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Nascita e destino della soggettività. Dai ruoli professionali ai processi di cura, attraverso una lettura di "Quel che resta del giorno" di Kazuo Ishiguro

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professionali ai processi di cura, attraverso una lettura di

‘Quel che resta del giorno’ di Kazuo Ishiguro Gabriele Profita

Narrare i gruppi

Etnografia dell’interazione quotidiana

Prospettive cliniche e sociali, vol. 12, n° 1 (2017)

ISSN: 2281-8960 Rivista semestrale pubblicata on-line dal 2006 - website: www.narrareigruppi.it

Titolo completo dell’articolo

Nascita e destino della soggettività. Dai ruoli professionali ai processi di cura, attraverso una lettura di ‘Quel che resta del giorno’ di Kazuo Ishiguro

Autore Ente di appartenenza

Gabriele Profita

Università degli Studi di Palermo

To cite this article:

Profita, G., (2017). Nascita e destino della soggettività. Dai ruoli professionali ai processi di cura, attraverso una lettura di ‘Quel che resta del giorno’ di Kazuo Ishiguro. In Narrare i Gruppi, vol. 12, n° 1 (2017), pp. 11-35 - website: www.narrareigruppi.it

Questo articolo può essere utilizzato per la ricerca, l'insegnamento e lo studio privato.

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focus

Nascita e destino della soggettività. Dai ruoli professionali ai processi di cura, attraverso una lettura di ‘Quel che resta del giorno’ di Kazuo Ishiguro

Gabriele Profita

Riassunto

Questa riflessione affronta un tema assai rilevante per le professioni di cura, con uno sguardo particolare alla psicoterapia.

Per chiarire il ruolo della soggettività e della nascita e maturazione di un ruolo professionale riporterò un’analisi di un testo letterario attraverso il quale sarà più agevole scoprire come si forma l’identità di un ruolo professionale e come si avvia alla sua maturazione e alla sua codificazione. In particolare quali sono i rischi legati ad una sua rigida codificazione rivolta alla sua normatività tecnica? Mi propongo di tracciare un confronto con alcune forme di costruzione della soggettività che nel corso dei secoli hanno fondato il modello dell’uomo occidentale nelle sue articolazioni professionali.

Parole chiave: soggettività, ruoli professionali, cura

Origin and Destiny of Subjectivity.

From Professional Roles to Treatment Processes, through an Interpretation of ‘The Remains of the Day’ by Kazuo Ishiguro

Abstract

This reflection addresses a very important topic for care professions, with a special look at psychotherapy.

To clarify the role of subjectivity and the birth and maturation of a professional role, I will present an analysis of a literary text through which it will be easier to find out how the identity of a professional role is formed and starts to mature and get codified. In particular, what are the risks associated with its rigid codification to its technical normative? I intend to draw a comparison with some subjectivity building forms which have founded the Western man’s model in its professional articulations over the centuries.

Keywords: Subjectivity, Professional Roles, Care

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1. Premessa

L’opera letteraria che fa da guida in questo lavoro è ‘Quel che resta del giorno’ di K. Ishiguro che nel suo svolgersi narra del viaggio nella campagna inglese (in Cornovaglia) di un impareggiabile Mr. Stevens, maggiordomo di un'illustre casa inglese, in un momento di crisi e di passaggio per l'intero ordine sociale inglese. In una settimana del 1957 si svolge l'escursione, ‘la spedizione’, che il suo attuale datore di lavoro, un facoltoso americano, Mr. Farraday, gli suggerisce e quasi lo spinge a fare, dopo tanti anni di onorata carriera al servizio della Casa, dalla quale mai si era allontanato. Il viaggio in Cornovaglia sarà possibile grazie alla Ford che il suo attuale padrone gli mette a disposizione, provvedendo anche al carburante necessario.

La casa in precedenza era stata la dimora di Lord Darlington, un nobile inglese che era stato il promotore di diverse iniziative politiche prebelliche, rivolte a evitare la guerra tra l'Inghilterra e la Germania. E l’avere dimorato in quella casa farà vivere a Mr Stevens la netta sensazione di aver occupato, anche lui, uno spazio politico di grande rilevanza nello scacchiere europeo.

Il Prologo del romanzo è già un sapiente affresco dell'attitudine che Mr.

Stevens mostrerà nel corso di tutta la vicenda narrata e che si dispiega nella sua professione di maggiordomo da lui vissuta con assoluta aderenza alla missione.

Fanno seguito sette capitoli pieni di nostalgica rievocazione dei tempi ormai trascorsi, ricchi delle vicende storiche che si sono succedute in un periodo che ha inizio negli anni venti del '900, ma ripercorsi alla luce di un presente che non lo entusiasma e di cui percepisce l'inevitabile e definitiva conclusione. E, tuttavia, inflessibilmente, cerca di ricostituire l’antico fasto attraverso la rammemorazione e, concretamente, attraverso il desiderio di riavere Miss Kenton come governante della dimora. Nella rievocazione che Mr. Stevens compie durante il viaggio di come veniva amministrata la casa, un tempo servita da un numero ‘congruo’ di domestici e oggi invece ridotti a poche unità, è raffigurata anche la condizione moderna, dove l’attenzione per i particolari, orgoglio sublime del maggiordomo, stenta a essere generato come si confà alle antiche tradizioni della casa. Se a quell’epoca, infatti, era possibile assicurare un servizio impeccabile, i tempi attuali non lo consentono più. Soprattutto sembra che la cura dovuta al dettaglio, la perfezione della prestazione, l'invisibilità della fatica non rappresenta più un valore da assicurare. Il suo nuovo padrone è meno devoto all'etichetta e più propenso alla praticità. Tutto sembra sia diventato più agile e superficiale, le distanze sociali si sono accorciate, l'ordine gerarchico ha subito uno sgretolamento. A questo, il nostro maggiordomo non si rassegna, anche se, fedele alla dignità che impone la sua professione, cerca di aderire come deve.

Dopo le pagine dedicate all’opera letteraria mi occuperò di mettere a confronto

le analisi che emergono da questo testo sulla soggettività, sui ruoli e sulla

formazione professione con altre riflessioni che provengono da altri due

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contesti: uno religioso e l’altro filosofico al fine di far dialogare le riflessioni emerse con i processi di formazione dello psicologo e dello psicoterapeuta e maggiormente nel ruolo da questi assunto nei processi di cura.

2. I ricordi, le emozioni e il ruolo

Mr. Stevens ha ricevuto una lettera dell'ex governante della casa, dove a lui sembra sia adombrato un desiderio di ritornare a Darlington Hall. Così si ripromette di andare a trovarla personalmente ed eventualmente offrirle l’opportunità di un ritorno al fine di ristabilire, sia pure parzialmente, gli antichi costumi e le originarie procedure della storica dimora.

I capitoli successivi descrivono episodi del viaggio, incontri occasionali, piccoli incidenti, descrizioni del paesaggio incontrato, ma in realtà danno luogo al ricordo e alla memoria del tempo che fu, da lui interamente trascorso all'interno di Darlington Hall, dove fin dagli anni ’20 si sono succeduti importanti avvenimenti storici.

Il linguaggio adottato dall’autore, Kazuo Ishiguro, rispecchia con precisione sia l’attenzione, direi filologica, al significato delle parole usate, che indicano sempre la preoccupazione del controllo dei confini relazionali, sia un’intensa nostalgia per l’etichetta e per le forme sempre calibrate e appropriate alle situazioni.

“Pur con tutto l’imbarazzo, che quei momenti mi procurarono, non vorrei si pensasse che io stia in alcun modo biasimando Mr. Faraday il quale non è da ritenersi per niente una persona scortese; sono certo che egli stesse semplicemente dilettandosi in quel tipo di tono scherzoso che negli Stati Uniti è segno, non vi è dubbio, di un’intesa e corretta e amichevole fra datore di lavoro e dipendente, e alla quale ci si dedica come a uno sport affettuoso” (p. 19).

E più avanti in un esempio di prosa limpida e affascinante:

“Per un attimo rimasi lì senza riuscire a capire che cosa il mio padrone stesse dicendo. Poi capii che doveva trattarsi di una qualche forma di scherzo e mi sforzai di sorridere appropriatamente (sottolineatura mia) sebbene io sospetti che un qualche residuo del mio smarrimento, per non dire sbalordimento, continuasse a percepirsi nell’espressione del mio volto” (p. 20).

