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Massimo Vaccari
LA DISCIPLINA DELLE SPESE NELLA MEDIA-CONCILIAZIONE
Sommario: 1. L’art.13 del d.lgs.28/2010. 2. L’art. 91, 1° comma, c.p.c. 3. Il giustificato motivo di rifiuto della proposta conciliativa nell’art. 91, 1° comma, c.p.c. 4. L’applicabilità dell’art. 91, 1°
comma, c.p.c. ai procedimenti sommario, possessorio e cautelare. 5. Il rinvio all’art. 92 c.p.c.
nell’art. 13 d.lgs. 28/2010 : l’irrilevanza del giustificato motivo di rifiuto della proposta. 6. Il significato del rinvio all’art. 96 c.p.c. nell’art. 13 del d.lgs.28/2010. 7. Una proposta di definizione degli ambiti di applicazione dell’art. 91, 1° comma, c.p.c. e dell’art. 13 d.lgs.28/2010
1. L’art. 13 del d. lgs. 28/2010
Come è noto, secondo la disciplina generale sulla mediazione, il mediatore può formulare una proposta conciliativa in caso di mancato raggiungimento dell’accordo amichevole ed è tenuto a farlo, in caso di richiesta congiunta delle parti, ai sensi dell’art. 11, comma 1°, d.lgs.
28/2010. Si noti che la proposta può essere anche indirizzata alla parte che non sia comparsa nel procedimento di mediazione giacchè il d.lgs. 28/2010 non lo esclude e l’art. 7, comma 2°, lett. b) del regolamento attuativo, approvato con d.m. 18.10.2010 n.180, consente agli
organismi di mediazione di prevedere che la proposta possa essere formulata dal mediatore
“anche in caso di mancata partecipazione di una o più parti al procedimento di mediazione”.1 L’art. 13 del d.lgs. 28/2010 ricollega determinate conseguenze al rifiuto della proposta conciliativa del mediatore ma con alcune evidenti differenze rispetto alla corrispondente disciplina della norma che ne costituisce l’indiscutibile precedente, ossia il secondo periodo dell’art.91, 1° comma c.p.c., come integrato dalla novella n.69/20092.
Il primo comma dell’art. 13 infatti :
- prevede la perfetta coincidenza tra contenuto della proposta conciliativa rifiutata e contenuto della decisione quale unico presupposto per la condanna alla rifusione delle spese3 (anche in questo caso, come per l’art. 91, 1° comma c.pc., il presupposto di
1 La previsione regolamentare è considerata “astrusa” e “stravagante” da E. MINERVINI, in Il regolamento ministeriale sulla mediazione finalizzata alla conciliazione, in Contratto e impr., 2011, p.350 ss.
2 La disposizione è la seguente: “Se accoglie la domanda in misura non superiore all’eventuale proposta conciliativa, (sott. il giudice n.d.r) condanna la parte che ha rifiutato senza giustificato motivo la proposta al pagamento delle spese del processo maturate dopo la formulazione della proposta, salvo quanto disposto dal secondo comma dell’art. 92”.
3 E’ stato giustamente osservato che la norma, come quella dell’art. 116 primo comma c.p.c., trasposta dal processo alla fase di mediazione, e quella sulla conservazione degli effetti interruttivi della prescrizione, presuppone la possibilità di raffrontare domanda di mediazione e domanda giudiziale: M. FABIANI, in Profili critici del rapporto tra mediazione e processo, in www.judicium.it; L. ZANUTTIGH, Mediazione e processo civile, in I Contratti, 2011, 210; D. DALFINO, Dalla conciliazione societaria alla “mediazione finalizzata alla conciliazione delle controversie civili e commerciali”, in www.judicium.it. Secondo quest’ultimo autore i casi di piena corrispondenza tra contenuto della proposta conciliativa e sentenza saranno piuttosto rari, a causa della diversità strutturale che caratterizza le due sedi (mediazione e giudizio).
Quest’ultima osservazione può essere condivisa solo rispetto alla mediazione preventiva ma non anche con riguardo ad
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applicazione della norma è che la proposta riguardi diritti disponibili e sia di tipo aggiudicativo4);
- individua, quale termine di raffronto della proposta, “il provvedimento che definisce il giudizio” e non già, come fa l’art. 91, 1° comma c.p.c., la sentenza;
- contempla la possibilità di condannare sempre la parte vittoriosa, che abbia rifiutato la proposta conciliativa, al pagamento all’entrata di bilancio dello Stato di una somma, di importo corrispondente al contributo unificato dovuto, oltre a quella, in favore della controparte, a titolo di spese non ripetibili maturate dopo la formulazione della proposta e a quelle per l’indennità del mediatore e per il compenso dell’esperto durante la mediazione;
- fa salva l’applicabilità degli artt. 92 e 96 c.p.c.
Per poter individuare esattamente i presupposti applicativi della norma non si può quindi prescindere da una preventiva disamina di quella codicistica.
