dello Stato risultano perciò limitati agli interventi necessitati dall'impossibilità dell'azione individuale e collettiva di realizzare il fine di interesse generale e a quelli in cui il livello statale può meglio raggiungere tali obiettivi.

2.3.2 la sussidiarietà nell'ordinamento italiano.

Tornando all'esperienza del nostro Paese, non pochi sono gli spunti in essa rinvenibili nonostante la Carta Costituzionale non contenga (rectius conteneva) un'espressa enunciazione del principio di sussidiarietà. Nonostante sia rimasto estraneo al dibattito sviluppatosi in Assemblea Costituente, non può passare inosservato come la stessa concezione della persona che emerge dal quadro costituzionale complessivo coincida esattamente con il presupposto antropologico su

della loro natura sarebbe contrario al senso del governo divino.>>

56 Cfr. l'interpretazione data alle tesi di J.Althusius Politica Methodice Digesta, 1614, di G.Razzano, Sui principi si sussidiarietà, differenziazione, adeguatezza e

leale collaborazione, in Nuovi rapporti tra Stato-Regione dopo la legge costituzionale n.3 del 2001, a cura di F.Modugno-P.Carnevale, Milano, Giuffré,

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cui si regge il principio di sussidiarietà stesso. Come solennemente affermato dall'On. Dossetti nel dibattito in sede costituente <<la sola impostazione veramente conforme alle esigenze storiche cui il nuovo statuto dell'Italia democratica deve soddisfare è quella che riconosca: la precedenza sostanziale della persona umana (intesa nella completezza dei suoi valori e dei suoi bisogni, non solo materiali ma anche spirituali) rispetto allo Stato e la destinazione di questo al servizio di quella; la necessaria socialità di tutte le persone, le quali sono destinate a completarsi e a perfezionarsi a vicenda mediante una reciproca solidarietà economica e spirituale, anzitutto in varie comunità intermedie disposte secondo una naturale gradualità (comunità familiari, territoriali, professionali, religiose, ecc.) e per tutto ciò in cui quelle comunità non bastano, nello Stato; e che per ciò affermi l'esistenza sia dei diritti fondamentali delle persone, sia dei diritti delle comunità anteriormente ad ogni concessione da parte dello Stato57>>.

Tale concezione trova poi riscontro nella formulazione dell'art. 2 Cost. <<La Repubblica riconosce e garantisce i diritti inviolabili dell'uomo,

sia come singolo, sia nelle formazioni sociali ove si svolge la sua personalità, e richiede l'adempimento dei doveri inderogabili di solidarietà politica, economica e sociale>>, vera e propria svolta

nella storia italiana, manifesto del superamento della concezione “statocentrica”, fino ad allora dominante, ottenuto grazie all'affermazione di strumentalità delle istituzioni rispetto alla società e all'individuo ad esso sotteso58.

57 Proposta di ordine del giorno presentata il 9 settembre 1946 alla Prima Sottocommissione dell'Assemblea Costituente dall' On. Dossetti. La proposta non venne però messa in votazione.

58 Si veda l'intervento di Aldo Moro in Assemblea Costituente del 24 marzo 1947 sull'art.2: “Lo Stato veramente democratico riconosce e garantisce non soltanto i diritti dell'uomo isolato, che sarebbe soltanto un'astrazione, ma i diritti dell'uomo associato secondo una libera vocazione sociale”.

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Si possono trovare riscontri della sussidiarietà orizzontale anche in altre disposizioni costituzionali, in particolare nelle norme che affermano la libertà di intervento del soggetto privato nel settore dell'assistenza (art.38), università (art.33), scuola (art.34), rapporto di lavoro (art.39) e in una lettura a contrario dell'art.43, in cui si afferma che le imprese o categorie di imprese produttrici di servizi pubblici essenziali possono essere nazionalizzate o riservate per motivi di interesse pubblico lasciando presupporre che i servizi pubblici siano prodotti da imprese private e così continuano ad essere assicurati ove non intervenga la suddetta riserva o nazionalizzazione in caso di inadeguatezza del mercato.