Mr. Stevens in questo passaggio cerca di comprendere i cambiamenti avvenuti nei momenti storici che si susseguono, ma non come un generale vittorioso che attraversa e conquista territori assoggettati, ma come un umile vinto che pure deve adattarsi ai tempi in rapido mutamento.

Ad esempio, far dello spirito, cosa inaudita nella sua precedente esperienza,

ossia seguire la maniera di scherzare del suo nuovo padrone diventa un suo

oggetto di studio e di attenzione, materia di decifrazione, sempre allo scopo di

plasmare il suo modo d'essere per adattarsi a un ordine diverso e a un nuovo

stile.

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Il nostro maggiordomo rivolge al controllo delle proprie emozioni, così come alla gestione della casa, un’attenzione quasi ossessiva. Vuole farsi paladino per quanto possibile delle regole (esplicite o implicite) della sua professione, che l’autore del libro tratteggia con adeguati modi d’uso del linguaggio che diviene malinconico e assai controllato esattamente come lo è Mr. Stevens.

3. Istituzioni e ruoli

Il tema che sorregge l’intero impianto del romanzo è quello della difesa dell’Istituzione, che si deve considerare sotto diversi ordini o scale di grandezza:

L’istituzione monarchica, che prescrive una rigida regolazione dei comportamenti e delle sue forme.

L’istituzione della casa, anch'essa specchio della società di corte.

L’istituzione che sostiene la professione (di maggiordomo).

E anche quella che esprime la cultura (della nobiltà) britannica, espressamente richiamata da Mr. Stevens che è, da lui, ritenuta un peculiare elemento che lo distingue da ogni altra nobiltà continentale.

“Da questo punto di vista noi inglesi godiamo di un importante vantaggio nei confronti degli stranieri, ed è per questa ragione che ogni qualvolta si pensa a un grande maggiordomo, costui deve, quasi per definizione, essere inglese” (p. 55).

Il romanzo è l'espressione compiuta del rapporto tra l’individuo e l’istituzione, così come quest’ultima è intesa in un’epoca precedente la post-modernità, quella che si affaccia all’orizzonte con la fine della seconda guerra mondiale e con il nascere di un nuovo ordine mondiale.

L’istituzione monarchica inglese è considerata da Mr. Stevens, come centro del mondo, come luogo di costruzione della storia, intesa nelle sue dimensioni e scale più ampie, ma anche come punto di vista o come angolatura più ristretta e particolare. Sempre nel prologo così viene considerata la dimora di Darlington Hall:

“[…] nella nostra professione, seppure non avevamo occasione di conoscere gran parte del paese, nel senso di avere l’opportunità di viaggiarvi e visitare luoghi pittoreschi, eravamo in grado di <vedere>

più Inghilterra della maggior parte delle persone, collocati come eravamo in dimore nelle quali si radunavano le più illustri signore e i più insigni gentiluomini del paese” (p. 6).

Più sotto Mr. Stevens completa il suo dialogo con il suo nuovo padrone americano dicendo:

“Ho avuto il grande privilegio di vedere quanto vi sia di meglio in Inghilterra nel corso degli anni, e

proprio tra queste mura, signore” (p. 6).

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4. Ruoli e contesti di lavoro

Il maggiordomo disegna così il suo ambiente di lavoro, la prospettiva che gli ha consentito di guardare o di percepire lo svolgersi della storia europea, come se tutto si svolgesse, e si potesse vedere attraverso quel luogo privilegiato che era per lui Darlington Hall. Nel corso della narrazione avrà sempre un’attenzione particolare rivolta alla definizione delle caratteristiche particolari della dimora, delle regole che la abitavano, dell’interpretazione di queste regole che erano costantemente sotto un’attenta osservazione e che tendevano a essere alquanto immutabili, almeno per quel che riguarda la concezione più accreditata di cosa dev’essere un maggiordomo in una casa nobiliare britannica.

La fine della seconda guerra mondiale, con il trasferimento della proprietà da Lord Darlington a Mr. Farraday, segna nostalgicamente tutto il romanzo e ciò che Mr. Stevens impersona. La vicenda narrata si svolge in pochi giorni, ma per tutto il racconto è un continuo flash back, un andirivieni di memorie che costituiscono un perenne raffronto tra i tempi gloriosi del passato e i disagi di un presente, difficile per lui, da comprendere e interpretare.

I tempi sono cambiati e anche se il controllo delle emozioni è la regola fissa che Mr. Stevens si è dato come consegna indiscutibile del suo vivere la professione, tuttavia, è proprio la diffusa nostalgia dei tempi andati, l’indugiare sulla memoria di un’epoca ormai al tramonto, che rende Mr. Stevens e il suo percorso in Cornovaglia, ammaliante. Vi è ancora da coltivare l’illusione che con il ritorno di un’altra delle protagoniste, Miss Kenton, si possa rinnovare l’austera atmosfera di un tempo che invece declina irrimediabilmente.

Ci troviamo, fin dalle prime pagine, in una tensione tra il tono quasi lirico e intensamente emozionante del racconto di Mr. Stevens e la sua teorizzazione tutta rivolta al controllo assoluto delle emozioni. Quest’ultime, secondo il maggiordomo, tendenzialmente, devono dissolversi quasi del tutto. E non solo le emozioni, ma anche i sentimenti, i legami affettivi più antichi e profondi devono essere messe a tacere.

La teoria del maggiordomo, il tentativo di controllo assoluto delle emozioni e dei suoi effetti perniciosi, si sviluppa attorno al tema della dignità.

“I grandi maggiordomi sono proprio grandi proprio per la capacità che hanno di vivere all’interno del

proprio ruolo professionale e di viverci fino in fondo; sono individui che non si fanno sconvolgere da

eventi esterni, per quanto sorprendenti, allarmanti o irritanti questi possano essere. Essi portano su di

se la loro professionalità allo stesso modo in cui un vero gentiluomo porta l’abito che indossa: e cioè

senza consentire a dei mascalzoni o a delle circostanze di strappaglielo di dosso davanti agli occhi di

tutti; sarà egli stesso ad abbandonarlo quando stabilirà di farlo e soltanto allora, cosa che

invariabilmente accadrà quando egli sarà rigorosamente solo” (p. 54).

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5. Identità di ruolo e dignità

Sono presenti diversi momenti dedicati al tema della dignità che vengono proposti nel romanzo attraverso episodi, a volte con un tono umoristico, altre volte con un cipiglio rivendicativo della professione che da essa è connaturata.

Grandi dibattiti si accendevano a tavola tra la servitù, attorno alla questione di ciò che fa grande un maggiordomo. Uno di questi riguarda un episodio narrato dal padre di Mr. Stevens, da lui chiamato Mr. Stevens senior, che val la pena di ricordare.

Un maggiordomo, al servizio di un nobile inglese che soggiornava in India, si avvicina al suo padrone, che si trovava nel salotto con alcuni ospiti, e gli sussurra di uno sgradevole incidente. Si trattava di una tigre che, inopinatamente, aveva invaso la sala da pranzo e che si era sdraiata sotto il tavolo. Il maggiordomo richiude accuratamente la sala, va verso il salotto e dice:

“Sono molto spiacente di disturbarla, signore, ma sembra che vi sia una tigre in sala da pranzo. Il signore permette che venga usata la calibro dodici? Quando rientra nel salotto il padrone gli chiede se tutto è a posto e il maggiordomo risponde: “perfettamente signore, grazie.

La cena verrà servita come di consueto, e sono lieto di comunicarle che per quell’ora non vi sarà più nessuna traccia visibile del recente accaduto” (p. 46).

L’imperturbabilità, la discrezione, il farsi carico di ogni problema che possa essere di turbamento per il padrone e alterarne la serenità sua e degli ospiti, rappresenta la cifra di ciò che il maggiordomo considera ‘dignità’.

Mr. Stevens conserverà, nel corso della narrazione, sempre e comunque il suo personale stile, anche nei momenti più difficili. Assolve i suoi doveri, sempre, come quando dovrà esonerare suo padre dai servizi più gravosi, che in ragione della sua età non era più in grado di svolgere, oppure quando il vecchio Mr.

