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OCCORSI NEL MEDITERRANEO E PERMESSI DI SOGGIORNO PER PROTEZIONE SPECIALE.
APPUNTI FANTAGIURIDICI INTORNO ALL’ART. 1, D.L. 130/2020*
Vico Valentini
1. Ringrazio anzitutto il Presidente e gli Onorevoli deputati, presenti e collegati da remoto, per la bella occasione concessami. Cercherò di essere il più ‘avalutativo’
possibile, per quanto parlare di immigrazione sia un po’ come parlare di biodiritto:
difficile farlo neutralmente, senza cioè tradire una precisa visione personalistica, in questo specifico caso – non partitica ma – politica.
Ci proverò, limitandomi a qualche rilievo tecnico e, al più, di politica criminale e del diritto.
Il mio focus sarà l’interazione fra i doveri di soccorso marittimo ed i nuovi divieti di respingimento con correlativo accesso, che anzi chiamerei diritto, ai permessi di soggiorno per protezione speciale1.
Divieti (di respingimento) e diritti (ai titoli di soggiorno speciali) che, a loro volta, sono legati a doppio filo: le ragioni che innescano i divieti2, infatti, sono le stesse che giustificano il rilascio dei titoli. Lo ribadisce chiaramente il nuovo comma 1.2.
* Testo rivisto e integrato dell’intervento svolto avanti la I^ Commissione Affari Costituzionali della Ca- mera dei deputati nell’ambito dell’esame del disegno di legge di conversione del ‘decreto sicurezza-immi- grazione’ (d.l. 130/2020), audizione informale del 6.11.2020, in https://webtv.camera.it/evento/17054.
1 ‘Protezione speciale’ che, all’evidenza, è istituto sostanzialmente omologo alla ‘protezione umani- taria’ espunta dal d.l. 113/18: in tema, v. Diritto di asilo e accoglienza dei migranti sul territorio, Servizio Studi – Camera dei deputati, in www.temi.camera.it, 29.10.2020; Decreto-legge immigrazione e sicu- rezza pubblica – D.L. 113/2018, Dossier 9.11.2018, Servizi Studi Senato della Repubblica e Camera dei deputati, in www.senato.it; A. CAMILLI, Come cambiano i decreti Salvini sull’immigrazione, in www.internazionale.it, 6.10.2020; M.NOCI, Migranti. Scende a tre anni il termine per definire le ri- chieste di cittadinanza, in www.ilsole24ore.com, 26.10.2020. Sulla sussistenza di un vero diritto alla concessione del titolo di soggiorno umanitario, cfr. la casistica di legittimità riportata in Disposizioni urgenti in materia di immigrazione e sicurezza – D.L. 130/2020, Dossier 28.10.2020, Servizi studi Senato della Repubblica e Camera dei deputati, in www.senato.it.
2 Anche di espulsione e di estradizione: che però, presupponendo che lo straniero si trovi già nel territorio nazionale, sono concettualmente irriferibili alle operazioni di salvataggio in mare con conse- guente ingresso dei migranti-naufraghi nel perimetro territoriale domestico.
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dell’art. 19 TUImm3: «ove ricorrano i requisiti di cui ai commi 1 e 1.1.», ove, cioè, risulti integrata una fattispecie di non respingimento, il Questore, previo parere – che sappiamo essere vincolante4 – o, comunque, su impulso della Commissione territo- riale, «rilascia un permesso di soggiorno per protezione speciale».
Insomma: quando non si può respingere, si deve concedere un permesso per pro- tezione speciale5, da oggi di durata biennale6, è ciò – come pure già prevedeva il d. lgs.
25/2008 – anche là dove sia stata rigettata la domanda di protezione internazionale previamente proposta.
2. Dunque mi concentrerò sull’art. 1 d.l. 130/2020, che appunto ospita entrambi i blocchi normativi.
Qualcuno dirà: sei un penalista, il diritto internazionale del mare e il diritto am- ministrativo non sono i tuoi settori. È un’audizione tecnica, parla di ciò che – più o meno – conosci.
