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Capitolo 3 : Parte sperimentale 1. Materiali utilizzati

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Capitolo 3 : Parte sperimentale 1. Materiali utilizzati

I materiali utilizzati nel presente lavoro di tesi sono:

1. Chitosano (CS; grado di deacetilazione > 85%, Aldrich Co.);

2. Gelatina di tipo B (G; Aldrich Co.);

3. Genipina (GP, Wako, Japan);

4. Poliuretano di sintesi (PU);

5. Miscele di chitosano e gelatina (CS/G);

1.1 Chitosano

Il chitosano è un biopolimero naturale cationico ottenuto tramite N-deacetilazione alcalina della chitina, tale reazione non è quasi mai completa [1,2]. La chitina è un mucopolisaccaride naturale che funge da materiale di supporto di crostacei e insetti, ed è il polimero naturale più abbondante dopo la cellulosa [3,4].

Fig. 3.1. Formula del chitosano

Il chitosano è utilizzato per le sue caratteristiche favorevoli, che sono:

buona biocompatibilità;

buona biodegradabilità;

bassa tossicità;

basso costo [5-7];

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Per questi motivi principali gli usi del chitosano sono svariati e si posso riassumere in questi:

veicolo per medicinali;

agente di guarigione per le ferite;

filtro-membrana per trattamento di depurazione delle acque;

rivestimento o film biodegradabile per imballaggi alimentari[8];

In particolare il chitosano è più rigido e più fragile dei tessuti nervosi e ciò comporta delle difficoltà nel suo uso per la rigenerazione nervosa; per questo motivo si cerca di modificare tale polimero per migliorare le sue caratteristiche meccaniche. Uno di questi metodi consiste nella miscelazione con altri polimeri, per esempio la gelatina [9].

1.2 Gelatina

La gelatina è un polipeptide con un peso molecolare che va da 15000 g/mol fino a valori superiori a 250000 g/mol, ed è ottenuta per idrolisi del collagene (ricavato, a sua volta, da pelle e da ossa animali) in condizioni acide o basiche a seconda del tipo di collagene adoperato [10].

La gelatina contiene tutti gli amminoacidi essenziali ad eccezione del triptofano ed è usata come ingrediente per cibi. In acqua calda, la gelatina inizialmente si rigonfia rapidamente e poi si dissolve formando una soluzione viscosa [11].

La proprietà più importante della gelatina è quella di formare gel termo-reversibili con diverso potere gelificante; questa capacità dipende dalla struttura molecolare cioè dalla composizione in amminoacidi, dalla distribuzione del peso molecolare e dalla natura anfotera della gelatina [12].

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La gelatina alimentare è composta da:

84-90 % di proteine;

8-12 % di acqua;

2-4 % di sali minerali [13];

La gelatina viene impiegata nei seguenti campi:

industria alimentare;

industria fotografica;

industria farmaceutica [14].

1.3 Genipina

La genipina è ottenuto dalla geniposide, un glucoside iridoide isolato dai frutti della Gardenia jasminoides Ellis (Fig. 3.2) [15].

Fig. 3.2 Formula della genipina

La genipina ha trovato impiego nella medicina erboristica [16], mentre i pigmenti blu ottenuti per reazione della genipina con ammine primarie, sono stati usati per produrre coloranti alimentari che hanno la caratteristica di essere resistenti al calore, alla luce e al pH [17]

Nel presente lavoro di tesi, come in altri studi [18], la genipina ha una funzione di agente reticolante. Essa ha un meccanismo di reticolazione che sarà descritto nel paragrafo 2.2.

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1.4 Poliuretano

Il poliuretano adoperato è stato sintetizzato presso il Dipartimento di Ingegneria Chimica dell’Università di Pisa, durante un precedente lavoro di tesi [19].

La sintesi, riportata in fig 3.3, prevede due stadi:

1. la formazione del prepolimero per reazione del macrodiolo o segmento soft (PCL 1250, Aldrich Co.) con il diisocianato (LDI);

2. trasformazione del prepolimero nel prodotto finale per reazione con l’estensore di catena (diolo, cicloesandimetanolo CDM).