Non appare affatto problematico dunque rintracciare in Costituzione un'ispirazione di fondo favorevole all'apertura al principio di sussidiarietà ma, ad onor del vero, il successivo processo di attuazione costituzionale sembra aver tagliato le ali a queste potenzialità; vuoi perché l'idea è apparsa disarmonica rispetto alla tradizionale visione “statocentrica” dell'interesse generale, inteso non come somma di interessi particolari ma come interesse ulteriore ed autonomo che trascende quelli particolari; vuoi perchè questo processo si è incanalato nella direzione parziale del decentramento e dell'affrancamento degli enti territoriali dalla tutela statale.

Il principio di sussidiarietà venne così messo da parte fino a che una sua prepotente riscoperta a livello comunitario non lo riportò al centro del dibattito di riforma costituzionale.

(20)

2.3.3 L'influenza del diritto europeo.

In ambito comunitario il principio di sussidiarietà trova la genesi della sua positivizzazione normativa attraverso la formulazione dell'art. 3B del Trattato di Maastricht59, firmato il 7 febbraio 1992, poi confluito

nell'art.5 del Trattato di Amsterdam, del 2 ottobre 1997, istitutivo della Comunità europea.

Il principio di sussidiarietà viene riconosciuto come un criterio di distribuzione del potere tra i diversi livelli di governo, comunitario e statuale, cioè viene preso in considerazione nell'aspetto “verticale” dei rapporti tra gli Stati membri e la CE.

Contemporaneamente si sviluppa anche una concezione della sussidiarietà più profonda ed estesa, rivolta in particolare alle relazioni intercorrenti tra potere pubblico e società civile, ovvero nella sua dimensione “orizzontale”, in modo da coinvolgere anche gli ambiti relativi ai rapporti tra la sfera pubblica e quella privata.

Si diffondono un'interpretazione ed un'applicazione del principio di sussidiarietà decisamente più estese, rispetto al semplice vincolo di prossimità ai cittadini delle decisioni comunitarie e statali.

Il coinvolgimento attivo di questi ultimi, non solamente intesi come destinatari passivi ma anche come soggetti protagonisti attivi nello svolgimento di attività e decisioni di interesse generale che li riguardano, assume così importanza centrale e diventa l'elemento decisivo della sussidiarietà orizzontale, finalizzata a colmare il divario

59 l'art. 3B Trattato di Maastricht sull'Unione Europea recita: <<La Comunità agisce nei limiti delle competenze che le sono conferite e degli obiettivi che le sono assegnati dal presente trattato. Nei settori che non sono di sua esclusiva competenza la Comunità interviene, secondo il principio della sussidiarietà, soltanto se nella misura in cui gli obiettivi dell'azione prevista non possono essere sufficientemente realizzati dagli Stati membri e possono dunque, a motivo delle dimensioni o degli effetti dell'azione in questione, essere realizzati meglio a livello comunitario>>.

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esistente tra istituzioni e cittadini e a trasformarli in potenziali interlocutori diretti dello Stato e in veri e propri protagonisti attivi del processo di integrazione europea.

Altri richiami al principio di sussidiarietà orizzontale a livello comunitario sono rintracciabili nel Trattato di Roma del 2004 dove, senza pervenire ad una “positivizzazione” normativa, si accenna ad un particolare favor per l'istanza decisionale privata rispetto a quella pubblica, nel momento in cui la prima possa garantire in modo più adeguato ed efficiente il perseguimento degli obiettivi prefissati60. Le

decisioni devono cioè essere prese il più vicino possibile ai cittadini, non in quanto “più basse in senso verticale” ma perchè più facilmente riconducibili ai cittadini stessi, prevedendo un rapporto sussidiario in senso orizzontale.

Da soggetti passivi, destinatari di attribuzioni, di concessioni e di compiti che rispondono all'interesse generale, ma che provengono esclusivamente dal sistema del potere pubblico, i cittadini divengono i veri protagonisti, attivi ed interni al sistema stesso, capaci di perseguire gli obiettivi stabiliti attraverso lo svolgimento di attività soggettivamente private, ma oggettivamente pubbliche.

Il principio di sussidiarietà mira a stabilire il livello d’intervento più pertinente nei settori di competenza condivisa tra l’UE e gli Stati membri. Può trattarsi di un’azione su scala europea, nazionale o locale. In ogni caso, l’UE può intervenire solo se è in grado di agire in modo più efficace rispetto agli Stati membri.