In verità, però, non si tratta di un vero fuoripista: perché il penale non è solo criminalizzazione ma anche giustificazione, come è accaduto e accade per i doveri di soccorso marittimo di matrice internazionale generosamente riconosciuti dalla giuri- sprudenza7; e perché il d.l. 130/2020 introduce anche in punto di salvataggi in mare ritocchi penalistici, sostituendo l’agguerrito arsenale sanzionatorio amministrativo con un (molto) meno preoccupante corredo punitivo-penale8.
Dicevo: i due corni normativi – soccorsi marittimi e disciplina dei permessi spe- ciali in caso di divieto di push back – mi sembrano destinati a interagire, e tale intera- zione, che potrebbe impattare in modo significativo sulle politiche di accoglienza, è
3 Inserito appunto dall’art. 1, co. 1, lett. e, n. 2, d.l. 130/2020, e replicante in parte qua l’art. 32, co.
3, d.lgs. 25/2008.
4 Ne dà atto anche il Decreto-legge immigrazione e sicurezza pubblica – D.L. 113/2018, Dossier 8.10.2018, Servizi Studi Senato della Repubblica e Camera dei deputati, in www.senato.it, 14 s.
5 Così, sostanzialmente, anche la Relazione illustrativa al disegno di legge di conversione, 5.
6 Art. 2, co. 6, lett. e, n. 2.1., d.l. 130/2020.
7 Finora, infatti, è stata la magistratura penale ad essersi principalmente occupata delle attività di soccorso nel Mediterraneo: per un affresco sistematico aggiornato, v. S.ROSSI, Il sistema penale della navigazione, Trento, 2020, 224 ss.
8 Per i vettori che violano i divieti interministeriali di passaggio nel mare territoriale, infatti, sono oggi previste la sanzione detentiva ex art. 1102 c.nav. ed una multa da 10.000 a 50.000 Euro. Nel senso di un alleggerimento della risposta sanzionatoria, anche L.BRIGIDA, La (mancata) discontinuità del nuovo “Decreto immigrazione”: alcune riflessioni in tema di soccorso marittimo, in www.fabbricadei- diritti.it, § 2.2.
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sollecitata proprio dall’ampliamento dei divieti di respingimento: che, d’ora in poi, scatteranno anche là dove il respingendo rischi di patire, nello Stato di destinazione, trattamenti inumani o degradanti, oppure là dove l’allontanamento ne pregiudichi la vita privata e familiare9.
3. Divieti/limiti di transito o sosta nel mare territoriale10, anzitutto. Cosa cambia?
In sostanza, non cambia nulla: si riafferma che, nell’ipotesi già prevista dalla no- stra normativa sub-costituzionale (art. 19, par. 2, lett. g, Conv. Montego Bay), vale a dire nel caso di trasporto marittimo di stranieri irregolari, è possibile vietare-limitare l’ingresso del vettore nel mare territoriale; e si conferma quanto già imponeva il diritto internazionale: che quell’alt non può essere opposto alle operazioni di soccorso di per- sone che rischiano di affogare, aggiungendosi poi che quelle operazioni, per godere del via libera e andare esenti dal divieto, vanno immediatamente comunicate al MRCC e allo Stato di bandiera – come del resto già avviene di prassi – e debbono essere di- simpegnate «nel rispetto delle indicazioni della competente autorità per la ricerca e soccorso in mare» (art. 1, co. 2, d.l. 130/2020).
