• Non ci sono risultati.

MODALITÀ' DEL RISARCIMENTO E SUA CONGRUITÀ' NEL SETTORE R.C.A. di Gennaro Giannini

N/A
N/A
Protected

Academic year: 2022

Condividi "MODALITÀ' DEL RISARCIMENTO E SUA CONGRUITÀ' NEL SETTORE R.C.A. di Gennaro Giannini"

Copied!
13
0
0

Testo completo

(1)

MODALITÀ' DEL RISARCIMENTO E SUA CONGRUITÀ' NEL SETTORE R.C.A.

di

Gennaro Giannini*

1. Premessa: il vecchio e il nuovo sistema liquidativo del danno alla persona.

Il titolo di questo convegno - "Il prezzo dell'uomo" - è certamente accattivante. Ma è, altrettanto certamente, mendace. E' mio fermo convincimento, e non soltanto mio, che il danno alla persona non sia tecnicamente risarcibile, se non limitatamente al reddito che si dimostri realmente perduto e alle spese comprovate. Se il risarcimento, come più volte è stato detto, ha la funzione di riportare il danneggiato nelle stesse condizioni nelle quali si sarebbe venuto a trovare se non si fosse verificato il fatto illecito, ossia se non fosse stata violata la sua integrità psicofisica, bisogna proprio concludere che il danno alla persona non è risarcibile, non essendo possibile nè la reintegrazione in forma specifica, nè il compenso per equivalente. Non la prima, perchè la compromissione psicofisica non può mai essere compiutamente cancellata; non il secondo, perchè non esiste l'equivalente monetario del corpo umano: non esiste, per l'appunto,

"il prezzo dell'uomo".

Di qui, le possibili soluzioni: punire l'evento lesivo solo come fatto-reato, lasciando però il danneggiato privo di compenso quanto alla compromissione biologica (tesi, questa, riemersa a proposito del danno biologico in ipotesi di lesioni mortali); oppure adottare l'antica legge del taglione, infliggendo, cioè, al responsabile lo stesso tipo di danno da lui causato (soluzione che, pur soddisfacendo emotivamente la vittima o i suoi parenti superstiti nel caso di omicidio, lascia pur sempre tali soggetti sostanzialmente privi di compenso pecuniario); oppure, indipendentemente dalla sanzione penale, porre a carico del danneggiante l'obbligo di versare al danneggiato una somma che, lungi dall'essere l'equivalente pecuniario del bene leso, fornisca al danneggiato stesso una utilità sostitutiva di quella perduta: insomma, una sorta di compenso consolatorio1.

Questo "prezzo dell'illecito" - e non certo, come detto, del bene offeso - da corrispondere in sostituzione di un impossibile risarcimento, abbisogna peraltro di un parametro liquidativo che rispetti il principio della giustizia distributiva. Non si può, infatti, compensare allo stesso modo la perdita di una mano e quella di un braccio, una microinvalidità e la menomazione tanto grave da ridurre la vittima allo stato vegetativo.

Com'è noto, la questione del parametro venne risolta in passato sfruttando quella indicazione - ricavata da un testo di Melchiorre Gioia2 - che il Pogliani incisivamente battezzò come "regola del calzolaio": occorre commisurare il risarcimento al reddito lavorativo della vittima, secondo una quota percentuale di tale reddito, capitalizzata in funzione della durata media probabile della sua vita, ragguagliata alla percentuale di valutazione dei postumi permanenti; con l'aggiunta, naturalmente, della "partita morale" - secondo l'espressione del Gioia - e cioè del risarcimento per il danno non patrimoniale, a compenso della sofferenza.

La regola del calzolaio aveva il pregio di proporre un calcolo semplice, basato su dati facilmente reperibili (reddito lavorativo, valore percentuale della menomazione, coefficiente di

* Avvocato Giurista, Milano

1 Sovente la S.C. ha utilizzato le espressioni "utilità sostitutiva" e "compenso consolatorio" a proposito del danno non patrimoniale: v. Cass. 11 ottobre 1985 n. 4947, in Arch. Giur. Circ. Sin. 1986, 110

2 Si tratta del volumetto "Dell'ingiuria dei danni, del soddisfacimento e relative basi di stima avanti i Tribunali civili", edito dapprima a Milano e poi a Lugano, nel 1840. La regola in discorso si trova enunciata a pag. 167.

(2)

capitalizzazione per età); per giunta, conferiva un'apparenza di risarcibilità - come ripristino delle condizioni economiche del danneggiato - al danno alla persona.

Tuttavia, la pretesa di ridurre tutto il danno a una questione di puro e semplice lucro cessante non rappresentava una soluzione soddisfacente, ed anzi comportava pesanti ingiustizie. A parte l'ingiusto accantonamento del principio della prova (la perdita di reddito, in quel sistema, era presunta iuris et de iure, anche nei casi in cui era certo che il guadagno lavorativo non subiva alcuna flessione), sorgevano indubbie difficoltà liquidative ogni qual volta mancasse il reddito da lavoro (età minore, casalinga, disoccupato, pensionato). Si cercò di porre rimedio inventando un reddito immaginario per ciascuna categoria di danneggiati che non svolgessero lavoro retribuito (un reddito pari a quello paterno, per il minore; un reddito figurativo, per le casalinghe; un reddito pari all'ultima retribuzione percepita, per il disoccupato; un reddito pari alla pensione, per il soggetto di età superiore ai limiti fissati per l'attività lavorativa). L'utilizzazione del reddito immaginario dette però origine ad altre ingiustizie liquidative: ad esempio, il risarcimento "per caste", nel caso dei minori.

