L’assenza dell’imputato nel processo penale,
dopo la legge 28 aprile 2014, n. 67 .
di G. MAZZI
(Intervento al “Corso avvocati” presso Il Tribunale militare di Roma il 20 novembre 2014)
1. Considerazioni generali.
La legge n. 67/2014, nell’intento di stabilire una piena attuazione delle norme europee in tema di esercizio del diritto di difesa nel processo penale, ha introdotto, come è noto, due principali innovazioni: in negativo, la soppressione dell’istituto della contumacia e degli istituti connessi, come la restituzione in termini, ex art. 175, comma 2 (che è ora limitata al decreto penale di condanna); in positivo, la previsione della sospensione del processo per gli irreperibili.
E’ degno di nota che nulla in sostanza è cambiato quanto alla disciplina delle notifiche (comprese quelle per gli imputati irreperibili), ed alla disciplina della impossibilità a comparire per legittimo impedimento.
Anche ora il giudice dovrà quindi verificare la ritualità delle notifiche e valutare se sia stato addotto (o risulti probabile) un legittimo impedimento a comparire. E’ però modificato radicalmente il significato che assume tale verifica:
mentre in precedenza dalla mera regolarità delle notifiche si traeva la presunzione della volontà dell’imputato di non comparire in udienza (con la conseguente dichiarazione di contumacia), adesso occorre una ulteriore verifica circa la conoscenza del procedimento. Se tale verifica è negativa, il procedimento, dopo l’effettuazione di un ulteriore tentativo di notifica a mani proprie, deve essere sospeso.
Una comparazione tra la pregressa e la nuova disciplina è peraltro difficile per la ragione seguente: mentre in precedenza nella contumacia si accomunavano situazioni nettamente distinte (quella di chi non avesse avuto alcuna conoscenza del processo, generalmente a causa della sua irreperibilità; quella di chi, pur a conoscenza del processo, non avesse avuto conoscenza effettiva della data dell’udienza; quella di chi avesse volontariamente deciso di non partecipare
all’udienza preliminare o al dibattimento, senza però una esplicita rinuncia), ora tali situazioni determinano degli effetti giuridici diversificati. Nel primo caso si ha la sospensione del processo; nel secondo e terzo caso si ha la dichiarazione di assenza.
La nuova legge è, per il primo profilo, più garantista: la sospensione del processo, per gli imputati in ordine ai quali non vi sia la prova della conoscenza del processo, fino a che questi non diventino reperibili, configura infatti la più radicale tutela del diritto di partecipare personalmente al procedimento penale.
Minori garanzie, rispetto al passato, sono invece stabilite per chi risulta con certezza a conoscenza dell’esistenza del processo, pur non essendo provato che abbia avuto personale conoscenza delle singole fasi e della adozione dei provvedimenti più rilevanti. L’aspetto principale è costituito dalla circostanza che la dichiarazione di assenza, diversamente dalla dichiarazione di contumacia, non determina la notifica dell’estratto della sentenza: ciò può determinare la scadenza dei termini per l’impugnazione, senza che sia nemmeno previsto il rimedio della restituzione in termini.
Gli istituti della notifica dell’estratto contumaciale e della restituzione in termini avevano infatti un ruolo di garanzia fondamentale. Con la restituzione in termini, in particolare, si consentiva al contumace, senza che fosse questi a dover dare la prova di non aver avuto effettiva conoscenza del procedimento o del provvedimento, di attivare quanto meno un giudizio di impugnazione, per il quale erano già decorsi i termini. E’ difficile che il nuovo rimedio della rescissione del giudicato, prevedendo un onere per il condannato di provare l’incolpevole mancata conoscenza della celebrazione del processo, possa estendersi a tutti i casi in cui poteva essere disposta la restituzione in termini.
La nuova disciplina, che ha il suo cardine nell’art. 420 bis, prevede che da alcune circostanze, quali la pregressa nomina del difensore di fiducia, e dalla regolarità delle notifiche, si desume la volontà dell’imputato di non partecipare all’udienza. Poiché non è prevista la notifica dell’estratto di sentenza, emessa dopo la dichiarazione di assenza, ne deriva una maggiore responsabilità del difensore, nel garantire la conoscenza effettiva degli atti processuali. Questo in particolare nel caso di domiciliazione presso il difensore: in questo caso il difensore dovrà utilizzare ogni mezzo disponibile per informare l’imputato delle notifiche ricevute, essendo egli, in sostanza, il “garante” della conoscenza effettiva, da parte dell’imputato, della celebrazione del processo. Appare pertanto del tutto inattuale l’interpretazione secondo cui, nel caso di revoca del difensore (o di rinuncia) e di nomina di un nuovo
difensore, mantiene efficacia la elezione di domicilio presso il difensore revocato, che non vi è ragione di ritenere abbia ulteriori rapporti con l’imputato.
