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dell’imputato, di cui agli artt. 70-73 c.p.p., con le sue caratteristiche e le conseguenze da esso implicate.

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INTRODUZIONE

Delineare una disciplina legislativa adeguatamente bilanciata, quando si presenta una situazione in cui più diritti diversi confliggono tra loro, può diventare un’impresa alquanto ardua che richiede una attività di ponderazione da compiere cercando di non tralasciare alcuno degli aspetti rilevanti. In tali ipotesi, malgrado i tentativi intrapresi dal legislatore con le migliori intenzioni, non sempre la soluzione trovata può dirsi pienamente soddisfacente: anche quando pare esser stata effettuata una scelta ragionevole, questa può presentare poi, a ben vedere, profili di criticità e di pregiudizio nei confronti di uno, o più, dei diritti “in gioco”. E quando tali diritti hanno copertura costituzionale e ineriscono a una posizione così delicata quale quella dell’imputato nel contesto del processo penale, il problema non può che essere ancor più complesso.

È proprio questo, ossia l’attenzione alla difficile attività di bilanciamento che il legislatore deve, o dovrebbe, compiere per disegnare la fisionomia di taluni istituti, nonché l’interesse per il processo penale in tutte le sue sfaccettature, pregi e difetti, che ha motivato la scelta dell’argomento di questa tesi, ossia l’analisi dell’istituto della sospensione del processo per incapacità

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dell’imputato, di cui agli artt. 70-73 c.p.p., con le sue caratteristiche e le conseguenze da esso implicate.

L’imputato è il fulcro del processo penale, è della sua responsabilità che si discute, dunque non può essere indifferente che egli sia consapevole o meno di ciò che sta accadendo nei suoi confronti e soprattutto degli strumenti processuali di cui può servirsi per difendersi. E appunto, è la necessità di assicurare lo svolgimento di un processo penale alla presenza di un imputato cosciente, in grado di comprendere tutto ciò che accade introno a lui e di difendersi, ad aver spinto il legislatore a prevedere, in caso di accertamento dell’incapacità, la sospensione del processo, la quale, una volta disposta dal giudice, perdura fino a quando l’imputato non abbia recuperato le facoltà indispensabili ad una partecipazione cosciente; un recupero il cui riscontro è agevolato dagli accertamenti periodici che il giudice, semestralmente, è tenuto a compiere.

L’obiettivo perseguito dal legislatore è dunque chiaro, pienamente condivisibile e si può anche dire che, con una disciplina così delineata, tutto parrebbe quadrare. A ben vedere, però, se da un lato l’intento è quello di garantire pienamente l’inviolabile diritto di difesa, o meglio, più nello specifico, il diritto all’autodifesa, dall’altro lato vi è un aspetto che, con un regime così tratteggiato, rimane pregiudicato. Cosa accade, infatti, se l’imputato è affetto da una infermità per la quale

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sono state escluse future possibilità di recupero? Il processo resta inevitabilmente sospeso sine die indipendentemente dal fatto che il reato, del cui accertamento si sta discutendo all’interno del processo, sia imprescrittibile o meno. Infatti, ai sensi dell’art. 159 c.p. (e prima della sentenza della Corte costituzionale dello scorso marzo) su di

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esso intervenuta, la sospensione del processo determinava una automatica sospensione del decorso del termine di prescrizione del reato. In altre parole, il processo è, anzi era, in tutti i casi sospeso in eterno, fino a quando non fosse sopravvenuta la morte dell’imputato, anche per i reati prescrittibili. Che ne è, allora, del diritto ad essere giudicati entro un termine ragionevole, o meglio, che ne è del diritto ad essere giudicati?

È proprio in questo clima che si è cominciato a parlare della categoria dei cc. dd. “eterni giudicabili”: un termine coniato agli inizi del secolo scorso e poi utilizzato per sottolineare la posizione di limbo nella

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quale gli imputati irreversibilmente incapaci si trovano sospesi, a tempo indeterminato, tra diritto di difesa, da un lato, e diritto ad essere giudicati, dall’altro.

Si allude alla sent. Corte cost. 25 marzo 2015, n. 45, in www.cortecostituzionale.it.,

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con commento di DANIELE M., Il proscioglimento per estinzione dei non più eterni giudicabili. La sorte degli imputati affetti da incapacità processuale irreversibile d o p o l a s e n t e n z a 4 5 / 2 0 1 5 d e l l a C o r t e c o s t i t u z i o n a l e , s u www.penalecontemporaneo.it, 20 aprile 2015. Cfr ampiamente cap. IV.

Il termine è stato infatti usato, per la prima volta, nel 1908 da B. FRANCHI in

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Riforma carceraria e scientifica, manicomii e misure di sicurezza, in Scuola positiva, 1908, pp. 679-680.

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La prima parte di questo lavoro, a cui ho dedicato i capitoli I e II, verte, sia sull’analisi delle ragioni per cui è fondamentale che l’imputato partecipi coscientemente al proprio processo, che su un excursus storico della disciplina della sospensione del processo per

incapacità dell’imputato, a partire dal codice di rito del 1865.

In particolare, nel capitolo I, si chiariranno, in via preliminare e per sgombrare il campo da ogni possibile confusione terminologica, le differenze e gli aspetti comuni rinvenibili dal confronto tra due concetti che, pur potendo avere punti di sovrapposizione, muovono su piani ben diversi: quello di difetto di imputabilità, da un lato, e quello di partecipazione cosciente al processo, dall’altro. Dopo di che ci si occuperà di una breve delineazione dei contenuti del diritto all’autodifesa per comprendere più a fondo l’importanza dell’apporto che un imputato può dare, in termini difensivi, all’interno del processo;

un apporto significativo, evidentemente, solo se l’imputato è cosciente.

