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L'arte isolana è racchiusa nella tela di una filigrana [file.pdf]

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Sardegna – pag. 4 22 ottobre 2006

L’arte isolana è racchiusa nella tela di una filigrana

MANUALITÀ E FANTASIA PER I GIOIELLI SARDI SI STA APRENDO UNA FASE DI CREATIVITÀ NUOVA CON BUONE RICADUTE COMMERCIALI

L’unico figlio d’arte è Sandro Pira, 42 anni. Il padre Simeone, ceramista in quella esemplare fucina del saper fare sardo chiamata Dorgali, era a sua volta figlio di Ciriaco allievo del grande scultore nuorese Francesco Ciusa. Sandro, nella bottega di orafo, ritrova il dna paterno.

Ma anziché impastare argille lavora la filigrana a nido d’ape creando gioielli, ci inserisce coralli e pietre preziose, firma spille, orecchini, braccialetti, croci. Abbina le tecniche artigianali del tempo che fu al processo moderno della microfusione. Diploma all’Istituto d’arte di Nuoro, a contatto per anni con l’artista Giuseppe Todde, oggi lavora con la moglie Elisa Mascia, col fratello Sergio di 38 anni e con Denise, ventottenne. «Ogni anno utilizzo tra i cinque e dieci chili d’oro. I prodotti vanno, sono apprezzati, la clientela è raffinata, ha gusto. Siamo soddisfatti». Maurizio Secchi, 43 anni, è di Nuoro, ha messo bottega in via Angioi, vicino al Man, il Museo d’arte più giovane d’Italia e preso a modello per tutti gli altri musei.

L’influsso positivo e creativo del Man può giovare. Anche in questo laboratorio c’è rigore e metodo, alle pareti un diploma all’Istituto d’arte, anni di pratica con l’artista Maria Conte, con artigiani di Alghero. Così è nato “L’etoile Modus auri”, boutique dove Maurizio lavora con la moglie Alessandra Mascia. «Dieci, dodici al giorno a far gioielli, la nostra collezione si chiama Archè, l’intreccio dei moduli perviene magicamente a una forma sferica e la sfera aurea diventa modulo essenza del gioiello».

C’è del nuovo e c’è manualità e fantasia nel sentir parlare i gioiellieri sardi di oggi, gli eredi dei mitici Antonio Mastroni di Oliena, di Gianpaolo Arrais di Cagliari, del bosano Vincenzo Valilonga, del sassarese Vincenzo Marini, di Tonino Patteri (figlio di Secondo Patteri, il primo artigiano-orafo iscritto all’albo professionale in provincia di Nuoro all’inizio del secolo). Sardi di città e campagna ieri, sardi di zone interne oggi, piena Barbagia e piena Ogliastra. Perché a Sandro Pira e Maurizio Secchi vanno non solo affiancati ma messi su un piedistallo tre nuove firme, non emergenti ma già emerse, del made in Sardinia: sono i moderni creatori di gioielli, Antonello Delogu, 47 anni, rione san Pietro di Nuoro e due ogliastrini, Mario Mereu di Baunei (38 anni) e Giancarlo Moi, cinquantenne di Ussassai con bottega a Barisardo. È questo terzetto ad aver spezzato l’esasperato individualismo sardo e aver dato vita a un progetto pilota comune che

«punta a innovare stili e tendenze dell’oreficeria sarda tra innovazione e tradizione». Un progetto unico, elaborato negli studi del Parco scientifico e tecnologico di Pula, con la collaborazione della Scuola di direzione aziendale della Bocconi. Dice Delogu: «Dobbiamo legarci a un design, la nostra tradizione, la nostra raffinata tecnica della filigrana deve portarci a competere nei mercati internazionali perché l’artigianato artistico sardo ha questa forza che le deriva da millenni di storia». Produrre per chi? «Non solo per i turisti, ma per il mondo».