Ad ogni buon conto, permaneva l'inaccettabilità dell'intero sistema, che finiva per attribuire risarcimenti diversificati in funzione del reddito per menomazioni identiche in soggetti che non subivano alcuna riduzione reddituale. In altri termini, quando due soggetti, percettori di redditi lavorativi diversi, subivano lo stesso tipo di menomazione non incidente sulla capacità lavorativa specifica (e quindi ininfluente sul reddito, che rimaneva inalterato per entrambi) si vedevano liquidare il risarcimento in modo diverso, in relazione al diverso ammontare della retribuzione lavorativa, nonostante subissero il medesimo pregiudizio.

C'era poi l'ingiustizia per così dire speculare a quella testè riferita, che ricorreva quando la medesima menomazione, riportata da due soggetti diversi, in un caso lasciava inalterato il reddito lavorativo (per esempio, di un lavoratore dipendente), mentre nell'altro provocava una flessione del guadagno (per esempio, di un lavoratore autonomo): entrambi i danneggiati dovevano essere risarciti allo stesso modo, in base alla presunzione del lucro cessante, pur ricevendo dal fatto illecito pregiudizi diversi.

La contestazione del metodo liquidativo tradizionale provocò la nota rivoluzione concettuale, operata dalle Corti Superiori tra il 1979 e il 1986: anni che furono caratterizzati dalle sentenze n. 87/79 e n. 88/79 e dalla sentenza n. 184/86 della Corte Costituzionale, nonchè da una serie di significative decisioni della Corte di Cassazione, emesse in quell'arco di tempo.

Si trattò, come detto, di un'autentica rivoluzione concettuale, perchè non comportò soltanto la "invenzione" di una terza categoria di danno (il danno biologico) da aggiungere alle due del sistema tradizionale (danno patrimoniale e danno morale); ma determinò un profondo mutamento del concetto civilistico del danno alla persona, giacchè, mentre prima costituivano danno risarcibile soltanto le conseguenze - patrimoniali e afflittive - della lesione personale, divenne danno risarcibile - e in posizione prioritaria, centrale e insopprimibile - la stessa lesione personale o violazione dell'integrità psicofisica della persona, in sè e per sè considerata come danno-evento, da risarcire in modo del tutto indipendente dalla (eventuale) presenza dei danni - conseguenza, a carattere patrimoniale e afflittivo.

Tra gli effetti del nuovo sistema liquidativo. è da considerare anzitutto la maggiore rispondenza del risarcimento alla mutata sensibilità sociale in ordine al valore “uomo”. Si può ben dire che, dalla concezione patrimonialistica del danno alla persona si è passati alla concezione personalistica: oggetto primario della tutela non è il patrimonio ma la persona.

E' poi da sottolineare una migliore attuazione del principio della giustizia distributiva: a parità di lesione, uniforme per tutti (per i criteri liquidativi di base) è il risarcimento inerente al danno biologico, unico essendo il valore- uomo; diversificato è invece il risarcimento per il danno patrimoniale da lucro cessante, essendo variabile la perdita economica in relazione al reddito lavorativo goduto in concreto.

(3)

Non va infine sottaciuta l'importanza del ripristino del principio della prova, secondo la regola generale stabilita dall'art. 2697 c.c., e del definitivo accantonamento della presunzione iuris et de iure in ordine al lucro cessante. Allo stesso modo del danno emergente, vale a dire la spesa sostenuta dal danneggiato, che dev'essere provato sino all'ultimo centesimo, anche il lucro cessante dev'essere dimostrato come perdita di reddito: e occorre una prova rigorosa, come ha sovente sottolineato la giurisprudenza3, al fine di evitare ogni automatismo liquidativo. Con l'ovvia precisazione che, quanto al danno futuro, è sufficiente una ragionevole e fondata previsione4 basata su presunzioni semplici, che, se rispondenti ai requisiti di legge, costituiscono mezzo di prova di pari efficacia degli altri5.

Certamente non tutti i problemi del risarcimento hanno ricevuto una risposta definitiva; ed anzi, è bene far cenno delle questioni ancora aperte e maggiormente controverse.

2. Il pregiudizio per la menomazione della capacità lavorativa

La menomazione della capacità lavorativa rappresenta la giustificazione razionale della regola del calzolaio, fondata sulla presunzione assoluta di perdita del reddito lavorativo. Infatti, la liquidazione del lucro cessante anche quando il lucro non cessava affatto veniva giustificata per la considerazione che il danneggiato, pur non subendo perdite di reddito, era stato comunque menomato nella sua capacità lavorativa generica, ossia nella sua attitudine al lavoro in genere, sicchè, per mantenere inalterato il guadagno, doveva sottoporsi a uno sforzo maggiore, con usura delle cosiddette forze lavorative di riserva6. La spiegazione non era del tutto convincente; ma, se fosse stata rifiutata, il danno alla persona sarebbe rimasto irrisarcibile e irrisarcito in tutti i casi in cui danneggiato non subiva alcuna flessione del guadagno per effetto della lesione.

