DIRITTO DI NASCERE E NON DI MORIRE IN CASO DI MALFORMAZIONE FETALE
Avv. Rodolfo Berti*
I coniugi X e Y lamentano l’errore dei sanitari di non aver diagnosticato in tempo le mal- formazioni che affliggevano il feto, questo avrebbe impedito alla madre di optare per l’interruzione della gravidanza e quindi causato loro e alla neonata Z gravissimi danni mo- rali, biologici e patrimoniali.
Esaminiamo quindi gli aspetti di diritto nei quali inquadrare il fatto generatore della pre- tesa.
Diritto all’aborto
La L. 22 maggio 1978 n° 194 (Norme per la tutela sociale della maternità e sulla inter- ruzione volontaria della gravidanza) consente l’aborto solo di fronte a determinati presup- posti tassativamente elencati, la mancanza dei quali impedisce il ricorso all’opzione legisla- tiva.
Nel caso di specie quindi si dovrà, prima di ogni altra indagine, accertare se la Sig.ra X fosse in possesso dei cennati requisiti per i quali avrebbe potuto abortire e, di conseguen- za, se l’errore di informazione dei medici abbia leso il suo diritto all’aborto, in quanto la so- luzione di questo problema potrebbe essere assorbente di ogni altra indagine e discussio- ne.
Dall’anamnesi clinica risulta che la prima ecografia è stata fatta dopo la 13ª settimana di gestazione e quindi dopo i 90 giorni che l’art. 4 della legge indica come limite entro il quale si può abortire, se comunque ne ricorrono i presupposti.
Dunque la donna avrebbe potuto solo far affidamento sull’art. 6 della stessa legge, cioè ricorrere all’aborto terapeutico, che però è limitato ai soli casi in cui vi sia pericolo di vita
* Avvocato giurista, Ancona
per la madre o siano accertati processi patologici, dovuti alle malformazioni del feto, che possano determinare un grave pericolo per la salute fisica o psichica della donna.
Non risulta che detti presupposti ricorrano nel caso che ci riguarda perché parte attrice sostiene che la donna era da tempo affetta da “importante sindrome depressiva sin da prima del concepimento”, il che le avrebbe dato il diritto di interrompere la gravidanza an- che dopo il terzo mese, ma tale alligazione non costituisce prova certa ed è peraltro smen- tita dalle risultanze cliniche accertate dal nostro medico-legale che afferma invece che da tale sindrome la signora X era già guarita al tempo del concepimento trattandosi in realtà di un semplice e prevedibile stato depressivo dovuto a fattori contingenti alla vita quoti- diana.
Manca dunque la prova dell’accertamento del prevedibile danno psichico patibile dalla madre in caso di nascita di un figlio affetto da malformazione, così come richiesto dalla L.
194/78.
Dubito che l’attrice potesse, se le fosse stata diagnosticata la malformazione del feto, ri- correre all’aborto terapeutico benché sia notorio che alcuni compiacenti medici, forse an- che a ragione, diagnosticano patologie psichiche per mettere in condizione la paziente di abortire in simili casi. Se così fosse allora ogni ulteriore discorso sarebbe inutile perché nessun danno sarebbe stato causato dall’ipotetico errore dei medici, irrilevante di fronte all’inesistenza del diritto. In senso analogo si è già pronunciato, in un caso identico, il Tri- bunale di Roma nel 19941 che ha negato la sussistenza del nesso etiologico tra l’errore dei sanitari ed il danno per inapplicabilità degli artt. 4 e 6 L. 194/78.
Ma anche sotto un altro aspetto la pretesa non è fondata perché a mio giudizio deve essere data la prova che la donna al tempo avesse la concreta e certa volontà di abortire se avesse saputo che il feto era affetto da quella sindrome da regressione caudale. Infatti non tutti sono disposti ad un tale passo, vuoi per motivi morali, vuoi per credo religioso, vuoi anche per paura o per fanatica abnegazione: in ogni caso non è sufficiente sostenere a posteriori che si voleva abortire ma deve essere provato che ce n’era la volontà. In caso
1 Trib. Roma 13.12.1994, in Dir. di Famiglia, 1995, 662, con nota di M. Conte e ivi 1474 con nota di M. Do-
contrario il giudice si troverebbe di fronte ad una pretesa di tutela per una lesione di un di- ritto ipotetico che comporterebbe una valutazione a posteriori di un evento che, pur verifi- catosi, non dà certezza che non fosse voluto.