Il principio di sussidiarietà è dunque fondamentale per il funzionamento dell'UE in quanto, insieme ai principi di proporzionalità e attribuzione, costituisce lo strumento per individuare

60 Si vedano in particolare il Preambolo del Trattato dell'Unione europea e l'art.A del Titolo I

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quando l'UE può legiferare e per consentire che le decisioni siano prese il più vicino possibile ai cittadini. Il “protocollo sull'applicazione dei principi di sussidiarietà e proporzionalità”, allegato al Trattato sull'UE definisce l’attuazione del principio di sussidiarietà. Il trattato di Lisbona ha altresì fortemente rafforzato il principio di sussidiarietà instaurando diversi meccanismi di controllo per verificarne la corretta applicazione.

2.3.4

Dalla “Legge Bassanini” alla riforma Costituzionale

del Titolo V.

La disciplina del principio di sussidiarietà nei Trattati comunitari ha sicuramente ispirato e stimolato la sua positivizzazione normativa a livello interno.

Un primo riferimento espresso al principio di sussidiarietà nel nostro ordinamento si ha con la “riforma Bassanini”, varata con la legge del 15 marzo 1997, n.59. L'obiettivo della norma è quello di avviare un radicale processo di riforma amministrativa delle strutture centrali, governative ed amministrative, e di riallocare, attraverso un nuovo assetto, le funzioni amministrative locali. Una grande riforma della Pubblica Amministrazione da realizzare valorizzando i criteri del federalismo e della sussidiarietà. Sebbene nella legge n.59/1997 il principio di sussidiarietà venga evocato solo in funzione di una riallocazione “verticale” dei poteri61, esso è formulato tenendo

61 Art.4, c.1, L. n.59 del 15 marzo 1997: <<Nelle materie di cui all'articolo 117 della Costituzione, le regioni, in conformità ai singoli ordinamenti regionali, conferiscono alle province, ai comuni e agli altri enti locali tutte le funzioni che non richiedono l'unitario esercizio a livello regionale. Al conferimento delle funzioni le regioni provvedono sentite le rappresentanze degli enti locali. Possono altresì essere ascoltati anche gli organi rappresentativi delle autonomie locali ove costituiti dalle leggi regionali.>>

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presente anche la sua dimensione “orizzontale”. Come si evince chiaramente dall'elenco dei principi da osservare per il conferimento di funzioni dalle regioni agli altri enti locali, contenuto nel terzo comma dell'art.4 della legge, sono attribuite alle autorità territorialmente e funzionalmente più vicine ai cittadini interessati, le responsabilità pubbliche per favorire l'assolvimento di funzioni e compiti di rilevanza sociale da parte di famiglie, associazioni e comunità62. In tale prospettiva possiamo leggere l'art.4 come un

esplicito riferimento normativo alla dimensione orizzontale del principio in parola. Prima ancora di individuare una relazione sussidiaria tra sfera pubblica e privata però la disposizione in esame collega lo stesso significato della sussidiarietà ad un processo di decentramento, che deve avere come fine ultimo quello di avvicinare le istituzioni ai cittadini. Quest'ultimi vengono dotati, oltre ai tradizionali compiti di rilevanza sociale, di vere e proprie funzioni tradizionalmente assegnate ai poteri pubblici. Il conferimento di funzioni alle famiglie, alle associazioni ed alle comunità, connesso all'attribuzione di responsabilità pubbliche agli enti locali consente un potenziamento del decentramento e in parallelo anche un progressivo coinvolgimento dell'iniziativa privata nello svolgimento di attività connesse all'esercizio di funzioni pubbliche.

Altro testo legislativo nazionale, nel quale si ritrova disciplinata l'accezione “orizzontale” del principio, è rappresentato dal d.lgs. 18 agosto 2000 n.267, “Testo unico delle leggi sull'ordinamento degli enti

62 Art.4, c.3, lett.a), L. n.59 del 15 marzo 1997: <<il principio di sussidiarietà, con l'attribuzione della generalità dei compiti e delle funzioni amministrative ai comuni, alle province e alle comunità montane, secondo le rispettive dimensioni territoriali, associative e organizzative, con l'esclusione delle sole funzioni incompatibili con le dimensioni medesime, attribuendo le responsabilità pubbliche anche al fine di favorire l'assolvimento di funzioni e di compiti di rilevanza sociale da parte delle famiglie, associazioni e comunità, alla autorità territorialmente e funzionalmente più vicina ai cittadini interessati.>>