Vi è peraltro da dire che anche la nuova legge mantiene una categoria, quella dell’imputato “considerato presente”, ovvero che si allontana dopo essere comparso, o non si presenta ad udienze successive. Così come si accomuna, alla situazione dell’assente, quella di chi ha rinunciato espressamente a comparire. In tutte queste situazioni l’imputato è rappresentato dal difensore.
2. L’assenza dell’imputato nel processo penale militare.
Nella giustizia militare dovrebbero prevalere gli aspetti di attenuazione delle garanzie.
L’aspetto più innovativo della legge, si è detto, concerne la previsione della sospensione del processo per gli irreperibili (o per chi comunque non ha conoscenza del procedimento). Tale ipotesi appare oggi del tutto eccezionale per i procedimenti penali militari. Ad esempio, dinanzi alla Corte militare di appello, pressoché tutti gli imputati sono assistiti da difensori di fiducia. La figura del difensore di ufficio, così come la normativa sul patrocinio a spese dello Stato, sono ormai desuete. Saranno quindi sempre presenti (tranne casi rarissimi) i presupposti per procedere in assenza dell’imputato.
Una volta non era così. Al tempo della leva obbligatoria moltissimi erano i casi di imputati all’estero o irreperibili. Basta pensare ai procedimenti per mancanza alla chiamata nei confronti degli iscritti di leva, magari da anni all’estero (perché espatriati senza il prescritto nulla osta), che venivano arruolati senza visita e poi chiamati alle armi con pubblico manifesto (con inescusabilità della ignoranza dei doveri militari, ex art. 39 c.p.m.p., norma dichiarata incostituzionale, nella parte in cui esclude la rilevanza della ignoranza inevitabile: Corte cost., sent. n. 61/1995).
Molte condanne venivano quindi emesse senza che l’interessato fosse a conoscenza della esistenza del procedimento penale (con esecuzione dell’ordine di carcerazione nel caso di un occasionale rientro in Italia) e un rimedio frequente era allora costituito più che dalla restituzione in termini, dalla presentazione di una istanza di revisione, con la produzione di nuove prove.
In origine, peraltro, per i militari cui era contestato un reato di assenza dal servizio, era stabilita, con una norma del codice penale militare di pace di indubbio interesse, l’esclusione del giudizio in contumacia. L’art. 377 c.p.m.p. prevedeva
infatti che “non si procede al giudizio in contumacia per i reati di diserzione e mancanza alla chiamata” , ma tale norma è stata dichiarata incostituzionale, a seguito della entrata in vigore del nuovo codice di procedura penale – Corte cost., n.
469/1990 – dal momento che non era più previsto uno strumento coattivo per far cessare la permanenza del reato, non essendo più obbligatoria, né consentita, la emissione di misure cautelari nei confronti dei disertori).
Ulteriore originaria peculiarità del processo penale militare era costituita dall’obbligo, per tutti gli imputati, di comparizione personale, ex art. 365 c.p.m.p. La Corte cost., sent. 301/1994, ha dichiarato l’incostituzionalità anche di tale disposizione, affermando che all’imputato deve essere garantita una libertà di scelta, nell’esercizio del diritto di difesa, fra il presentarsi dinanzi al giudice o rimanere assente.
3. Cenni sulle questioni problematiche.
Cardine del nuovo sistema è il seguente: il giudice deve svolgere d’ufficio, ai sensi dell’art. 420 bis (nell’udienza preliminare, ma anche nel dibattimento e nel dibattimento di appello), un accertamento che mira a verificare la conoscenza del procedimento da parte dell’imputato: se non ve ne è dimostrazione, si attiva un meccanismo che prevede il tentativo di notifica a mani proprie da parte della polizia giudiziaria e, in caso di esito negativo, la sospensione del processo.
