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PIU DIGITALI, MENO UMANI di Aldo Zanchetta

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Academic year: 2022

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PIU’ DIGITALI, MENO UMANI di Aldo Zanchetta

Negli anni ’70 del secolo XX gli “effetti collaterali” dello sviluppo cominciarono a farsi sentire pesantemente sull’ambiente, tanto che le Nazioni Unite nel 1983 crearono una apposita Commissione di studio, che nel 1988 pubblicò un preoccupante rapporto dal titolo Our Commune Future. Del problema aveva già preso atto da alcuni anni un gruppo di scienziati, imprenditori, intellettuali e politici, riuniti dal 1968 nel cosiddetto Club di Roma, che commissionò uno studio al MIT (Massachussets Institute of Technology). Erano gli anni della prima grande crisi del petrolio; delle ribellioni dal basso note poi come il ’68 studentesco; della crisi dell’economia dopo i 30 gloriosi (1945-1975) che avevano visto appunto l’industrializzazione crescere vigorosamente.

Le indicazioni del MIT, pubblicate nel 1972 col titolo I limiti dello sviluppo, furono: mitigare lo sviluppo

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industriale al fine di ridurre il consumo delle “risorse non rinnovabili”; limitarne gli effetti ambientali e realizzare il passaggio graduale a una economia basata sulle nuove tecnologie digitali, immateriali. Ivan Illich, intellettuale destinato di lì a poco a fare scandalo affrontando in modo radicale alcuni temi scottanti come i sistemi scolastici (Descolarizzare la società, 1971), la tecnologia (La Convivialità, 1973), la salute (Nemesi Medica, 1976), invitato a far parte del gruppo, si era negato con la motivazione che gli effetti che sarebbero derivati dalle tecnologie digitali sulle menti sarebbero stati più gravi di quelli materiali causati dalla produzione industriale, della quale, beninteso, era critico. Sul finire degli anni ’80 si rese conto del declino dell’era degli strumenti apparsi con l’uomo – sostituiti poco a poco dai sistemi. Se i primi erano come una protesi della mano, coi sistemi era l’uomo a divenire protesi.

Un esempio: il sistema dell’odierna comunicazione. La rete di internet con il suo sempre più fitto cablaggio (oggi sempre più wireless, senza fili), le sue cloud, ormai è una “rete neuronale” estesa mondialmente, ben oltre un normale sistema di comunicazione. Nell’ottobre 2002, per quella che doveva essere la sua ultima conferenza pubblica, Illich scelse come soggetto La decisione personale in un mondo dominato dalla comunicazione: l’eccesso di comunicazione stava paralizzando le nostre capacità di libera decisione. Egli soleva dire che per capire dove si dirige il presente non necessita una sfera magica, ma è sufficiente guardarsi intorno con attenzione.

Nella macchina di Turing (1935), antesignana del futuro internet, egli aveva letto il futuro cyborg della persona umana. (D. Cayley, Conversazioni con Ivan Illich, 1994).

Il computer, che nell’uso più semplice equivale a una moderna macchina da scrivere, quando viene connesso in rete diventa una macchina che ci spia, “estrae” i nostri pensieri, carpisce i desideri e li trasferisce nel Big Data da dove, in un processo di ritorno, grazie agli algoritmi dell’Intelligenza

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Artificiale, essi ci vengono restituiti opportunamente rielaborati. E ancora: i dati a noi estratti, uniti a quelli di molti milioni di persone, vengono classificati,

“impacchettati” e rivenduti per le finalità più varie, dal marketing alle campagne politiche. Il caso più famoso è l’episodio della Cambridge Analytics, e nonostante le successive scuse e promesse di rispetto della privacy, il fenomeno continua ed è notizia ANSA del 27 giugno che operatori “infedeli” di TIM hanno trafugato e venduto dati degli utenti della rete TIM.

Per Illich, il digitale, ovvero la computazione, per usare il linguaggio dei transumanisti per i quali essa è il destino

“inevitabile” inscritto nel nostro DNA, significava la scomparsa dell’umano, con «… la gente (che) occupa sempre più un nuovo spazio cibernetico senza dimensioni. […] Il modo migliore per parlare di una persona moderna è quello di parlare in termini di organismo biologico cibernetico, il cyborg».

Il cyborg, nella sua versione più elaborata, in parte uomo e in parte macchina, o addirittura chimera, in parte uomo e in parte altro essere vivente, come il liocorno delle favole medioevali o, arretrando nel tempo, le mitiche Amazzoni, metà donne e metà cavalli. Il filosofo spagnolo Jorge Jurgmann, in una appassionata perorazione, riferendosi al mondo prossimo dove le chimere saranno fra noi, dichiara “Io sto con la mia tribù”.

Un grande poeta, con l’intuizione propria dei poeti, Giuseppe Ungaretti, già nel 1953, invitato a scrivere un testo per il primo numero della rivista La civiltà delle macchine, si domandava: «Quale sforzo dovrà sempre più fare l’uomo per non essere senza amore, senza dolore, senza tolleranza, senza pietà, senza ironia, senza fantasia?».

Ormai siamo prossimi alla singolarità tecnologica, il momento in cui le macchine spirituali, quali i supercomputer quantici,

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uguaglieranno l’intelligenza umana e ne diverranno indipendenti. Ray Kurzweil, ingegnere capo di Google, autore del libro “L’era delle macchine spirituali”, artefice principale di tale computer (ottobre 2019) nonché dell’ultima generazione dei nostri cellulari, asserisce che ciò avverrà nel corso della decade ora iniziata.

L’intelligenza umana potrà così ibridarsi con quella delle macchine, e l’essere umano, presto non più differenziato secondo il vecchio concetto di genere, dominerà l’universo. E una volta trasferita in un chip la sua essenza – l’attività cerebrale, il pensiero – e posto questo su un robot, l’uomo finalmente privato del vincolo corporeo avrà raggiunto l’eternità, cibernetica beninteso.

“Follie” dirà chi legge, “fantascienza”. Poco informato: è ormai notizia normale, direi mensile, la realizzazione in istituti universitari, di “dialoghi” fra neuroni naturali e neuroni artificiali, addirittura gli uni in Italia e gli altri in lontane università, connessi via internet. E quale sia la potenzialità della cibernetica, lo evidenzia il progetto per i nuovi vaccini, non più virus “addormentati” iniettati nel corpo umano, ma prodotti ex novo al suo interno (RNA o/e DNA vaccines), su istruzioni giunte via 5G ai chip applicati a 7,8 m i l i a r d i d i p e r s o n e ( p r o g e t t o I D 2 0 2 0 e l a b o r a t o i n collaborazione fra Organizzazione Mondiale della Sanità e Gavi, la Vaccine Alliance, società di investitori privati, mediate dalla Fondazione Bill&Melinda Gates). Gli intenti sono nobili, certamente, e la privacy promessa (perché il chip conterrà la storia medica personale del portatore). Ma potrebbe anche essere l’occasione (che come si sa fa l’uomo ladro) per un Panottico perfetto, digitale.

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ANTHROBOT di Sandokan

Sulla sua pagina Facebook tal Giuseppe Miceli ci informa, entusiasta, che si è fatto installare un microchip sottocutaneo.

Leggere per credere:

«IL FUTURO E’ ARRIVATO!

Finalmente in fase 2 sono riuscito ad essere uno dei primi in Calabria e in tutta italia a far parte del sistema Zero Borders Europeo.

Stamattina mi hanno inserito il microchip sottocutaneo alla base del pollice e entro 3 giorni potrò cominciare ad utilizzarlo per pagare contactless senza né cellulare né carte.

Il chip è controllato direttamente dallo smartphone ed è in grado di misurare anche la pressione sanguigna, la temperatura del corpo e altre fantastiche funzioni, è anche dotato di GPS così non potrete perdervi mai! Prenotando un

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biglietto aereo tramite smartphone, avrete la carta d’imbarco direttamente e automaticamente già nel microchip, non serve altro che la vostra mano, collegandosi alle già numerevoli antenne 5G funziona praticamente con qualsiasi cosa ed emette un numero bassissimo di radiazioni!