OCN R NH CO O

OC NH O

R NCO

C HN O

R NH CO O

OC O

NH R NH C

n O

O R' O HO R' OH

2 OCN R NCO + HO OH

HO CH2 C O O

CH2 CH2 O C CH2 O

O H

x y

5 5

Macrodiolo: PCL diolo

O C N CH2 CH N C O COOEt

Diisocianato: LDI 4

HO CH2

CH2 OH

Estensore di catena: CDM

Fig. 3.3. Sintesi del poliuretano utilizzato e unità strutturali

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Il poliuretano in questione ha peso molecolare medio di 200000; esso verrà indicato nel presente lavoro con la sigla PU. Questo polimero fa parte di una serie di polimeri sintetizzati nei nostri laboratori. Questi polimeri presentano una struttura segmentata costituita dall’alternanza di blocchi rigidi e di blocchi flessibili lungo la catena.

Variando la natura dei segmenti costituenti è possibile ottenere materiali con un ampio spettro di proprietà chimico-fisiche e meccaniche. Un ulteriore elemento di versatilità di questi sistemi è dato dalla presenza di un copolimero a base di policaprolattone e di polietilenglicol come elemento flessibile, la cui composizione può essere variata con continuità, facendo variare le proprietà intrinseche del materiale. Studi preliminari basati sull’analisi al AFM hanno consentito di identificare il poliuretano utilizzato in questo lavoro di Tesi, come quello più idoneo a promuovere l’adesione cellulare.

1.5 Miscele di chitosano e gelatina

Le miscele di chitosano e gelatina sono miscele a differenti composizioni in peso dei materiali suddetti. Si utilizzano miscele di chitosano e gelatina per cercare di produrre dei materiali che abbiano proprietà che racchiudano le caratteristiche migliori dei due elementi di cui le miscele sono composte; in particolare sono state studiate le miscele chitosano / gelatina con i seguenti rapporti in peso:

20/80;

40/60;

60/40;

Per la preparazione di tali miscele si veda il paragrafo 2.1.

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2. Metodi

2.1 Preparazione delle miscele per casting di miscele a base di chitosano e gelatina

La preparazione delle miscele è la prima fase della sezione sperimentale attuata e descritta in questo lavoro di tesi. Tale fase serve a ottenere film polimerici su cui effettuare le diverse prove sperimentali. La preparazione è suddivisa in più step che andremo di seguito ad analizzare:

1. Preparazione della soluzione di chitosano (1% w/v) in acido acetico e acqua (1% v/v); in seguito si opera una filtrazione per eliminare i residui insolubili presenti.

2. Preparazione della soluzione di gelatina (10% w/v) in acqua demineralizzata a 50°C;

3. Miscelazione e agitazione magnetica delle due soluzioni in quantità opportune per 2 ore a 50°C.

4. Permanenza in stufa per 48 ore a 37°C, dopo che la soluzione è stata versata in capsule petri.

5. Neutralizzazione con NaOH 0.1M dell’acido acetico contenuto nella miscela di chitosano.

6. Lavaggi in serie con acqua demineralizzata fino a rendere neutro il pH della soluzione.

7. Essiccamento in stufa a 37°C.

2.2 Reticolazione

In questo lavoro si sono adottate due tipologie di reticolazioni:

reticolazione termica, consiste nella permanenza dei film polimerici in stufa da vuoto a 50°C per 90 minuti e per le successive 5 ore a 130°C.

reticolazione chimica mediante genipina

I metodi di reticolazione chimica analizzati in questo lavoro di tesi sono:

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1. reticolazione chimica in tampone fosfato (PBS) a pH = 7.4; per tale metodo i film per casting sono stati reticolati con una soluzione di 20 ml di genipina in PBS per 24 ore a temperatura ambiente. I campioni sono stati in seguito lavati con acqua distillata ed essiccati per 48 ore a 37°C.

Già in fase di lavaggio questi campioni tendono a disciogliersi.

2. Reticolazione chimica in soluzione; per questo metodo la genipina è stata aggiunta direttamente nella soluzione di preparazione delle miscele a 50°C per un tempo necessario ad avere l’inizio della gelificazione. Una volta che il materiale è gelificato, è versato in dischi petri ed è messo in stufa per un essiccamento di 48 ore a 37°C. In seguito sono effettuati lavaggi con NaOH 0.1M e con acqua, e poi un secondo essiccamento. La percentuale di genipina utilizzata per questa reticolazione è stata scelta perché ha dato buoni risultati in precedenti lavori [23].