Nel nuovo sistema, non si può confondere la menomazione della capacità lavorativa, che è concetto medico-legale, con il lucro cessante, che è invece categoria giuridica di danno. I due concetti, com'è intuitivo, non sono per nulla coincidenti, poiché non costituisce danno la perdita dell'attività lavorativa in sè, "ma la conseguenza consistente nel mancato guadagno"7; e perciò, quando manchi la dimostrazione della perdita di reddito, dev'essere esclusa l'esistenza del danno patrimoniale da lucro cessante8.

3 V. da ultimo Trib. Urbino 5 aprile 1990, in Dir.Prat.Ass. 1990, 724; Trib. Bologna 26 aprile 1990 e Trib.

Milano 4 febbraio 1991, ibidim, 1991, 117; Trib. Ancona 12 febbraio 1991, ibidim 1991, 118; nonchè, per il lucro cessante connesso all'invalidità temporanea Cass. 15 aprile 1993 n. 4475, in Riv. Giur.Circ. Trasp. 1993, 967, con precedenti in nota.

4 Cass. 16 gennaio 1987 n. 333, in Dir. Prat. Ass. 1988, 145; Cass. 22 febbraio 1991 n. 1908, in Mass. Giust.

Civ. 1991, fasc.2.

5 V: Cass 29 aprile 1986 n. 2957, in Dir. Prat. Ass. 1987, 366. E' da notare che, per aversi una valida presunzione semplice, non è necessario riscontrare l'esistenza tra il fatto noto e quello ignoto di un rapporto di esclusiva necessità causale, essendo sufficiente che il fatto da provare derivi dal primo come "conseguenza ragionevolmente possibile o verosimile secondo un criterio di normalità (Cass 15 ottobre 1992 n. 11283, in Mass. Giust. Civi. 1992, fasc.10)

6 V., in motivazione, App. Genova 17 luglio 1975, in Resp. Civ. Prev. 1975, 416

7 Cass. 22 giugno 1987 n. 5480, in Mass. Giust. Civ. 1987, fasc. 6, nonchè Cass. 28 novembre 1988 n. 6403, ibidem, 1988, fasc. 11

8 V., per la giurisprudenza di merito, Trib. Napoli 9 ottobre 1985, in Arch. Giur. Circ. Sin. 1986, 613; Trib.

Novara 23 giugno 1987, ibidem, 1988, 644; Trib. Livorno 12 luglio 1988, in Ass. 1989, massimario, m. 53;

Trib. Firenze 23 giugno 1989, in Resp. Civ. Prev. 1990, 1107; ed altre

(4)

La conclusione è che la menomazione della capacità lavorativa è un pregiudizio ricompreso nel danno-evento, ossia una componente del danno biologico da risarcire come tale9, mentre il lucro cessante resta sempre un danno - conseguenza, meramente eventuale10.

3. Le Macroinvalidità

Si è già detto come il nuovo sistema liquidativo sia strutturato in modo più idoneo a soddisfare il principio della giustizia distributiva, assegnando un risarcimento rilevante al danno grave, e un risarcimento modesto al danno lieve.

Le macroinvalidità, intendendosi per tali le menomazioni permanenti valutate (indicativamente) in misura superiore al 50% , pongono un duplice problema: come liquidare il danno biologico, che si appalesa sempre rilevante; e se liquidare in aggiunta, e con quale motivazione, il lucro cessante.

Il primo è solo un problema di metodo, e verrà ripreso trattando di questo argomento. Qui basterà richiamare una considerazione, largamente condivisa da medici legali e da giuristi, e cioè che "non vi è stretta proporzionalità aritmetica tra piccole e medie permanenti risarcite dalla giurisprudenza con importi minori e le gravi permanenti che comportano devastanti danni e che quindi devono essere tacitate con criterio equitativo tale da adeguare l'entità del risarcimento alla gravità del caso"11.

Il secondo è un problema diverso, che ricorre particolarmente quando la indubbia coesistenza del danno biologico e del danno patrimoniale dal lucro cessante venga riscontrata in un soggetto che, per età minore o altro, non sia in grado di dimostrare nello svolgimento di un lavoro retribuito nè l'esistenza del reddito lavorativo.

Il nuovo sistema esclude, come si è già rilevato, l'automatismo liquidativo di quello tradizionale, dominato dalla costante presunzione iuris et de iure di lucro cessante. Escludere tale automatismo non significa peraltro ripudio delle presunzioni semplici, le quali sono da annoverare, a pieno titolo, tra i mezzi di prova (art. 2729 c.c.); sicchè, qualora la macroinvalidità biologica comporti, attraverso le indicazioni del consulente medico-legale, una pesante diminuzione della capacità lavorativa, non si può negare come il giudice-il quale è sempre tenuto a indagare, in ipotesi di menomazioni apprezzabili, per accertare o escludere l'esistenza del danno patrimoniale12, ben possa utilizzare, in assenza di prova contraria e valutate tutte le circostanze del caso concreto, le presunzioni semplici per dedurre l'esistenza del lucro cessante, quale prospettazione fondata su una ragionevole previsione.