Adesso posso andare in giro senza documenti perché tutte le mie informazioni sono custodite in un minuscolo e quasi indolore chicco di riso ultratecnologico! L’intervento è durato praticamente 5 minuti e il medico (tedesco) è stato bravissimo e gentile! La parte migliore è che tutto questo è GRATIS!

Non dovrò più fare fila alla posta, al cinema, col telepass, è tutto alla base del mio pollice! In cambio vi chiedono solo di firmare delle liberatorie per la privacy ma direi che ne vale la pena!».

Per capire con che razza di soggetto abbiamo a che fare, il 24 settembre scorso, il tipo scriveva:

«Oggi inizia la scuola, per molti l’inizio di qualcosa di magico, unico. Ogni anno l’emozione è sempre tanta e l’unica cosa che mi sento di dire ai ragazzi è: nto culu io me ne sto a casa col reddito di cittadinanza dormo fino a mezzogiorno.

Sfigati!».

Ma sorvoliamo per carità di patria su questo prototipo che sperimenta su di sé la famigerata ibridazione uomo-macchina.

Il dramma è profondo, epocale. Ci sono forze potenti che spingono nella direzione del transumanesimo, verso l’orizzonte di una vera e propria inquietante mutazione antropologica.

Voi penserete che si tratta di una soglia di là da venire, ma non è così. La minaccia è già tra noi.

Sappiate che con la scusa del Covid queste forze stanno compiendo un’accelerazione che fa paura.

Stanno già sperimentando un microchip anti-Covid. Uno strumento di sorveglianza sociale capillare che fa invidia alle autorità di Singapore.

Si può restare inermi? Possiamo lasciare che il mondo vada a puttane?

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LA CHIMERA 4.0 di Sandokan

Ieri Zingaretti, esultante per la tenuta del Pd, è comparso su diverse televisioni affermando che adesso occorre andare avanti — ce lo chiede l’Europa — con “gli investimenti per creare posti di lavoro, quindi anzitutto nelle nuove tecnologie digitali” ….

Non è mai chiaro se Zingaretti c’è o ci fa. L’impressione, poiché accompagna le sue cazzate con un sorriso telegenico, è che il tipo creda davvero a quel che dice. Del resto da tempo gli apologeti della “rivoluzione digitale” ci raccontano che, sì, è vero, la robotica e l’automazione faranno fuori milionate di posti di lavoro ma… tranquilli, ne creeranno molti, molti di più. “E’ sempre accaduto così, ci dicono, accadrà anche questa volta”.

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Ora, anche volendo sorvolare sulle devastanti conseguenze etiche, morali, psicologiche e giuridiche che questa

“rivoluzione” pilotata dal grande capitalismo multinazionale rovescia sul mondo del lavoro, numerose e recenti indagini sociologiche ci dicono che sta accadendo esattamente il contrario.

Se l’automazione e la cosiddetta “industria 4.0”, a livello mondiale, tra il 2015 e il 2020 ha distrutto ben 7 milioni di posti di lavoro mentre ne ha creati solo due, in Italia l’industria 4.0, tra il 2017 e il 2035 (indagine de Il Sole 24 Ore) porterà alla scomparsa di 3,5 milioni di posti di lavoro.

Secondo studi americani l’impatto della digitalizzazione sul mondo del lavoro, avrà infatti effetti devastanti sui liveli occupazionali. Centinaia di milioni di posti di lavoro, nei più diversi settori, scompariranno e non saranno affatto compensati da quelli nuovi. Con la conseguenza che l’area dell’esclusione sociale aumenterà, producendo una sacca moltitudinaria di nuovi paria sociali.

La morale della favola è che i quattrini a debito che l’Italia prenderà con la fideiussione europea, non solo dovranno essere spesi rispettando severe clausole neoliberiste (tagli alle pensioni, alla spesa sociale, ecc) e sotto una occhiuta sorveglianza di Bruxelles, non solo non creeranno nuova occupazione, produrranno ulteriori livelli di disoccupazione, accrescendo infine il cosiddetto “digital divide”, con una spaccatura incolmabile tra una nuova “aristocrazia del lavoro”

e una massa di forza lavoro generica e marginale che per tirare a campare dovrà lavorare per salari di fame.

Chi vivrà vedrà.

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IL GRANDE RESET DOPO LA PANDEMIA di Aldo Zanchetta

«Cari compagni e compagne: siamo nel pieno di un naufragio della civiltà.

Dobbiamo organizzare il salvataggio -non solo delle persone, ma anche delle idee e dei valori».

Jorge Riechmann Preambolo

Mi sento come nel mezzo del guado di un torrente impetuoso qual è la transizione epocale che stiamo vivendo, nella quale è difficile fare pronostici: “Io speriamo che me la cavo” fu il titolo di una gustosa raccolta di elaborati scolastici di bambini napoletani di alcuni anni addietro. Dicendo “Io” però intendo la mia specie, quella dell’homo sapiens, perché queste acque impetuose o si attraversano tenendosi forte per mano o

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si affoga. Insistendo con le metafore, di fronte alla realtà presente mi sento come di fronte ad una scatola contenente le tessere di un immenso puzzle, che da solo non riuscirò certamente a ricomporre per intero, ma del quale posso ricomporre alcuni pezzi, ed è quello che vorrei tentare di fare. Per intuire almeno a grandi linee il disegno complessivo. Le 3 grandi tessere sono:

– La Pandemia causata da un virus inopportuno (ma forse non tanto, anche senza pensare a complotti: di necessità talora si fa virtù, e nel male esso può a qualcuno può essere servito).

– Il Panottico digitale, iniziato con un lock-down, giustificato da ragioni di sicurezza rese necessarie di fronte a tale imprevisto, accompagna da un perentorio “Restate in casa”.[1]

– Il Grande Riaggiustamento, The Great Reset, annunciato nel giugno scorso dal World Economic Forum (WEF) e subito riecheggiato dal Fondo Monetario Internazionale (FMI). In realtà più che di un “riaggiustamento” si tratta, parole loro, di una vera e propria Grande Trasformazione.

Nella confusione del momento sembra dimenticata l’emergenza ambientale (clima+inquinamento), che prosegue nei fatti anche se momentaneamente sembra non più presente nel pensiero degli umani.

Collegare la pandemia al panottico è una necessità affermata dalla dall’OMS e dai governi del pianeta. Collegare la pandemia al Reset è nella doxa di MEF e FMI ed è pensabile che venga presto accettato ufficialmente dai vari stati, come lo è già nei fatti. Resterebbe da vedere se verrà riconosciuta una relazione fra panottico e grande reset, ma mi avventurerei in ipotesi quanto meno premature. Tuttavia probabilmente, come dicono oltr’Alpe, tout se tient.

Inizio dalla maxi-tessera, The Great Reset, il Grande Riaggiustamento, annunciato a inizio del giugno scorso dal

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WEF, per andare poi a ritroso alle altre due. Come è noto il WEF è la Fondazione organizzatrice di incontri annuali invernali nella nota stazione invernale svizzera di Davos, dove, fra una culata e l’altra sulla neve (per i più aitanti) i <<big>> del momento si scambiano pronostici politico- economici e si applaudono stimolandosi vicendevolmente disegnando le sorti del mondo, e dove i politici accorrono per avere anticipazioni sugli ordini che riceveranno.

Il tema principale degli ultimi anni è costituita dalla Quarta Rivoluzione Industriale, l’asso nella manica di un capitalismo versatile ma un po’ in crisi, da tempo legato a corda doppia con le meraviglie della tecnoscienza: Intelligenza Arificiale (IA), nanotecnologie e robotica in primis. L’evento 2020, l’ultimo, era stato turbato dalle notizie dell’incipiente pandemia e dalle previsioni elaborate appena tre mesi prima a New York in occasione di una simulazione sulle conseguenze che avrebbe causato l’arrivo di un virus, questa volta pandemico, della famiglia dei coronavirus. La simulazione, targata Event 201, era organizzata dal Johns Hopkins Center for Health Security, l’ente pubblico statunitense che analizza i possibili rischi sanitari del paese, assieme alla Fondazione Bill&Melinda Gates e, per l’appunto, il WEF[2]. Essa aveva evidenziato che la maggior parte dei paesi non era preparata a fronteggiare l’evento e la necessità di accelerare una rivoluzione riordinatrice (dall’alto, si intende) appariva evidente. L’annuncio fatto a giugno della necessità di un grande reset era stringato come un telegramma[3]:

– Il Great Reset è un’iniziativa del Word Economic Forum e di Sua Altezza Reale (sic!) il Principe di Galles per guidare gli attori delle decisioni (decision-makers) sul cammino di un mondo più resiliente e sostenibile dopo il coronavirus.[4]

– La caduta causata dal COVID-19 domina le sensazioni del rischio, ma essa è la sola opportunità per rimodellare l’economia globale.