(24)

locali”, che ha per oggetto il riassetto della disciplina delle autonomie locali. L'art.3, al suo quinto comma, dopo aver stabilito che <<i

comuni e le province sono titolari di funzioni proprie e di quelle conferite con legge dello Stato e della Regione, secondo il principio di solidarietà>>, prevede inoltre che <<i comuni e le province svolgono le loro funzioni anche attraverso le attività che possono essere adeguatamente esercitate dall'autonoma iniziativa dei cittadini e delle loro formazioni sociali>>63. Mentre nel disegno di riordino dell'intero

assetto amministrativo perseguito dalle c.d. “Leggi Bassanini” la sussidiarietà “orizzontale” era apparsa come assorbita dentro il processo di attuazione di quella “verticale”; essa, con il D.lgs 267/2000, recupera in modo più esplicito e trasparente la sua natura di limite esterno delle istituzioni ed, al contempo, di veicolo per ripensare l'organizzazione dell'esercizio delle funzioni pubbliche64. È

qui evidente un ritrarsi della potestà normativa di fonte pubblica ed una corrispondente espansione della fonte normativa, autonoma, di stampo privatistico. L'attività dei privati non è altra cosa rispetto all'intervento pubblico, ma è indicata come un modo attraverso il quale gli enti pubblici debbono svolgere le “loro funzioni”.

Segue la legge 8 novembre 2000 n.328, la quale nel sostituire la tradizionale prospettiva dell'assistenza sociale con il sistema integrato di interventi e servizi sociali, ripropone il principio di sussidiarietà anche nella sua valenza “orizzontale”, senza darne una definizione concreta ma indicando tuttavia modi e strumenti per la sua realizzazione. <<Per favorire l'attuazione del principio di

sussidiarietà, gli enti locali, le regioni e lo Stato, nell'ambito delle 63 Art.2 L.9 giugno 1990, n.142, riformato dall'art.2 L.3 agosto 1999, n.265 e

successivamente confluito nell'art.3, comma 5, D.Lgs. n.267 del 2000 (T.U. Enti locali).

64 Cfr. P. Duret, La sussidiarietà orizzontale e l'autoamministrazione dei privati, Padova, CEDAM, 2004.

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risorse disponibili, promuovono azioni per il sostegno e la qualificazione dei soggetti operanti nel terzo settore anche attraverso politiche formative ed interventi per l'accesso agevolato al credito e ai fondi dell'Unione Europea. Le regioni adottano specifici indirizzi per regolamentare i rapporti tra enti locali e terzo settore, con particolare riferimento ai sistemi di affidamento dei servizi alla persona65>>.

Il tormentato processo di emersione sul piano giuridico del principio di sussidiarietà trova coronamento con la sua recente costituzionalizzazione ad opera della L.cost. n.3 del 2001 che lo contempla espressamente nel comma primo del nuovo art.118, per quanto riguarda la sua dimensione “verticale”, e nel comma quarto per quella “orizzontale”, nonché nel nuovo comma secondo dell'art.120 in relazione all'esercizio dei poteri sostitutivi del governo66.

2.3.5. La portata giuridica del principio di sussidiarietà.

Possiamo affermare con sufficiente certezza, alla luce di quanto detto circa l'evoluzione del pensiero giuridico e di quanto descritto nel primo capitolo, che l'introduzione in Costituzione del concetto di sussidiarietà si pone in posizione di continuità con un dato di fatto, quello della contemporanea presenza di soggetti pubblici e di iniziative private per la prestazione di attività di interesse generale, caratterizzante non da anni ma da secoli l'intero settore dei servizi sociali.

Il novellato art.118, comma 4, rappresenta quindi, non tanto un punto

65 Art.5 L.8 novembre 2000 n.328.

66 Art. 120, comma 2, Cost: <<[...] La legge definisce le procedure atte a garantire che i poteri sostitutivi siano esercitati nel rispetto del principio di sussidiarietà e del principio di leale collaborazione.>>

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di rottura con il passato, quanto piuttosto il definitivo superamento del tradizionale sfavore legislativo nei confronti della possibilità che funzioni oggettivamente pubbliche possano essere adeguatamente svolte da soggetti privati.