Nè è di ostacolo la mancata dimostrazione del reddito, che in questi casi è giustificata per la considerazione che, nel momento in cui il sinistro si è verificato il reddito non esisteva. proprio in relazione ad ipotesi di questo tipo, l'art. 4 della Legge n. 39/77 prevede il criterio del calcolo tabellare sul multiplo della pensione sociale, correttamente riferito dalla S.C. al danno patrimoniale da lucro cessante e non al danno biologico13; con la precisazione che si tratta di un criterio sussidiario e residuale, da utilizzare dopo aver eseguito la ricerca e la valutazione degli elementi sussistenti circa il probabile reddito futuro14

9Cass. 18 marzo 1993 n. 3260, in Resp. Civ. Prev. 1993, 45; v. anche Corte Cost. 18 luglio 1991 n. 356, in Resp. Civ. Prev. 1991, 689, e Corte Cost. 27 dicembre 1991 n. 485, ibidem, 1992, 58.

10 Corte Cost. 14 luglio 1986 n. 184, in Foro It. 1986, I, c. 2053.

11 Trb. Milano 30 gennaio 1991,in Resp. Civ. Prev. 1993, 640 12 Cass. 18 febbraio 1993 n. 2008, in Resp. Civ. Prev. 1993, 797.

13 V. da ultimo Cass. 18 febbraio 1993 n. 2009, in Resp. Civ. Prev. 1993, 268.

14 Cass. 20 febbraio 1991, n. 1801, in Mass. Giust. Civ. 1991, fascicolo 2.

(5)

In questo modo si evita l'assurdo della negazione del lucro cessante, che qui si rivela come pregiudizio certo nell'an ma incerto nel quantum.

4. Il danno psichico. Le lesioni mortali

Nell'assetto del nuovo sistema liquidativo, altri due temi controversi, ma di viva attualità, sono quelli relativi - tanto per rimanere in sintonia con il titolo del convegno - al "prezzo della follia" e al "prezzo della vita", ossia al danno psichico e al danno biologico in ipotesi di lesioni mortali. Sono temi stimolanti ma di una vastità tali da richiedere trattazioni separate e approfondite: in questa sede mi limiterò a qualche cenno informativo.

Per il danno psichico la questione non sta tanto nella sua astratta collocazione nel sistema:

se il danno biologico consiste nella violazione dell'integrità psico fisica della persona, come la menomazione fisica, temporanea o permanente, costituisce danno biologico di tipo fisico, così come la menomazione psichica, temporanea o permanente, costituisce danno biologico di tipo psichico. Danno biologico che è sempre pregiudizio primario e centrale, dal quale possono derivare gli ulteriori ed eventuali pregiudizi economici e afflittivi rappresentati dai danni- conseguenza (danno patrimoniale e danno morale), secondo la terminologia adoperata dalla Corte Costituzionale nella sentenza n. 184 del 1986. In altri termini, la menomazione psichica (danno biologico) certamente può determinare incapacità a svolgere lavoro proficuo (e quindi flessione di reddito e quindi danno patrimoniale da lucro cessante); e altrettanto certamente può ingenerare nella vittima per la consapevolezza della menomazione subita afflizione e dolore (danno morale).

E' sul piano operativo che insorgono difficoltà di ordine pratico. C'è anzitutto la difficoltà dell'accertamento della lesione psichica (la quale, diversamente da quella fisica, non lascia traccia corporea obiettivamente riscontrabile) e della malattia psichica (che è ricavabile dal comportamento della vittima successivo al fatto illecito ), con conseguente indagine sul nesso causale (rilevanza della struttura psichica di base del soggetto leso di eventuali malattie psichiche latenti, ecc.). In secondo luogo, è nota la sequenza causale della menomazione fisica o psichica (danno biologico, che è danno.evento), la quale determina sofferenza (danno morale, che è danno-conseguenza); ma a sua volta quest'ultima - soprattutto se molto intensa e prolungata nel tempo - può dar luogo a una vera e propria malattia psichica, e dunque a un nuovo danno-evento. Bene è stato detto che "la risarcibilità di un simile pregiudizio e la configurabilità di esso in termini di danno biologico è una questione di interpretazione del diritto e di valutazione del fatto che spetta al giudice ordinario risolvere"15.