Qui risuona, con la stessa imperiosa categoricità, il There is

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NO alternative, Non ci sono alternative, di Margaret Thatcher.

Poche settimane dopo, il 27 agosto, un altro annuncio informava che il Forum 2021 verrà posticipato all’inizio dell’estate, segno di una necessaria laboriosa preparazione.

Vediamo, dalle parole stesse dei protagonisti, di capire meglio cosa sia questo Great Reset.

La Quarta Rivoluzione Industriale [5]

Per capire meglio di che si tratti riferiamoci alla descrizione che ne aveva fatto nel 2016 Klaus Schwab,

“inventore” e Presidente esecutivo del Forum, in un testo denso dal ritmo tambureggiante come si conviene a una chiamata alle armi (metaforicamente si intende). Il tono è assertivo fin dalla prima riga: “Siamo sull’orlo di una rivoluzione tecnologica che cambierà radicalmente il modo in cui viviamo, lavoriamo e ci relazioniamo gli uni con gli altri. Per scala, portata e complessità, la trasformazione sarà diversa da qualsiasi cosa l’umanità abbia mai sperimentato prima”. (Il neretto, come i prossimi, è di chi scrive).

Un linguaggio quasi apocalittico, e imprevedibili le modalità con cui essa avverrà: “Non sappiamo ancora come si svilupperà, ma una cosa è chiara: la risposta deve essere integrata e globale, coinvolgendo tutte le parti interessate della politica globale, dai settori pubblico e privato al mondo accademico e alla società civile”. Deve essere globale, anche da parte della società civile, che a dire il vero, però non è stata mai preventivamente interpellata in proposito. Del resto, come dicono i transumanisti, che esistono e occupano molte delle posizioni fra le persone più ricche del pianeta e controllano alcune delle grandi reti informatiche, la trasformazione digitale è inserita nel DNA umano, quindi inevitabile, fino da Adamo ed Eva. [6]

Schwab prosegue con una piccola lezione storica: “La Prima rivoluzione industriale ha utilizzato l’acqua e il vapore per

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meccanizzare la produzione. La Seconda ha utilizzata l’energia elettrica per creare una produzione di massa. La Terzo l’elettronica e la tecnologia dell’informazione per automatizzare la produzione. Ora sulla Terza sta costruendosi una Quarta Rivoluzione Industriale, la rivoluzione digitale che è iniziata dalla metà del secolo scorso. È caratterizzata da una fusione di tecnologie che sta offuscando i confini tra le sfere fisica, digitale e biologica”. Questa fusione è bene da tenere a mente: l’homo sapiens grazie alla digitalizzazione perderà la sua identità plurimillenaria.

Poi avverte di non confondere la terza rivoluzione con la quarta. La terza è dovuta all’introduzione dell’informatica.

Nella quarta invece è dovuta alla congiunzione di molte innovazioni (robotica, nanotecnologia, intelligenza artificiale etc. etc.) e i cambiamenti così indotti non seguiranno più una crescita lineare ma iperbolica. Infatti:

Ci sono tre ragioni per le quali le trasformazioni odierne rappresentano non solo un prolungamento della Terza Rivoluzione Industriale ma piuttosto l’arrivo di una Quarta e distinta rivoluzione: velocità, portata e impatto sui sistemi.

La velocità delle scoperte attuali non ha precedenti storici.

Se confrontata con le precedenti rivoluzioni industriali, la Quarta si sta evolvendo a un ritmo esponenziale piuttosto che lineare. Inoltre, sta sconvolgendo quasi tutti i settori in ogni paese. E l’ampiezza e la profondità di questi cambiamenti annunciano la trasformazione di interi sistemi di produzione, gestione e governance.

Un fatto, riconosciuto ormai da molti, è che la velocità delle innovazioni è oggi superiore alla capacità di riflessione critica da parte –diciamo così- degli <<utenti>> nonché del loro codice etico. Senza tenere conto che la stessa storia ci insegna che gli effetti profondi di certi cambiamenti appaiono chiari solo molto tempo dopo che essi sono stati introdotti. Figuriamoci in questo caso! Ma non c’è tempo per riflettere adeguatamente: la IV rivoluzione industriale è

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urgente (vedi nota 4).

Una nuova simbiosi

L’introduzione delle biotecnologie a fianco del digitale nel collegato delle innovazioni implica un decisivo nuovo elemento. Se nella scienza classica l’uomo indagava la natura fisica, cioè operava in un sistema soggetto-oggetto, dove il soggetto indagava l’oggetto (es: l’uomo studia l’atomo) le nuove biotecnologie implicano esperimenti degli umani sul proprio corpo o su quello di altri umani, e ora anche sulla propria o altrui mente. Cioè in questo campo osservatore e osservato non sono più separati: da ora in avanti l’homo sapiens sta sperimentando su se stesso, e se compirà errori gravi, questi potranno anche risultare irreversibili Arresto qui questo argomento e proseguo con la lettura di Schwab:

“Le possibilità di miliardi di persone connesse tramite dispositivi mobili, con una potenza di elaborazione, capacità di archiviazione e accesso alla conoscenza senza precedenti, sono illimitate. E queste possibilità saranno moltiplicate dalle scoperte tecnologiche emergenti in campi come l’intelligenza artificiale, la robotica, l’Internet delle cose, i veicoli autonomi, la stampa 3-D, la nanotecnologia, la biotecnologia, la scienza dei materiali, lo stoccaggio di energia e il calcolo quantistico.[7]

[…] Le tecnologie di fabbricazione digitale, nel frattempo, interagiscono quotidianamente con il mondo biologico.

Ingegneri, designer e architetti stanno combinando design computazionale, produzione additiva, ingegneria dei materiali e biologia sintetica per aprire la strada a una simbiosi tra i microrganismi, i nostri corpi, i prodotti che consumiamo e persino gli edifici in cui abitiamo”.

Qui le osservazioni da fare sono due: davvero le possibilità così introdotte sono “illimitate” e ne usufruiranno “miliardi di persone”? Anche lo sviluppo, nelle parole del suo patrocinatore Truman, era illimitato ma il cambiamento

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climatico, oltre ad altre cose, lo sta smentendo. Questo concetto dell’illimitatezza applicato all’economia ha già fatto danni irreparabili tanto da dare origine al detto: “Chi pensa che la crescita possa essere illimitata è un folle oppure è un economista” (Kenneth Boulding). E questo

“illimitato” sarà “ancor più illimitato” grazie “alle scoperte tecnologiche emergenti”! Non c’è un po’ di esaltazione in tutto questo?

Sul secondo punto, la fruibilità da parte di miliardi di persone, Schwab stesso, come vedremo poco sotto, si contraddice ammettendo che ci saranno anche i perdenti.

Soffermiamoci un attimo sul fatto asserito che la biologia sintetica apre la strada a “una simbiosi tra i microrganismi, i nostri corpi, i prodotti che consumiamo e perfino gli edifici in cui abitiamo”. Sul vocabolario la parola simbiosi ha un duplice significato:

– In biologia, associazione tra due o più animali o vegetali di specie diverse.

– Figurativo: Associazione o coesistenza, stretto rapporto, compenetrazione di elementi diversi.