Alcuni Colleghi, ma anche la stampa, hanno enfatizzato l’innesto di tali adem- pimenti comunicativo-operativi da parte dei soccorritori11; personalmente, li ritengo essenzialmente irrilevanti: il diritto internazionale, infatti, già vieta di condurre i mi- granti salvati dalle acque in ‘luoghi insicuri’ e, quindi, già autorizza le navi soccorritrici a sorvolare sulle ‘indicazioni’ che confliggono con quel divieto; e già grava tutti gli Stati interessati all’evento SAR – competenti e costieri – di un autonomo dovere di cooperazione alle attività di salvataggio, fermo restando che lo Stato che per primo
9 Tali divieti di push back, dunque, si aggiungono a quelli già previsti per i casi di persecuzione e tortura: art. 19, comma 1.1., TUImm. nuova form.; in tema, cfr. G.MENTASTI, L’ennesimo ‘decreto im- migrazione-sicurezza’ (d.l. 21 ottobre 2020, n. 130): modifiche al codice penale e altre novità, in www.sistemapenale.it, 23.10.2020.
10 Non sono più previsti divieti/limitazioni interministeriali allo ingresso nel mare territoriale, come pure sottolinea il citato Dossier del 28.10.2020 (33), ma mi pare un’espunzione priva di ricadute con- crete: giacché la condotta di ‘transito’ nel mare interno implica di necessità quella di (previo) ‘ingresso’.
11 Cfr. ad es. il documento A.S.G.I. Alcune luci e molte ombre nel decreto-legge n. 130/2020 in materia di immigrazioni e asilo: è indispensabile fare subito modifiche importanti, in www.asgi.it, 4.11.2020, 2, 6, secondo cui tali adempimenti comunicativo-logistici sarebbero obbligatori e, perciò, il relativo inadempimento rischierebbe di proiettare nell’area dell’illiceità i soccorritori che agiscono nel rispetto delle norme internazionali, ad esempio rifiutandosi di obbedire alla ‘indicazione’ di riportare i traghettati sulle coste libiche.
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riceve notizia della criticità (cd. primo contatto) deve comunque assumerne il coordi- namento – e, quindi, ‘dare indicazioni’ – finché non subentrino le Autorità formal- mente competenti12.
Tutto come prima, dunque: ai soccorritori non può essere vietato l’ingresso nel mare nazionale.
4. Ecco, se si fosse davvero voluto chiudere la partita, evitando di lasciare campo libero al giudice (specie) penale, sarebbe stato necessario positivizzare pure l’obbligo statale di autorizzare lo sbarco degli ex candidati naufraghi – o, se preferite, il diritto di chi ha rischiato (ma non rischia più) di perdersi in mare di essere condotto sulla terraferma.
Questo il comma 2 dell’art. 1 d.l. 130/2020 non lo prescrive: dice ‘non puoi vie- tare ai soccorritori di entrare nel mare territoriale’ – che, peraltro, è un segmento di- verso dalle acque interne – ma non dice ‘devi consentire lo sbarco delle persone soc- corse sulla terraferma’. E non lo prescrive perché, a bene guardare, non lo prescrive neppure la legge internazionale del mare: con la quale, perciò, il decreto di imminente conversione si pone perfettamente linea.
4.1. Cosa significa ‘soccorso marittimo’ nell’ambito del diritto internazionale?
Quali sono contenuti, perimetro e limiti di quest’attività che, per regola generale, non può essere osteggiata, ma va anzi agevolata e supportata? Al riguardo, sarò di necessità telegrafico.
Il soccorso marittimo è un cimento bifasico.
Il primo step consiste nel pick-up di chi rischia di perdere la vita in mare, nel salvataggio, cioè, di persone-vascelli che versano in condizioni di distress13; e questo è senz’altro un dovere cogente gravante su qualsiasi capitano che solca qualsiasi mare:
12 In tema, fra gli altri, v. F.DE VITTOR, Il diritto di traversare il Mediterraneo...o quantomeno di provarci, in DUDI, 2014, 63 ss.
13 A sua volta denotato da una serie di indici oggettivi e soggettivi, quali la mancanza di «scorte sufficienti», di personale esperto nella navigazione o di strumenti di comunicazione; la presenza di con- dizioni meteo avverse; il sovraccarico dell’imbarcazione; le condizioni di particolare vulnerabilità (mi- nori, donne incinte, malati), et sim: A.PROELSS (cur.), United Nations convention on the law of sea. A commentary, München-Oxford, 2017, 185, 728.