Altrettanta chiarezza non sembra invece assistere l'individuazione della sua effettiva portata giuridica, ovvero l'individuazione dei vincoli concreti per il legislatore, statale e regionale, derivanti da questa disposizione.

La ragione di tutta questa incertezza è da rintracciare nella configurazione bifronte del principio di sussidiarietà stesso.

Da un lato infatti offre tutela all'autonomia e alla vita del singolo e del gruppo minore di fronte all'invadenza degli organismi sociali maggiori, mentre dall'altro prende in considerazione un loro intervento ausiliario, giustificato dall'impossibilità, involontaria o colpevole, di adempiere ai compiti spettanti ai gruppi sociali minori oppure dall'oggettiva complessità ed estensione di tali compiti; complessità tale da rendere necessario l'azione di un soggetto di dimensioni maggiori67.

Nel principio di sussidiarietà, inteso nella sua accezione “orizzontale”, convivono quindi due anime: un “aspetto negativo” che comporta un dovere di astensione ed un “aspetto positivo” che comporta un dovere di intervento di sostegno, appunto sussidiario68. Una coppia di doveri

che non si escludono a vicenda ma procedono in modo complementare su piani diversi per garantire il miglior risultato possibile.

L'elemento decisivo affinché il principio di sussidiarietà possa concretamente operare è però rappresentato dall'esistenza di

67 Cfr.. G.Razzano, Sui principi si sussidiarietà, differenziazione, adeguatezza e

leale collaborazione, in Nuovi rapporti tra Stato-Regione dopo la legge

costituzionale n.3 del 2001, a cura di Modugno F.-Carnevale P., Milano, Giuffré,

2003. 68 Cfr. Id, ibid.

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un'organizzazione sociale articolata in più livelli, una pluralità di autonomie sociali e territoriali portatrici di interessi particolari, valori ed aspirazioni che la Repubblica non può limitare e condizionare ma semmai riconoscere, assecondare e coltivare nel perseguimento di quel compito di tutela e promozione della persona, nelle formazioni sociali in cui è inserita, direttamente sancito dalla Costituzione con l'art.269.

L'obiettivo da conseguire è quello di riconoscere e sviluppare il carattere relazionale dell'uomo e della società per il raggiungimento del bene comune inteso non come somma di interessi individuali ma, come insieme di condizioni politiche e sociali che rendono possibile lo sviluppo della persona, in tutti i suoi aspetti.

Il principio di sussidiarietà viene dunque ad integrarsi con il principio di solidarietà diventando il principale strumento con cui la Repubblica rimuove gli ostacoli che si frappongono al perseguimento del principio di uguaglianza sostanziale, così come sancito solennemente nell'art.3 Cost70, dissipando ogni dubbio circa l'impossibilità di un suo

inserimento in Costituzione. Compito primario dello Stato dovrebbe essere dunque quello di garantire la tutela e soprattutto la promozione della persona nelle formazioni sociali in cui essa è inserita; ed è proprio grazie ai principi sanciti nella prima parte della Costituzione che il principio di sussidiarietà orizzontale trova spazio di operatività nel nostro ordinamento giuridico in quanto valorizza i due aspetti fondamentali della persona umana: la libertà e la responsabilità71.

69 Cfr. P. Perlingieri, L'ordinamento vigente e i suoi valori. Problemi di diritto

civile, Napoli, edizioni scientifiche italiane, 2006.

70 Art.3, comma 2, Cost.: <<E' compito della Repubblica rimuovere gli ostacoli di

ordine economico e sociale, che, limitando di fatto la libertà e l'uguaglianza dei cittadini, impediscono il pieno sviluppo della persona umana e l'effettiva partecipazione di tutti i lavoratori all'organizzazione politica, economica e sociale del Paese>>.

71 Cfr. D. De Felice, Principio di sussidiarietà ed autonomia negoziale, Napoli, Edizioni scientifiche italiane, 2008.

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La libertà come espressione di autodeterminazione e la responsabilità come sottoposizione delle proprie scelte ed azioni ad un fine sovra-individuale. Un'impostazione perfettamente compatibile se non addirittura strumentale a quanto sancito dall'art.4 nella parte in cui afferma che <<ogni cittadino ha il dovere di svolgere, secondo le

proprie possibilità e la propria scelta un'attività o una funzione che concorra al progresso materiale o spirituale della società>>.