In entrambi i significati la simbiosi con i prodotti che consumiamo, o gli edifici in cui abitiamo, siamo di nuovo nel pieno del pensiero postumanista, con la sua prospettiva dell’homo sapiens ibridato con le “cose”, in particolare la sua mente ibridata con l’IA dei calcolatori quantici al fine di sviluppare una superintelligenza. Anche questa, ça va sans dire, illimitata, e quindi capace di arrivare a dominare l’universo.[8] L’essere umano cederà la sua plurimillenaria autonomia per trasformarsi in quello che si sta denominando

“simbionte”. Devo dire che in questa prospettiva apprezzo la dichiarazione del filosofo morale Riechmann: “Io resto con la mia tribù”.[9]

– In effetti, dopo la millenaria epoca degli strumenti

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intesi come <<protesi>> esterne di cui l’uomo si serviva liberamente per i propri fini, dalle selci preistoriche in poi, verso gli anni ’80 del XX secolo quel pensatore “scomodo”

che fu Ivan Illich, avvertì che stavamo entrando nell’epoca in cui agli “strumenti” stavano subentrando i “sistemi”, che non erano più protesi dell’uomo a suo servizio, che potevano essere prese o lasciate secondo la sua volontà, ma era l’uomo a diventare protesi, integrato nei sistemi, perdendo la propria autonomia e identità. Un esempio: il computer può essere utilizzato come moderna macchina da scrivere, ma una volta che è collegato alla rete, esso ci spia e noi siamo ridotti a essere un terminale.[10] Ogni volta che cinguettiamo su facebook esso ci ruba informazioni relative al nostro modo di essere e di pensare. Ma qui la privacy, per la quale in altri momenti ci scanniamo, non conta. A questo punto per non scrivere un testo di lunghezza “illimitata” e quindi non leggibile per il lettore attuale, sempre frettoloso, sono costretto a tagliare anche se a malincuore, perché il testo sarebbe tutto da leggere[11].

Schema illustrante gli effetti della Quarta Rivoluzione Industriale come sintetizzati nell’articolo di Schwab

Sfide e opportunità

“Non ci sono pasti gratis”, e se da un lato ci troviamo di fronte a benefici “irrinunciabili”[12], occorrerà pure accettare qualche rischio. E Schwab, che non vuole apparire irresponsabile, ammette che ce ne sono:

«Allo stesso tempo (quello dei benefici, ndt), come hanno sottolineato gli economisti Erik Brynjolfsson e Andrew McAfee, la rivoluzione potrebbe produrre una maggiore disuguaglianza, in particolare nel suo potenziale di perturbare i mercati del lavoro. Poiché l’automazione sostituisce il lavoro nell’intera economia, lo spostamento netto dei lavoratori dalle macchine potrebbe esacerbare il divario tra rendimenti del capitale e rendimenti del lavoro. D’altra parte, è anche possibile che lo

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spostamento di lavoratori mediante la tecnologia, nel complesso, si tradurrà in un aumento netto di posti di lavoro sicuri e gratificanti».

E prosegue in questo itinerario ricco di “forse”, cercando di dimostrarsi così più problematico e sensibile anche ad altri aspetti:

«Non possiamo prevedere a questo punto quale scenario potrebbe emergere e la storia suggerisce che il risultato sarà probabilmente una combinazione dei due. Tuttavia, sono convinto di una cosa: che in futuro il talento, più del capitale, rappresenterà il fattore critico della produzione.

Ciò darà origine a un mercato del lavoro sempre più segregato in segmenti “bassa qualificazione / bassa retribuzione” e

“alta qualificazione / alta retribuzione”, che a sua volta porterà ad un aumento delle tensioni sociali.

Oltre ad essere una preoccupazione economica chiave, la disuguaglianza rappresenta la più grande preoccupazione sociale associata alla quarta rivoluzione industriale. […]

Questo aiuta a spiegare perché così tanti lavoratori sono disillusi e temono che i propri redditi reali e quelli dei loro figli continuino a ristagnare. […] Un’economia che vincendo prende tutto e che offre solo un accesso limitato alla classe media è una ricetta per il malessere democratico e la disillusione».

Fra un colpo al cerchio e uno alla botte, Schwab prosegue esaltando di nuovo i vantaggi “essenziali, che vanno dalla lavanderia allo shopping, dalle faccende domestiche al parcheggio, dai massaggi ai viaggi (e) inoltre, abbassano le barriere alle imprese e ai singoli per creare ricchezza, trasformando gli ambienti personali e professionali dei lavoratori”. Poi entra nel tema della cosiddetta governance, parola così carica di ambiguità, dettando con sicurezza, e con qualche venatura vagamente anarchica, le linee guida per una nuova forma di democrazia:

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«Mentre i mondi fisico, digitale e biologico continuano a convergere, le nuove tecnologie e piattaforme consentiranno sempre più ai cittadini di interagire con i governi, esprimere le loro opinioni, coordinare i loro sforzi e persino eludere la supervisione delle autorità pubbliche. Allo stesso tempo, i governi acquisiranno nuovi poteri tecnologici per aumentare il loro controllo sulle popolazioni, sulla base di sistemi di sorveglianza pervasivi e la capacità di controllare le infrastrutture digitali. Nel complesso, tuttavia, i governi dovranno affrontare sempre più pressioni per cambiare il loro attuale approccio all’impegno pubblico e alla definizione delle politiche, poiché il loro ruolo centrale nel condurre la politica diminuisce a causa delle nuove fonti di concorrenza e della ridistribuzione e decentralizzazione del potere che le nuove tecnologie rendono possibile.

In definitiva, la capacità di adattamento dei sistemi governativi e delle autorità pubbliche determinerà la loro sopravvivenza. Se si dimostreranno capaci di abbracciare un mondo di cambiamenti dirompenti, sottoponendo le loro strutture a livelli di trasparenza ed efficienza che consentiranno loro di mantenere il loro vantaggio competitivo, resisteranno. Se non possono evolversi, dovranno affrontare problemi crescenti. […]

A tal fine, i governi e le agenzie di regolamentazione dovranno collaborare strettamente con le imprese e la società civile.

I governi pertanto dovranno “veramente capire cosa stanno regolando” (e questo non sarebbe male) e dovranno collaborare strettamente con le imprese».

Questo mi ricorda la confessione dell’economista Joseph Stiglitz il quale, dopo essere stato a capo dello staff economico del presidente Clinton, in un suo libro ammise che, seguendo i consigli delle lobby che li pressavano, “noi non avevamo capito bene il da farsi, ma loro sì, lo sapevano”[13].

Un de profundis per i governi nazionali, già in coma del resto, in nome di un governo planetario tecnocatico?

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Naturalmente durante la trasformazione non mancheranno i conflitti fra paesi e la sicurezza sarà un tema chiave:

La quarta rivoluzione industriale avrà anche un impatto p r o f o n d o s u l l a n a t u r a d e l l a s i c u r e z z a n a z i o n a l e e internazionale, influenzando sia la probabilità che la natura del conflitto. La storia della guerra e della sicurezza internazionale è la storia dell’innovazione tecnologica e oggi non fa eccezione (una buona ammissione, con buona pace dei culturi della tecnoscienza! nds). I conflitti moderni che coinvolgono gli stati sono di natura sempre più “ibrida”, combinando tecniche tradizionali del campo di battaglia con elementi precedentemente associati ad attori non statali. La distinzione tra guerra e pace, combattente e non combattente, e persino violenza e nonviolenza (si pensi alla guerra cibernetica) sta diventando scomodamente sfocata.

Man mano che questo processo ha luogo e le nuove tecnologie come le armi autonome o biologiche diventeranno più facili da usare, individui e piccoli gruppi si uniranno sempre più agli stati per essere in grado di causare danni di massa. Questa nuova vulnerabilità porterà a nuove paure. Ma allo stesso tempo, i progressi della tecnologia creeranno il potenziale per ridurre la portata o l’impatto della violenza, attraverso lo sviluppo di nuove modalità di protezione, ad esempio, o una maggiore precisione nel targeting.

In un momento di sincerità “calcolata” o di esaltazione schizofreniica, segue una riflessione circa l’impatto sulle persone:

La quarta rivoluzione industriale, infine, cambierà non solo ciò che facciamo ma anche ciò che siamo. Influirà sulla nostra identità e su tutte le questioni ad essa associate: il nostro senso della privacy, le nostre nozioni di proprietà, i nostri modelli di consumo, il tempo che dedichiamo al lavoro e al tempo libero e il modo in cui sviluppiamo le nostre carriere, coltiviamo le nostre capacità, incontriamo persone, e coltiviamo le relazioni. Sta già cambiando la nostra salute e

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sta portando a un sé “quantificato”[14] , e prima di quanto pensiamo potrà portare a un aumento[15] umano. La lista è infinita perché vincolata solo dalla nostra immaginazione.