2. L’art. 91, 1° comma, c.p.c
E’ opportuno premettere che, secondo parte della dottrina, la disposizione prevede una speciale condanna punitiva per la parte colpevole di aver rifiutato ingiustificatamente una proposta conciliativa5 e comunque una sanzione processuale6. Secondo altra impostazione si tratterebbe di un diverso regime di regolamentazione delle spese di lite, connesso ad una vicenda processuale incidentale e che dà luogo ad una deroga al principio della soccombenza, in favore del principio di causalità, sia pure con funzione sanzionatoria7 (nell’uno e nell’altro caso il comportamento di chi rifiuti l’atteggiamento conciliante di controparte sarebbe in contrasto con i doveri di lealtà e probità e causa diretta della prosecuzione del giudizio).
Quel che è certo è che questa disposizione non ha costituito una novità assoluta nel nostro ordinamento, rientrando nel novero di quelle norme processuali, anche di recente introduzione, che,
una mediazione promossa a giudizio pendente perché in questi casi l’istanza di mediazione ricalcherà fedelmente gli atti introduttivi del giudizio.
4 E. CAPOBIANCO, in I criteri di formulazione della c.d. proposta “aggiudicativa” del mediatore, in Obbl. e contr.
2011, p.488, pur rilevando come il meccanismo sanzionatorio escogitato dal legislatore sia destinato a saltare quando il mediatore si lanci in proposte non raffrontabili con il provvedimento che definisce il giudizio, ricava dalla finalizzazione della legge sulla mediazione alla conciliazione, la possibilità per il mediatore di proporre una soluzione facilitativa che percepisca possa essere condivisa dalle parti.
5 A. BRIGUGLIO, Le novità sul processo ordinario di cognizione nell’ultima ennesima riforma in materia di giustizia civile, in www.judicium.it. Di meccanismo sanzionatorio parla anche la relazione al Senato del disegno di legge di riforma del processo civile poi tradottosi nella legge 69/2009.
6 M. BOVE - A. SANTI, Il nuovo processo civile tra modifiche attuate e riforme in atto, Matelica, 2009, parte I, 1.10.
7 M. ACIERNO – C. GRAZIOSI, La riforma del 2009 nel primo grado di cognizione: qualche ritocco o un piccolo sisma ? in Riv. trim. dir. e proc. civ., 2010, 163.
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al fine di favorire la conciliazione delle liti, ricollegavano, all’esito negativo del tentativo di conciliazione, stragiudiziale o giudiziale, conseguenze dirette sul riparto delle spese di giudizio.
Si pensi, innanzitutto, all’art. 16, comma 2°, del d.lgs. 5/2003, abrogato dall’art. 54 della l.69/2009, che prevedeva che, nelle controversie societarie e finanziarie, il Collegio, nell’ambito del tentativo di conciliazione, potesse formulare una proposta di conciliazione e che, ove il tentativo non avesse avuto esito positivo, il tribunale potesse tenerne conto ai fini della distribuzione delle spese di lite, “anche ponendole, in tutto o in parte, a carico della parte formalmente vittoriosa che non è comparsa o che ha rifiutato ragionevoli proposte conciliative”.
Non vanno dimenticate nemmeno quelle norme che prevedono, o prevedevano, una identica conseguenza per l’esito infruttuoso del tentativo di conciliazione stragiudiziale. Si pensi all’art.
40, comma 5°, sempre del d.lgs. 5/2003 sulla conciliazione stragiudiziale in materia societaria8, abrogato dall’art. 23, comma 1°, d. lgs. 28/2010, e all’art. 412, 4° comma, c.p.c. sulla
conciliazione stragiudiziale preventiva nel rito del lavoro, prima della sua modifica ad opera della l.183/2010.
Si badi che anche la giurisprudenza era giunta ad analoghe conclusioni. Le Sezioni Unite della Suprema Corte infatti, affermando l’obbligo di motivazione, sia pure implicita, del provvedimento ex art. 92, 2° comma, c.p.c., nel regime anteriore all’art. 1, comma 1°, lett. a) della l.263/2005, hanno segnalato che costituisce legittimo motivo di compensazione delle spese “un comportamento processuale ingiustificatamente restio a proposte conciliative plausibili in relazione alle concrete risultanze processuali”9.
3. Il giustificato motivo di rifiuto della proposta conciliativa nell’art. 91, 1° comma, c.p.c.
L’art. 91, 1° comma c.p.c. non contiene una definizione del giustificato motivo di rifiuto della proposta conciliativa ed essa non è rinvenibile nemmeno nelle altre norme del codice che richiamano quella stessa espressione (gli artt. 185, comma 1°, 232, comma 1°, 255, comma 1° e 420, comma 1° c.p.c.).
Per comprendere il suo significato è senz’altro utile analizzare il meccanismo in base al quale è possibile giungere alla condanna della parte che abbia rifiutato la proposta conciliativa.
Per descriverlo è stato correttamente osservato che “la misura dell’interesse a proseguire la lite, nonostante l’offerta, costituisce il parametro” al quale si deve ispirare il giudice al momento della condanna alle spese.10
8 A ben vedere la proposta, secondo il testo dell’art. 40 d.lgs. 5/2003, poteva essere formulata soltanto «su richiesta di entrambe le parti», mai su iniziativa del conciliatore. Inoltre l’esclusione, in tutto o in parte, della ripetizione delle spese sostenute dal vincitore che avesse rifiutato la conciliazione e la condanna, in tutto o in parte, al rimborso delle spese sostenute dal soccombente, non erano affatto automatiche, giacchè il giudice poteva anche stabilire diversamente.