La legge stabilisce la rilevanza di quelli che sono stati definiti, nei primi commenti alla legge, fatti (o indicatori) sintomatici: nomina del difensore di fiducia, elezione di domicilio, arresto o sottoposizione a misura cautelare, notifica a mani proprie, esistenza di altri elementi da cui risulti con certezza che l’imputato è a conoscenza del procedimento o si è volontariamente sottratto alla conoscenza del procedimento o di atti del medesimo.
L’esistenza del fatto sintomatico fa presumere la conoscenza del procedimento e la regolarità della notifica fa presumere la conoscenza dell’udienza; dalla, presunta, conoscenza del procedimento e dalla, ugualmente presunta (salvo il caso della notifica personale del decreto di citazione), conoscenza dell’udienza, si presume la volontà della mancata comparizione.
Ma, una volta ritenuta e motivata dal giudice la conoscenza del procedimento e dichiarata l’assenza, diventa in seguito onere dell’imputato provare che tale valutazione era infondata:
sia nel seguito dell’udienza preliminare (420 bis co. 4: l’imputato deve fornire la prova che “l’assenza è stata dovuta ad una incolpevole mancata conoscenza della celebrazione del processo”);
sia nel dibattimento di I grado (489, comma 2);
sia in appello (con regressione in questo caso al giudice di I grado: 604 co. 5 bis);
sia nel procedimento in cassazione (623, co. 1, lett. b) ; sia, dopo il giudicato, ex art. 625 ter.
In tutte le norme citate è richiamato l’ art. 489, comma 2, con rimessione in termine per formulare richieste di riti alternativi ex art. 438 e 444. Non si ha invece la regressione dal dibattimento all’udienza preliminare e, in sede di impugnazione, si ha sempre regressione al dibattimento e non all’udienza preliminare.
La circostanza che sia posto a carico del condannato l’onere della prova è stato ritenuto plausibile in quanto il rafforzamento dei rimedi preventivi (con la verifica rigorosa dei presupposti per procedere in assenza) è stato bilanciato con la previsione che impone l’onere della prova a carico del condannato ai fini della adozione di un provvedimento successivo che travolga in particolare la (o le) sentenze nel frattempo emanate.
In caso di accoglimento della eccezione, con relativa prova, circa la incolpevole mancata conoscenza della celebrazione del processo, la conseguenza è comunque la regressione in primo grado (mentre la restituzione in termini, comunque ancora applicabile per tutti i procedimenti celebrati in contumacia, consente solo l’impugnazione della sentenza, di I grado o di appello).
Sul rapporto fra gli istituti di cui all’art. 175, comma 2 e 625 ter si sono pronunciate le Sezioni Unite, 17.7.2014, n. 36848, che hanno stabilito princìpi senz’altro condivisibili: la rescissione del giudicato può essere disposta solo quando sia stata dichiarata l’assenza ai sensi dell’art. 420 bis; nel caso in cui vi sia stata dichiarazione di contumacia continua ad applicarsi il rimedio di cui all’art. 175, comma 2.
Quindi, con la rescissione del giudicato si ha un rimedio più radicale (occorre comunque ricominciare il processo dal dibattimento di I grado), ma l’imputato deve dimostrare che la situazione ritenuta dal giudice, conoscenza del procedimento, era in realtà inesistente. In particolare con riguardo al mezzo di impugnazione straordinario
della rescissione del giudicato, stabilendo l’onere della prova a carico del condannato, il legislatore ha voluto evitare che una istanza di rescissione possa fondarsi solo su una critica della motivazione del giudice nel provvedimento che dichiara l’assenza.
Su tale provvedimento si può dire che si è formato il giudicato. Il condannato deve provare una situazione sostanziale, la mancata conoscenza della celebrazione del processo, che peraltro, come è stato rilevato, costituisce una sorta di probatio diabolica, data la difficoltà a provare un fatto negativo. Sembra peraltro che sul requisito della “incolpevole mancata conoscenza della celebrazione del processo”
potranno determinarsi le maggiori problematiche in sede di interpretazione, dovendosi in particolare valutare se sussiste una simmetria tra i requisiti stabiliti per la dichiarazione di assenza, ai sensi dell’art. 420 bis e la rescissione del giudicato, ai sensi dell’art. 625 ter, ovvero se con il riferimento alla mancata conoscenza della celebrazione del processo non ci si riferisca alla conoscenza del procedimento, ma alla mancata conoscenza dell’udienza.