Nel capitolo 4 saranno illustrati i motivi per cui la scelta sul metodo di reticolazione chimica è caduta sul metodo in soluzione.

Bisogna fare una osservazione dicendo che tutti i campioni che subiscono la reticolazione chimica non hanno subìto reticolazione termica e viceversa.

2.3 Swelling e perdita di peso

Per swelling si intende il rigonfiamento cui sono soggetti i materiali se immersi in opportune soluzioni e per un certo tempo.

Tale proprietà è studiata per analizzare la stabilità delle miscele a base di chitosano e gelatina in ambiente acquoso.

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La misura dello swelling consiste nel calcolo della percentuale di swelling RSW che è così definita:

RSW = [( Wf – Wi ) / Wi ] x 100 (eq.1)

dove Wf è il peso del campione dopo lo swelling e Wi è il peso del medesimo campione prima dello swelling.

La prova sperimentale per l’ottenimento del rapporto di swelling si compone dei seguenti passaggi:

1. preparazione dei campioni sotto forma di quadrati di lato pari a 10 mm;

2. pesata dei campioni;

3. essiccamento in stufa per 24 ore a 37 °C e nuova ripesata dei campioni;

tale trattamento serve ad eliminare l’umidità presente nei campioni;

4. immersione dei campioni in tampone fosfato PBS ( pH = 7.4 ) a temperatura di 37°C;

5. prelievi a tempi diversi dei campioni rigonfiati ed eliminazione dell’acqua in eccesso con carta assorbente. I tempi a cui sono stati effettuati i prelievi sono : 1, 3, 6, 24, 48 ore;

6. pesata dei campioni rigonfiati, immediatamente dopo il prelievo per evitare interferenze di misura dovute all’assorbimento di umidità atmosferica da parte dei campioni;

Le suddette prove sono state seguite dalle prove di perdita di peso, che servono per verificare se una parte o la totalità del singolo campioni non si sia disciolto nella soluzione utilizzata.

La misura della perdita di peso consiste nel calcolo del rapporto di peso perso Rw1, definito come segue:

Rw1 = [( Wi – Wf1 ) / Wi )] x 100 (eq.2)

dove Wi è il peso iniziale del campione e Wf1 è il peso del medesimo campione dopo swelling e successivo essiccamento (effettuato per 48 h a 37°C).

Bisogna notare che per ogni materiale si sono preparati tre repliche per ottenere un dato sperimentale attendibile, dalla media delle tre misure.

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2.4 Stress-strain e creep-relaxation

2.4.1 Generalità

Quando un oggetto è sottoposto ad una forza esterna F, esso si deforma. Il tipo e l’intensità della deformazione dipendono dalla forza applicata, dalle caratteristiche del materiale e dalla forma dell’oggetto [20].

Per caratterizzare meccanicamente un materiale occorre sottoporre a forze, o a momenti, un provino la cui forma è preventivamente definita, di solito tali provini sono cilindrici o a forma di strisce sottili.

Esistono due tipologie di sollecitazioni meccaniche semplici.

Il primo tipo è prodotto dall’applicazione di una forza F che produce una modifica dimensionale ∆L del provino senza modificare essenzialmente la forma. La forza utilizzata può essere di due tipi: di trazione e di compressione.

Il secondo tipo è prodotto dall’applicazione di un momento M che produce modifiche nella forma del provino; tali modifiche sono determinate dalla misura dell’angolo υ compreso tra l’orientamento iniziale e quello finale di un bordo del provino.

In questo lavoro di tesi si è scelto una sollecitazione meccanica semplice del primo tipo, utilizzando forze deformanti di trazione.

Per queste prove sperimentali, in questo lavoro di tesi sono stati usati provini a forma di strisce sottili di dimensioni 5x15 mm.

2.4.2 Prove di stress-strain

In generale un materiale sottoposto ad una modesta sollecitazione si deforma in modo reversibile, e quindi se la sollecitazione è eliminata, il materiale recupera la sua forma iniziale; questo comportamento è definito comportamento elastico a cui è associata una deformazione detta elastica.