9 Cass. Sez. Un., 30 luglio 2008 n.20598, in Foro it., 2008, I, 2778. Per una recente applicazione di tale principio si veda la sentenza del Tribunale di Piacenza, 01 luglio 2010, reperibile in www.ilcaso.it.
10 P. PORRECA, La nuova disciplina delle spese processuali tra tutela e sanzione, relazione per l’incontro di studi organizzato dal C.S.M., La riforma delle norme sul rito civile introdotta dalla legge 18.6.2009 n. 69, Roma 29 aprile 2010, 8, in http://www.appinter.csm.it/incontri.
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Mi pare, peraltro, che tale interesse non vada inteso, come pure è stato sostenuto, nell’accezione di cui all’art. 100 c.p.c.11 ma in senso economico-patrimoniale, ovviamente solo nelle controversie che consentano l’utilizzo di un simile parametro, perchè solo così risulta possibile verificarne la sussistenza in termini relativamente oggettivi e, per di più, all’interno dello stesso processo nel cui ambito sia stata formulata la proposta. Da ciò consegue che non è possibile tener conto di ragioni di ordine soggettivo, come la convinzione della parte che ha rifiutato la proposta della fondatezza delle proprie ragioni o il suo interesse, di tipo morale, alla pronuncia (la c.d. questione di principio).
Allo stesso modo non potrà essere presa in considerazione, quale giustificazione del rifiuto, l’asserita impossibilità di far fronte agli oneri economici della possibile transazione, anche perchè tale motivazione presuppone una circostanza di fatto che va dimostrata e non è
ammissibile dar corso ad una istruttoria incidentale su di essa, tanto più se si considera che tale attività suppletiva, nella maggior parte dei casi, dovrebbe essere richiesta dopo la scadenza dei termini assegnati per la formulazione delle istanze istruttorie.
E’ evidente poi che se si ammettessero tutte queste ragioni di tipo soggettivo l’ambito di applicazione della norma ne risulterebbe drasticamente ridotto poiché il rifiuto della proposta conciliativa potrebbe risultare sempre giustificato.
In concreto il predetto criterio richiede che il giudice proceda a misurare, o, meglio, a soppesare, da un lato, la proposta conciliativa e dall'altro il risultato (qualche autore ha parlato al riguardo di bene della vita12) che la parte non conciliante ha conseguito al termine del giudizio e stabilire se e quale maggior vantaggio (di carattere patrimoniale come si è detto) avrebbe procurato a tale parte l’accettazione della proposta rispetto alla decisione.
Pertanto, per valutare la sussistenza del giustificato motivo di rifiuto, occorre porsi nel momento processuale al quale risale la proposta e stabilire, sulla base delle prospettazioni delle parti e delle emergenze processuali di quel momento, quindi secondo un criterio prognostico ex ante, se la previsione della parte non conciliante sull’esito, non tanto favorevole quanto economicamente vantaggioso per sé, del giudizio fossa stata fondata o meno13. Sulla base di tali premesse si è detto che potrà ritenersi giustificato il motivo di rifiuto di una proposta conciliativa derivante da una previsione sull’esito del giudizio risultata erronea a seguito di mutamenti giurisprudenziali
11 D. POTETTI, Novità della l. n.69 del 2009 in tema di spese di causa e responsabilità aggravata, in Giur. merito, 2010, 940.
12 D. POTETTI, op. cit., p. 940.
13 Per una illustrazione, nei medesimi termini esposti nel testo, del criterio al quale deve attenersi il giudice del lavoro per formulare la proposta transattiva si veda: F. GARRI, L’udienza di discussione: il ruolo del giudice “conciliatore” e il novum della proposta transattiva, in Quest. Giust., 2010, 155. A ben vedere il criterio di valutazione non è diverso da quello dell’abrogato art. 16 del d. legis. 5/2003, che ricollegava la condanna alla spese al rifiuto delle “ragionevoli proposte conciliative”, o da quello, indicato dalla sentenza della Suprema Corte a Sezioni Unite n. 20598/2008 citata alla nota n.8.
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sopravvenuti o per essersi il giudice discostato dai propri precedenti14. A tali ipotesi mi pare vada aggiunta anche quella dell’esito sfavorevole dell’attività istruttoria orale che fosse stata richiesta al fine di dimostrare i propri assunti e che non è, o, meglio, non dovrebbe essere, prevedibile.
Stando alla lettera della norma il rifiuto della proposta senza giustificato motivo determina la condanna alla spese solo nel caso in cui essa corrispondesse esattamente alla decisione. V’è da chiedersi, però, se la medesima conclusione non sia consentita anche nei casi in cui l’esito della lite si discosti di poco dalla proposta, specie allorquando per giungervi sia stata necessaria una attività istruttoria lunga, o comunque dispendiosa, o se, piuttosto, a fronte di essi, non siano ravvisabili le condizioni (le “gravi ed eccezionali ragioni” di cui al nuovo art. 92, comma 2°, cod. proc. civ.) per la compensazione, anche integrale, delle spese15. Solo la prassi applicativa delle nuove disposizioni potrà fornire risposte al riguardo.