Quanto al danno biologico in ipotesi di lesioni mortali, è anche questo un argomento vasto e complesso, sul quale permangono noti contrasti giurisprudenziali. Meritano tuttavia di essere segnalate due novità. La prima è data dal tentativo del Tribunale di Milano di riconoscere un compenso per questo pregiudizio, attribuendo un danno psichico, come danno riflesso o di rimbalzo, agli stretti congiunti superstiti16. La seconda novità è rappresentata dalla quanto mai opportuna remissione della intera questione al vaglio della Corte Costituzionale.17

5. Altri temi controversi: il danno morale dei congiunti e il danno del convivente

15 Corte Costituzionale 17 febbraio 1994 n, 37, in G.U. n. 9 del 23 febbraio 1994.

16 Trib. Milano 2 settembre 1993, in Resp. Civ. Prev. 1993, fasc. 6, con mia nota

17 Trib. di Firenze 10 novembre 1993 (ord.), in corso di pubblicazione su Resp. Civ. Prev. 1993, fasc. 1, pure con mia nota

(6)

Permane il contrasto tra giurisprudenza di legittimità e giurisprudenza di merito sulla risarcibilità del danno morale ai congiunti della vittima di un fatto illecito. Per la S.C., tale danno è risarcibile solo in ipotesi di sinistro mortale e non, invece, quando il soggetto direttamente offeso abbia riportato lesioni gravi ma non seguite da decesso18; mentre in senso opposto si sono espressi non pochi giudici di merito.19 La ragione del diniego sta nella considerazione che solo nel caso di morte della vittima la sofferenza del congiunto sarebbe conseguenza immediata e diretta. Giustificazione non molto convincente, per la verità, posto che la stessa S.C. ha dichiarato risarcibili anche i danni indiretti e mediati e persino quelli riflessi 20, alla condizione, ovviamente, che siano in rapporto causale con il fatto illecito: ma, nel caso in esame, il nesso causale è fuori discussione.

Altra questione, a proposito della quale si registra analogo contrasto tra la S.C. e i giudici di merito, concerne il riconoscimento del danno morale al convivente superstite in ipotesi di lesioni mortali subite dal partner. La tesi negativa viene motivata per il fatto che il convivente superstite non risulta leso in un suo diritto soggettivo21; quella affermativa rileva, al contrario, che il convivente more uxorio della vittima di un omicidio viene leso non già in una semplice aspettativa, priva di tutela giuridica, bensì in un fondamentale e inviolabile diritto, qual è quello della solidarietà sociale di cui all'art. 2 della Costituzione (22).

Al riguardo, mette conto segnalare che il progetto di riforma dell'assicurazione obbligatoria dei veicoli e dei natanti, agli art. 18 e 19 del testo approvato nella trascorsa legislatura (undicesima) dal solo Senato della Repubblica, prevede la legittimazione del convivente di fatto a chiedere il risarcimento per il danno patrimoniale e per quello morale in ipotesi di sinistro mortale (art. 18), e per il solo danno morale in ipotesi di "lesioni comportanti gravissime alterazioni anatomiche, perdita dell'uso degli organi o perdita di funzioni essenziali" (art. 19).

6. Il metodo per il calcolo del risarcimento per il danno biologico: il modello genovese e quello pisano

Nel nuovo sistema risarcitorio, il punto più controverso è però quello della scelta del metodo per il calcolo del risarcimento inerente al danno biologico. Il dissenso ha assunto vaste proporzioni: sia perchè ha coinvolto dottrina e giurisprudenza, sia e soprattutto perchè l'incertezza del metodo ha dato origine al ben noto caos liquidativo e ai suoi effetti perversi, quali l'aumento del contenzioso, l'aggravamento del costo dei sinistri, e le forti sperequazioni che si sono registrate non solo tra le diverse sedi giudiziarie ma persino tra le diverse sezioni dello stesso Tribunale, o addirittura tra i diversi Collegi della stessa sezione.

Tenuto conto della sostanziale irrisarcibilità del danno alla persona, è ovvio che "l'unico criterio utilizzabile è quello equitativo perchè non esistono elementi sicuri ed attendibili per la determinazione del valore biologico dell'uomo"23. Quindi, a giudizio della S.C., anche "tabelle e indici, elaborate con riferimento all'entità e alla durata delle menomazioni anatomo-funzionali

18 V. da ultimo Cass. 17 ottobre 1992 n. 11414, in Riv. Giur. Circ. Trasp. 1993, 345.

19 V. , di recente, Trib. Milano 18 giugno 1990, in Ass. 1991, massimario, m. 27.

20 Cass. 7 gennaio 1991 n. 60, in Resp. Civ. Prev. 1991, 446 21 Cass. Pen. 27 agosto 1987, in Dir. Prat. Ass. 1988, 364.

22 Così si esprime App. Milano 16 novembre 1993, Lavoro e Sicurtà c. Palazzin e altro, in corso di pubblicazione sulla rivista Dir. Econ. Ass.

23 Cass. 16 gennaio 1985 n. 102, in Riv. Giur. Circ. Trasp. 1985, 521.

24 Cass. 11 febbraio 1985 n. 1130, sempre in Riv. Giur. Circ. Trasp. 1985, 521.

25 Cass. 6 giugno 1981 n. 3675, in Giust. Civ. 1981, I, 1903.

26 V. da ultimo Cass. 18 febbraio 1993 n. 2009, in Resp. Civ. Prev. 1993, 268

(7)

dell'organismo umano e così pure parametri legali, come quelli dettati dall'art. 4 della Legge n.