Stevens morirà, proprio nello svolgersi di una conferenza che si teneva a Darlington Hall. Il nostro raggiungerà la camera del padre solo dopo aver ultimato il suo compito nel modo solito e impeccabile. Sempre e comunque prevarrà il servizio alla casa e sarà sua cura preservare la propria dignità, di fronte al padrone, ai suoi ospiti e alla servitù. L’intera storia narrata in prima persona da Mr. Stevens riguarda proprio la sua lotta contro ogni possibile distrazione da tutto ciò che egli considera come il dovere di un ‘grande’

maggiordomo.

6. Ruolo e relazioni personali

La vicenda umana e professionale di Mr. Stevens che per tutto il

romanzo s’intreccia con quella di Miss Kenton, la governante, in ordine

gerarchico il numero due della casa, è anche il principale motivo di possibili

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distrazioni per il nostro maggiordomo. Farà ogni sforzo perché la relazione si mantenga sempre sotto lo stigma della professione, anche nei momenti più difficili e umanamente più toccanti. Tale rigidità emotiva di Mr. Stevens si manterrà dall’inizio alla fine della loro relazione che avrà luogo per trenta anni.

E tuttavia nelle sue granitiche convinzioni s’insinuerà sempre qualcosa che non può mai emergere, che assomiglia non a una passione, ma a una mancanza.

Appena un soffio emotivo che non può essere preso in considerazione ma che pure è presente e lo inquieta. Mr. Stevens ha rifiutato sempre qualunque attenzione, sia pure umana e anche discretamente affettiva della governante.

Quando lei porterà dei fiori per rallegrare un poco l’ambiente uggioso e sereno della stanza del maggiordomo si sentirà rimproverare con queste parole:

“Apprezzo la vostra cortesia, Miss Kenton, ma questo non è un luogo fatto per il divertimento, ed io desidero che i motivi di distrazione vengano ridotti al minimo”.

La vita a Darlington Hall tra i due protagonisti sarà sempre piena di conflitti, soprattutto per i tentativi della governante di ingentilire l’atmosfera severa e priva di ogni grazia voluta da Mr. Stevens. Miss Kenton cercherà di scalfire la corazza emotiva del maggiordomo, tenterà di mostrargli la sua sembianza umana senza mai riuscirvi. Solo pallidamente mostrerà qualche cedimento verso la fine, pur senza modificare la crosta caratteriale che l'ha sempre ricoperto.

Consapevole, anche se con dichiarata modestia, di un suo ruolo storico nella casa, sarà sempre al servizio del suo compito e della funzione ricoperta. Dal suo canto, anche Lord Darlington osserverà sempre il contegno tipico del suo ruolo che gli impedirà sempre di cedere a ogni apertura alla modernità; alla fine il nobile inglese si consumerà nel suo personaggio, rimarrà fedele all'autorità che gli era propria e non riuscirà a comprendere quanto si svolgerà, con i suoi auspici, sotto i suoi occhi.

La vicenda, che Ishiguro narra, appare come una grande recita, che solo la Storia e gli avvenimenti del dopoguerra metteranno in risalto nella sua tragicità.

Tutti i tentativi di sostenere ogni monumentale parvenza di dignità saranno vani. Dignità che sarà messa a dura prova proprio dall’evolversi dei tempi, che renderà anacronistico, ‘finto’ la grandezza e il decoro della nobiltà inglese.

Lord Darlington in realtà si avventura in modo dilettantesco, da ‘ingenuo

sognatore’, come dirà qualcuno dei presenti alla conferenza, nei grandi eventi

del secolo ventesimo. Cercherà di aiutare un suo ex nemico tedesco, Herr Karl-

Heinz Bremann, caduto in disgrazia dopo la fine della 1° guerra mondiale. In

nome dell’appartenenza sociale comune, e dei principi condivisi di una nobiltà

ormai in decadenza, era diventato, al termine delle ostilità, un amico di Lord

Darlington. Quest’ultimo s’impegnerà a rendere meno penosa la sua

condizione, senza però comprendere molto dell’evoluzione storica della

Germania che si avviava verso il nazismo. Bremann, non sopportando la sua

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condizione di declino si suiciderà e questo dramma spingerà Lord Darlington ad organizzare una conferenza tra uomini influenti di Inghilterra, Francia, Stati Uniti e Germania, ma anche della Svizzera e dell’Italia, con l’obiettivo di attenuare le risoluzioni del trattato di Versailles, che aveva imposto dure sanzioni economiche e politiche alla Germania. In realtà, con l’organizzazione di questa conferenza, il Lord inglese non comprenderà bene le manovre germaniche di accreditarsi fraudolentemente e se ne lascerà influenzare, fino a essere accusato, in seguito, di simpatizzare per le idee naziste e di essere un traditore dell’Inghilterra.

Nei giorni in cui si svolge la conferenza accade un fatto rilevante: muore il padre di Mr. Stevens proprio mentre si chiude l’intenso dibattito con una serie di brindisi celebrativi per il successo dei lavori. Tuttavia, già in quell’occasione, Mr. Lewis un americano che partecipa ai lavori, accusa di ‘dilettantismo’ Lord Darlington.

Preso dal suo ruolo e dai compiti organizzativi affidatigli, il maggiordomo non vedrà il padre morire. L’evento, gli sarà comunicato da Miss Kenton quattro minuti dopo il decesso. Alla notizia Mr. Stevens replicherà con un asciutto e impenetrabile ‘Capisco’, termine che ci rivela il suo autocontrollo e la sua immedesimazione nel compito affidatogli. Almeno fin quando si troverà alla presenza della servitù manterrà un atteggiamento composto e imperturbabile.

In realtà sarà visibile l’impossibilità di manifestare la sua pena che pure era evidente pochi minuti prima. Il suo servizio, il compito da svolgere non gli consentirà alcuna interruzione né alcun cedimento alle sue personali esigenze.

Difatti, appresa la notizia non si recherà nella stanza del padre per rendergli omaggio, sostenendo d’essere molto occupato. E quasi a giustificarsi con la governante dice:

“Vi prego, Miss Kenton, di non voler giudicare eccessivamente sconveniente il fatto che io non venga a vedere mio padre proprio nel momento in cui è deceduto. Ma, vedete, sono certo che egli avrebbe desiderato che non interrompessi il servizio proprio ora” (p. 130).

7. Una prima sintesi riflessiva

Il romanzo è pieno d’esempi che mettono in risalto l’assoluta

professionalità del maggiordomo che reprime ogni sua emozione, ogni suo

pensiero per essere sempre all’altezza del suo compito di servizio. Non

prenderà mai in considerazione un suo stato d’animo se non in funzione della

sua missione. In diverse situazioni la sua attenzione, il suo comportamento, tutto

il suo atteggiamento, sarà indirizzato a compiacere Lord Darlington e tutti gli

ospiti che risiederanno nella casa: riderà se l’ospite farà una battuta scherzosa,

sarà contrito in tutti i casi in cui la situazione lo renderà necessario, cercherà in

ogni momento di rendere l’atmosfera della casa sempre asettica, priva di ogni

intemperanza, al riparo di ogni minimo imprevisto. In ogni situazione sarà

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inappuntabile e attento al controllo di ogni suo più remoto e inarticolato sentimento. Non un granello di polvere doveva essere visibile, argenteria e specchi sempre lucidi, attenzione maniacale ad ogni più piccolo particolare. Il personale di qualità, presente ma invisibile, e una scrupolosità assoluta, volta a prevedere e anticipare ogni possibile problema o ogni difficoltà che dovesse attraversare la strada del suo padrone. La cura nel servizio comprenderà anche uno scrutare i sentimenti e i desideri del suo padrone al fine di sopire, per quanto possibile, ogni intralcio che la sua sola presenza avesse potuto determinare. Mr. Stevens calcola i suoi passi, gli spazi dove sostare in presenza di Lord Darlington, stabilisce con puntiglio se mettersi in una zona della stanza in ombra, e a quale distanza dal suo padrone; le parole da dire, la sua mimica facciale, l’abito suo e quello dei camerieri. Tutto e sempre gestito in funzione del benessere, dell’armonia, dell’occultare ogni possibile fatto che possa creare preoccupazioni o disagio per il padrone

1

.

E tuttavia il maggiordomo dopo la guerra e l’avvicendamento a Darlington Hall del nuovo proprietario Mr. Farraday, non mancò di negare di essere stato al servizio di Lord Darlington, cedendo, così, alla pressione dell’opinione di tanti che vedevano nel nobile britannico un traditore. Forse la sua grandezza e dignità, al di là delle discussioni intavolate nelle pause tra la servitù, si dimostrava accademica e pativa anch'essa l'erosione dovuta al momento storico cambiato.