La norma in esame contiene anche un rinvio all’art. 92, 2° comma, c.p.c. che risulta di non agevole lettura. Secondo una prima interpretazione esso significherebbe che le spese sostenute prima della formulazione della proposta dalla parte che ha accettato la proposta e quelle sostenute dopo la proposta dalla parte che l’ha rifiutata si possono compensare tra loro16. Tale lettura mira a svincolare la possibilità della compensazione dal presupposto dell’art. 92 c.p.c. ma si pone in contrasto con il tenore letterale della previsione. Secondo un’altra interpretazione è possibile escludere la condanna, e compensare le spese dell’intero processo, anche nel caso di rifiuto ingiustificato della proposta, ove sussistano le “gravi ed eccezionali ragioni” richieste dall’art. 92 c.p.c., secondo l’espressione introdotta dalla l.69/200917.
Mi pare che a favore di questa esegesi deponga la constatazione che anche l’art. 13 del d. lgs.
28/2010 contiene un rinvio all’art. 92 c.p.c. poiché si deve ritenere che ad entrambi questi richiami il legislatore abbia inteso attribuire lo stesso significato, che non può essere che quello di rimettere alla valutazione del giudice il contegno complessivo delle parti, a prescindere dall’atteggiamento che esse abbiano assunto rispetto alla proposta conciliativa.
Si noti che sarà difficile, ma non impossibile, che si possano realizzare ipotesi in cui non vi sia un giustificato motivo di rifiuto ma vi siano “gravi ed eccezionali ragioni” per la compensazione poiché una di queste potrebbe essere quella, sopra citata, del lieve scostamento tra il contenuto della proposta e la decisione.
14 D. POTETTI, op. cit., 940.
15 L’opzione suggerita è analoga a quella prevista espressamente dall’art. 13, comma 2°, d. legis. 28/2010 per la proposta del mediatore, sulla quale si tornerà infra.
16 G. BALENA, La nuova pseudo riforma della giustizia civile, in www.judicium.it.
17 A. BRIGUGLIO, Le novità sul processo …, cit.
www.judicium.it 4. L’applicabilità dell’art. 91, 1° comma, c.p.c. ai procedimenti sommario, possessorio e cautelare.
E’ indubbio che la norma trovi applicazione nel procedimento sommario, stante l’espresso rinvio agli artt. 91 e ss. contenuto nell’ultimo comma dell’art. 702 ter, ultimo comma, c.p.c.
Nonostante il suo tenore letterale, che, nel richiamare la sentenza quale provvedimento conclusivo del giudizio, pare riferirsi al giudizio di cognizione ordinario, non si vedono nemmeno ostacoli, sotto il profilo teorico, ad una sua estensione anche ai procedimenti
possessori e cautelari ante causam che possano chiudersi con una pronuncia sulle spese (art. 669 septies, comma 2°, e art. 669 octies, terz’ultimo comma, c.p.c.). Il criterio interpretativo sarebbe il medesimo che la giurisprudenza ha adottato per giungere ad affermare l’applicabilità dell’art.
96, comma 1°, c.p.c. anche nei procedimenti cautelari, superando così il dato letterale di tale norma che ricollega la condanna per lite temeraria ad una pronuncia avente natura di
“sentenza”18.
Inoltre anche in questo tipo di procedimenti, qualora la domanda abbia ad oggetto più prestazioni di facere o di non facere o un’unica prestazione di fare avente una determinata frequenza e l’eventuale proposta conciliativa preveda la realizzazione di una parte dei suddetti comportamenti, il giudice, al momento della decisione sull’istanza, possessoria o cautelare a seconda dei casi, sarebbe in grado di “misurare” la proposta conciliativa.
Il maggior limite all'operatività di questo istituto in queste due tipologie di procedimenti deriva invece, a mio giudizio, dalla durata solitamente assai contenuta degli stessi.
Tale caratteristica, infatti, comporta che in essi è minimo l’effetto persuasivo connesso alla prospettiva del rifiuto della proposta conciliativa.
Nulla toglie, però, che questa evenienza possa comunque essere tenuta presente ai fini della regolamentazione delle spese di lite, come comportamento integrante le “gravi ed eccezionali ragioni” di cui alla nuova formulazione dell'art. 92, comma 2°, c.p.c.
5. Il rinvio all’art. 92 c.p.c. nell’art. 13 d.lgs. 28/2010 : l’irrilevanza del giustificato motivo di rifiuto della proposta.
L’idea di fondo dell’art. 13 del d.lgs. 28/2010 è quella, comune all’art. 91, 1° comma c.p.c., e alle altre norme menzionate nel primo paragrafo, secondo cui, se il risultato del processo corrisponde alla proposta di conciliazione, “la parte è solo formalmente vincitrice posto che in sostanza ha perso nel tragitto processuale successivo alla proposta, tragitto che, nel caso di mediazione preventiva, è tutto anteriore al processo”19.
Questa notazione consente, probabilmente, di superare i dubbi che una parte della dottrina20 ha espresso sulla legittimità costituzionale della norma con riguardo al parametro dell’art. 24 Cost.