Il Tribunale di Bergamo2, nell’altra rara sentenza che riguarda questa materia, ha rite- nuto che il diritto all’aborto fosse stato escluso “in radice” dall’errore di diagnosi dell’ecografia che avrebbe “troncato sul nascere qualunque possibilità di scelta e di auto- determinazione” della donna “pregiudicandole una facoltà riconosciuta dalla legge” per cui il danno ingiusto era consistito non solo nella violazione del dovere di informazione, ma anche nell’aver di fatto impedito alla donna di avvalersi di un diritto in astratto. A mio avvi- so invece è necessaria l’indagine sulla volontà perché non può essere riconosciuta la tutela di un diritto che non risulta leso: ammettere il contrario equivarrebbe a dare tutela a chi, per esempio, pur non avendo firmato alcun preliminare di acquisto, lamenti che quel bene è stato venduto ad altri !
Da quanto detto dovrebbe risultare che la domanda attrice è infondata e improcedibile perché l’ipotetico errore dei sanitari è irrilevante e non etiologicamente collegabile al dan- no.
Errore dei medici
Ma c’è stato errore dei sanitari? E se sì, a quale titolo di responsabilità costoro rispon- dono?
Sostiene parte attrice che l’errore sarebbe consistito nel non aver rilevato, dalle varie e successive ecografie, che la crescita del feto era anormale rispetto all’età gestazionale e quindi di non aver prescritto un’ecografia di secondo livello che avrebbe certamente evi- denziato subito, cioè entro il sesto mese, la malformazione mettendo in condizione la don- na di abortire.
Di contro il perito medico-legale contesta che gli ecografisti avessero il dovere di tratta- re il caso come se fosse a rischio, cioè come se avessero saputo che la donna era portatri- ce di diabete insulino dipendente. Infatti non risulta che la donna abbia avvertito i
medici di tale suo stato, né che tale avvertenza fosse contenuta nella richiesta di esame ecografico del medico curante, per cui gli ecografisti dovevano effettuare solo un normale controllo, almeno per quello che risultava loro. Non rientra infatti nei compiti del tecnico ecografista indagare sulle condizioni di salute della paziente di un altro medico, in quanto il suo compito è limitato solo alla richiesta indagine i cui referti vengono poi valutati dallo specialista curante. E così è stato fatto perché nulla faceva sospettare che il caso fosse da trattare come un caso a rischio da approfondire con una ecografica di secondo livello.
Dunque non vi è stato errore nel comportamento dei medici che si sono attenuti alle re- gole di ogni normale intervento di routine, cioè a quanto loro risultava.
Responsabilità
Ma se ipoteticamente si dovesse, solo per continuare la disamina di questo caso virtua- le, discendere all’indagine della responsabilità, di quale titolo dovremmo discutere?
Per ciò che riguarda la pretesa della minore, è indubbio che la sindrome da regressione caudale che la affligge, non è frutto di un errore dei medici, essendo genetica per eredita- rietà materna, e dunque non c’è una lesione personale che dipenda da un fatto colposo come quasi sempre avviene invece nei casi di errori commessi da sanitari. Non c’è neanche un’ipotesi di responsabilità da inadempienza contrattuale perché, a ben vedere, l’obbligazione era stata assunta nei confronti della sola madre non essendo, per di più, la figlia ancora nata, e in ogni caso il risultato errato dell’opera dei sanitari avrebbe di fatto leso solo il diritto della madre impedendole di abortire. La minore quindi non ha alcun tito- lo per agire contro i medici che con il loro errore, tutto sommato, le hanno consentito di nascere. Infatti la legge sull’aborto, che tutela la salute della madre messa a rischio dalla gravidanza, garantisce in ogni caso anche il diritto alla vita del nascituro perché sanziona in modo esemplare l’aborto clandestino, cioè quello al di fuori dei casi necessari per la sal- vezza della madre. C’è dunque solo il diritto alla vita e non quello a non nascere o, peggio ancora, a morire.