Poi ricorda di essere un essere umano e confessa:

Sono un grande appassionato e uno dei primi ad adottare la tecnologia, ma a volte mi chiedo se l’inesorabile integrazione della tecnologia nelle nostre vite possa diminuire alcune delle nostre capacità umane per eccellenza, come la compassione e la cooperazione. Il nostro rapporto con i nostri smartphone ne è un esempio. La connessione costante può privarci di una delle risorse più importanti della vita: il tempo per fare una pausa, riflettere e impegnarci in una conversazione significativa.

Ma guarda un po’! Dopo i vantaggi per le faccende domestiche un pensiero anche alla nostra vita interiore e ai confini morali e etici di ciò che ha poco prima enfatizzato:

Una delle maggiori sfide individuali poste dalle nuove tecnologie dell’informazione è la privacy. Capiamo istintivamente perché è così essenziale, ma il monitoraggio e la condivisione delle informazioni su di noi è una parte cruciale della nuova connettività. I dibattiti su questioni fondamentali come l’impatto sulla nostra vita interiore della perdita di controllo sui nostri dati si intensificheranno solo negli anni a venire. Allo stesso modo, le rivoluzioni che si verificano nella biotecnologia e nell’intelligenza artificiale, che stanno ridefinendo cosa significa essere umani spingendo indietro le attuali soglie di durata della vita, salute, cognizione e capacità, ci costringeranno a ridefinire i nostri confini morali ed etici.

E infine, dulcis in fundo, tocca a noi plasmare il nostro futuro:

Né la tecnologia né le rotture che ne derivano sono una forza

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esogena sulla quale gli esseri umani non hanno alcun controllo. Tutti noi siamo responsabili di guidarne l’evoluzione, nelle decisioni che prendiamo quotidianamente come cittadini, consumatori e investitori. Dobbiamo quindi cogliere l’opportunità e il potere di cui disponiamo per plasmare la Quarta rivoluzione industriale e indirizzarla verso un futuro che rifletta i nostri obiettivi e valori comuni.

“Tutti noi siamo responsabili” verso il futuro da plasmare:

dopo quanto affermato prima, Schwab non è un po’ ironico?

Alla fine, tutto dipende dalle persone e dai valori. Dobbiamo plasmare un futuro che funzioni per tutti noi mettendo le persone al primo posto e responsabilizzandole. Nella sua forma più pessimistica e disumanizzata, la Quarta Rivoluzione Industriale può effettivamente avere il potenziale per

“robotizzare” l’umanità e quindi privarci del nostro cuore e della nostra anima. Ma come complemento alle parti migliori della natura umana – creatività, empatia, amministrazione – può anche elevare l’umanità a una nuova coscienza collettiva e morale basata su un senso comune del destino. Spetta a tutti noi assicurarci che quest’ultima prevalga.

È tempo di concludere. Nella narrazione di cui sopra regna il silenzio sul fallimento della “globalizzazione”, sulla nuova grande crisi finanziaria prevista già prima del Covid nonché sulla “stagnazione secolare” dell’economia né infine sull’ondata di proteste sociali che nel 2019 hanno erano scoppiate in oltre trenta paesi del mondo[16]. Tutto questo lungo discorso già nel 2016 apriva la strada al Great Reset, che è il tema del Forum straordinario 2021, e quindi questo non è un’emergenza dovuta al Covid-19. Una pandemia, della cui realtà dannosa non dubitiamo, era stato prevista (vedi sopra l’”Evento 101”) e ora viene sapientemente utilizzata come acceleratore di questo grande reset, i cui decantati vantaggi, a me uomo comune non sembrano controbilanciare il prezzo da pagare che, ricordiamo, è costituito da un

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“cambiamento radicale del modo in cui viviamo, lavoriamo e ci relazioniamo gli uni con gli altri”, una “trasformazione (che) sarà diversa da qualsiasi cosa l’umanità abbia mai sperimentato prima” e che “non sappiamo ancora come si svilupperà” né “… possiamo prevedere a questo punto quale scenario potrebbe emergere”. Però sappiamo con certezza che

“cambierà non solo ciò che facciamo ma anche ciò che siamo”.

Però, ormai sappiamo anche che col 5G in funzione, una persona anche se “imbavagliata” e confusa in una manifestazione fra migliaia di persone, sarà prontamente identificata dal solo movimento delle spalle quando cammina. Se saranno molti a

“manifestare contro”, il necessario Panottico è già sperimentato: con una pennellata di 5G, che sta entrando in funzione in Nord America per poi trasmigrare in Europa, esso è perfettamente funzionante. Il triangolo iniziale sarà così chiuso.

Fra le molte battute attribuite al faceto Einstein pare ce ne fosse una che avvertiva:

Aldo Zanchetta (I – continua) PS

È appena uscito un nuovo libro di Piketty, Capitale e ideologia, che ribadisce la situazione di intollerabile ingiustizia nella ridistribuzione finanziaria? “Ecco, vedete, è necessario un grande reset!”. È uscito il libro Genere umano di Rutger Bregman che mostra come la nostra prospettiva attuale si basa su ipotesi fondamentalmente sbagliate? “Ciò che entrambi questi libri mostrano è che la nostra visione del mondo era semplicemente inventata. E composto da un numero sorprendentemente piccolo ma deprimentemente influente di individui – da Machiavelli e Adam Smith, a Milton Friedman e William Golding. Ma se l’abbiamo inventato una volta, possiamo farlo di nuovo, e ci sono molte persone là fuori con nuove fantastiche idee con cui lavorare se iniziassimo a prenderle sul serio. COVID-19 ha mostrato la verità su entrambi questi

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punti”. Quindi? Cambiare tutto col Grande Reset è possibile!

Questa la neolingua orwelliana con la quale ci parleranno sfacciatamente i “decision makers” del “great reset”! In guardia!

NOTE

[1] “Stay at home” è lo slogan impiegato negli Stati Uniti. Lo stesso di una grande esercitazione atomica di alcuni anni or sono.

[2] Event 201, a pandemic exercise to illustrate preparedness

… «Event 201 was a 3.5-hour pandemic tabletop exercise that simulated a series of dramatic, scenario-based facilitated discussions, confronting difficult, true-to-life dilemmas associated with response to a hypothetical, but scientifically plausible, pandemic. 15 global business, government, and public health leaders were players in the simulation exercise that highlighted unresolved real-world policy and economic issues that could be solved with sufficient political will, financial investment, and attention now and in the future».

<https://www.google.com/url?sa=t&rct=j&q=&esrc=s&source=web&cd

= & c a d = r j a & u a c t = 8 & v e d = 2 a h U K E w j 4 2 q -

khe7rAhUmpIsKHZNHCp8QFjAAegQIAxAB&url=https%3A%2F%2Fwww.center forhealthsecurity.org%2Fevent201%2F&usg=AOvVaw3kia4Ecn_DIXY02h g83Kc4>

[ 4 ] A l t r o v e s u l s i t o d e l f o r u m , h t t p s : / / w w w . w e f o r u m . o r g / g r e a t - r e s e t

<https://www.weforum.org/great-reset> , la formulazione è un po’ diversa: The Great Reset | World Economic Forum. There is an urgent need for global stakeholders to cooperate in simultaneously managing the direct consequences of the COVID-19 crisis. To improve the state of the world, the World Economic Forum is starting The Great Reset initiative. (I neretti sono nell’originale). Qui i decision-makers sono meglio precisati: sono gli stakeholders, parola generalmente tradotta con azionisti, ma il cui vero significato è più ampio: <<Individui o gruppi che hanno, o si aspettano,

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proprietà, diritti o interessi nei confronti di una impresa e delle sue attività, presenti e future, e il cui contributo è essenziale per il raggiungimento di uno specifico obiettivo dell’organizzazione. Sono gli azionisti, i clienti, i dipendenti, i fornitori, la comunità con cui l’organizzazione interagisce.>>

[ 5 ]

https://www.weforum.org/agenda/2016/01/the-fourth-industrial-r e v o l u t i o n - w h a t - i t - m e a n s - a n d - h o w - t o - r e s p o n d /

<https://www.weforum.org/agenda/2016/01/the-fourth-industrial- revolution-what-it-means-and-how-to-respond/>

[6]Vedi il sito dei transumanisti italiani: www.estropico.com

<file:///C:\Users\Zanchetta\Desktop\www.estropico.com> .