18 Sul punto si veda: GASPERINI, Domanda cautelare e responsabilità aggravata ex art. 96 c.p.c., in Riv. dir. proc., 1996, 886 ss.
19 CosìFABIANI,Profili critici…, cit.
20G.SCARSELLI,LA nuova mediazione e conciliazione:le cose che non vanno, in Foro it., 2010, V, p.146-152.
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Secondo l’interpretazione preferibile il meccanismo dell’art. 13 opera anche se la decisione finale attribuisce una utilità inferiore a quella della proposta21, cosicché esso risulta, sul punto, pressoché identico a quello dell’art. 91, 1° comma, c.p.c.
Come si è detto la norma in esame individua quale termine di raffronto della proposta “il provvedimento che definisce il giudizio” e la relazione al decreto chiarisce che tale locuzione intende ricomprendere “tutti i provvedimenti definitori del processo, qualunque ne sia la forma”. E’
dubbio però se ad essa possano ricondursi anche le ordinanze anticipatorie di condanna, e i provvedimenti emessi all’esito di procedimenti speciali, come il sommario e il cautelare, qualora in una di queste forme sia stato promosso il giudizio conseguente ad una fase di mediazione che non abbia avuto esito positivo22.
La mancanza di ogni riferimento, nell’art. 13 d.lgs. 28/2010, ai motivi del rifiuto della proposta, quale scriminante della responsabilità, ha indotto una dottrina a ravvisare in essa una deroga completa al principio della soccombenza, poiché sarebbe possibile addossare alla parte vittoriosa anche tutte le spese del giudizio con conseguente rischio di sua illegittimità (in considerazione della copertura costituzionale della regola della soccombenza).
A fronte di tale posizione altra dottrina ha invece sostenuto che l’esigenza di valutare giustificati motivi di rifiuto della proposta conciliativa può essere recuperata attraverso il meccanismo della compensazione delle spese di lite, in virtù del richiamo all’art. 92 c.p.c.23
Sul punto occorre operare un distinguo.
Il rinvio all’art. 92 c.p.c. nella norma in esame ha, a mio modo di vedere, lo stesso significato di quello che, va attribuito all’analogo richiamo che è presente nell’art. 91, 1° comma, 2° periodo c.p.c.
(come si è detto tale norma rinvia, per l’esattezza, al solo secondo comma dell’art. 92 c.p.c.), ossia di far salvo il potere di compensazione delle spese di lite a qualunque titolo e tale lettura consente,
21 D.DALFINO, Mediazione e conciliazione nel d.lgs. 28/2010 e nel d.m. 180/2010: il dovere di informazione e la valutazione della proposta, relazione tenuta al Seminario, “Mediazione:L’avvocato nella procedura, aspetti normativi e operativi”, Roma, 11 dicembre 2010.
22 La risposta positiva all’interrogativo risulta più agevole rispetto all’ordinanza emessa all’esito di un giudizio sommario, dal momento che essa può contenere la condanna alle spese e pertanto può essere raffrontata con la proposta del mediatore. Alcuni autori (A. PERA, G.M. RICCIO (a cura di), Mediazione e conciliazione, diritto interno, comparato e internazionale, Padova, 2011, pag.286-287; M. ANDREONI in A .CASTAGNOLA, F. DELFINI a cura di), La mediazione nelle controversie civili e commerciali, Padova, 2010, pag. 206 ss. hanno sostenuto che la disciplina dell’art. 13 potrebbe trovare applicazione anche nel caso di provvedimenti cautelari a strumentalità attenuta che, come è noto, possono contenere una pronuncia sulle spese ai sensi dell’art. 669 octies quart’ultimo comma c.p.c. A questa tesi si può, però, obiettare che in tali ipotesi la possibilità di raffrontare il contenuto della proposta conciliativa con quello della ordinanza emessa in fase cautelare è del tutto remota atteso che nei ricorsi introduttivi di quel tipo di procedimenti l’indicazione degli elementi individuanti la proponenda azione di merito non è sempre necessaria (sul punto C.
MANDRIOLI, Diritto processuale civile, IV, XX ed., Torino, 2009, p.249, nota 6°).
23 S. MENCHINI, Sub art. 91, in BALENA, CAPONI, CHIZZINI, MENCHINI, La riforma della giustizia civile.
Commento alla disposizioni della legge sul processo civile n.69/2009, Torino, 2009, 24 e M. FABIANI, Profili critici del rapporto tra mediazione e processo, cit.
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probabilmente, di superare i dubbi di legittimità costituzionale della norma che sono stati posti dalla succitata dottrina.
Questa constatazione però non permette anche di dare rilievo, nell’applicazione dell’art. 13, comma 1°, d. lgs. 28/2010, al giustificato motivo di rifiuto della proposta conciliativa, qualora si condivida il criterio, di tipo prognostico, che si è proposto nel terzo paragrafo per valutare la sussistenza di tale scriminante. Se infatti il predetto criterio impone di tener conto delle prospettive concrete del giudizio, esistenti nel momento in cui viene formulata la proposta conciliativa, si comprende come esso possa applicarsi solo a fronte di una proposta conciliativa che sia stata formulata nel corso di una mediazione, delegata o parallela al giudizio. Il rifiuto di essa, infatti, sarà stato determinato, necessariamente, anche dalla prognosi sull’esito della lite pendente e il giudice avrà a disposizione gli elementi per stimarne l’attendibilità.
