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letta la nota in data XXX con cui il Presidente della Corte di Appello di XXX ha chiesto se l’art

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Academic year: 2022

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OGGETTO: Pratica n. 20/VQ/2021 - Note trasmesse dalla Settima Commissione in data 12 marzo 2021, concernenti:

- Quesito in merito alle modalità di applicazione ai magistrati dell'art. 87 D.L. n.18 del 17.3.2020, convertito con modificazioni, in L. n.27 del 24.4.2020.

- Quesito in merito alle "Linee guida agli Uffici giudiziari", con particolare riferimento al punto 4.2

"magistrati in quarantena o in isolamento domiciliare fiduciario".

(delibera 28 luglio 2021) Il Consiglio,

- letta la nota in data XXX con cui il Presidente della Corte di Appello di XXX ha chiesto se l’art.

87, comma 1, D.L. n. 18 del 17 marzo 2020 nella parte in cui equipara il periodo trascorso in malattia, in quarantena con sorveglianza attiva o in permanenza domiciliare fiduciaria con sorveglianza attiva siano equiparati al ricovero ospedaliero solo nel caso in cui i magistrati non abbiano tenuto udienza o abbiano effettuato turni di reperibilità e non abbiano documentato di avere eseguito la prestazione lavorativa nel luogo in cui si trovavano in quarantena o in permanenza domiciliare;

- letta ancora la nota in data XXX con cui il Presidente della Corte di Appello di XXX, rappresentata la circostanza che alcuni magistrati del distretto sono stati contagiati dal COVID 19 e altri sono stati posti erano stati costretti in quarantena con sorveglianza attiva o isolamento domiciliare, chiede se per costoro possa farsi ricorso al cosiddetto “lavoro agile” e, in caso negativo, quale sia l’istituto in forza del quale giustificare l’assenza; chiede inoltre - in caso di assenza per malattia - debba essere richiesto il congedo straordinario o altro istituto;

- letta altresì la nota in data XXX con cui il Procuratore di XXX chiede - in caso di assenza per malattia - come debba essere considerata l’assenza e se il congedo richiesto debba menzionare, o meno, la patologia COVID 19;

- letta inoltre la nota in data XXX con cui il Presidente della Corte d’Appello di XXX ha chiesto quale sia la posizione di quei magistrati che, costretti in quarantena con sorveglianza attiva o isolamento domiciliare, abbiano prestato attività lavorativa;

- visto il parere n. 158/2021 con il quale l’Ufficio Studi ha risposto al quesito che la Quarta Commissione ha formulato all’Ufficio medesimo nell’ambito del presente procedimento; con esso la Quarta Commissione ha chiesto di conoscere se, tenuto conto delle limitazioni e della normativa introdotta in ragione dell’attuale situazione pandemica, i magistrati possano svolgere lavoro agile, e, in caso affermativo, con quali limiti; in particolare, la richiesta di parere ha riguardato i seguenti quesiti: a) se possa applicarsi l’art. 87, com. 1, del D.L. 18/2020, anche in considerazione delle diverse funzioni svolte (giudicati - civili, penale, lavoro - e requirenti) e delle ragioni dell’assenza (ad es. assistenza dei minori infraquattordicenni positivi al covid, isolamento fiduciario); b) se, nelle ipotesi di positività al Covid del magistrato, la giustificazione dell’assenza sia la medesima delle altre ipotesi di malattia (congedo straordinario, aspettativa per infermità) o ve ne siano anche di diverse e specifiche; c) se, nelle ipotesi di quarantena con sorveglianza attiva e permanenza domiciliare, il magistrato possa svolgere attività lavorativa e, in caso negativo, come debba essere giustificata l’assenza;

OSSERVA.

La normativa di riferimento.

L’art. 87 D.L. 18/2020, convertito con modificazioni dalla L. 24 aprile 2020, n. 27; art. 263 del D.L.

n. 34/2020, convertito con modificazioni dalla L. 17 luglio 2020, n. 77.

La norma fondamentale in tema di lavoro agile per ragioni connesse alla pandemia è l’art. 87 D.L.

n. 18/20 (convertito con modificazioni dalla L. n. 27/20).