39 del 26 febbraio 1977, ben possono rivelarsi strumenti adeguati, qualora la loro applicazione sia risultato di un saggio e prudente apprezzamento del giudice di merito"24.

A queste prime indicazioni della Corte di Cassazione - che lasciavano comunque la scelta dei criteri liquidativi ai giudici di merito, potendo la S.C. soltanto vagliare la legittimità del metodo adottato25, si sono aggiunte le considerazioni della Corte Costituzionale, la quale, nell'intervento effettuato con la sentenza n. 184 del 1986, ebbe a dire che il criterio liquidativo deve "risultare rispondente da un lato ad una uniformità pecuniaria di base (lo stesso tipo di lesione non può essere valutato in maniera del tutto diversa da soggetto a soggetto ...) e dall'altro ad elasticità e flessibilità, per adeguare la liquidazione del caso menomazione sulle attività della vita quotidiana, attraverso le quali, in concreto, si manifesta l'efficienza psicofisica del soggetto danneggiato".

In pratica, sono poi prevalsi due modelli liquidativi: quello genovese, che propone il calcolo tabellare sul triplo della pensione sociale, utilizzando la disposizione contenuta nel terzo comma dell'art. 4 della Legge n. 39/77; e quello pisano, che propone la liquidazione "a punto", il cui valore flessibile venne a suo tempo ricavato da un'indagine statistica sulle liquidazioni equitative. Nessuno dei due metodi ha però dato risultati soddisfacenti.

Il modello genovese, che pure presenta il vantaggio della semplicità e della rapidità del calcolo, non convince perchè, a parte la considerazione che utilizza un parametro dettato dal legislatore solo per il calcolo del danno patrimoniale26, appare sin troppo rigido (il risarcimento è differenziato solo per età e sesso del danneggiato) e finisce per liquidare troppo per le invalidità modeste e troppo poco per quelle gravi e gravissime: il rapporto tra entità percentuale della permanente e riduzione delle possibilità di estrinsicazione della persona nei rapporti della vita quotidiana non è un rapporto fisso. In ogni caso, l'adozione di questo modello non ha portato la certezza auspicata, poichè, per esempio, le sezioni del Tribunale di Milano, che utilizzano questo sistema, ancor oggi eseguono il calcolo sul triplo, sul quintuplo, sul sestuplo e su sette volte la pensione sociale.

Neppure il modello pisano, che in teoria appare più rispondente alla bisogna, ha raccolto i risultati sperati. Il valore del punto, ideato come flessibile e oscillante tra un minimo e un massimo razionalmente prefissati, è stato applicato in modo rigido; e, quando si è voluto ricorrere alla flessibilità, si è arrivati a una liquidazione di ben quindici milioni a punto, in un caso che non presentava il massimo del danno biologico27.

7. La riforma della normativa sull'assicurazione obbligatoria dei veicoli

A molti dei problemi controversi sin qui esaminati può porre rimedio la riforma, da parecchio tempo programmata ma mai giunta in porto, della normativa sull'assicurazione obbligatoria dei veicoli e dei natanti.

L'ultimo rifacimento - vale a dire il progetto tramontato con la fine dell'undicesima legislatura - pur preannunciando la redazione di un auspicato testo unico (art. 25), proponeva una serie di nuove disposizioni regolanti il risarcimento del danno alla persona, per lo più mutuate dal testo precedente, il quale, dopo aver ottenuto l'approvazione definitiva il 29 gennaio 1992, non venne peraltro promulgato dal Capo dello Stato per la sospetta incostituzionalità della norma che rinviava a un atto amministrativo (tabelle predisposte dal

27 V. Trib. Milano 30 gennaio 1991, cit. alla nota 11.

28 V. , per esempio, Cass. 11 giugno 1990 n. 5672, in Ass. 1990, massimario, m. 88

(8)

Ministro dell'industria, del commercio e dell'artigianato) la regolamentazione di diritti soggettivi, quali sono quelli relativi alla liquidazione del danno alla persona.

Ad ogni buon conto, le novità programmate sono le seguenti:

- abrogazione dell'art. 2059 c.c. (art. 17, comma secondo);

- risarcibilità del danno patrimoniale e di quello morale al convivente superstite in ipotesi di sinistro mortale (art. 18);

- risarcibilità del danno morale ai familiari e al convivente in ipotesi di lesioni molto gravi riportate dalla vittima (art. 19);

- modifica del termine di prescrizione previsto dal secondo comma dell'art. 2947 c.c.

(art. 26);

- adozione del modello genovese, con il calcolo tabellare su un multiplo indeterminato della pensione sociale, per quasi tutti gli aspetti del danno alla persona: danno morale in caso di morte (allegato A), danno biologico tanto a carattere temporaneo quanto a carattere permanente (allegato B), danno morale subito dalla vittima (allegato C), lucro cessante riferito a disoccupati e casalinghe (allegato D), spese borsuali (allegato E).