In questi casi, allora, ben potrà attribuirsi rilievo al giustificato motivo di rifiuto della proposta ma solo ammettendo che essi ricadano nell’ambito di applicazione dell’art. 91, 1° comma, c.p.c.
D’altro canto, poiché quest’ultima disposizione non individua i soggetti che possono effettuare la proposta conciliativa è consentito ritenere che tra essi vi sia anche il mediatore stragiudiziale.
Secondo una condivisibile opinione dottrinale24, però, il riferimento, contenuto nella norma, alle sole spese di lite maturate dopo la formulazione della stessa presuppone un processo già iniziato e, perciò, una conciliazione delegata o un tentativo esperito parallelamente al giudizio in corso.
Qualora invece la proposta sia stata avanzata in una mediazione preventiva, il diniego di essa non potrà essere stato influenzato dai suddetti elementi di valutazione e, conseguentemente, il giudice non potrà tenerne conto al momento della pronuncia. Questi, per di più, non disporrà nemmeno di altre informazioni che potrebbero fargli cogliere le ragioni di quella scelta, stante il dovere di riservatezza che vige nel procedimento di mediazione e che si manifesta, da un lato, nel divieto di utilizzare nel giudizio le dichiarazioni rese e le informazioni acquisite nel corso di esso (art. 10) e, dall’altro, nella previsione secondo cui la proposta conciliativa del mediatore non può contenere alcun riferimento alle dichiarazioni rese o alle informazioni acquisite nel corso del procedimento (art. 11, comma 2°). Si noti poi che nessuna disposizione della legge in esame prevede nemmeno che nel verbale di mancata conciliazione si dia conto delle posizioni assunte dalle parti rispetto alla proposta del mediatore, a differenza di quanto prevedono sia l’art. 40, 2°
24 I. PAGNI, La “riforma” del processo civile: la dialettica tra il giudice e le parti (e i loro difensori) nel nuovo processo di primo grado, in Corr. giur., 2009, 1320.
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comma, del d. lgs. 5/2003 sulla conciliazione stragiudiziale societaria25 che l’art. 411 c.p.c., nel testo risultante dopo le modifiche introdotte dalla l. 183/201026.
Orbene il senso degli adempimenti previsti da quest’ultima norma non può essere che quello di mettere il giudice nella condizione di riscontrare la sussistenza dell’“adeguata motivazione” del rifiuto della proposta, secondo quella che è la formula impiegata dal legislatore nella norma succitata .
A conferma del carattere non casuale del mancato richiamo della nozione di “giustificato motivo” nella norma in esame va poi evidenziato che ad essa attribuisce, invece, rilievo l’art. 8, ultimo comma, dello stesso decreto 28/2010 con riguardo all’eventualità della mancata partecipazione al procedimento di mediazione27. Mi pare che la ricostruzione qui suggerita valga a spiegare la particolare ragione per cui nell’art. 13 del d. lgs.28/2010 il legislatore abbia individuato, quale unico parametro per la condanna della parte che abbia rifiutato la proposta conciliativa del mediatore, quello della corrispondenza tra il contenuto della proposta e il contenuto del provvedimento che definisce il giudizio e, quindi, ad escludere profili di illegittimità della norma fondati sull’art. 3 della Costituzione.
6. Il significato del rinvio all’art. 96 c.p.c. nell’art. 13 del d.lgs.28/2010
Per quanto riguarda il richiamo all’art. 96 c.p.c., presente sempre nell’art. 13, 1° comma, del d.lgs. 28/2010, è stato affermato che esso è ricognitivo e confermativo del significato di norma di chiusura dell’art. 96 terzo comma c.p.c.. Secondo questa impostazione la previsione può servire, come già nel meccanismo operativo dell’art. 91, 1° comma, c.p.c., nell’ipotesi in cui il soccombente
25 La norma, pur non richiamando la nozione di giustificato motivo di rifiuto della proposta conciliativa, la sottintendeva poiché richiede alcuni adempimenti che consentono di sindacare le ragioni del rifiuto:“Se entrambe le parti lo richiedono, il procedimento di conciliazione, ove non sia raggiunto l’accordo, si conclude con una proposta del conciliatore rispetto alla quale ciascuna delle parti, se la conciliazione non ha luogo, indica la propria definitiva posizione ovvero le condizioni alle quali è disposta a conciliare. Di tali posizioni il conciliatore dà atto in apposito verbale di fallita conciliazione…”
26 Il secondo comma stabilisce che, se la proposta proveniente dalla commissione di conciliazione non e' accettata:“[…]
i termini di essa sono riassunti nel verbale con indicazione delle valutazioni espresse dalle parti” e il terzo comma che:
“Ove il tentativo di conciliazione sia stato richiesto dalle parti, al ricorso depositato ai sensi dell'articolo 415 devono essere allegati i verbali e le memorie concernenti il tentativo di conciliazione non riuscito”. Si noti che la disciplina previgente non era diversa sul punto giacché l’art. 412, comma 1°, c.p.c., prima della sua modifica ad opera della l.