[7] Il recente (ottobre 2019) supercalcolatore quantistico realizzato sotto la guida di Ray Kurzweil, uno dei maîtres à penser del postumanismo, può eseguire calcoli che i precedenti avrebbero richiesto centinaia di anni.

[8] Resta un dettaglio nel pensiero di Ray Kurzweil:

occorrerà “superare” o “aggirare” la velocità della luce, ma recenti scoperte cosmologiche ci dicono che questo sarà forse possibile. Ci torneremo in seguito.

[9] Jorge Riechmann ¿Derrotó el “smartphone” al movimiento ecologista?: para una crítica del mesianismo tecnológico- p e n s a n d o e n a l t e r n a t i v a s .

<https://www.amazon.it/%C2%BFDerrot%C3%B3-smartphone-movimient o - e c o l o g i s t a -

tecnol%C3%B3gico/dp/849097215X/ref=sr_1_5?adgrpid=71310552852&

dchild=1&gclid=CjwKCAjw19z6BRAYEiwAmo64LbeKZQf7xi9tSX-3MZkzJob y7D41AEohiamcNZARDWiuvjt1osdR2hoCYk8QAvD_BwE&hvadid=32820> La Catarata, Madrid, 2017, p.117.

[10] Su questo leggasi Robert J. L’ultimo Illich, MUTUS liber, L’età dei sistemi nel pensiero dell’ultimo Illich, Mutus L i b e r , R i o l a B o , 2 0 1 9 , c a p . 1 e 4 .

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( h t t p : / / w w w . m u t u s l i b e r . i t / r i p e n s a r e . h t m l

<http://www.mutusliber.it/ripensare.html> ) [ 1 1 ]

https://www.weforum.org/agenda/2016/01/the-fourth-industrial-r e v o l u t i o n - w h a t - i t - m e a n s - a n d - h o w - t o - r e s p o n d /

<https://www.weforum.org/agenda/2016/01/the-fourth-industrial- revolution-what-it-means-and-how-to-respond/>

[12] Schwab li elenca così: <<Come le rivoluzioni che l’hanno preceduta, la Quarta Rivoluzione Industriale ha il potenziale per aumentare i livelli di reddito globale e migliorare la qualità della vita per le popolazioni di tutto il mondo. Ad oggi, coloro che ne hanno tratto il massimo vantaggio sono stati i consumatori in grado di permettersi e accedere al mondo digitale; la tecnologia ha reso possibili nuovi prodotti e servizi che aumentano l’efficienza e il piacere della nostra vita personale. Ordinare un taxi, prenotare un volo, acquistare un prodotto, effettuare un pagamento, ascoltare musica, guardare un film o giocare: ora è possibile eseguire tutte queste operazioni da remoto.>> Una concezione elevata della vita, no?

[13] Citato a memoria.

[14] Il significato di questa “quantificazione” non mi è chiara.

[15] L’essere umano <<aumentato>> è un tipico obiettivo transumanista.

[16] Il noto quotidiano Le Monde fece una serie di servizi sulla situazione in vari paesi.

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FEUDALESIMO DIGITALE di Glauco Benigni

La struttura gerarchica e sfruttatrice dell’epoca feudale sembra essere riapparsa oggi nella rete Internet dell’epoca digitale. A dispetto di qualsiasi Costituzione e Statuto dei Lavoratori non intervengono la politica, né le organizzazioni sindacali. Si accetta che globalizzazione faccia rima con glebalizzazione.

La scena si può descrivere così.

Da una sua postazione fissa o mobile, un giorno Mrs. X o Mr. Y aprono un account su YouTube o Facebook o altra comunità digitale e cominciano gratuitamente “a caricare contenuti”.

Nel mondo esistono più di 2 miliardi di account, dei quali

“veramente attivi” più del 30%. L’algido server remoto del social network accoglie i nuovi contenuti nell’infinito silenzio dei suoi terabyte e li stocca nelle sue memorie, così

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come il feudatario ammassava nei suoi magazzini i prodotti del lavoro anonimo dei servi della gleba, giunti a lui attraverso la mediazione dei vassalli. Allo stesso modo in cui, in passato, il dominus considerava gli abitanti del suo territorio quali “sudditi-posseduti”, oggi il nuovo “dominus”

considera il neo-lavoratore digitale un proprio “prosumer”, ovvero: “produttore-utente”.

In quanto tale, lo ingabbia nei suoi “termini e condizioni d’uso” e lo induce a sottoscrivere una serie di “I accept/I agree” in progress, pena l’esclusione; si appropria dei suoi diritti d’autore in nome di un ambiguo “fair use”, che esclude l’uso commerciale tra i membri della community, ma che invece autorizza il dominus a inserire spazi pubblicitari; comincia a monitorare le attività del prosumer e (soprattutto) a raccogliere i suoi dati. Quelli socioanagrafici e quelli relativi a scelte, gusti, relazioni privilegiate, li fornisce ai centri ricerca dell’International Advertising Association (cartello multinazionale dei pubblicitari operante sin dal 1938); quelli relativi al consenso o dissenso politico li passa ai Servizi Segreti USA, in ottemperanza al Patriot Act voluto da Bush Jr. Mentre tiene per sé le informazioni (di quantità) fornite dal counter.

Il counter (questo sconosciuto) è uno dei più potenti strumenti a disposizione del dominus dell’epoca moderna.

Grazie ad esso il dominus opera un continuo “censimento” sul proprio territorio: “conta” da remoto, a grandissima velocità ogni soggetto presente nei diversi ruoli: numero di account, lettori o spettatori, iscritti ai canali o alle diverse pagine, likes, numero di commenti e di condivisioni, tempo di permanenza e attenzione dei viewers, frequenza delle pubblicazioni, etc… Lo strumento, inaccessibile dall’esterno, gli consente di esaltare il successo dei suoi prosumer, o minimizzarlo grazie alla pratica subdola dello “shadow banning”, grazie alla quale i contatti attivi dei prosumer vengono limitati senza che loro se ne accorgano. Il counter è

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ovviamente accreditato quale “massima fonte autorevole”, nessuno penserebbe mai di contestarlo e consente pertanto di misurare anche gli utili dovuti ai prosumer e gestire amministrativamente la stagione feudataria digitale.

Il counter aggiorna i proprietari del social network: “C’è un prosumer che cresce! Ha centinaia di migliaia di iscritti, milioni di likes. È un ottimo medium promozionale. Cominciate gli inserimenti di pubblicità”. Il prosumer vede che nella sua pagina Facebook e/o nei suoi videoclip o nel suo blog cominciano a comparire inserzioni pubblicitarie. Sogna il miracolo del riconoscimento del proprio “orto digitale” che crede ingenuamente di “possedere”. Ma non è un miracolo: è la Rete! È la rete che lo ha “pescato”.

In realtà il prosumer non possiede ciò che considera il proprio “orto digitale”; gli è solo concesso di lavorarci gratuitamente, eventualmente chiedere “donazioni” ai suoi simili e ospitare promozioni commerciali, fin quando i suoi contenuti non disturbano gli inserzionisti pubblicitari o il dominus stesso, che a quel punto sospende o chiude l’account unilateralmente e talvolta senza preavviso.