In un altro episodio del romanzo, una signora, ospitata nella dimora storica di Mr. Farraday ebbe modo di percepire e di riferire al suo ospite che il maggiordomo gli appariva ‘un’imitazione’ così come le sembrava che l'intera dimora di Darlington Hall fosse anch’essa un’imitazione.

I tempi, dopo la seconda guerra mondiale, erano cambiati, e ogni cosa del vecchio mondo, quello che aveva portato a due guerre mondiali, era ormai al tramonto; tutto sembrava trasfigurarsi e precipitare nel vortice di una modernità, che Mr. Stevens stenta a capire, ma che cerca con tutte le sue forze di cogliere. Perfino i pilastri di questa grandiosa costruzione cominciavano a scricchiolare. Il vecchio mondo che le guerre avevano sepolto sotto le macerie, appariva ormai come una caricatura.

Prima della guerra, secondo Mr. Stevens, la perfetta lucidatura dell'argenteria poteva determinare atteggiamenti in grado di modificare il corso degli eventi che si svolgevano a Darlington Hall, dopo il secondo conflitto mondiale, tutto appariva un'imitazione, era falsificabile e perfino il palazzo, con le sue antiche mura, poteva essere ritenuto semplicemente una contraffazione.

1 Manifestare una vita impersonale, sembra essere il suo motto. Dello splendido libro di David Le Breton (2015). ‘Disparaître de soi’, riportiamo una citazione che sembra descrivere a mera- viglia la spinta di Mr. Stevens: “Egli ha preso congedo dalla sua antica personalità ed è diventato delibera- tamente inconoscibile. Alcune persone si disfanno così del loro centro di gravità, si lasciano scivolare nel non- luogo. L’impresa è quella di una annullare la propria nascita, di spogliarsi degli strati dell’identità propria per ridursi a minima, non per ricominciare a vivere, per rinascere, ma per cancellarsi con discrezione” (Breton, 2015: 23).

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Mrs. Wakefield, l'ospite di cui abbiamo fatto cenno, chiede a Mr. Stevens se le pietre e lui medesimo non fossero altro che una ‘imitazione’, mettendo in imbarazzo il nuovo Padrone che in seguito, preso anche lui dal dubbio, chiede:

“Intendo dire, Stevens, questa è davvero un'autentica, importante, antica dimora inglese, non è vero?

E' questo che ho comprato. E tu sei un autentico maggiordomo inglese vecchio-stile, e non uno di quei camerieri che servono a tavola e che si spacciano per uno di tali maggiordomi. Tu sei autentico, non è vero? Perché era questa la cosa che volevo. Non è quello che ho avuto?”

Che i tempi fossero ormai cambiati è testimoniato anche dal fatto che Mr.

Stevens, per adeguarsi al suo nuovo padrone s’ingegna anche a sostenere conversazioni spiritose

2

. Mr. Stevens capisce che il suo nuovo padrone è diverso dal precedente. Il vecchio maggiordomo comprende, condivide e incarna la dimensione antropologica dell’antico mondo britannico. Egli si sforza di aderire ai flussi dell’incipiente modernità, ma ne rimane profondamente estraneo. Rimane un soggetto dell'antico e in difficoltà con il moderno. Tutta la sua imperizia nasce dal conflitto irrisolto tra il vecchio che incarna e il nuovo che si sforza d'imitare. Abituato a vivere nell'ombra, nella discrezione e nel silenzio, si trova a disagio non appena il chiarore della democrazia lo rende visibile, non ha la velocità e la personale iniziativa che i tempi, in un certo modo, gli intimano, ma che per lui sono inarrivabili .

Lo stridore tra il vecchio e il nuovo lo stordisce, comprende che è tramontata un'epoca ma coglie solo la superficie, i dettagli del nuovo. La sua dignità che lo voleva invisibile è diventata incomprensibile, origine d'irrisione perché ritenuta tramontata, fuori moda.

Costruito sulla sua ossessiva dedizione al ruolo e al compito, abita la sua stanzetta, dove si rifugia in solitudine e dove Miss Kenton, con i suoi tentativi di renderla meno cupa, viene da lui percepita come invadente e minacciante.

Miss Kenton è la luce del sentimento che minaccia, in diverse occasioni, di far sorgere le emozioni, la vita oltre il compito che si è attribuito. Diverse volte, nei ricordi di Mr. Stevens s'insinua la presenza della governante di Darlington Hall. Più volte il maggiordomo si ritrova sorpreso in atteggiamenti, posture o semplici riflessioni che lo pongono ai margini della sua aspirazione alla dignità, come quando indugerà dietro la porta della stanza di Miss Kenton che forse (Stevens non ne è certo) piange per la morte della zia (p. 255). Mr. Stevens ha sempre un posto assegnato nella casa. Sa come muoversi, dove sostare convenientemente, quale spazio gli è appropriato, quando deve tacere e quando è tempo di parlare e soprattutto sa come tutto ciò deve svolgersi adeguatamente. Eppure con Miss Kenton è costretto a deragliare dai suoi

2 “Nel corso degli ultimi mesi ero andato dedicando un po’ di tempo e qualche fatica allo scopo di migliorare le mie capacità proprio in questo settore. In altri termini mi ero sforzato di aggiungere una simile competenza al mio bagaglio personale, allo scopo di soddisfare con fiducia tutte le aspettative di Mr. Farraday relative agli scambi di battute scherzose” (p.158-59). E’ così che il nostro maggiordomo inizia l’ascolto per radio di trasmissioni in cui i protagonisti fanno ‘commenti spiritosi, al fine di esercitarsi in modo conveniente.

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principi. In un passo del libro, Mr. Stevens a proposito della dignità la descrive con questa frase: “ Ho il sospetto che sostanzialmente consista nel non doversi togliere i panni di dosso in pubblico” (p. 254). Con Miss Kenton invece gli accade, anche se in momenti rari e particolari, di togliersi i panni di dosso, o, per la verità, di aver l'impressione di esser sul punto di dismetterli. Ebbene a parte che in momenti del tutto eccezionali, in cui sembra che ci sia un cedimento, ma da cui si riprende immediatamente, Mr. Stevens mostra soltanto alla fine una traccia della sua umanità. Essa affiorerà con prepotenza, ma con altrettanta forza dovrà essere ricacciata indietro.

8. Gli ultimi incontri

Al termine del suo viaggio incontrerà Miss Kenton, diventata dopo il suo matrimonio, Mrs. Benn. Dopo vent'anni e alcune crisi avute con il marito in tutti quegli anni, l'ex governante invierà una lettera a Mr. Stevens in cui sostiene di essersi allontanata dal coniuge. La donna lascia così intravedere una

‘inequivocabile nostalgia’ per gli anni passati a Darlington Hall ed ‘evidenti allusioni ad un suo desiderio di ritornarvi’. Così almeno ritiene Mr. Stevens: La ragione dichiarata del viaggio del maggiordomo ha quindi origine dal tentativo di riportare Miss Kenton al suo antico lavoro e di ricreare, sia pure in situazioni assai mutate, gli antichi splendori della casa.

Il capitolo conclusivo accoglierà proprio l'atteso incontro tra i due protagonisti dopo tanti anni passati lontano uno dall'altra e i tanti cambiamenti intervenuti.

Ciò che è nuovo sarà proprio la rivelazione di un sentimento che Mr. Stevens potrà consentirsi solo adesso e che soprattutto potrà, anche se solo per un momento, manifestare e riconoscere. I due s'incontreranno nella sala da tè del piccolo albergo, dove il maggiordomo ha preso alloggio.

L'atmosfera sarà cordiale e affettuosa e i due mostreranno ancora gli antichi caratteri che li hanno da sempre contraddistinti: Mr. Stevens il solito distacco dalle vicende umane, mentre Miss Kenton più partecipe dei fatti della vita, dei sentimenti anche nei riguardi di Mr. Stevens. Si scambieranno informazioni sugli ultimi avvenimenti e condivideranno il piacere di rivedersi dopo tanti anni. Miss Kenton lo informerà che desidera ritornare dal marito, uomo buono e saggio e dalla figlia che sta per avere un bambino. Tutto sembrerà ritornare nella consuetudine e il maggiordomo, com’è ovvio e prevedibile, approverà questo ritorno alla normale ripresa e prosecuzione dei loro rispettivi compiti.