Solitamente esiste per ogni materiale un valore della sollecitazione, detto limite elastico, oltre il quale la deformazione diventa irreversibile; questo comportamento è definito plastico e la deformazione residua è detta deformazione plastica.

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Al fine di valutare le proprietà intrinseche di un materiale, è opportuno convertire la relazione tra la forza applicata e la deformazione in una relazione che non dipenda dalle dimensioni del provino su cui vengono effettuate le misure.

Si introducono due nuove grandezze: lo stress, o sforzo unitario, e lo strain, o deformazione unitaria. Con riferimento alla prova di trazione (che è quella utilizzata in questo lavoro), si definisce:

• stress: σ = F /A0

dove con F si indica la forza applicata e con A0 si indica l’area della sezione resistente del provino indeformato;

• strain: ε = ( l – l0 ) / l0

dove con l si indica la lunghezza del provino dopo la deformazione e con l0 si indica la lunghezza iniziale del medesimo provino.

Le prove stress-strain permettono di tracciare l’andamento dello sforzo in funzione della deformazione e da questi grafici permettono di ricavare due parametri molto importanti: il modulo di Young, quindi la transizione del comportamento del materiale da elastico a plastico, e l’allungamento a rottura, che permette di determinare la tipologia di rottura, fragile o duttile, del materiale.

Per questo tipo di prova è stato utilizzato un macchinario, la descrizione e le modalità di utilizzo del quale saranno discusse nel paragrafo 2.4.5.

2.4.3 Prove di creep-relaxation

Un materiale ha un comportamento viscoelastico quando la relazione che lega lo sforzo e la deformazione, è dipendente dal tempo. Generalmente un materiale viscoelastico ha un modulo di Young che cresce con la velocità di deformazione [21].

I materiali polimerici e quelli biologici presentano un comportamento viscoelastico.

Per ottenere la caratterizzazione di un materiale viscoelastico si possono effettuare due tipi di prove:

• la prova a creep che consiste nella applicazione istantanea di un carico al provino, al mantenimento di tale carico e si misura la deformazione nel tempo;

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• la prova di rilassamento dello sforzo che consiste nell’applicazione istantanea di una deformazione al provino e nella misurazione del carico per mantenere la deformazione nel tempo.

Nel presente lavoro si è scelto di effettuare la prova a creep a carico costante; il carico è calcolato come il carico associato allo sforzo che si ha in corrispondenza dello 0.5 % della deformazione nelle curve stress-strain. Il carico è applicato istantaneamente al provino, mantenuto per un tempo pari a 60 minuti, poi rimosso per studiare il recupero elastico e il rilassamento del materiale.

Per descrivere dal punto di vista fisico-matematico il modello meccanico di un materiale viscoelastico, si usano modelli ottenuti dalla combinazione di modelli elementari. Tali modelli elementari sono l’elemento elastico lineare (molla), che obbedisce alla legge di Hooke, e l’elemento viscoso lineare ( pistone che si muove in cilindro pieno di olio), che obbedisce alla legge di Newton. Il modello meccanico rappresenta il solo comportamento macroscopico e non fornisce alcuna indicazione sul meccanismo molecolare dei fenomeni viscoelastico.

Nel capitolo 4, dopo aver analizzato i dati sperimentali, verrà descritto il modello scelto per rappresentare il comportamento viscoelastico dei materiali analizzati.

Per questo tipo di prova è stato utilizzato un macchinario, la descrizione e le modalità di utilizzo del quale saranno discusse nel paragrafo 2.4.5.

2.4.4 Trasduttore isotonico di posizione

Per le prove stress-strain e creep-relaxation è stato utilizzato un trasduttore isotonico di posizione realizzato usando il modello 7006 della Ugo Basile Biological Research Apparatus [22], progettato per misurare variazioni dimensionali di fibre muscolari e polimeriche. In figura 3.5 è rappresentato il trasduttore isotonico di posizione.