Con il principio di sussidiarietà orizzontale si sviluppa un ruolo del cittadino del tutto opposto a quello tradizionale di mero utente destinatario dei risultati dell'azione amministrativa pubblica; nasce un cittadino-agente, in grado di svolgere egli stesso quelle attività di cui è anche il destinatario. Questa nuova coincidenza tra utente e attore disegna ancor di più la Pubblica Amministrazione come struttura policentrica, non soltanto nel senso che coesistono più centri di interesse pubblico, dallo Stato agli enti locali, passando per Regioni e Province, in posizione di maggiore vicinanza alla collettività di riferimento (secondo i canoni della sussidiarietà verticale di cui ai commi 1 e 2 dell'art.118); ma anche e soprattutto che le funzioni amministrative sono allocate a livello sociale, cioè tra i soggetti privati72.

L'accento posto sul profilo positivo della sussidiarietà sposta i termini del dibattito sulla necessità di coinvolgere le espressioni dell'autonoma iniziativa dei cittadini nei sistemi dei servizi sociali e sanitari. Il legislatore, statale e regionale, nel disciplinare l'organizzazione del servizio sanitario deve non solo rispettare la libertà dei privati in questo campo, già tutelata dalla Costituzione, ma anche rendere questi soggetti parti attive del sistema stesso, promuovendo l'assunzione di pubbliche responsabilità a loro carico. Prende vita una nuova

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concezione dCfrei rapporti tra Pubblica Amministrazione ed individuo in cui i soggetti privati assumono il ruolo di principali protagonisti, attraverso l'autodeterminazione e l'auto-regolamento di attività private, ma di interesse pubblico.

Si va ad affiancare al tradizionale modello unilaterale e gerarchico un nuovo modello di organizzazione, pluricentrico e relazionale, in cui i cittadini sono allo stesso tempo attori ed utenti dell'attività pubblica73.

Rimane però al legislatore un'amplissima discrezionalità nel determinare il quantum, le forme e gli strumenti di questo coinvolgimento; una discrezionalità che arriva persino a toccare l'individuazione dei soggetti “beneficiari” della sussidiarietà orizzontale.

L'individuazione di autonomie sociali che si affiancano a quelle territoriali fissa una sorta di tripartizione, dando vita al cosiddetto “terzo settore”: un insieme di organismi collettivi che impedisce di prendere in considerazione solo ciò che appartiene allo Stato e ciò che appartiene unicamente all'autonomia dei privati; un insieme di soggetti operanti in un ambito intermedio tra le due categorie, tra individuo e autorità pubblica, tra mercato e Stato. L'individuazione esatta dei soggetti che compongono questo “terzo settore” non è però affatto agevole. A titolo puramente esemplificativo sono sicuramente da considerare assimilabili al terzo settore figure quali il volontariato, l'associazionismo, la cooperazione sociale, le organizzazioni non lucrative di utilità sociale, le organizzazioni “no profit” e le imprese sociali. Si utilizza però un termine volutamente vago e generale per ricomprendere all'interno della categoria non solo le species suindicate ma anche quanto ancora sfugge ad una puntuale definizione legislativa. Tali soggetti di autonomia collettiva, assumendo forme

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giuridiche differenziate, operano per finalità non speculative, perseguendo essenzialmente funzioni e servizi sociali; il profitto individuale non è né il fine diretto né quello principale dell'azione74.

L'idea che si viene sviluppando è quella di consentire un'armonizzazione dello Stato con il mercato e il terzo settore, in una relazione non più bilaterale ma tripartita in cui è proprio il soggetto privato, attraverso il terzo settore, che funge da elemento di raccordo tra gli altri due, tra Stato e mercato, in quanto ha per valore specifico quello della solidarietà e del progresso sociale e non esclusivamente quello del profitto personale75.