183/2010, prevedeva che: “Se la conciliazione non riesce si forma processo verbale con le indicazioni delle ragioni del mancato accordo […]”.
27 Si noti che in questa ipotesi la sussistenza del giustificato motivo di assenza può essere valutata sulla base di elementi che esulano dal dovere di riservatezza perché la mediazione non si è svolta.
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abbia irragionevolmente rifiutato la proposta, riduttiva della iniziale pretesa della controparte vittoriosa, poi coincisa con la decisione finale28.
A questa tesi possono però muoversi diverse obiezioni.
Innanzitutto mi pare che essa non consideri che l’applicazione del terzo comma dell’art. 96 c.p.c., presuppone, secondo l’interpretazione che è preferibile29, i medesimi requisiti soggettivi della mala fede e della colpa grave previsti dal primo comma di tale disposizione ed essi non necessariamente sono ravvisabili nella scelta della parte che rifiuti la proposta conciliativa, poiché essa potrebbe essere dettata, semplicemente, da una valutazione di non convenienza della proposta stessa.
Inoltre, con riferimento a tale fattispecie, valgono le osservazioni svolte nel paragrafo precedente sull’impossibilità per il giudice di conoscere le valutazioni che possano aver indotto la parte ad una simile scelta.
Vi è poi una ragione di ordine sistematico che osta all’interpretazione sopra detta, ossia quella che la responsabilità processuale aggravata deriva da condotte processuali della parte e non da sue condotte esterne e addirittura anteriori al processo. A ben vedere si tratta della stessa critica che una parte della dottrina aveva mosso alla scelta compiuta dal legislatore nell’art. 40, comma 5° del d.lgs.
n.5/2003 di prevedere che delle posizioni assunte davanti al conciliatore il giudice potesse tener conto anche ai sensi dell’art 96 c.p.c.30
Va infine segnalato un dato di ordine formale che pare difficilmente conciliabile con la tesi qui in esame.
A differenza del rinvio all’art. 96 c.p.c., presente nell’art,. 40, comma 5°, del d.lgs. 5/2003, quello agli artt. 92 e 96 del codice di rito che si legge nell’art. 13 del d.lgs. 28/2010 è contenuto in un autonomo periodo della norma31, cosicché da tale particolare può inferirsi che la disciplina così
28 P. PORRECA, La nuova disciplina delle spese processuali…, cit., 12. Secondo questo autore un’altra ipotesi in cui l’art. 96 c. p.c. potrebbe operare è quella della parte soccombente, con riferimento alla tranche di processo precedente alla formulazione della proposta, effettuata in itinere e non prima della causa, da lei stessa proveniente a correzione di una precedente condotta stigmatizzabile per abuso degli strumenti processuali a fini dilatori.
29 Cfr. tra gli altri G. BALENA, La nuova pseudo riforma…, cit., in www.judicium.it e T. DALLA MASSARA, Terzo comma dell’art. 96 c.p.c: quando quanto e perché ? in Nuova Giur. civ. comm., 2011, 58-59. In giurisprudenza la Corte di Cassazione è giunta alle medesime conclusioni. Infatti nella sentenza Cass., Sez. I, 30 luglio 2010, n.17902, in Red.
Giust. Civ. Mass., 2010, 9, si legge, proprio con riguardo al nuovo terzo comma dell’art. 96, che la l.69/2009,“fermi i presupposti oggettivi e soggettivi (sott. di cui al primo comma, n.d.r), ha introdotto una vera e propria pena privata indipendente sia dalla domanda di parte (richiesta, invece, nelle originarie fattispecie, per giurisprudenza costante), sia dalla prova di un danno riconducibile alla condotta processuale dell’avversario.”
30E. MINERVINI, La conciliazione stragiudiziale delle controversie in materia societaria, in Società, 2003, 662. G.
SCARSELLI, Conciliazione, arbitrato e spese processuali, in Quest. Giust., 1999, 1039, con riguardo al, sul punto identico, disegno di legge n.4657/C, primo firmatario Folena, presentato alla Camera dei deputati il 17 febbraio 1998.
31 Tale dato di ordine formale consente, probabilmente, anche di superare l’obiezione di quella dottrina (L. DITTRICH, Il procedimento di mediazione nel d.lgs. n.28 del 04 marzo 2010, in www.judicium.it) che reputa difficilmente comprensibile la collocazione della fattispecie dell’art. 96 c.p.c., nella cornice in analisi, sulla base del rilievo che essa
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richiamata non è ricollegata alla condotta della parte che abbia rifiutato la proposta conciliativa del mediatore.
Le considerazioni sin qui svolte consentono allora di attribuire al rinvio all’istituto della lite temeraria contenuto nell’art. 13, 1° comma, d.lgs. 28/2010 un significato diverso da quello suggerito dalla predetta dottrina, ossia quello che il giudice potrà, e dovrà, tener conto del comportamento processuale delle parti nella fase del giudizio successiva a quella svoltasi davanti al mediatore a prescindere dall’atteggiamento che esse possano aver tenuto di fronte alla proposta conciliativa del mediatore. Per essere ancora più chiari: anche la parte che dovesse accettare la proposta conciliativa potrebbe essere condannata ai sensi dell’art. 96 c.p.c., se risultasse soccombente nel giudizio e se la sua difesa risultasse connotata da male fede o colpa grave. Allo stesso modo anche la parte che rifiutasse la proposta conciliativa potrebbe essere sanzionata ai sensi di tale norma (primo o terzo comma), nella ricorrenza dei presupposti per la sua applicazione, oltre che subire la condanna ai sensi dell’art. 13 d.lgs. 28/2010.