Poi però si aprirà una breccia nel suo cuore. Sempre a suo modo e con tanta precauzione le chiederà:

“E' che rimane il fatto che non sembra che voi siete stata felice nel corso degli anni. Intendo dire –

perdonatemi – che voi avete preso l’iniziativa di lasciare vostro marito numerose volte. Se egli non vi

maltratta, allora, beh… ci si sente un po’ sconcertati quanto al motivo della vostra infelicità”.

(13)

Miss Kenton cerca di spiegare: “Immagino Mr. Stevens, che mi state chiedendo se amo o meno mio marito”. In quest’ultimo dialogo vi sarà la rivelazione della ragione del suo matrimonio: “credo che pensassi a quel gesto (la decisione di sposarsi e lasciare la casa) semplicemente come ad un altro stratagemma per farvi arrabbiare’. E di seguito un'altra affermazione rivelatrice: ‘ad esempio io mi scopro a pensare al tipo di vita che avrei potuto avere con voi” (p. 286).

Intervengono attimi di silenzio in cui Mr. Stevens accuserà il colpo e pur non reagendo immediatamente mostrerà delle difficoltà a ‘digerire’ le parole di Miss Kenton. Finalmente sarà in grado di ammettere a se stesso che per quelle parole ‘gli si stava spezzando il cuore’. In ogni caso il dialogo tra i due si concluderà con un addio e con l’amara ammissione che non è più possibile tornare indietro. “Può darsi che non c'incontreremo mai più” dirà Mr. Stevens, rassicurandola che per lui resterà sempre e comunque il suo lavoro; “ad attendermi non sarà il vuoto. Magari lo fosse. Ma, oh, no, ci sono lavoro, lavoro e poi ancora lavoro”

(p. 284).

Dopo la partenza di Miss Kenton, il nostro maggiordomo rimarrà sul molo, ad attendere il crepuscolo e le luci notturne che si accenderanno di lì a poco.

Accanto a lui si siederà un anziano signore. Nel corso della conversazione che seguirà, in cui Mr. Stevens sembrerà assorbito dai suoi pensieri, il suo vicino dirà di esser stato anch'egli un maggiordomo, in verità un lacchè, e questo risveglierà un certo interesse nel nostro. Nella conversazione che seguirà, Mr.

Stevens dichiarerà, commuovendosi e con qualche lacrima, di ‘aver dato tutto’

a Lord Darlington, di ‘essersi fidato della saggezza’ del suo padrone, di aver

‘creduto’ di fare qualcosa di utile. E' un istante di riflessione in cui egli si chiederà se quello che ha perseguito in tutti gli anni del suo servizio è stato ben investito. Ma è un attimo appena, cui farà seguito una ripresa orgogliosa delle antiche convinzioni. Ormai è anche per questo troppo tardi, non resterà che vivere quel che resta del giorno.

Termina in questo modo la vicenda narrata nel romanzo. L'adesione totale al ruolo professionale ricoperto è stata il credo assoluto di Mr. Stevens, anche se con qualche fugace ripensamento finale, quando però è ormai troppo tardi per poter ricominciare e perfino per porsi il problema. Il nuovo, la possibilità di una riflessione e di un cambiamento viene ricacciata indietro e il nostro maggiordomo si riprometterà d’impegnarsi a fondo con una ripresa degli antichi convincimenti riverniciati a nuovo. S’impegnerà ad acquisire ‘l'abilità di scambiare battute scherzose’... ‘con rinnovato impegno’ per poter riservare, al nuovo padrone, ‘una piacevole sorpresa’.

9. Ruoli, regole e processi storici dell’identità

Vivere fino in fondo il proprio ruolo professionale, rinunciare alla

propria soggettività, e identificarla con la professione, fare della regola una

forma di vita: questa è, in sintesi, la ‘dignità’, per Mr. Stevens.

(14)

Essere il maggiordomo di una grande casa, assumere un ruolo assai impegnativo comporta delle responsabilità affinché tutto si svolga in modo esemplare. Prevede quindi l’accettazione di regole e di consuetudini, connesse con l’edificazione di una professionalità che via via, si trasformerà in un modello d'esistenza, da cui non sarà più possibile derogare. La persona del maggiordomo è strutturata su un’adesione totale della vita privata nella regola professionale. Questo modello esistenziale ha antiche origini che provengono dall’evoluzione storica dell’Europa, e che possiamo rintracciare nella fondazione degli ordini monastici che, dal IV secolo dopo Cristo, si diffusero dapprima nel Medio Oriente e successivamente nell’Europa continentale.

Michel Foucault, nei suoi Corsi al Colleges de France degli anni 1979, 1980, 1981

3

e in tanti altri scritti minori, e Giorgio Agamben, nel suo libro dal titolo Altissima povertà (2011) ne tracciano la storia e ne indicano gli sviluppi per la modernità. E' possibile vedere in queste forme di vita qualcosa che appartiene e si dispiega in ogni ordine professionale, assumendo diverse forme nel corso del tempo, ma che hanno la loro radice in questa edificazione medievale, dal carattere sacro. Questo modello avrà la capacità di trasmettersi nella sua sostanza in ogni destino professionale fino alla modernità.

Le regole monastiche, sorte tra il IV e V secolo dopo Cristo, costituiscono un paradigma di base, il modello anche delle future professioni di cura. La mistica che spesso circonda la figura del medico, che lo vuole dedito alla cura dei sofferenti, è stata la regola dichiarata della professione e ci ricorda, per certi aspetti, quella del monaco. La cura delle anime come quella dei corpi, l'economia e la cura della casa (ambiente), sono elementi che hanno assunto un carattere peculiare anche nelle professioni laiche. Nella loro filigrana le professioni di cura hanno mantenuto una forma che discende dal carattere sacro della persona curante e dall’altrettanta sacralità della sofferenza.

Passano circa mille anni dagli esordi della costituzione delle regole monastiche e con San Francesco si giunge alla perfezione del modello. Il principio base nel cenobio è quello di vivere la vita in comune come un’arte, non ‘nel senso estetizzante dell’esistenza… ma di una definizione della propria vita in relazione ad una pratica incessante’ (Agamben, 2011: 47) che può essere riassunta in tre parole chiave (tria sustantialia): obbedienza, castità, umiltà.

Nel romanzo di Ishiguro queste forme le ritroviamo presenti e rigidamente rispettate dal maggiordomo che in diverse pagine ne discute, le osserva, ne fa il suo precetto e la misura della sua intera esistenza. Ubbidisce sempre alla sua regola che è costituita dal servizio al suo padrone e all'economia della casa.

Teorizza e attua personalmente la castità e finché rimane a servizio, fa professione costante di umiltà imponendola a tutto il personale. Soltanto nel suo viaggio, data la lontananza fisica da Darlington Hall, cede alla vanità, spacciandosi per qualcuno che appartiene a un rango sociale superiore, e

3 Michael Foucault (2013a, 2013b, 2014).

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sembra per un istante indulgere ai sentimenti, all'affetto, e alla nostalgia, verso Miss Kenton, ormai avviata verso un'altra esistenza.

Stevens piega l’intera sua esistenza alla regola. Tuttavia, se nella regola monastica il paradigma dei francescani è il Vangelo, la vita di Gesù, e in subordine verso il fondatore dell'ordine, nel caso del maggiordomo la ricerca del paradigma è ancora una questione aperta, in via di una possibile definizione. Cosa realmente spinge Mr. Stevens, che alla fine del romanzo, dopo un leggero sbandamento, dice che vuole continuare come ha sempre vissuto, per quel che (gli) resta del giorno? E' evidente che il maggiordomo ha fatto del servizio la sua regola commisurandola alle personalità dei suoi due padroni che provengono da due diversi ordini sociali: la nobiltà britannica del tutto inserita in una tradizione millenaria, e la liberalità del padrone americano, intrisa di principi più moderni e democratici.