Sembra potersi affermare con sicurezza che il principio di sussidiarietà di cui all'art.118 della Costituzione rappresenti sicuramente un elemento di decisivo rafforzamento della copertura costituzionale del terzo settore ma, in realtà, le disposizioni contenute nel quarto comma, sicuramente comprensive delle attività tipiche del terzo settore, non si esauriscono esclusivamente in quest'ultimo. Il principio di sussidiarietà orizzontale ha una portata decisamente più ampia in quanto si riferisce espressamente ai cittadini, singoli e associati, mentre il terzo settore è un fenomeno tipicamente ed unicamente associativo caratterizzato da finalità solidaristiche e di promozione sociale non esclusivamente lucrative, che certamente ricadono nella sfera protettiva della sussidiarietà orizzontale ma non ne esauriscono i contenuti. La previsione costituzionale infatti favorisce l'autonoma

74 Una conferma da un punto di vista normativo di questa particolare

caratterizzazione dei soggetti del cd “terzo settore” è rintracciabile nella L. n. 266/1991, sulle associazioni di volontariato, nella L. n.328/2000, sulle

associazioni di promozione sociale e nella L. n. 383/2000, sulle associazioni di promozione sociale. Queste normative richiedono il rispetto di una serie di condizioni particolari quali: una determinata forma per l'atto costitutivo (atto pubblico o atto scritto), speciali regimi di registrazione e particolari sistemi di controllo.

75 Cfr. P. Perlingieri, Mercato, Solidarietà e Diritti umani, in Id., Il diritto dei

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iniziativa dei cittadini sulla base del principio di sussidiarietà ma non opera alcuna distinzione in merito alle varie iniziative poste in essere da tali soggetti privati e inoltre si presenta come potenzialmente idonea ad investire diversi campi, da quello sociale ed economico a quello politico e normativo76.

L'elevazione al livello costituzionale del principio di sussidiarietà rende quest'ultimo potenzialmente in grado di incidere anche sull'esercizio della funzione legislativa; opera come possibilità, riconosciuta ai livelli inferiori, di assumere iniziative normative e amministrative.

La complessità del sistema di riferimento77, unita alla flessibilità del

principio, consente l'assunzione di tali iniziative da parte del livello istituzionale più vicino e più adeguato all'interesse da regolare, che si ritiene legittimato in base al principio di sussidiarietà.

Secondo il dettato dell'art.118 il principio di sussidiarietà costituisce un vincolo nei confronti di tutti i livelli di governo, in tutte quelle ipotesi nelle quali si debba procedere all'allocazione di funzioni amministrative e quindi si debbano determinare anche le varie competenze delle relative autorità. Il principio funziona come parametro per la valutazione della legittimità costituzionale di quei riparti di competenze effettuati in modo non conforme ad esso, assumendo così una valenza propriamente giuridica ed in grado di rendere meno rigida la distribuzione delle competenze legislative. Introduce infatti elementi di flessibilità nel sistema e muta il concetto stesso di funzione amministrativa.

76 In tal senso A. Simoncini, Il terzo settore ed il nuovo Titolo V della Costituzione, in Sussidiarietà e politiche sociali dopo la riforma del Titolo V della

Costituzione, a cura di P. Carrozza e E.Rossi,Torino, Giappichelli, 2004.

77 Con le numerose modifiche, introdotte dalla riforma del Titolo V parte II della Costituzione, si giunge ad un riconoscimento più ampio degli enti territoriali, della loro autonomia e dei loro poteri.

(32)

L'art.118, al quarto comma, stabilisce inoltre come onere primario78,

posto a carico dello Stato e degli altri enti territoriali, quello di favorire l'autonoma iniziativa dei cittadini per lo svolgimento di attività di interesse generale. La disposizione in esame deve essere letta come norma di chiusura dell'intero sistema di distribuzione delle funzioni tra soggetti pubblici, indicando i cittadini singoli e associati come un ulteriore livello al quale poter esercitare quelle stesse attività e perseguire l'interesse generale. Nel momento in cui il legislatore ripartisce le funzioni normative e amministrative tra lo Stato e i vari enti territoriali impone a tutti i livelli di governo il compito di favorire l'autonoma iniziativa dei soggetti privati. In questo senso il principio di sussidiarietà deve essere inteso come norma sulla produzione giuridica, da collocare di fianco ai criteri di gerarchia e competenza79.

L'obbligo posto a carico dello Stato e degli altri enti territoriali di favorire l'autonoma iniziativa dei cittadini per lo svolgimento di attività di interesse generale assume quindi contenuti positivi e negativi.