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salvare – nei limiti dell’esigibilità, s’intende – chiunque sia esposto a un concreto pe- ricolo di lesione dell’incolumità individuale. La condizione di candidato naufrago di- vora dunque quella di straniero irregolare: le persone che rischiano affogare non sono più clandestini, ma donne e uomini in pericolo che vanno salvati.
C’è poi una seconda fase. Il soccorritore deve condurre gli sventurati sottratti alle acque in un ‘posto sicuro’ (cd. place of safety o POS): che, sempre secondo il puro diritto internazionale del mare, è un posto – non necessariamente un porto né, tanto meno, un suolo – in cui quel pericolo non è più apprezzabile14. Le nozioni di distress e place of safety, quindi, nascono come speculari: il primo evoca un pericolo per l’in- columità fisica; il secondo descrive un luogo in cui quel pericolo non c’è più.
Semplice, chiaro, lineare. Scontato, perciò, che un vascello che rischia di affondare (es. un gommone sovraccarico) vanti il ‘diritto’ di penetrare il mare territoriale e le stesse ostruzioni portuali, con correlativo dovere statuale di consentire l’ingresso in rada.
E gli Stati interessati?
Sempre secondo il puro diritto internazionale del mare, gli Stati debbono coor- dinare le operazioni di prelievo e cooperare all’individuazione di un POS, ove è paci- fico trattarsi di obblighi di mezzi (di adoperarsi per identificare un posto sicuro…), e non già di risultato (…e non di rilasciare un porto-suolo sicuro).
Certo, vero è che i concetti di distress e place of safety, originariamente simme- trici, si sono andati via via – e virtuosamente! – disallineando15: nel senso che ‘mettere in sicurezza’ candidati naufraghi, oggi, significa non solo neutralizzare pericoli attual- mente incombenti sull’integrità fisica, ma anche scongiurare il futuribile rischio di patire gravi violazioni dei diritti basici; oggi, cioè, un place of safety è un posto in cui non si rischia (più) la vita e, in aggiunta, in cui non si praticano (direttamente) né si occasionano (indirettamente) gravi violazioni dei diritti umani. Un posto-ordina- mento, cioè, in cui vige il divieto di refoulement verso luoghi accertatamente allergici ai diritti fondamentali come Libia o Tunisia16.
14 Tanto che gli (ex) naufraghi possono essere considerati ‘safe’, ancorché temporaneamente, già a bordo della stessa nave soccorritrice (ove attrezzata) o di una diversa unità navale: così le Linee Guida MSC del 20.4.2004, § 6.14.
15 Grazie alla tendenza a rileggere la legge del mare alla luce del diritto internazionale dei diritti umani: S.TREVISANUT, voce Immigrazione [dir. int], in www.treccani.it,
16 V. per tutti G.BATTARINO, I campi di raccolta libici: un’istituzione concentrazionaria, in QG, 2/2018, 239 ss.; nonché le raccomandazioni del Commissario per i diritti umani del Consiglio d’Europa Live saved. Rights protected. Bringing the protection gap for refugees and migrants in the Mediterra- nean, in Dir. pen. cont., 20.6.2019, 27 ss.; a proposito della Tunisia, v. GIP Agrigento, ord. 2.7.2019, ivi, 3.7.2019, 9.
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Ma la legge del mare, a quanto mi risulta, non si è mai spinta espressamente oltre questo perimetro: una volta che i naviganti siano stati sollevati dalla loro condizione di naufraghi e/o di particolare vulnerabilità (minori, donne incinte), siano stati nutriti, alloggiati e se necessario curati, e non corrano il rischio di essere rispediti all’inferno, possono considerarsi ‘in sicurezza’17.
Breve: nella legge internazionale del mare, sia pure ‘umanizzata’, manca una re- gola che prescrive nitidamente ed esplicitamente di (far) sbarcare persone già tratte in salvo sulla terraferma di un predeterminato Stato.
5. L’art. 1, co. 2, d.l. 130/2020, quindi, replica la legge internazionale: non co- mandando, appunto, di consegnare persone già safe alla terraferma.