Quanto alla sanzione processuale della condanna al pagamento di una somma pari al contributo unificato, contemplata da quest’ultima norma, merita di essere condivisa l’opinione di chi ritiene32 che la ragione di essa sia ricollegabile alla maggiore gravità dell’ingiustificato rifiuto della proposta del mediatore perché esso provoca l’avvio, del giudizio conseguente e, allo stesso tempo, l’inutile dispendio dell’attività professionale del mediatore, i cui costi vengono sostenuti in parte dallo Stato, attraverso sostegni fiscali varati nelle forme del credito d’imposta (artt. 17 e 20 d.lgs. n.28/2010).
L’art. 13, comma 2°, d.lgs. 28/2010 regola espressamente l’ipotesi della decisione “non interamente corrispondente alla proposta” che, però, “per gravi ed eccezionali ragioni indicate esplicitamente nella motivazione”, conduca all’esclusione delle spese sostenute dal vincitore, che ovviamente siano riferibili al procedimento di mediazione. Si ritiene che in tal modo la legge tipizzi una delle “gravi ed eccezionali ragioni” di cui al nuovo art. 92 c.p.c., implicitamente riferendosi all’ipotesi di divario solo formale tra la proposta e la decisione ad esempio determinanti un risultato economico del tutto equipollente.
7. Una proposta di definizione degli ambiti di applicazione dell’art. 91, 1° comma, c.p.c. e dell’art.
13 d.lgs.28/2010
Le considerazioni che sono state svolte nel paragrafo n.5 conducono alla conclusione che l’art.
13 del d. lgs. 28/2010 disciplina solo le conseguenze del rifiuto della proposta conciliativa, di tipo
si riferisce alla parte soccombente, mentre il meccanismo sanzionatorio di cui agli artt. 13 d.lgs. 28/2010 e 91 c.p.c riguarda la parte per definizione vittoriosa.
32 P. PORRECA, La nuova disciplina delle spese processuali tra tutela e sanzione…, cit., 11.
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aggiudicativo, formulata dal mediatore in un procedimento di mediazione (obbligatorio o volontario) conclusosi prima del giudizio. Del resto tale interpretazione pare conforme al principio lex posterior non derogat lege priori specialis, giacché norma speciale, tra quella codicistica e l’art. 13 del d. lgs.
28/2010, deve ritenersi la prima in virtù dell’elemento specializzante del giustificato motivo di rifiuto.
Da ciò non consegue, però, che l’ambito di applicazione dell’art. 91, 1° comma, c.p.c. sia ora limitato alle sole ipotesi in cui la proposta del mediatore sia stata avanzata nel corso di una mediazione svoltasi interamente nella pendenza del giudizio.
Nulla impedisce, infatti, che, anche in un giudizio che inizi dopo una fase di mediazione, una delle parti o, nell’ambito di un tentativo di conciliazione, il giudice33, qualora lo si includa tra i soggetti a ciò abilitati, formulino una proposta conciliativa ai sensi dell’art. 91, 1° comma, c.p.c.
che, nel caso in cui sia migliorativa rispetto a quella a suo tempo avanzata dal mediatore, si sostituirà ad essa e potrà dar luogo al meccanismo contemplato dalla norma succitata (quindi con la possibilità di condanna della parte che la rifiutasse senza giustificato motivo alle spese di lite maturate dopo la sua formulazione)34. Ovviamente questa prospettiva implica che il giudice, di fronte all’esito della mediazione, non abdichi alla funzione conciliativa che il codice tuttora gli riconosce e, qualora individui possibilità, prima insondate, di una definizione transattiva della lite, utilizzi tutti gli strumenti che ha a disposizione per favorirla35.
33 La possibilità è riconosciuta anche da D. DALFINO, in Dalla conciliazione societaria…, cit., il quale considera espressamente l’eventualità che il giudice formuli la propria proposta conciliativa ricalcando quella del mediatore e la definisce una sorta di “doppia conforme”, rispetto alla quale la condanna alle spese troverebbe maggiore giustificazione.
34 Così il par. 4 C del capitolo sull’art. 91 cod. proc. civ. del Protocollo sugli artt. 91, 96 e 614 bis c.p.c.
dell’Osservatorio ValorePrassi del TRIBUNALE DI VERONA, reperibile sul sito www.valoreprassi.it.
35 C. GRAZIOSI, La nuova figura del giudice tra riforme processuali, moduli organizzativi e protocolli di udienza, in www.judicium.it, reputa che l’utilità del tentativo di conciliazione endoprocessuale, nella fase di apertura del processo, già ridottasi a seguito della sua trasformazione da obbligatorio a facoltativo, sia destinata a diminuire ulteriormente dopo la diffusione della mediazione obbligatoria.
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