Forse non ci avete mai pensato ma… ogni volta che noi accediamo alla rete Internet, da PC, tablet o da smartphone, noi lavoriamo anche per qualche soggetto più o meno occulto:

costruttori di device digitali, produttori di software e App, società telefoniche, pubblicitari e aziende da loro promosse, servizi segreti, uffici stampa e ricerca dei politici, etc…

Molto abilmente, con degli strumenti efficaci e invisibili, non più con azioni “costrittive” ma piuttosto grazie alla seduzione, un certo numero di esseri umani si è impadronito della creatività, del talento ridotto a merce, di un paio di miliardi di persone nel Pianeta Terra. Costoro, forse extraterrestri con sangue blu, comunque “sociopatici”, o semplicemente capitalisti liberisti privi di alcuna empatia nei confronti degli sfruttati, si raggruppano in Consigli di

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Amministrazione (boards) di società aventi sigle accattivanti e ben promosse; e dopo aver attratto con false promesse di libertà i loro “utenti”, si sono appropriati della nostra facoltà di produrre contenuti e dei nostri “corpi digitali”

costituiti dai Big Data che ci riguardano sin nei più intimi dettagli.

Quindi oggi ci “tengono alla macina”: ci usano, ci ammassano sin dalla più tenera età di fronte agli schermi dei PC e degli smartphone, ci organizzano in comunità di ogni genere e natura, ci vendono e comprano come “audience” in un mercato volutamente privo di regole, ci scagliano gli uni contro gli altri o contro i loro antagonisti nel corso delle loro guerre private, ci attribuiscono la responsabilità di fake news quando certe verità diventano troppo scomode per la realizzazione dei loro progetti egemonici e di controllo di massa.

Un esempio: a causa della pandemia va di moda censurare tutte le informazioni e opinioni che sono contrarie alle linee guida fornite dalla “farmacocrazia”.

Questo aspetto apocalittico, destinato tragicamente ad esaltarsi con l’avvento del 5G, è un pezzo rilevante della grande scena in cui ci muoviamo che viene definita in vari modi: Rivoluzione Digitale, IV Rivoluzione, Transumanesimo, Cyber Era, Democrazia di Controllo, Democratura e così via.

Tutto ciò è successo, in massima parte, grazie allo sfruttamento intensivo di una pratica, definita all’origine (prima con la nascita dei motori di ricerca e poi dei social network) User Generated Content1 o web 2.0, cioè interattivo e partecipativo.

Ora state attenti! Per produrre UGC e renderlo visibile si richiede di armonizzare alcune attività, cioè si richiede lavoro volontario in cambio di visibilità, promozione e libertà di espressione.

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Questo mai considerato lavoro volontario è costituito da una serie di azioni che prevedono tempo e denaro preforniti dai prosumer:

– scelta, acquisto/noleggio e capacità d’uso e manutenzione degli strumenti di produzione (device digitali) e di accesso alla Rete (modem e/o antenne);

– manifestazione di creatività, sia essa jurassica o talentuosa, e gestione organizzata di capitale umano (singoli o gruppi);

– acquisizione di informazioni e pratiche che consentono la produzione.

L’ossequio generalizzato, ma miope, al concetto dinamico di scambio equo tra dominus e prosumer, in cui il primo favorisce la visibilità e la “Libertà di parola, espressione e manifestazione” viene menzionata spesso quale “vantaggio reciproco”. Tale affermazione però è giustificabile solo in quei casi (indicativamente 1 su 1000) in cui il prosumer ottiene successo e remunerazione in progress.

Nei casi in cui si verifica il successo/consenso e la remunerazione alle attività di base (lavoro), bisogna inoltre aggiungere:

– misurazione ossessiva del numero dei contatti ottenuti, degli effetti e del gradimento ovvero studio dei dati forniti (analitycs) dai gestori delle piattaforme;

– raggiungimento della sostenibilità economica e conseguimento di eventuali profitti;

– ottemperanza alle norme dominanti sul territorio e alle norme “dittatoriali” del Dominus.

I due acronimi: UGC (User Generated Content) e UGM2 (User Generated Media) sono la definizione inglese di concetti già ben noti all’industria dei giornali e della radio da diversi

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decenni. Contrariamente a ciò che si può pensare, infatti, non sono stati inventati per il web o dal web, ma dalla stampa di massa.

Basti pensare alle Lettere al Direttore, che sono senza dubbio

“Contenuto Generato dagli Utenti”, per datare il concetto agli anni ‘30 del secolo scorso. Ma soprattutto basta riflettere per un attimo su pubblicazioni quali Porta Portese a Roma o Exchange and Mars a Londra o simili, per capire che molti media commerciali, anche importanti e di massa, hanno costruito il loro successo grazie a contenuti, gratuiti e volontari, inviati alle redazioni dai loro lettori-utenti e grazie al fatto che in tal modo si veniva a creare una

“comunità” più o meno consapevole, i cui membri mostravano stili di vita, valori, aspettative e interessi simili.

Nella scena dei contenuti-audio, grazie al telefono fisso, il fenomeno UGC in Italia ebbe una certa risonanza negli anni ‘70 con il programma radiofonico della RAI Chiamate Roma 3131.

Poi, grazie alle radio FM commerciali o politicizzate si cominciò a valutare seriamente l’ipotesi dell’interattività tra gestore del medium e utente di contenuti e dunque nacque il dibattito sulla nascita dei primi prosumer.

I primi esperimenti “telematici” (su rete telefonica) si registrano, grazie al Videotel (1985), soprattutto in Francia (Minitel); mentre nei primi anni ‘90 alcune trasmissioni TV accolgono commenti di utenti inoltrati via fax alle loro redazioni e il movimento studentesco “la Pantera” diventa la prima fax community in Italia. Con l’avvento del telefono cellulare debutta, infine, lo UGC in mobilità costituito all’inizio solo da voce e verso la fine degli anni ‘90 anche da SMS.

Nel caso di tutti gli operatori nel web che hanno tra i loro obiettivi anche quello di costruire comunità, ovviamente il grado di complessità e fiducia del rapporto prosumer-editore- utente è molto più alto, ma in definitiva l’architettura di

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base è rimasta quella originale: lo sfruttamento della capacità di produrre contenuti da postazione remota e il loro utilizzo in assenza di reciproca soddisfazione contrattuale.

In estrema sintesi: un editore mette una porzione del proprio medium a disposizione – sia esso giornale o radio o TV o piattaforma web – dei suoi utenti – fruitori – inserzionisti – clienti – ascoltatori – spettatori – consumatori – blogger – vlogger; e costoro, da lui sollecitati inviano in qualche modo i contenuti: a mezzo posta, fax, telefono, rete Internet, SMS o email. L’editore li impagina, eventualmente edita, registra, comunque li ospita nel suo medium che rende, attraverso procedure industriali e commerciali, accessibile, visibile o circolante e attende sereno che i suoi stessi prosumer lo comprino, lo leggano, lo ascoltino, lo guardino, lo condividano; sostenendo in tal modo il suo rischio e guadagno di editore e il raggiungimento dei suoi obiettivi di massima distribuzione e diffusione del proprio medium.

Grazie alle tecnologie Internet e “Internet based” l’arcaico, talvolta lento processo dell’accumulo e sfruttamento di UGC, è stato accelerato all’inverosimile. Al punto da rendere il contenuto prodotto dagli utenti disponibile alla fruizione in un tempo che tende sempre più a zero (vedi web live streaming). La grande “innovazione” è, tra le altre, il fatto che il content prodotto e “caricato” in rete da un prosumer, nella quasi totalità dei casi, resta e appare integro, non rieditato o tagliato, salvo divieti di inserimento e rimozioni motivate da conflitti con l’etica dei padroni dei motori di ricerca, siti vari e/o fondatori delle comunità stesse (esempio: esclusione di materiale che incita alla rivolta, pedo-pornografico, violento, blasfemo e osceno) o dalle norme vigenti in materia sui diversi territori.