Il discorso ci porterebbe lontano perché investe problemi di etica, di religione, di filoso-
fia che esulano dall’argomento che ci impegna e quindi, seppure interessante, dobbiamo fermarci a questa considerazione dalla quale dedurre che la minore non ha subito danni dal fatto dei medici né contro di essi ha azione per carenza di interesse.
L’assunto avversario che la piccola avesse diritto a vivere una vita sana mentre la sua, così come è ora, è una non vita, pur essendo suggestivo ed emotivamente condivisibile, dal punto di vista puramente giuridico non regge alla contestazione che la non vita di Z non dipende dai sanitari perché di origine genetica e, a ben vedere, la bimba, pur malfor- mata, ha comunque una integrità psico-fisica che le consente di vivere, magari male, ma di vivere. Se pensiamo a tanti handicappati gravi che nonostante tutto vivono intensa- mente la loro inabilità fisica, non possiamo che ritenere, anche moralmente, che Z non so- lo non ha subito danno, ma che dal presunto errore ne ha, per assurdo, tratto beneficio.
Ma il discorso cambia per i genitori e soprattutto per la madre perché, se ammettiamo che la donna avrebbe avuto diritto di abortire, ammettiamo anche che la soppressione del suo diritto le ha causato un danno, per cui dovremo accertare, prima di liquidarglielo, in che tipo di responsabilità va inquadrato il caso essendo diverse le conseguenze risarcitorie che discendono dalle diverse responsabilità aquiliane o contrattuali. Infatti non ritengo che, in questo caso, le due responsabilità possano concorrere, perché si escludono a vi- cenda. Alcune decisioni giurisprudenziali invece affermano tale ipotesi di concorso, cioè che vi sia la responsabilità aquiliana laddove vi sia quella contrattuale. Si sostiene infatti, come peraltro fa anche l’avversario, che la responsabilità del professionista, laddove venga in rilievo per inesatto adempimento o per inadempimento, comporta anche una responsa- bilità extra contrattuale ai sensi dell’art. 2043 c.c. qualora vi siano le connotazioni dell’imprudenza e della negligenza. Se dovessimo discettare sul concetto di colpa in senso lato, ne dovremmo indubbiamente trattare a livello penale, essendo questo l’ambito dell’individuazione di tale responsabilità, ma noi sappiamo che esiste anche la colpa civile, cioè quella discendente da un illegittimo, e non sempre illecito, comportamento, come per esempio nel caso di una inadempienza ad una obbligazione assunta.
Le ipotesi disciplinate dell’art. 2043, trattandosi di fatti illeciti, riguardano invece gli ef- fetti civili dell’illecito comportamento anche non di marca penalistica. Ma quando il com-
portamento dell’agente rientra in un istituto civilistico già codificato, come quello della re- sponsabilità professionale, in mancanza degli elementi costitutivi del reato penale, deve essere giudicato per la tipica violazione alla norma civilistica e non abusivamente esteso all’ambito penale. Per di più se manca una lesione alla persona, tipica nelle normali ipotesi di responsabilità dei sanitari, impossibile è il richiamo all’azione penale.
Quindi dobbiamo escludere la responsabilità ex art. 2043 c.c. per assoluta mancanza dei presupposti costitutivi del fatto illecito. D’altra parte allora in ogni ipotesi di responsabilità professionale si dovrebbe ritenere la sussistenza del fatto illecito, anche se non causativo di una lesione alla persona. Solo l’attività medica nella gran parte dei casi, escluso questo, comporta in ipotesi di errore, una lesione; ma se dovessimo ricorrere per l’individuazione della responsabilità discendente dall’errore, all’accertamento della sussistenza dei presup- posti della colpa aquiliana, cioè imprudenza, imperizia, inosservanza di leggi o di regola- menti, allora ogni errore professionale, e quindi dell’avvocato, del commercialista, del no- taio, dell’architetto..., sarebbe inquadrabile nell’ambito dei fatti illeciti.