Da una parte grava infatti sui soggetti pubblici un obbligo di fissare regole in grado di coinvolgere i soggetti privati nello svolgimento di quelle funzioni di indirizzo, di coordinamento e di controllo le quali dovrebbero competere in via esclusiva agli stessi soggetti pubblici. Questo coinvolgimento di soggetti privati riguarda non solo coloro che esercitano attività di interesse generale ma anche i destinatari dell'attività stessa. Si consente l'esclusione della partecipazione di soggetti privati solo quando tale esclusione sia necessaria a garantire

78 Nel linguaggio del legislatore l'indicativo <<favoriscono>> di cui al comma 4 dell'art.118 Cost. è da intendersi come un imperativo “obbligo a favorire” posto a carico dei poteri pubblici.

79 Cfr. D. De Felice, Il principio di sussidiarietà ed autonomia negoziale, Napoli, edizioni scientifiche italiane, 2008.

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la funzionalità dell'intero sistema80.

Il versante del contenuto negativo della sussidiarietà orizzontale consiste invece nel divieto per lo Stato e per gli altri enti territoriali di escludere l'autonoma iniziativa dei privati dall'esercizio di attività di interesse generale, salvo casi eccezionali, la cui sussistenza dovrebbe essere accertata ed adeguatamente motivata81.

Con la sussidiarietà orizzontale, consacrata a livello costituzionale dalla riforma del 2001, si viene a delineare un nuovo modello di riferimento, nel quale il privato cittadino, non è più solamente il destinatario dei risultati dell'esercizio di poteri e funzioni affidate e gestite direttamente dai soggetti pubblici, ma diviene il vero protagonista in grado di generare e conseguire direttamente mediante la propria autonoma iniziativa attività di interesse generale, tradizionalmente pubbliche.

Tale modello di organizzazione pluricentrico risulta il più adeguato alla complessità del sistema sociale di riferimento, un sistema in continua evoluzione e da sempre caratterizzato da una forte presenza di soggetti privati, operanti al fianco di quelli pubblici, nella fornitura e produzione di servizi e attività di interesse pubblico, come i servizi sociali e, per quanto interessa questo lavoro, l'assistenza sanitaria82.

80 Cfr. P. Falzea, L'intervento dei soggetti privati nelle attività di interesse generale

alla luce del nuovo Titolo V della Costituzione in Autonomia e sussidiarietà. Vicende e paradossi di una vicenda infinita a cura di L.Ventura, Torino,

Giappichelli, 2004. 81 Cfr. Id, Ibid.

82 V.supra capitolo I per quanto detto a proposito della presenza di soggetti privati nella fornitura del servizio sanitario nel corso dell'esperienza costituzionale italiana.

(34)

2.3.

6 Sussidiarietà orizzontale e autoamministrazione dei

privati.

Grazie alla penetrazione del principio di sussidiarietà orizzontale in Costituzione, quindi nella disciplina amministrativa e legislativa, si realizza una vera e propria “societarizzazione” delle funzioni o in altri termini un' ”autoamministrazione” della società civile83, espressione di

interazione e integrazione di interessi particolari.

Il denominatore comune della sussidiarietà orizzontale, nelle molteplici situazioni nelle quali il principio si è calato, consiste nella valorizzazione della capacità e dunque dell'autonomia della persona, dei gruppi sociali, delle società minori all'interno della società generale e delle strutture nelle quali essa organizza il potere, nella svolgimento di attività di interesse generale, senza presentarsi in opposizione all'autorità pubblica, alla sua presenza e al suo ruolo ma semmai ridisegnandone le finalità, le modalità organizzative ed operative, in direzione di un decisivo coinvolgimento di soggetti provenienti dalla società civile.

Correlativamente all'affermazione della capacità e soggettività dei singoli e dei gruppi al cui sviluppo e sostegno si ordina e si finalizza il sistema dei poteri pubblici, la sussidiarietà orizzontale enfatizza anche l'aspetto della loro rispettiva responsabilità, documento di una cittadinanza attiva e solidale, nella dimensione partecipativa.

L'essenza del principio di sussidiarietà orizzontale può dunque sintetizzarsi in una sequenza di parole chiave: capacità-autonomia, responsabilità-partecipazione. 84

83 Cfr. P.Duret, Sussidiarietà e autoamministrazione dei privati, Padova, CEDAM, 2004.

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