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Fig. 3.5 Trasduttore isotonico di posizione

Il trasduttore è costituito da un sistema a leva di fibra di carbonio ad un estremo della quale è collegato il provino, mentre all’altro estremo è posizionato un contrappeso mobile realizzato in una lega di tungsteno. Il provino è sottoposto ad un precarico, che è regolato movendo il contrappeso lungo una scala calibrata in grammi, aumentando così il braccio di azione e la conseguente forza applicata, in tale maniera la risoluzione con cui è possibile variare la forza è di 0.001 N, corrispondenti a 0.1 g;

per ottenere carichi superiori sono stati agganciati, ad un apposito supporto, dei pesi noti in piombo.

Il fulcro della leva contiene un magnete di SmCo (lega samario cobalto); una rotazione di tale magnete comporta una variazione di flusso magnetico attraverso una piastra di semiconduttore su cui si ha effetto Hall e ai cui estremi si misura una tensione proporzionale alla rotazione stessa.

La specifica di maggior interesse è il rapporto di traduzione, che è molto basso: il segnale di uscita, misurato su un carico di 10 kς, è pari a 300 mV/mm, riferendosi ad uno spostamento dell’estremo del braccio a cui viene agganciato il provino. Il sistema di traduzione si mantiene lineare per un range di 15° attorno alla posizione orizzontale della leva, con un errore del 2%. Il problema del basso segnale diventa

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rilevante quando si vogliano apprezzare variazioni dell’ordine delle decine di millimetri e quindi segnali dell’ordine del mV; in questi casi bisogna amplificare il segnale prima di inviarlo alla scheda di acquisizione dati.

L’amplificatore adottato è costituito dal circuito integrato AD624 dell’Analog Device; esso è un amplificatore ad alta precisione e basso rumore progettato per trasduttori a basso livello di segnale. L’alimentazione dell’amplificatore è costituita da due pile ricaricabili da 12V, in questo modo non si introduce nessun rumore dovuto a disturbi di rete.

Per eliminare disturbi raccolti dai cavi di collegamento, e dato che il segnale è a bassa frequenza, è stata posta in ingresso alla scheda di acquisizione dati una squadra RC con frequenza di taglio di 40-50 Hz [23]. L’evoluzione temporale della misura è graficata in tempo reale su monitor tramite un software appositamente sviluppato, in Visual Basic, che permette di acquisire non solo i dati provenienti dal trasduttore, ma anche di salvarli, analizzarli e segnalare malfunzionamenti che possono presentarsi durante la misura.

Per le acquisizioni di questo lavoro si è usato come intervallo di acquisizione 1 secondo.

Il trasduttore isotonico è stato utilizzato con la stessa modalità per due tipologie di prove sperimentali:

• per le prove stress-strain, il provino (di dimensioni 5x15 mm) è stato agganciato ad un estremo della leva, esso è stato messo in tensione con un precarico, ed è stata fatta una acquisizione per 69 minuti, durante i quali a tempi precisi (ogni 3 minuti), venivano aggiunti carichi fissi sull’altra estremità della leva; tale tempo è stato determinato dal carico massimo sopportato dalla macchina (592 g) e dall’intervallo di tempo che intercorreva tra l’aggiunta di un carico e l’altra.

• Per le prove di creep-relaxation, il provino (di dimensioni 5x15 mm) è stato agganciato ad una estremità della leva, è stato messo in tensione con un

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precarico e all’altra estremità della leva è stato agganciato un carico calcolato come il carico associato allo sforzo che si ha in corrispondenza dello 0.5 % della deformazione nelle curve stress-strain; si è dato il via all’acquisizione per una durata complessiva di 120 minuti, dopo la metà dei quali (60 min) è stato rimosso il carico.

Per i risultati di queste prove si faccia riferimento al capitolo 4.

2.5 Pressure Activated Microsyringe ( PAM )

La caratterizzazione meccanica descritta in precedenza, non è stata effettuata esclusivamente su scaffold biopolimerici sotto forma di film, ma anche su scaffold polimeri ottenuti con una delle tecniche di microfabbricazione. La tecnica usata è quella della Pressare Activated Microsyringe

Essa è basata sull’uso di una microsiringa che permette la deposizione di una ampia gamma di polimeri. Tra i materiali studiati in questo lavoro di tesi, l’unico polimero adatto a questo tipo di deposizione è il poliuretano, in quanto solubile in un solvente altamente volatile quale il cloroformio.