La prospettata riforma delle regole risarcitorie presenta - a mio avviso - un grave difetto di impostazione: viene infatti proposta una serie di modifiche del codice civile con una legge settoriale, destinata cioè a regolare soltanto i sinistri stradali e non tutti gli illeciti civili in genere; anzi, le norme del testo da riformare, almeno nella interpretazione giurisprudenziale28, non regolano neppure tutti i rapporti derivanti dai sinistri stradali, ma soltanto quello che intercorre tra danneggiato e assicuratore del veicolo.

Il fatto è che, in tema di risarcimento del danno alla persona, non possono essere dettati criteri differenti per la liquidazione, secondo che l'illecito consista in un sinistro stradale piuttosto che nel crollo di un edificio o nell'errore colpevole di un medico o nel morso di un cane. Tutte le lesioni hanno uguale valenza risarcitoria, quale che sia il fatto generatore: se non altro, perchè non è certo la vittima a scegliere il tipo di illecito dal quale ricevere danno. Se poi le norme novellate continuassero a trovare applicazione soltanto per il rapporto tra danneggiato e assicuratore del veicolo, si verificherebbe, nello stesso ambito dei sinistri stradali, una ulteriore e inammissibile discriminazione, risultando la liquidazione del risarcimento soggetta a criteri diversi secondo che il danneggiato intraprenda l'azione diretta di cui all'art. 18 della Legge n. 990/69 ovvero l'azione ordinaria ai sensi dell'art. 2054 c.c.: con le complicazioni facilmente immaginabili, qualora le due azioni fossero esercitate cumulativamente.

Restano, poi, i limiti e i difetti del modello genovese, che qui risultano amplificati per la generale applicazione a tutte le poste di danno: persino al danno emergente.

8. Una proposta: la redazione di un prontuario di rapida consultazione

A ben vedere, resta sempre valida e attuale l'indicazione della Corte Costituzionale, secondo la quale per liquidare il risarcimento per il danno biologico , è opportuno avvalersi di un criterio che sia di base uniforme e al contempo elastico e flessibile per adeguare il risarcimento al caso concreto.

Bisogna infatti considerare:

a) che il danno biologico ricomprende, in astratto, una serie di pregiudizi diversi, quali sono:

- il mutamento morfologico peggiorativo della persona, determinato dalla lesione;

(9)

- la riduzione dell'efficienza psicofisica, ossia la riduzione della possibilità di utilizzare il proprio corpo nel compimento degli atti di vita ordinari;

- la riduzione della capacità sociale (il vecchio danno alla vita di relazione, comprensivo del danno sessuale e del danno estetico);

- la riduzione della capacità lavorativa generica (senza alcuna flessione del reddito lavorativo), quale attributo della personalità;

- la perdita di chances lavorative, ossia la riduzione o compromissione del diritto alla libertà di scelta (e di mutamento) del lavoro;

- maggior fatica nell'espletamento del proprio lavoro per mantenere inalterato il guadagno;

- l'usura delle forze lavorative di riserva, ancorchè non si verifichi perdita reddituale;

b) che tali contenuti non si riscontrano in tutti i casi di lesioni personali, per cui la lesione e la menomazione hanno incidenze diverse nella vita di ciascun danneggiato;

c) che, in linea generale, ma mano che aumenta l'entità percentuale del danno biologico permanente, sempre maggiore è la riduzione delle concrete possibilità, per il soggetto menomato, di estrinsecare la propria personalità nelle varie manifestazioni di vita, aventi rilevanza non solo economica ma anche biologica, sociale, culturale ed estetica;

d) che il danno biologico ha riflessi negativi (sul modo di essere del soggetto leso) di rilevanza minore quanto maggiore è l'età del soggetto stesso: ciò sia perchè le menomazioni esercitano per minor tempo i loro effetti negativi, in considerazione della diversa durata della vita media probabile, sia perchè, avanzando l'età, bisogna tener conto del naturale degrado dell'organismo umano.

Questi aspetti, certamente complessi, di equità valutativa del danno biologico possono essere peraltro tradotti in un prontuario di facile consultazione, redatto sulla scorta di alcuni schemi di base, che tengano conto:

- del diverso contenuto, nel caso concreto, del danno biologico;

-della crescita maggiore della incidenza negativa della menomazione nella vita del danneggiato, rispetto all'aumento del valore percentuale assegnato ai postumi;

-della minor rilevanza risarcitoria della menomazione quanto più elevata è l'età del danneggiato.

9. Lo schema liquidativo Mangili - Zoia

Due medici legali il Prof. Franco Mangili, ordinario di medicina legale presso l'Università di Milano, e il Dr. Riccardo Zoia, dell'Istituto di Medicina Legale della medesima Università - hanno affrontato il problema, redigendo uno schema liquidativo che utilizza:

a) Una tabella con l'indicazione del valore base del punto (allegato A), decrescente con l'avanzare dell'età del danneggiato. La tabella allegata a questa relazione tiene conto del contenuto medio, statisticamente più ricorrente, del danno biologico (mutamento morfologico, riduzione dell'efficienza psicofisica e riduzione della capacità lavorativa generica); in altri termini, questa tabella tien conto delle variabili indicate nei punti "a" e "c" del precedente paragrafo. Nella redazione di un prontuario si potrebbero perciò predisporre, per il calcolo, tre distinte tabelle, per i danni a contenuto minimo, medio e massimo.