Tuttavia, quell’obbligo di consegna – ed è qui che vorrei richiamare la Vostra paziente attenzione – rischia di essere generato dalla sinergia fra la lettura human- rights-oriented di POS e il combinato ex art. 19, co. 1.1. e 1.2. TUImm. cui facevo riferimento poc’anzi: proprio perché il realistico pericolo («fondati motivi di ritenere che») di essere condotti o ricondotti in posti in cui regnano disumanità e degrado in- nesca oggi il divieto di refoulement e, al contempo, dà diritto a un permesso ‘speciale’.
Come si fa, infatti, a consentire allo straniero non respingibile di richiedere il permesso di soggiorno per protezione speciale, se non portandolo a terra?
Il mio pronostico, insomma, è che il nuovo comma 1.2. dell’art. 19 TUImm. fi- nirà per costituire uno di quei frammenti regolativi (esattamente come il comma 1 dell’art. 10-ter, per intenderci)18 da cui cavare un obbligo implicito di introiezione sul suolo: un tassello normativo, cioè, che verrà utilizzato dalla giurisprudenza per sup- plire alla mancanza di un’omologa regola di fonte internazionale.
17 In questo senso, del resto, anche Corte EDU, 25 giugno 2019, Rackete e altri c. Italia, in Dir. pen.
cont., 26.6.2019, la quale, adita dalla capitana e da alcuni migranti, ha ritenuto di non imporre allo Stato italiano di autorizzarne lo sbarco, confidando che le stesse Autorità nazionali avrebbero continuato «to provide all necessary assistance to those persons on board Sea Watch 3 who are in a situation of vulne- rability as a result of their age or state of health».
18 «Lo straniero [..] giunto nel territorio nazionale a seguito di operazioni di salvataggio in mare è condotto per le esigenze di soccorso e di prima assistenza presso appositi punti di crisi [..]». Ma lo stesso potremmo dire per nuovo il ‘Sistema Accoglienza Integrazione’, che il d.l. 130/2020 rende accessibile non solo ai titolari di protezione internazionale e ai minori non accompagnati, ma pure ai richiedenti protezione internazionale: cfr. Diritto di asilo e accoglienza dei migranti sul territorio, Servizio Studi – Camera dei deputati, cit., 5.
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5.1. Ebbene, nello specifico caso dei soccorsi nel Mediterraneo, ciò potrebbe si- gnificare che, se non funzionano – o non funzionano tempestivamente – gli accordi di burden sharing fra Stati ‘amici dei diritti umani’, tutti i migranti salvati dal mare do- vranno essere condotti sul suolo nazionale, affinché possano esercitare il diritto di col- tivare una domanda di permesso di soggiorno per protezione speciale.
È un’affermazione forte, mi rendo conto, ma nasce da una realistica presa d’atto:
nel corridoio euro-africano, la riconduzione degli stranieri alle coste di partenza è pra- ticamente sempre illegale, è regolarmente integrata, cioè, una fattispecie di non re- spingimento – verso il degrado e la disumanità dei litorali libici e tunisini, appunto. E, come dicevo sopra, quando è vietato respingere (art. 19, co. 1.1., TUImm.), e non ci sono partner europei pronti a farsi carico dei trasportati (come pure accade sistemati- camente), si deve consentire loro di domandare un permesso speciale (nuovo art. 19, co. 1.2, TUImm.).
Così com’è, insomma, l’ordito rischia di superare la – già avanzatissima – mas- sima recentemente resa dalla Cassazione penale: che, nel ‘caso Rackete’, ha affermato che lo Stato coinvolto dall’evento SAR deve fornire un POS, per tale dovendosi inten- dere un suolo ove lo straniero scampato al naufragio possa esercitare il suo diritto di presentare una domanda di protezione internazionale19.