Si è utilizzata una soluzione di poliuretano in cloroformio con concentrazione pari al 8% w/v.

La macchina utilizzata è costituita da una siringa a controllo numerico che si muove lungo i tre assi cartesiani. In figura 3.6 si può vedere una immagine della PAM.

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Fig 3.6 Pressure Activated Microsyringe (PAM)

La struttura meccanica è costituita da tre slitte motorizzate, montate su un robusto supporto in alluminio in maniera da formare una terna di assi ortogonali. Ogni slitta è azionata da un motore stepper bipolare a quattro fasi con risoluzione angolare di 1.8°/step, collegato con una vite a ricircolo di sfere con passo di 0.5 µm che consente la trasformazione del moto angolare in moto lineare con un coefficiente di avanzamento di 388 µm/grado. Tale soluzione riduce quasi del tutto il gioco meccanico in presenza di inversioni di moto ed è in grado di garantire un elevatissimo livello di precisione anche in presenza di forti accelerazioni.

Come motore è stato scelto un motore stepper perché tale soluzione non necessita di costosi sensori di posizione.

La macchina può lavorare in un campo di velocità compreso tra 1 e 5000 µm/s.

Il supporto di deposizione è costituito da un normale vetrino per microscopio delle dimensioni di 20x20 mm.

La procedura per la deposizione consiste nello scioglimento del polimero nell’opportuno solvente (è stato usato cloroformio), nella sua immissione nella testa della siringa costituita da un cilindro di acciaio disposto lungo l’asse z, e di volume di circa 10 ml. Il polimero è estruso attraverso un ago di vetro con diametro interno

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della punta compreso tra 5 e 20 µm mediante meccanismo pneumatico a pressione controllata. A monte del sistema c’è una valvola elettronica interfacciata al pc in grado di regolare la pressione di uscita dell’aria compressa in un range che va da 0 a 300 cbar, con una precisione di 1 cbar e una costante di tempo di circa 1 secondo.

Il computer, oltre a controllare la pressione applicata, controlla il posizionamento della siringa. Il dispositivo dispone anche di un software CAD, appositamente sviluppato, che permette di disegnare la struttura strato per strato.

La realizzazione dello scaffold è ottenuta facendo muovere il substrato di deposizione lungo gli assi x e y; una volta deposto il primo strato, esso è ricoperto con un film polimerico solubile in un solvente diverso da quello che scioglie il polimero utilizzato (in questo lavoro è stata utilizzata acqua deionizzata). La siringa è alzata di un tratto dz, corrispondente alla somma dello spessore del primo strato e dello spessore dell’idrofilm, e il sistema ricomincia la deposizione di un nuovo strato [24]. In figura 3.7 è riportato lo schema di funzionamento sopra descritto.

Regolatore elettronico della pressione

Aria compressa

Microsiringa

Microposizionatore

Circuito di controllo degli stepper motor e della pressione

Fig.3.7 Schema di funzionamento della PAM

Con questo sistema possibile realizzare rapidamente strutture bidimensionale e tridimensionali dalle geometrie complesse, di buona qualità, con sufficiente grado di precisione (la risoluzione laterale è compresa tra 5 e 20 µm), e tali da simulare i

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mosaici cellulari tipici dei tessuti naturali e quindi idonei alla coltura cellulare e allo studio delle attività cellulari, quali adesione, proliferazione, motilità.

Nel presente lavoro di tesi sono stati utilizzati: poliuretano come polimero da depositare con una concentrazione dell’8% (w/v), cloroformio come solvente e acqua deionizzata come controsolvente per staccare le strutture formate dal substrato di deposizione. Le strutture realizzate sono costituite da tre strati, ognuno dei quali a forma di griglia con cella unitaria di tre geometrie differenti: quadrata, esagonale e ottagonale. Come parametri operativi sono stati utilizzati velocità di deposizione pari a 2500 µm/s e pressione di 30 cbar.

Sulle strutture depositate, una volta che sono state staccate dal substrato di deposizione tramite immersione in acqua deionizzata, sono state effettuate le prove di stress-strain e le prove di creep-relaxation, per la determinazione delle proprietà meccaniche delle suddette strutture.

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