Delogu-Mereu-Moi, guidati dal Consorzio 21 e dal Parco di Pula, hanno investito soldi di tasca propria e hanno affidato idee e manualità a uno dei miti della progettualità italiana, l’architetto milanese Angelo Mangiarotti, oggi 85.enne, uno dei guru del Politecnico, visiting professor a Chicago, amico di Max Bill. È Mangiarotti ad aver detto che «oggi l’uomo è già molto al di là di ciò che può fare la natura, i pezzi che si vedono sono impensabili in natura per dimensioni e spessore, ci sono delle qualità che solo l’uomo può dare al prodotto. Il mercato è un’altra cosa». Uno sguardo alle creazioni sarde: «Qui ci sono non le speranze, ma le certezze e i risultati di essere già andati aldilà dell’imitazione naturale; è probabilmente una questione storica. Cercare di dare un’espressione attuale alla produzione dei nostri tempi è nostro dovere, senza far finta di essere amanti del

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passato, perché un conto è amarlo un altro rifarlo». Linda Gobbi, sociologa laureata a Trento e docente di Tecniche di ricerca creativa all’università di Bologna, parlando durante il convegno-defilé di Pula, ha ribadito che è necessario “lavorare sulle tipicità profonde”. Nel settore artigianale «la Sardegna è evidentemente una miniera d’oro» ma vanno proposti «progetti ad alto contenuto estetico, con un’anima legata alla simbologia e all’autenticità. E il simbolo in Sardegna ha uno spirito antico che questi artisti hanno saputo e sanno interpretare». Ancora Mangiarotti: «La trama metallica diventa il segno riconoscibile di uno stile esclusivo ma comune. Ecco perché ho chiamato il progetto In Koro, perché c’è l’anima della comunità sarda». Giuliano Murgia, presidente del Consorzio 21: «L’intreccio del reticolo aureo rappresenta il legame degli artigiani con la terra da cui essi provengono ed è il simbolo moderno della rete, intesa come connessione e comunicazione tra persone. Questi artigiani hanno dimostrato che l’innovazione è necessaria e vincente». Bisognerebbe vederli questi oggetti d’oro del 2006, hanno l’anima sardo-nuragica eccome, la granulazione etrusca, c’è l’intreccio di un’Isola che vuole stare unita sì ma non rinchiusa, ci sono - per citare ancora Mangiarotti - «polifonia e terra, modulazioni e legami aurei». E c’è - aggiornato a quello che ormai è chiamato terzo millennio - il copyrigth dei Mastroni e dei Patteri, ma anche quello dei Manca e degli Antico, dei Contini e dei Tanda. Ma emergente soprattutto il Sardinian style dell’oro,

«oggetti preziosi che non hanno nulla del prodotto industriale, ma non ci limitiamo più a croci e medaglie, vogliamo misurarci con gli altri».

Nell’auditorium del parco di Pula sfilano modelle che più sarde e più elegenati non si può, sui loro splendidi décolleté i gioielli acquistano in splendore e in lucentezza. Pezzi unici apprezzati dal pubblico e che hanno il grande compito di invitare tutti gli artigiani all’innovazione. Antonio Sau, tonarese, uno dei massimi esperti del settore orafo, boutique nella piazzetta di Porto Cervo, può parlare delle “invasioni barbariche”

dell’artigianato sardo scopiazzato a Taiwan e Singapore, «hanno creato la contraffazione dell’arte sarda, hanno usato la nostra storia per manipolarla, per storpiarla». Dice che negli artigiani sardi «c’è anche rilassatezza, è difficile metterli insieme, è difficile fare quantità, ma se non facciamo quantità a chi vendiamo? Due, dieci pezzi all’anno? E questa è economia? Se è vero che il futuro deriva dal passato, al futuro dobbiamo pensare». E allora che fare? Continuare a farsi confezionare le fedi sarde a Valenza, ad Arezzo? Tristemente riciclarsi da artigiani in bottegai di terza serie? È su questo dilemma che il Consorzio 21 ha lavorato sodo. C’era da realizzare un progetto, mettere insieme gli artigiani, aprire una strada, dare uno sbocco. A coordinare il tutto c’è una giovane economista del Consorzio 21, Francesca Murru. Con lei l’equipe che dà servizi reali alle imprese («complessivamente - ha detto Murgia - abbiamo dato 3500 prestazioni»). Con Francesca lavorano Sabrina Orrù, Giuseppina Soru e Ninni Grimaldi. Non basta. Occorre un inventore. Ed ecco la consulenza di un ingegnere meccanico laureato brillantemente a Cagliari, progetti per la Keller di Villacidro, per aziende medie e piccole dell’hinterland milanese, due anni a San Antonio nel Texas per la produzione di componenti elettromeccaniche. Il quesito è semplice ma impegnativo: si può creare un macchinario che agevoli e acceleri il lavoro degli orafi? Costaglioli gira per i laboratori di mezza Europa e mezza Italia, ha un’illuminazione nell’osservare una macchina che sforna le molle poer materassi. Al Consorzio 21 di Pula tra l’altro c’è un pezzo importante che si chiama