Fra le questioni problematiche (oltre a quelle relative alla norma transitoria di cui alla l. 11.8.14, n. 118, ed alla sospensione, a termine, della prescrizione, che non sono qui affrontate) è da annoverare anche il rapporto fra l’art. 159 e l’art. 420 quater c.p.p.. La nozione di “irreperibile”, ai sensi dell’art. 420 quater (nel quale peraltro non si trova tale termine, rinvenibile invece nel titolo del Capo III della legge:
“Sospensione del procedimento nei confronti degli irreperibili”), è infatti del tutto diversa dalla nozione di irreperibile ai sensi dell’art. 159. Sembra quindi di poter ritenere che ai fini delle notifiche si debba continuare ad applicare la disciplina prevista per gli irreperibili ex art. 159, indipendentemente dalla circostanza che questi risultino già a conoscenza del procedimento: pertanto vi saranno casi in cui il procedimento può proseguire, con l’imputato assente, anche se è stato emesso un formale decreto di irreperibilità (la sospensione del processo può essere infatti disposta solo per gli irreperibili ignari del procedimento a loro carico). Il decreto di irreperibilità potrebbe inoltre essere emesso anche dopo la dichiarazione di assenza, nelle fasi o gradi successivi del giudizio, quando l’imputato si renda irreperibile e non si ravvisi uno dei casi in cui la legge consente la notifica presso il difensore (es.: art.
161 c.p.p.).
La disciplina originaria in tema di irreperibilità era ben coordinata perché si prevedeva, ad esempio, ai sensi dell’art. 160, un limite di efficacia del decreto di irreperibilità, e si imponevano nuove ricerche per l’emanazione di un successivo decreto. Così, poiché il decreto di irreperibilità, emesso per la notifica degli atti introduttivi della udienza preliminare o per la notifica del provvedimento che dispone il giudizio, cessa di avere efficacia con la pronuncia della sentenza di primo grado, la
notifica dell’estratto della sentenza all’imputato contumace presupponeva nuove ricerche e l’emissione di un nuovo decreto di irreperibilità. Con la nuova normativa ci si può chiedere ad esempio se le nuove ricerche, previste dall’art. 420 quater, nel caso di sospensione del procedimento, per la sua mancata conoscenza da parte dell’imputato, debbano essere effettuate anche secondo le modalità e nei luoghi stabiliti dall’art. 159 e se, in tal caso, se un decreto di irreperibilità non sia stato ancora emesso, il giudice debba provvedere a formalizzare l’irreperibilità.
Una ulteriore problematica potrebbe concernere la eventuale rilevanza, ai sensi della nuova legge, delle questioni sulla esecutività del titolo, ai sensi dell’art. 670, comma 1. Non appare dubbio che tali questioni possano ancora essere proposte per i procedimenti pregressi, così come è consentito, secondo la sentenza delle Sezioni Unite sopra citata, ricorrere allo strumento della restituzione nel termine per impugnare. Per i procedimenti successivi alla entrata in vigore della legge n. 67/14 occorre considerare che, ai sensi dell’art. 670, il giudice accerta se il provvedimento è divenuto esecutivo, “valutata anche nel merito l’osservanza delle garanzie previste nel caso di irreperibilità del condannato”. L’istituto non opera più, ovviamente, nel caso di sospensione del processo. Nei casi in cui l’imputato risulta a conoscenza del procedimento – procedendosi quindi ex art. 420 bis – ma vi sia una situazione di irreperibilità, in ipotesi anche formalmente dichiarata, non dovrebbero ravvisarsi ostacoli decisivi alla possibilità di ricorrere a tale istituto di garanzia. L’aspetto problematico è costituito dalla circostanza che la notifica all’irreperibile /contumace dell’estratto di sentenza, presso il difensore, costituiva spesso l’ultimo atto del procedimento prima della annotazione del passaggio in giudicato. Attualmente, non essendo prevista la notifica dell’estratto della sentenza all’assente, la verifica del giudice dell’esecuzione, sulla osservanza delle garanzie previste per l’irreperibilità, potrebbe sovrapporsi alla verifica della Corte di cassazione, competente sulle richieste di rescissione per la incolpevole mancata conoscenza della celebrazione del processo.