Agamben nel primo saggio di Signatura rerum (2008), esaminando il pensiero di Kuhn, Kant, e soprattutto quello di Melandri e Foucault, indica la maniera attraverso cui il paradigma si produce per analogia. E’ il singolo caso a essere indicato come un modello “che costituisce una regola che, come tale, non può essere né applicata né enunciata” (Agamben, 2008: 23). Solo in momenti successivi la regola assumerà la forma di un testo scritto e diventerà la guida per il monaco. La regola, in un primo periodo, corrisponde alla forma vitae, ossia è derivata dal modo di vita del fondatore. Di conseguenza nel caso delle comunità monastiche, “non vi è nel paradigma, un'origine o un'arché: ogni fenomeno è origine, ogni immagine è arcaica” (Agamben, 2008: 33). Del resto il Principio vero è sempre riposto in Dio, nel Cristo e nei Vangeli. Il fondatore di un ordine monastico, che si tratti di Cassiano, di San Benedetto o di San Francesco, possiede sempre come principio ispiratore, la Divinità. Ogni cosa o regola scritta ha in questo punto immutabile il suo antecedente, che si presenta come mistero da comprendere e da interpretare.

Le regole monastiche si riferiscono al modo di vivere, alla sua forma e non a una prassi. E' un habitus che via via si acquisisce attraverso un lungo esercizio, non è un insieme di contenuti cui uniformarsi.

E così nelle discussioni sulla dignità, che si susseguono nel corso del nostro

romanzo, nei pensieri e nei ricordi di Mr. Stevens ritrovare il senso della dignità

è compito paradigmatico proposto e illustrato attraverso diversi esempi di

grandi maggiordomi che istituiscono la regola e il modello. La dignità di un

maggiordomo deriva dai tanti esempi prodotti per analogia. Nel romanzo le

narrazioni degli episodi rilevanti di ‘dignità’, sono il frutto di un'elaborazione

collettiva, spesso rievocati nel corso di pranzi in comune; sono tentativi di

comprensione e ricapitolazione, attraverso l'ostensione di casi singoli, di

un'idea che peraltro sfugge sempre ai tentativi di una persuasiva

concettualizzazione. Non vi è per il maggiordomo un riferimento trascendente,

ma subentra in sua vece la capillare organizzazione umana del compito. Non si

tratta di fissare un corpus di regole e prescrizioni, ma dimostrare, attraverso

l'esempio delle biografie dei predecessori, un possibile paradigma della dignità.

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Le conversazioni tra gli addetti al servizio costituiscono il punto di riferimento, l'elemento narrativo dedicato alla costruzione di una specifica tecnologia del sé (Foucault, 1992) che ha come specifico obiettivo la realizzazione del perfetto maggiordomo, così come esso si deve realizzare. Non vi sono testi sacri cui fare riferimento, ma singoli esempi di professionalità eccelse da cui trarre insegnamento

4

.

10. Il paradigma delle professioni

La logica interna del cenobio, inteso come comunità di vita, e il suo concre- to svolgersi costituisce anche il paradigma da cui è derivato il mondo delle pro- fessioni moderno. Da Cassiano a San Benedetto, da Pacomio a S. Francesco, senza dimenticare lo specifico degli ordini femminili, tutti questi fondatori e molti altri ancora costruirono, in un'epoca disordinata e priva di riferimenti so- ciali, un modello di società, di collettività sociale che influenzerà la costruzione degli stati nazionali e anche la formazione delle moderne organizzazioni di la- voro. Alcuni elementi di edificazione di questo modello e dei dispositivi tecnici da esso derivati, vanno ripresi per comprendere il substrato fondativo delle professioni così come si sono articolate e definite nella realtà odierna.

Cercherò dunque di ordinare alcune delle suggestioni che provengono dal mo- dello monastico e di coglierne almeno qualche ricaduta nell’organizzazione del lavoro, come si è articolato nel mondo moderno, almeno per quel che riguarda le professioni di cura.

Nel 1979-80 Foucault tiene le sue lezioni al Collège de France che saranno trascritte e pubblicate nel volume dal titolo ‘Del governo dei viventi’ in cui sviluppa il tema dei regimi di verità e della confessione come elemento fondamentale nella costruzione della soggettività in Occidente.

Nella lezione del 23 gennaio Foucault distingue tra l’aleturgia

5

oracolare e l’aleturgia religiosa ‘che da lontano pronuncia i suoi decreti eterni’ (Foucault, 2014: 57) una verità che ci arriva d’altrove, che ha le sue origini nel sacro o nel sacralizzato, e un altro tipo di veridizione legata al soggetto, all’ego, ossia ‘che gira intorno all’autos, all’io stesso’.

Se gli dei hanno certezza della verità, agli uomini è solamente concesso l’indizio, il segnale. In sintesi da una verità esterna, sacra e indubitabile si transita verso un’altra verità che deve essere sempre interpretata e analizzata e di cui non si possiede alcuna duratura e stabile certezza.

4 Diverse volte Mr. Stevens indica in una società, la Hayes Society, non solo la fonte della sua ispirazione, ma anche il luogo dove venivano discussi i temi importanti per la professione di maggiordomo, come quello della dignità, allo scopo di darvi una forma, uno statuto. Tuttavia è palese l’insoddisfazione del nostro, circa i risultati raggiunti da questa associazione.

5 Con questo termine, in una sintesi forse troppo stringente, deve intendersi la ‘manifestazione della verità’.

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Nella successiva lezione del 30 gennaio Foucault si adopera a definire più precisamente il suo obiettivo che è quello derivante dal rapporto con il potere, con i regimi di verità, ossia di ciò che obbliga e impegna rispetto a una verità.

Nello sviluppo del suo pensiero ciò che Foucault propone “consiste nel cercare di far giocare sistematicamente non la sospensione di tutte le certezze ma la non-necessità del potere, qualunque esso sia” (Foucault, 2014: 85). Il regime di verità che sottopone alla nostra attenzione è quello “in cui si trovano gli individui quando devono stabilire un rapporto di conoscenza permanente con se stessi, l’obbligo di scoprire in fondo a se stessi i segreti che sfuggono loro, l’obbligo di manifestare infine queste verità segrete e individuali”

(Foucault, 2014: 91).

La questione riguarda la cultura occidentale cristiana e il governo degli uomini cui è richiesto non solo obbedienza e sottomissione, ma anche di aderire ad una verità riguardo a se stessi, di dire il vero rispetto a se stessi. I propri desideri, le proprie colpe, i propri segreti, le condizioni dell’anima diventano in questo modo l’oggetto d’attenzione principale del lavoro di scavo nel tentativo di aderire al regime di verità che forma il soggetto moderno nell’occidente cristiano. Il cenobio si costituisce, nel corso del medio evo, come l’incubatore di un nuovo modo di plasmare l’uomo e la sua identità, che progredendo e sviluppandosi darà luogo a un modello di soggettività che ancora oggi mostra la sua forma e la sua potenza nella costruzione d’individui atti a rappresentare le richieste, dichiarate o nascoste, del potere. Il carattere essenziale della costruzione della soggettività nell’istituzione monastica consiste non solo nell’esposizione della colpa commessa, ma soprattutto nell’esplorazione di se stessi, “nel far passare se stessi dalla non conoscenza alla conoscenza” (Foucault, 2014:

229) di se stessi. L’istituto della confessione ha proprio questa funzione. Nei cenobi tutto un sistema articolato di procedure (la regola) renderà possibile la formazione del nuovo soggetto. L'habitus, l'horologium, la fuga dal mondo e, in particolare la confessione saranno gli organizzatori psichici che daranno luogo alla costruzione di un prototipo di persona, di soggettività che avrà un influsso decisivo nella determinazione di successivi modelli del sé.

I monaci avranno un peso religioso, politico, culturale per l’intera società dell'epoca, diventeranno i consiglieri dei potenti, le guide spirituali del tempo, i conservatori e sviluppatori della conoscenza e del sapere e ancora oggi è visibile il loro lascito e la loro influenza nella società contemporanea, sia negli aspetti organizzativi, sia in quelli connessi alla costruzione delle soggettività.

Foucault (1976) ritiene che il rituale della confessione e l'impulso alla ricerca della verità, sviluppato nel cenobio, abbia assunto nel mondo moderno anche la forma della regolarità scientifica, attraverso un lungo, ma costante processo

6

.