“Prototipatore rapido”. Si può allora pensare a un prototipo figlio del nuraghe? Costaglioli si ferma nelle botteghe di Delogu, di Mereu e di Moi. Va da Perra e da Secchi. Dice Costaglioli: «Così nasce un prototipo di macchina con sistema di saldatura laser per la produzione di moduli complessi in filigrana d’oro, è una macchina adattabile per diversi moduli con costi modesti di nuove attrezzature».

E i benefici per l’artigiana? “Permette buoni produzioni orarie sufficienti per alimentare un interessante numero di artigiani”. Sugli schermi corrono le immagini del brevetto tutto sardo. Un grande economista, Bastianino Brusco, ne avrebbe cantato mirabilia. Lavora la macchina, intrecciano le mani degli artigiani, il pezzo finito è bello, carico di fascino, vedi che è sardo nell’anima.

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«Con queste innovazioni restiamo fedeli alla tradizione», dice Delogu nella sua bottega del rione San Pietro di Nuoro dove, col marchio «Ceazioni Antonello» firma quattromila pezzi all’anno. Con lui lavorano Daniela Pinna (moglie e socia), la sorella Adriana, Mario Rubeddu, Francesco Piras, Eugenia Musina. Tradizione e innovazione nella bottega “Sa naccara” (l’orecchino) di Mario Mereu a Baunei. Con la moglie Maria Campus di Torpè crea la collezione Lissus (è un pezzo del telaio sardo), Corria (la stringa di pelle dello scarpone dei pastori) e Buttu (il pezzo centrale delle ruote del carro per i buoi): E gli affari? «Girano bene, d’estate lavoriamo a Santa Maria Navarrese, trasformiamo in media due chili d’oro all’anno». Con Giancarlo Moi - bottega a Barisardo rione Cuccuau - la via dell’oro si chiama emigrazione. Nato nel’56, all’età di dodici anni è già a Vicenza, studia alla scuola “Arti e mestieri”, lavora in diverse aziende orafe, è ragazzo di bottega anche dai fratelli Menegatti. «Metto insieme teoria e pratica, a 15 anni mi offrono la prima busta paga, imparo l’incisione, la modellistica, l’incassatura, l’incastonatura. Rientro e da autodidatta imparo la tecnica della filigrana. Con me lavorano mia moglie Carla Balbo, mia figlia Lisa di 24 anni, mio fratello Giuseppe di 37 e Mauro Congiu, 24. Tutti eccellenti artigiani, anzi artisti». E i prodotti? «Lavoriamo anche l’argento, oggetti scaramantici, apotropaici, i Cocos con la pietra di ossidiana, i Nudeus scatoline per preghiere che devono il loro nome all’agnus Dei, Su spuligantes (lo stecchino da denti) e Su Schirinchizzi (un vetro cavo nel broccato incapsulato in argento con tre campanelle)».

Antonello Delogu, portavoce del trio InKoro, sale su un palco e parla davanti a tanti esperti. Si insiste sul design, delle necessità di portare aria nuova nell’artigianato. C’è un omaggio all’architetto Mangiarotti. Che ieri, al telefono dalla sua casa di Milano, ha detto di aver lasciato «piena libertà a questi giovani che hanno idee e genio, sanno fare un uso corretto dell’oro dando alle loro opere un linguaggio unico ma profondamente legato alla storia millenaria sarda». Sono gli artigiani-artisti che porteranno nel mondo le trame sarde in oro usando anche un macchinario progettato nei laboratori di Piscina manna tra i monti e il mare di Pula.

Giacomo Mameli

Riferimenti

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