6. Mi avvio alla conclusione. Nel caso delle migrazioni via coste libiche o tuni- sine, il d.l. 130/2020, positivizzando la liaison fra divieti di respingimento ‘allargati’ e permessi speciali, potrebbe aprire a ingressi massivi sul suolo nostrano ogni qualvolta non funzioni il sistema delle quote.
Fantadiritto? Probabile, ma si tratta di fantasie in piena sintonia coi percorsi ese- getico-interpretativi cui ci ha abituato la casistica penale.
Possibili ingressi massivi sul suolo nostrano, dunque.
Anche permanenze (almeno) biennali?
È impensabile, si dirà, perché non è detto che i migranti di cui è vietata la ricon- duzione sulle coste nordafricane, e che vanno quindi portati a terra, qualora decidano
19 Cass. Sez. III, 20.2.2020, Rackete, in www.giurisprudenzapenale.com; sul punto, volendo, cfr. R.
FONTI,V.VALENTINI, Il caso Sea Watch 3 e il gioco delle tre carte: una decisione che non si condivide (proprio perché la si comprende), in AP web, 1/2020, 1 ss. In un certo senso, dunque, la S.C. dilata ulteriormente la nozione di POS: che diventa un suolo-ordinamento in cui non solo ci si astiene dal violare – mediatamente – i diritti umani (non refoulement), ma nel quale quei diritti sono positiva- mente riconosciuti e attuati.
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domandare il permesso ne siano anche automaticamente beneficiari. Figuriamoci, si aggiungerà, le Commissioni territoriali godono di ampi margini discrezionali e sono notoriamente avare20.
E però, pure qui occorrerebbe intervenire a scanso di equivoci, e distinguere (più) puntualmente i presupposti che azionano il divieto di push back a Tripoli dai pre- supposti che legittimano l’accesso al permesso per protezione speciale, magari riba- dendo, al comma 1.2. dell’art. 19 TUImm., che quei «requisiti di cui ai commi 1 e 1.1.»
debbono ricorrere (anche) «nel Paese di origine», anziché (solo) in quello di partenza21. Diversamente, le Commissioni territoriali avrebbero ben poco margine valuta- tivo: essendo pacifico, come si ripete, che nessuna persona può essere legittimamente rispedita sulle coste libiche, un titolo di soggiorno non potrebbe essere mai negato.
Non so se sia questa la volontà del legislatore storico; non so, cioè, se il Vostro progetto contempli sottotraccia uno ‘scivolo automatico’ verso l’ingresso e la perma- nenza sul territorio nazionale dei migranti salvati dal Mediterraneo.
So però per certo che le disposizioni normative, una volta abbandonata la fucina parlamentare, vivono di vita propria; e posso pure dire che il decreto legge, testual- mente, non esclude del tutto questi scenari. Vi invito perciò, rispettosamente, a riflet- tere sulla loro sostenibilità.
Grazie molte per l’attenzione.
20 Come attestano i dati in punto di protezione umanitaria: v. il Quaderno statistico 1990-2018 della Commissione Nazionale per il diritto di asilo, fra l’altro in www.viedifuga.org.
21 Similmente a quanto previsto dall’art. 2-bis, d.lgs. 25/2008, che a sua volta evoca l’art. 36 della direttiva 32/2013. Peraltro, e per inciso, ingressi e permanenze massivi e automatici dei migranti recu- perati dal Mediterraneo potrebbero essere generati pure da un’interpretazione aperturista del nuovo combinato disposto degli artt. 19, co. 2, lett. d-bis, TUImm., 32, co. 3.1, d. lgs. 25/2008 (permesso di soggiorno per cure mediche): essendo quel titolo divenuto accessibile anche in caso di «gravi condizioni psicofisiche», e versando regolarmente in tali condizioni chi ha rischiato la vita prendendo il mare.
Qualora, quindi, il permesso per cure mediche fosse esteso alle ipotesi di (non) respingimento alla fron- tiera, come invece pare escludere il testo ex art. 19, co. 2, TUImm. (che si riferisce alla sola espulsione: cfr. nt. 2), pressoché tutti i migranti salvati dal Mediterraneo ne avrebbero diritto.