(10)

b) Un grafico (B), che riguarda la variabile "b" del precedente paragrafo, ossia la maggior incidenza del danno, man mano che aumenta il valore percentuale dei postumi. Il grafico riporta, sull'ordinata il valore monetario con una variazione di cento lire per ogni casella;

sull'asse delle ascisse è riportata, invece, la variazione percentuale dei postumi permanenti. Il valore monetario, che inizia da zero, cresce rapidamente sino al 10%, trattandosi di valori molto bassi; meno rapidamente per i valori superiori. In questo modo si ottiene un aumento costante del valore monetario del punto, senza necessità di suddividere le ipotesi di invalidità in fasce (e cioè: £ x a punto sino al 10%, £ y a punto sono al 30%, ecc.).

c) Quanto rappresentato nella tabella A e nel grafico B è stato trasfuso in una terza tabella (C), la quale, in pratica, sarà l'unica ad essere consultata, una volta che saranno stati stabiliti i valori base del punto di invalidità.

Per concludere, secondo questo schema liquidativo, il valore definitivo del punto di invalidità risulta uguale al valore del punto base per classi di età (tabella A), assommato al quadrato della valutazione dell'indice pecuniario in lire (grafico B).

Esempi:

- se si vuol stabilire il risarcimento per un danno biologico del 4% in una persona di 30 anni, il calcolo è il seguente: £ 1.000.000 (tabella A) + £ 400 al quadrato (grafico B) = £ 1.160.000 (tabella C) per ogni punto, e quindi complessivamente £ 4.640.000 (lire 1.160.000 x 4);

- per stabilire il risarcimento per un danno biologico del 20% in un bambino di 8 anni, è sufficiente calcolare £ 1.200.000 (tabella A) + £ 1.200 al quadrato (grafico B) = £ 2.640.000 a punto, e quindi complessivamente £ 52.800.000;

- un danno biologico dell'80% in un giovane di 18 anni segue il calcolo: £ 1.100.000 (tabella A) + £ 2.400 al quadrato (grafico B) = £ 6.860.000 a punto (tabella C), e quindi complessivamente £ 548.800.000;

- un danno biologico del 30% in una persona di 70 anni viene calcolato con £ 600.000 (tabella A) + £ 1.500 al quadrato (grafico B) = £ 2.560.000 a punto (tabella C), e quindi complessivamente £ 78.800.000.

Come detto, per il calcolo rapido è sufficiente consultare i valori della tabella C. Con l'ovvia avvertenza che il magistrato, come può variare i valori riportati nella tabella A e nel grafico B (e quindi i valori della tabella C), può sempre modificare il risultato del calcolo, qualora non sia ritenuto soddisfacente.

(11)

Tabella A

Valore base del punto percentuale variabile per classi di età

Anni Valore

0-10 L. 1.200.000

11-20 L. 1.100.000

21-30 L. 1.000.000

(12)

31-40 L. 900.000

41-50 L. 800.000

51-60 L. 700.000

61-70 L. 600.000

71-80 L. 500.000

+ 81... L. 400.000

Tabella C

0-10 11-20 21-30 31-40 41-50 51-60

1% 1.210.000 1.110.000 1.010.000 910.000 810.000 710.000

2% 1.240.000 1.140.000 1.040.000 940.000 840.000 740.000

3% 1.290.000 1.190.000 1.090.000 990.000 890.000 790.000

4% 1.360.000 1.260.000 1.160.000 1.060.000 960.000 860.000

5% 1.450.000 1.350.000 1.250.000 1.150.000 1.050.000 950.000

6% 1.560.000 1.460.000 1.360.000 1.260.000 1.160.000 1.060.000

7% 1.690.000 1.590.000 1.490.000 1.390.000 1.290.000 1.190.000

8% 1.850.000 1.750.000 1.640.000 1.540.000 1.440.000 1.340.000

9% 2.010.000 1.910.000 1.810.000 1.710.000 1.610.000 1.510.000

10% 2.200.000 2.100.000 2.000.000 1.900.000 1.800.000 1.700.000

15% 2.410.000 2.310.000 2.210.000 2.110.000 2.010.000 1.910.000

20% 2.640.000 2.540.000 2.440.000 2.340.000 2.240.000 2.140.000

(13)

30% 3.160.000 40% 3.760.000 50% 4.440.000 60% 5.200.000 70% 6.040.000 80% 6.960.000 90% 7.960.000

3.060.000 3.660.000 4.340.000 5.100.000 5.940.000 6.860.000 7.860.000

2.960.000 3.560.000 4.240.000 5.000.000 5.840.000 6.760.000 7.760.000

2.860.000 3.460.000 4.140.000 4.900.000 5.740.000 6.660.000 7.660.000

2.760.000 3.360.000 4.040.000 4.800.000 5.640.000 6.560.000 7.560.000

2.660.000 3.260.000 3.940.000 4.700.000 5.540.000 6.460.000 7.460.000

Riferimenti

Documenti correlati