Nel capitolo II saranno invece affrontate, in primo luogo, le evoluzioni che l’istituto della sospensione per incapacità ha riportato nel corso del tempo partendo dal codice del 1865 per giungere fino al codice Rocco del 1930, passando, ovviamente, per il codice del 1913. In secondo luogo, sarà analizzato dettagliatamente il contenuto delle disposizioni del codice di rito attuale (artt. 70-73 c.p.p.): ci si occuperà, infatti, dei presupposti della sospensione, degli accertamenti peritali, delle

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conseguenze derivanti dalla sospensione, fino alle condizioni per una sua possibile revoca.

La seconda parte del lavoro, invece, sarà incentrata, piuttosto, sulla problematica degli “eterni giudicabili” e sulle evoluzioni che, rispetto ad essa, si sono avute alla luce di un susseguirsi di interventi della Corte costituzionale.

Il capitolo III sarà infatti dedicato alle origini storiche del termine

“eterni giudicabili” ed alle pronunce della Consulta che, fino al 2013, si sono avvicendate circa il tema degli accertamenti periodici nei confronti di imputati irreversibilmente incapaci. Nella parte conclusiva dello stesso capitolo ci si occuperà, poi, diffusamente, dopo una delineazione degli effetti sostanziali della sospensione che si producono sul termine di prescrizione, della sentenza monito del febbraio 2013 evidenziando sia la prospettiva, nuova rispetto al

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passato, con cui la questione è stata posta al vaglio di legittimità, che le ragioni per cui il giudice delle leggi si è pronunciato con una sentenza monito. A quest’ultimo proposito si chiariranno anche le caratteristiche di tali particolari pronunce che la Corte costituzionale decide di adottare nei casi in cui accerta, ma non dichiara, l’illegittimità della

Corte cost., 14 febbraio 2013, n. 23, in Giurisprudenza costituzionale, Giuffrè,

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Milano, 2013, con osservazione di PINARDI R., L’inammissibilità di una questione fondata tra moniti al legislatore e mancata tutela del principio di costituzionalità, e di MAZZA O., L’irragionevole limbo processuale degli imputati “eterni giudicabili”.

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disciplina denunciata, ritenendo più opportuno sollecitare un intervento modificativo del legislatore.

Infine, il IV e ultimo capitolo, verterà sulle nuove questioni sollevate alla Corte costituzionale a causa del perdurare, malgrado il monito, dell’inerzia del legislatore. Tra queste, una in particolare consentirà di cogliere un ulteriore aspetto del problema, quello di imputati, non solo eternamente giudicabili, ma anche sottoposti a misura di sicurezza.

Dopo di che ci si occuperà dell’ultima tappa decisiva segnata dalla pronuncia dello scorso marzo 2015 , rivolta alla disciplina della

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prescrizione, nonché delle questioni da essa lasciate irrisolte e della proposta, contenuta nel disegno di legge attualmente in discussione ,

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di introdurre un art. 72 bis all’interno del c.p.p. Da ultimo si è cercato di proporre una possibile soluzione alternativa a quella attuale, sottolineando comunque che, sul punto, è sicuramente opportuno che intervenga il legislatore, in maniera organica, non potendo bastare quanto scaturito dalle pronunce, in particolare dall’ultima, della Corte costituzionale.

Nello svolgimento del lavoro si è tentato di mettere in evidenza le evoluzioni che l’istituto ha subito nel corso del tempo, in particolare

Corte cost., 25 marzo 2015, n. 45 cit.

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D.d.l Modifiche al codice penale e al codice di procedura penale per il

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rafforzamento delle garanzie difensive e la durata ragionevole dei processi e per un maggior contrasto del fenomeno corruttivo, oltre che all’ordinamento penitenziario per l’effettività rieducativa della pena, n. 2798, presentato alla Camera il 23 dicembre 2014, attualmente in esame all’Assemblea, consultabile sul sito web www.camera.it.

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alla luce delle interpretazioni via via fornite dalla Consulta che, come si è detto, e come si vedrà, è stata più volte investita di questioni riferite, di volta in volta, ad aspetti diversi del problema (dal presupposto naturalistico dell’infermità, agli accertamenti periodici fino ad arrivare al regime della prescrizione). Inoltre, non è mancata l’attenzione nel riconoscere come, pur potendo (e dovendo) il legislatore cercare di delineare una disciplina che sia il più possibile soddisfacente, ciò sia un’impresa realmente complessa. In altre parole, il bilanciamento tra i diritti e gli interessi in gioco non è cosa semplice:

si tratta di trovare un equilibrio tra diritto all’autodifesa, diritto ad essere giudicati, efficienza, prevenzione del rischio di atteggiamenti simulatori, certezza circa l’accertamento di un aspetto che, in realtà, tanto certo non può essere, quale una infermità e, più ancora, la sua irreversibilità. Una operazione, si comprende, delicata che coinvolge una persona, ossia l’imputato, l’accertamento di un reato di cui è accusato e, di conseguenza, il suo futuro. Si tratta di trovare una soluzione che, pur sacrificando qualcosa, ne arrechi il minimo pregiudizio possibile. Proprio questo l’aspetto a cui si è guardato nella scelta di intraprendere lo studio approfondito di questo argomento.

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