Questa lunga ma inevitabile premessa è utile per giungere ad alcune conclusioni:

– centinaia di milioni di umani nel mondo producono ogni

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giorno in rete, grazie al loro lavoro volontario, contenuti informativi e culturali, invenzioni e servizi;

– i padroni degli UGM – social network si appropriano di tali beni e servizi, li impacchettano (editano) in forma di merce digitale fruibile e veicolano la loro circolazione e il loro scambio, traendone ampi profitti grazie alle inserzioni pubblicitarie. Tale pratica inoltre agisce quale “leva strategica” sull’organizzazione di stili di vita e di consumi;

– i padroni dei social media non accettano di farsi definire

“editori” perché ciò comporterebbe la responsabilità dei contenuti pubblicati con tutte le implicazioni di natura legale e amministrativa. Soprattutto non accettano di essere considerati “datori di lavoro dipendente” nei confronti dei loro prosumer perché ciò comporterebbe il pagamento di

“contributi” ai diversi erari. Se sollecitati dai diversi governi accettano invece di comportarsi come “cani da guardia

” e censori mascherati da tutori delle norme della comunità;

– molto spesso, specialmente in quei territori dove le borse operano al meglio, questi padroni collocano nel mercato azionario le loro aziende – che non esisterebbero se non ci fosse il lavoro volontario degli utenti – e sollecitano gli stessi utenti a comprare le azioni con enormi vantaggi che incrementano la propria capitalizzazione finanziaria. Google- YouTube, Facebook, Ebay, Amazon sono stati gli alfieri maggiori di questa pratica;

– ciò che è stato definito UGC è il prodotto di quello che invece dovrebbe essere noto come UGVW – User Generated Voluntary Work, cioè Lavoro Volontario Generato dagli Utenti;

– questa sterminata massa di utenti costituisce un polo/area della triade che dovrebbe “dialogare”, con i governi e le aziende, per giungere alla formulazione della governance globale di Internet. In questo caso, secondo la visione ormai dominante del Multi Stakeholder System, assume la definizione

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di società civile, uno dei tre maggiori stakeholder (portatori di interesse). Si dà il caso però che la società civile non sa nemmeno di essere uno stakeholder, pertanto è priva di rappresentanze che siano in grado di esprimere una difesa negoziale del proprio lavoro volontario e – cosa ancora più terribile – è stata confusa con e rappresentata da un certo numero di ONG – Organizzazioni Non Governative – che sono state spesso finanziate occultamente per usurpare quel ruolo;

– qui la scena diventa aggrovigliata e sterminata. C’è comunque da aggiungere che i cosiddetti utenti-prosumer, tanto esaltati dai social network, sono anche elettori, consumatori, produttori di contenuti e servizi in rete, fruitori di pubblicità che viene inserita nei loro stessi contenuti… tutti insieme costituiscono il 90% della Società Civile Digitale, ma come accennato non hanno rappresentanze e pertanto non sono in grado di negoziare il loro lavoro in rete, che rimane assurdamente volontario e quasi sempre privo di adeguata se non alcuna remunerazione.

NOTE

[1] Le grandi “famiglie” di Content (Contenuti) sono => testo alfanumerico, audio-voce-musica, foto-still frame, audiovisual o immagini in movimento, grafica – cartoon 2D e 3D. UGC – User Generated Content, è un particolare tipo di contenuti che viene prodotto dagli utenti attivi di un medium presente in Rete – invece che dalla proprietà (redazione) del medium stesso – e viene reso fruibile ad altri utenti grazie a pratiche di diffusione, prevalentemente gratuite, che utilizzano quale risorsa dominante la pubblicità (Advertised Supported).

2 Si definiscono UGM (User Generated Media): i blog, i social network, le community e, al dunque, i mercati di compravendita e scambi nei quali i beni e i servizi, e spesso le loro descrizioni, sono forniti dagli stessi utenti (es: e-Bay, Porta Portese, Airbnb, etc.).

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È una situazione (distopica?) che 30 anni fa nessuno avrebbe mai potuto immaginare, un feudalesimo digitale che configura uno sfruttamento intensivo e continuato di una grande porzione degli e-workers e si autoperpetua nel silenzio dei politici e degli economisti, anche i più avveduti e in vario modo antagonisti del liberismo capitalista. Come mai siamo giunti a questo punto?

* Fonte: W Economia e Politica

NO ALLA APP “IMMUNI” di Gianluigi Paragone

L a presa per i fondelli è già nel nome: Immuni. Come se bastasse una app da scaricare per difendersi, immunizzarsi, dal virus.

O come se chi è fuori dalla app fosse un appestato, un untore.

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Ovviamente non basta una app per sapere come si muove il Covid, anzi a dirla tutto questo tracciamento sta diventando un altro pezzo del grande boh governativo rispetto all’emergenza.

L’altro giorno sia il presidente Conte sia il commissario straordinario Domenico Arcuri hanno precisato che non ci saranno limitazioni di movimento per chi deciderà di non utilizzarla. Una precisazione che soltanto chi ci aveva pensato la può sostenere: ci mancava pure che oltre al lockdown ordinato con un “semplice” decreto del premier (dpcm) avessero subordinato le uscite alla possibilità di farsi spiare. Alla faccia dei diritti costituzionali e delle libertà individuali.

M e s s a d a p a r t e ( f i n o a l l a p r o s s i m a m o s s a ) l a n o n indispensabilità della app rispetto alla libera circolazione, seppur nei limiti che ci verranno imposti, resta da analizzare la parte che ne avrebbe ispirato l’urgenza, ossia evitare la propagazione del virus attraverso lo screening dei positivi e dunque dei loro spostamenti e delle loro relazioni. Basta scaricarla e poi, attivando il bluetooth, i telefoni si parleranno tra loro e incroceranno i loro dati. Sanitari, dicono loro. Tre domande.

La prima: ma se non è obbligatoria perché la dovrei scaricare?

Beh, visto che la app – per funzionare al meglio – necessita d i u n a c o p e r t u r a d e l 6 0 % d e l l a p o p o l a z i o n e , i l supercommissario Arcuri ha ammesso che sarebbero al vaglio

“alcune facilitazioni di natura sanitaria” come benefit. Toh, un’altra bella violazione dei diritti costituzionali per cui i servizi della sanità pubblica avrebbero una specie di carta vip per chi scarica la app.

Seconda domanda: ma se la app serve per monitorare le frequentazioni dei positivi, chi mi dice se sono positivo?

Già, di sicuro non la app. La risposta esatta non può che essere soltanto una: te lo dicono i tamponi, quei tamponi che la Sanità pubblica non è in grado di garantire per mancanza di

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reagenti. Sai com’è, taglia oggi taglia domani (per stare dentro i parametri di austerity imposti da Bruxelles, da quella stessa Bruxelles che oggi ci riconosce un po’ di soldini per l’emergenza Covid se accettiamo di farci fregare dallo strozzinaggio legalizzato noto come Mes), taglia oggi taglia domani ed ecco che alla bisogna manca molto di quel che serve: terapie intensive, personale medico, tamponi, mascherine eccetera eccetera…

Terza e ultima domanda: ma se era così importante evitare la propagazione del virus, perché il governo si è mosso tardi?

Una inchiesta condotta da quattro giornalisti per il Corriere della Sera ha scoperto che la prima direttiva del ministero è uscita un mese dopo l’arrivo del virus, quando l’emergenza regnava già sovrana in alcuni reparti ospedalieri di alcune zone ben precise in Lombardia e in Veneto. E’ l’inizio del caos, alla faccia di un premier che andrà in televisione a dire che “siamo prontissimi”. Già, prontissimi senza terapie, tamponi, mascherine e personale (tanto che si arruolano i neolaureati…). Ieri e ieri l’altro, dal ministero della Salute ci informano che dal 20 gennaio il ministero aveva un programma talmente choccante da secretarlo. Cosa??? Avevano in mano informazioni preziose, allarmanti, di per sé sufficienti per attivare le zone rosse locali e questi che fanno?

Secretano. Nessuna condivisione con il parlamento e nemmeno coi presidenti di Regione che, a quel punto, ignari di tutto procedono random.

Zero trasparenza, molto pressapochismo. E intanto il virus si sta mangiando il Paese. Ma non si può dire altrimenti le task force si arrabbiano e i guardiani del comitato antifake di Palazzo Chigi si attivano.

Ps. La app è un precedente pericolosissimo, perché se accettiamo il principio di farci controllare da una app per sapere se siamo positivi al Covid, un domani ci diranno – sempre per il nostro bene – che servirà per tracciare chiunque su qualsiasi cosa convenga al Potere. Un perfetto sistema

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feudale, tecnologico ma feudale.

Fonte: ilparagone.it

Riferimenti

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