6 Foucault, enumera diversi modi attraverso cui la confessione diventa discorso scientifico. A noi qui serve ricordare ciò che si riferisce più direttamente al metodo clinico. La trasformazione si è realizzata: “Attraverso una codificazione clinica del 'far parlare': combinare la confessione con l'esame, il racconto di se stessi con il dispiegamento di un insieme di segni e di sintomi decifrabili:

l'interrogatorio, il questionario rigoroso, l'ipnosi con l'evocazione dei ricordi, le associazioni libere: (si tratta) di altrettanti mezzi per far rientrare la procedura della confessione in un campo di osservazioni scientificamente

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Ripensare allora alla costruzione del rituale della confessione può essere un esercizio che aiuta a comprendere alcuni aspetti del funzionamento del potere, in particolare del modello medico, e per quello che c'interessa, del potere nella pratica psicoanalitica.

11. Analisi del sé e processi di formazione

Una prima sottolineatura riguarda l'esame di sé del monaco che si concentra principalmente sui suoi pensieri e non sulle sue azioni: il monaco suggerisce Foucault deve esaminare costantemente e con attenzione “i movimenti quasi impercettibili del pensiero, la permanente mobilità dell'animo” (Foucault, 2012: 78).

Pur indicandone qualche differenza tra Freud e Cassiano

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, ossia tra la censura, come operatore di falsità e l'esame di sé (discretio) come operatore di verità, Foucault ritiene che il confronto tra i due metodi, se condotto con serietà, cosa che esula dai suoi programmi nella conferenza citata, porterà sicuramente ad un campo di ricerca promettente. I pensieri per Cassiano, devono essere sottoposti a un esame di verità, devono essere sempre considerati con sospetto, e sottoposti a un costante processo ermeneutico. Cassiano esclude, da questo processo, gli atteggiamenti, i desideri, le passioni e gli atti, concentrandosi sul pensiero che può essere facile preda d'infiltrazione diabolica. Tra le regole della correzione Cassiano ritiene necessaria la penitenza pubblica ed enumera tutte le colpe di cui il monaco per negligenza o per errore potrebbe macchiarsi:

attardarsi nell’esecuzione di un compito, mormorare ‘anche solo un po’ ‘, parlare anche solo un po’ “con chi non è suo compagno di cella” (Cassiano, 2007: 104)

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. L’impegno del monaco è rivolto alla sorveglianza scrupolosa delle possibili infiltrazioni diaboliche, non solo attraverso una vita condotta in modo esemplare, ma anche mediante un accurato controllo dei pensieri. Vi sono diversi esempi riportati da Cassiano in cui un’apparente santità, se portata agli estremi, nasconde pericolose minacce diaboliche sotto la forma di una mostra di sé e della propria virtù. E’ importante, per il monaco, la temperanza (l’humilitas), evitare ogni eccesso anche nella santità. I libri dal V al XII delle Istituzioni si dedicano in particolare ai vizi e alle loro cause: l’ingordigia, la fornicazione, l’avarizia, l’ira, la tristezza, l’acedia, la vanagloria e la superbia,

accettabili’ (Foucault, 1976: 60). Poi aggiunge: “attraverso il principio di una latenza intrinseca della sessualità’ si costituisce un discorso oscuro oltre che velato dalla decenza. Infine ‘attraverso la medicalizzazione degli effetti della confessione”. Il sesso non è più soltanto colpa, ma anche malattia, perversione, morbosità, ecc.

7Giovanni Cassiano, vissuto dal 360 d.C. al 435 fu fondatore di diversi monasteri, scrisse De Istitutis Coenobiorum e Collationes, preziosi documenti che ricostruiscono la vita cenobitica e in particolare la formazione del monaco.

8 Quanto è, in linea di principio, escluso, dalle cure del monaco, rientra invece nel privilegiato campo ermeneutico psicoanalitico. L’analisi delle emozioni, dei desideri in genere a quanto fa parte del mondo interiore, com’è noto, costituisce l’interesse specifico della psicoanalisi.

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sono tutti vizi che minacciano l’humilitas del monaco. E’ interessante la lettura di questi libri perché essi danno uno spaccato, attraverso molteplici esempi del modo attraverso cui è possibile scovare e contrastare le tendenze malefiche che albergano nell’animo umano, come affermato nella 1° lettera ai Corinzi 4,5:

“spezzando le porte della nostra ignoranza e rompendo le spranghe dei vizi che ci escludono dalla vera conoscenza (la parola di Dio) ci farà penetrare nei nostri misteri più segreti e… ci rivelerà, dopo averci illuminati, i segreti delle tenebre e manifesterà le intenzioni dei cuori”

(Cassiano, 2007: 4-5).

E’ per tali ragioni che l'opera incessante di analisi del pensiero, secondo Cassiano, può essere efficacemente condotta solo esponendola al maestro, o al direttore spirituale, che grazie alla sua esperienza potrà dirigere il monaco verso la verità ed evitargli di cadere in errore.

Il processo di formazione del monaco e la sua finale accoglienza nel cenobio, se, e quando avverrà, comprenderanno prove assai dure, e si svolgeranno per un periodo di tempo molto lungo

9

. Ciò che conta è che il monaco non smetta mai di conformarsi a una disciplina, che è articolata nei principi di patientia, oboedientia e humilitas

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. Tutto ciò culmina nell'incessante obbligo di dire tutto, di riferire tutto al proprio padre spirituale. In tutto il mondo Cristiano, queste virtù, più attenuate e rese compatibili con modelli di vita più moderni, conserveranno, in tutti i casi, una grande importanza e influenzeranno in massimo grado la costruzione dell’identità del soggetto occidentale.

12. Ermeneutica del Sé, maturazione del soggetto, verità

È proprio l’atto della verbalizzazione che possiede la virtù della verificazione e che consente, inoltre, il processo ermeneutico del sé; ed è grazie alla confessione che si ottiene la liberazione. Per questa ragione il principio monastico della confessione, diventerà, attraverso le opportune modifiche in diversi campi disciplinari (medico, giuridico, psicoanalitico) l'elemento cardine dell'ermeneutica del sé e delle tecniche a essa correlate. Tecniche che per Foucault costituiscono la maniera attraverso cui si rende possibile il controllo della soggettività nel tempo del governo ispirati dai principi del liberalismo.

9 Nel IV capitolo de ‘Le istituzioni cenobitiche’ Cassiano con precisione enumera tutti gli strumenti di ‘formazione di coloro che rinunciano al mondo’. Si tratta di un vasto campione di regole e consigli suffragati da esempi tratti dalle vite d’illustri monaci, che indicano con preci- sione le forme della formazione, i precetti da rispettare, le umiliazioni, le regole di correzione cui sono sottoposti gli aspiranti candidati. Uno dei metodi riguarda l’insegnamento da impartire ai giovani, affinché non nascondano agli anziani alcun pensiero diurno o notturno. Il nascon- dere un pensiero all’anziano “è indizio evidente di un pensiero diabolico” (Cassiano, 2007: 96).

10 Nella lezione del 19 marzo 1980 (tr. It. 2014) Foucault riguardo all'obbedienza dice che nella sua struttura è contenuta la substitio, la sottomissione. La sottomissione, è la forma generale della relazione con gli altri, la pazienza è l'atteggiamento nei confronti del mondo esterno e infine l'umiltà, è il rapporto con se stessi.

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Un altro aspetto importante, ai fini proprio del governo dei soggetti, e dell’edificazione della soggettività, è legato alla direzione delle anime e delle coscienze.

È fondamentale per questo rimettersi alle decisioni dell’altro, per tutti quegli aspetti del privato che “sfuggono sia al vincolo politico sia all’obbligo giuridico”

(Foucault, 2014: 232). In ciò risiede la grande novità della direzione per cui la volontà dell’uno cede liberamente la propria sovranità all’altro, al suo direttore.

Dice espressamente Foucault “Io non cedo la mia volontà, continuo a volere, continuo a volere fino in fondo, ma a volere punto per punto e in ogni istante ciò che l’altro vuole che io voglia” (Foucault, 2014: 233). Le due volontà non spariscono, ma rimangono legate in modo che l’una vuole ciò che vuole l’altra. Si tratta dell’accettazione di un forte legame laddove non vi è un contenuto specifico, ma esso è legato proprio al tipo di relazione che s’istaura tra i due. Lo scopo di un tale legame è

‘la perfezione e la tranquillità dell’animo, la beatitudine, un certo rapporto di sé con sé”

(Foucault, 2014: 234). Il processo di soggettivazione nel doppio significato di

‘essere soggetto’ e di ‘essere assoggettato’ si compie in questo modo che potremmo considerare ‘dolce’ senza cioè che sia manifesta una protervia del potere, in modo sottile e penetrante e per molti aspetti senza consapevolezza del soggetto.