Nel caso di specie siamo di fronte ad una tipica ed esclusiva ipotesi di inadempienza contrattuale, per violazione dell’obbligazione non già di mezzi ma di risultato assunta dai medici, perché un’ecografia non può avere un risultato incerto in quanto dipendente da fatti esterni di terzi o contingenti o imprevedibili, così come avviene in tutti i casi di obbli- gazione del professionista, ma dipende solo dalla capacità manuale e dall’esperienza del medico ecografista che si impegna quindi a refertare, attraverso lo strumento ecografico, una situazione certa, trattandosi di una proiezione ottica, e quindi non dipendente da fat- tori imprevedibili, così come in ogni contratto d’opera materiale.
Siamo quindi d’accordo con l’avvocato di controparte quando ritiene che la responsabili- tà professionale del caso sia disciplinata dall’art. 1176 c.c. e quindi ampliata anche alle ipo- tesi di colpa lieve per negligenza.
La giurisprudenza, abbastanza di recente, si è pronunciata nel riconoscere una respon- sabilità per inadempienza all’obbligazione di risultato anche nell’attività medica, ed in parti-
colar modo in quella del chirurgo estetico o per esempio del medico di laboratorio3, e la prestazione cui erano chiamati gli ecografisti può certamente essere ritenuta un’obbligazione di risultato per cui costoro dovrebbero rispondere anche in ipotesi di colpa lieve ma sempre nell’ambito della responsabilità contrattuale.
Esclusa quindi la responsabilità da fatto illecito ex art. 2043 e quindi la mera potenzialità di un reato, nessun danno morale spetta ai danneggiati, per essere al di fuori delle ipotesi limitatrici di cui agli artt. 185 c.p. e 2059 c.c..
Ma, a mio giudizio, non spetta neanche il danno biologico.
Per il nostro ordinamento giuridico la responsabilità è solo contrattuale e extra contrat- tuale e il relativo danno è disciplinato da norme codificate. Se è vero che il danno biologi- co, quale lesione al diritto alla salute, è geneticamente evento di danno da fatto illecito e quindi extra contrattuale, mancando questo ne manca il presupposto costitutivo. Afferma- re il contrario significherebbe ritenere la sussistenza del danno biologico anche in caso di inadempienza contrattuale qualora si siano avuti pregiudizi per la salute del creditore in- soddisfatto.
Però si potrebbe sostenere, nell’abusivismo dell’utilizzazione estensiva di questo danno, che qualora il creditore abbia subito un evento modificativo di natura psichica con le con- notazioni di patologia accertabili con le metodiche della medicina-legale, secondo quanto ha prescritto la Corte Costituzionale con la sentenza n.372/944, trattandosi di un evento le- sivo di danno che ha pregiudicato il diritto alla salute, se ne determini il correlativo diritto al risarcimento.
Per quanto suggestiva possa essere questa tesi, se ne vede subito la strumentalità ed il pericolo che l’estensione del concetto ad ambiti non propri comporta. Se l’imprenditore che viene dichiarato fallito perché i suoi debitori sono rimasti inadempienti, impazzisce cadendo vittima di una patologia depressiva permanente, avrà anche egli diritto al danno biologico da porre a carico di costoro? O il lavoratore indebitamente licenziato che finisca quindi in
3 Cass. Civ. Sez. 2 8.8.1985 n.4394 in Resp. Civ. Prev. 1986, 44 ; Trib. Milano 19.11.1992 ivi 1994,1157 ; Cass. Civ. Sez. III 25.11.1994 n.10014 in Foro It. 1995, I, 2914 con commento di Scoditti.
4 In Corr. Giur. 1994, 12, 1455 con nota di G. Giannini.
mezzo alla strada, avrà il diritto di pretendere il danno biologico dal datore di lavo- ro perché la sua serenità psichica è permanentemente pregiudicata?