La confessione è quindi il modo di concentrare l'attenzione non tanto sulle azioni che il soggetto compie, ma sul suo mondo interno, sui pensieri e la loro fragilità rispetto all'attacco del diabolico e, in un secondo momento, sui desideri, sugli atteggiamenti, sulle immagini, dove la ricerca di ciò che è vero, o di ciò che è autenticamente vero rappresenta la reale finalità da perseguire. Con il monachesimo si apre quindi la porta sul mondo interiore degli uomini, sul controllo e la correzione dei loro pensieri, sul dominio delle emozioni, delle manifestazioni nascoste e inconsapevoli degli individui.

Il mondo greco-romano si era fermato sulle azioni compiute e su quelle che rimanevano inattese, su ciò che era visibile e sulla corrispondenza tra le azioni e i propositi

11

.

Con il monachesimo si apre, con l’esame di sé, la porta ai pensieri oscuri ed equivoci

12

, alla ricerca di quegli elementi, di quelle tracce che possano rivelare gli ostacoli verso la verità e indicare il cammino da seguire. Non si è mai certi del percorso reale dei pensieri, né se essi seguano un cammino di verità. Al fine di pervenire alla verità occorre sempre prestare un’attenzione particolare ai meccanismi più reconditi della mente, alle ragioni nascoste della sua opacità, perseguendo un continuo lavoro di svelamento.

11 Su questo cfr. G. Ruvolo, ‘Il narcisismo e la Polis. La lezione di Alcibiade e lo scacco di Socrate’ e la bibliografia in esso contenuta.

12 Foucault (2012), sempre a proposito del suo commento a Cassiano, dice: “I pensieri di qualunque genere essi siano, hanno una origine recondita, radici oscure, aspetti segreti, e il ruolo della verbalizzazione è precisamente di dissotterrare ‘e portare alla luce’ queste origini e questi aspetti” (Foucault 2012: 86).

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13. Soggettività e habitus

Il processo di soggettivazione e di formazione delle coscienze non si limita soltanto ai pensieri e alla loro articolazione oscura e ingarbugliata. Vi sono altri elementi che concorrono alla costruzione del modello di soggettività che riguarda la cristianità, ma che poi si estenderà a tutto l’Occidente.

Fino al 581 i monaci non indossavano un abito particolare, un saio che li potesse distinguere nettamente dai laici. Dalla fine del 500 comincia la distinzione tra i vestimenta e l’habitus, ossia tra il vestirsi secondo la moda del tempo, a volte anche in modo ricercato, o, al contrario, indossare un abito che rivela, con certezza, per la sua semplicità e povertà, l'appartenenza a un ordine monastico. ‘Habitus’ inizialmente indicava l'abitare, il vivere in un luogo e conteneva anche il possesso. Il vivere nello stesso luogo ha comportato non soltanto l'abbandono di quegli abiti secolari che ciascuno indossava, ma anche l’assunzione, con il vestirsi del saio, di un nuovo modello di vita.

Sull’importanza dell’habitus e sulla sua simbologia riportiamo qui solo un esempio: il cordone dei monaci, da indossare sia di giorno sia di notte, simboleggia la castità, il fatto che ogni istinto debba essere trattenuto.

La cintura, come recita Cassiano, ha un significato spirituale: “questa cintura è in se stessa un segno concreto del grande compito che gli è richiesto” (Cassiano, 2007: 44), ossia la mortificazione delle passioni e della carne così da “renderlo più fedele all’obbedienza e al lavoro” (Cassiano, 2007: 44). Ovviamente non solo la cintura, ma anche il cappuccio, il saio, i calzari portano con sé un valore simbolico e indicano, ancora una volta, un vero e proprio modo di vivere (forma vitae). Ogni elemento dell’habitus ha sempre un carattere simbolico assai pregnante fino al punto che è passato, nel modo di dire popolare, che ‘l’abito fa il monaco’.

14. La formazione della coscienza e l’esperienza personale

Il formarsi di una coscienza rende indispensabile perseguire una ferrea scansione temporale, un’articolazione severa del tempo del giorno e della notte (horologium) che determina il ritmo all’intera esistenza del monaco, ne costituisce l'ossatura, affinché la sua vita si possa trasformare in un ufficio rigoroso. E’

scandito, com’è noto, il tempo di lettura e quello della preghiera, il tempo del lavoro e quello del riposo. Il cenobio doveva funzionare in modo autonomo e autosufficiente così anche il ritmo del lavoro manuale assume una forte rilevanza spirituale, e deve essere regolato da una scansione temporale idonea

13

.

13 “La continuità della scansione temporale, interiorizzata nella forma di una perpensatio horarum, di un'articolazione mentale dello scorrere delle ore, diventa qui l'elemento che permette di agire sulla vita dei singoli e delle comunità. […]. E se noi siamo oggi perfettamente abituati ad articolare la nostra esistenza secondo tempi e orari e a considerare anche la nostra vita interiore come un decorso temporale lineare omogeneo e non come un alternarsi di unità discrete ed eterogenee da misurare secondo criteri etici e riti di passaggio, non

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Anche in questo caso è possibile vedere che ciò che si attua attraverso la metrica temporale è qualcosa che è stato traslato nella moderna organizzazione di lavoro dove l’articolazione del ritmo impresso al lavoro e alla scansione delle pause, discende proprio dal modello dell’organizzazione cenobitica.

Nella regola benedettina, al capitolo XLVIII si legge:

“L’ozio è nemico dell’anima perciò i fratelli, in tempi stabiliti, devono attendere al lavoro manuale: in altre ore, pure assegnate, alla sacra lettura” (p. 197).

Segue un vero e proprio ordine temporale del giorno in cui le attività di lavoro, preghiera, lettura e riposo sono disposti rigidamente in una successione scandita dalla regolarità. In seguito la regola recita:

“E se la necessità del luogo o la povertà li costringe a badare essi stessi ai raccolti, non se ne contristino: perché sono veri monaci appunto quando vivono con il lavoro delle loro mani come i nostri padri e gli Apostoli” (p. 197-198).

Lo spirito del capitalismo, secondo Max Weber è correlato alla riforma protestante, che pone l’enfasi sulla condotta mondana e sul razionalismo economico. In realtà, nell'organizzazione del lavoro cenobitico è possibile ritrovare un più antico e già compiuto modello di organizzazione produttiva che impegna le coscienze. Del resto questo è noto. Vi è un rapporto stretto tra regole monastiche e organizzazione, tra lavoro e stili di vita, tra attività e santificazione. I cenobi sono stati luoghi dove per diversi secoli scienza, arte, produzione e organizzazione costituivano un insieme ben diretto, spesso autosufficiente, ma alle volte, aperto ai commerci e agli scambi verso il mondo esterno. Nei cenobi, o accanto ad essi sono sorti i primi ospizi, luoghi di ricovero per i bisognosi, di cure per i malati e anche centri, dove trovare un accompagnamento pietoso verso la morte. Sono nate in quei luoghi, le prime farmacie, le prime aziende di produzione e di scambio, sono state sviluppate molte tecnologie adatte al funzionamento organizzativo. L’importanza del monachesimo nella costruzione del mondo moderno è inconfutabile. E tuttavia ciò esigeva anche la costruzione di una particolare soggettività attraverso tecniche e procedure che hanno reso gli uomini governabili, in particolare attraverso un controllo e una vigilanza che ciascuno operava costantemente su se stesso.

Della confessione e del suo uso, del suo significato nei termini di ‘dire il vero’, inteso come costruzione ermeneutica del sé, abbiamo già parlato. Qui lo ricordiamo per rimarcare ancora una volta, che l'insieme delle pratiche cenobitiche (habitus, horologium, confessione) si costituì come un potente organizzatore del soggetto moderno: per potere essere liberi, per potere essere autonomi, era necessario che ciascuno avesse come obiettivo stringente, il governo di sé, dei propri pensieri e delle proprie emozioni. Era necessario che

dobbiamo tuttavia dimenticare che è nello horologium vitae cenobitico che tempo e vita sono stati per la prima volta intimamente sovrapposti fino quasi a coincidere” (Agamben, 2008: 37).

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