Non dobbiamo dimenticare che per lungo tempo, e ancora oggi, si discute se questo danno appartenga all’ambito del 2043 o del 2059 e la conclusione più ricorrente è che all’uno o all’altro, purtuttavia costituisce una voce a sé stante di danno quale puro danno alla persona che c’è sempre ma solo in caso di lesione del diritto alla salute quale conse- guenza di un fatto illecito. Per di più i turbamenti dell’animo, il dolore, le sofferenze dovute ad eventi non diretti o di rimbalzo e, come nel nostro caso, neanche penalmente rilevanti, se assumono connotazioni di patologie permanenti, e non transeunti, è evidente che di- pendano da una predisposizione psico-somatica che certamente non deriva dal fatto gene- ratore del patimento stesso: il fallimento addolora e turba il fallito; il licenziamento di- strugge quelle che probabilmente sono le aspettative di vita futura del lavoratore; la nasci- ta di un bimbo malformato o handicappato causa turbamenti e modifica il modo di vivere della famiglia, ma certamente ciò non costituisce una lesione del diritto alla salute o una diminuzione di capacità psico-fisica tale da poter essere definito danno biologico.
Quello che invece può essere riconosciuto quale conseguenza dell’errore, e quindi dell’inadempienza al contratto, è indubbiamente il danno patrimoniale sotto gli aspetti del lucro cessante e del danno emergente, subito però solo dalla madre, cioè da colei che avrebbe avuto diritto, se ne fossero ricorsi i presupposti, all’aborto terapeutico. E’ infatti evidente che, trattandosi di responsabilità contrattuale dipendente dall’obbligazione assun- ta dai sanitari di effettuare l’ecografia, il contratto si sia instaurato solo tra la signora X e gli ecografisti per cui l’errore, da cui discende l’inadempienza all’opera professionale, trova la sanzione negli artt. 1218, 1223 e 1225 c.c. e quindi solo in favore della creditrice dell’obbligazione e non di altri soggetti, quand’anche indirettamente danneggiati, come il marito. Il diritto all’aborto è della donna, suo il danno dipendente dalla violazione di tale diritto e non certamente del marito, il quale avrebbe avuto lo stesso identico danno se la moglie, per ipotesi, avesse deciso di non abortire e quindi di partorire il figlio malformato.
Alla donna quindi spettano le spese di cura e di assistenza del minore, il mancato gua- dagno qualora la sua attività lavorativa risulti pregiudicata dall’assistenza che dovrà presta-
re al figlio e, ovviamente, il rimborso di quanto pagato agli ecografisti per l’opera errata- mente prestata.
L’unico caso che si conosce, che in qualche modo dà ragione alla domanda attrice, è quello già richiamato del Tribunale di Bergamo che, giudicando di una situazione analoga alla nostra, riconosce la responsabilità, “ad un tempo contrattuale ed aquiliana” del sanita- rio ecografista per il pregiudizio patito dai genitori in conseguenza della nascita di un figlio portatore di handicap fisico.
La lettura della sentenza è interessante perché i giudici bergamaschi, pur riconoscendo che la malformazione era genetica e quindi indipendente dal fatto dei sanitari, affermano, in modo peraltro singolare, che essendo la decisione di procreare di entrambi i genitori, al- trettanto lo sia quella dell’aborto, per cui il danno è stato subito da entrambe e non dalla sola madre. In realtà è evidente a tutti che la decisione di procreare è sempre e solo della donna e quindi lo è quella di abortire perché la vita è la sua e libera è la sua determinazio- ne, e quindi sia contrattualmente che extra contrattualmente creditrice e parte offesa, è solo la madre e non altri cui non spetta l’esercizio della scelta.
Con simili presupposti è stato facile per i giudici bergamaschi riconoscere la sussistenza del danno biologico dei genitori e addirittura di quello del minore handicappato la cui vita di relazione sarebbe stata pregiudicata dal fatto di... essere nato.
Simili sentenze denotano la smania di risarcire a tutti i costi danni che non appartengo- no a note categorie o che addirittura non esistono e andrebbero di fatto immediatamente cassate, come spero che sia avvenuto.