Al comma 1 è previsto che il periodo trascorso in malattia o in quarantena con sorveglianza attiva o in permanenza domiciliare fiduciaria con sorveglianza attiva dai dipendenti delle amministrazioni di cui all’art. 1, comma 2, del D.lvo 30 marzo 2001 n. 165 “è equiparato al periodo di ricovero ospedaliero e non è computabile ai fini del periodo di comporto”.

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Parallelamente l’art. 26, comma 1, del D.L. citato, per i lavoratori del settore privato, equipara, ai fini del trattamento economico, la quarantena e la permanenza domiciliare fiduciaria, entrambe con sorveglianza attiva, alla malattia, con esclusione della computabilità ai fini del periodo di comporto.

Il secondo periodo dell’art. 87, comma 1, dispone inoltre che, fino alla cessazione dello stato di emergenza epidemiologica da Covid 19 ovvero fino a una data antecedente, stabilita con decreto del Presidente del Presidente del Consiglio dei Ministri, su proposta del Ministro per la pubblica amministrazione, il lavoro agile è una delle modalità ordinarie di svolgimento della prestazione lavorativa nelle Pubbliche Amministrazioni di cui all’art. 1, comma 2, del D.Lvo 165/01. Il lavoro agile è applicato nella modalità semplificata, nel senso che prescinde dall’accordo individuale e dagli obblighi informativi (art. 87, comma 1, lett. b) e può essere svolto con l’utilizzazione di strumenti informatici nella disponibilità del dipendente (art. 87, comma 2).

Il comma 3 dell’art. 87 stabilisce ancora che, per il caso in cui non sia possibile svolgere lavoro agile, anche nella forma semplificata di cui al comma 1 lett. b), e per i periodi di assenze dal servizio determinate dai provvedimenti di contenimento del fenomeno epidemiologico, le Pubbliche amministrazioni utilizzano gli strumenti delle ferie pregresse, del congedo, della banca ore, della rotazione e di altri analoghi istituti; esaurite tali possibilità, è possibile motivatamente esentare il personale dal servizio, con equiparazione di tale periodo a quello di lavoro ordinario e con esclusione della sola indennità sostitutiva di mensa, ove prevista.

Integrando tali indicazioni, l’art. 263 D.L. n. 34/20, convertito, con modificazioni, dalla L. n. 77/20, ed ulteriormente modificato con il D.L. del 30 aprile 2021, n. 56, ha, poi, inteso garantire la continuità dell’azione amministrativa e la celere conclusione dei procedimenti, assicurando che le amministrazioni di cui all’art. 1, comma 2, citato adeguino l’operatività di tutti gli uffici pubblici alle esigenze dei cittadini e delle imprese connesse al graduale riavvio delle attività produttive e commerciali.

A tal fine, la norma ha previsto che le Amministrazioni, “sino alla definizione del lavoro agile dai contratti collettivi, ove previsti, e, comunque, non oltre il 31 dicembre 2021”, in deroga alle misure di cui all’art. 87, comma 3, del D.L. 18 citato, organizzano il lavoro dei propri dipendenti e l’erogazione dei servizi attraverso la flessibilità dell’orario di lavoro, rivedendone l’articolazione giornaliera e settimanale, introducendo modalità di interlocuzione programmata, anche attraverso soluzioni digitali e non in presenza con l’utenza, applicando il lavoro agile, con le misure semplificate di cui al comma 1, lett. b) dell’art. 87, e, comunque, a condizione che l’erogazione dei servizi rivolti a cittadini ed imprese avvenga con regolarità, continuità ed efficienza, nonché nel rigoroso rispetto dei tempi previsti dalla normativa vigente.

L’art. 26 del D.L. 18/2020. I lavoratori in condizioni di fragilità.

Il D.L. n. 18/2020, all’art. 26, riserva una speciale disciplina ai lavoratori in condizioni di fragilità, che il comma 2 definisce come “i dipendenti pubblici e privati in possesso di certificazione rilasciata dai competenti organi medico-legali, attestante una condizione di rischio derivante da immunodepressione o da esiti da patologie oncologiche o dallo svolgimento di relative terapie salvavita, ivi inclusi i lavoratori in possesso del riconoscimento di disabilità con connotazione di gravità ai sensi dell’articolo 3, comma 3, della legge 5 febbraio 1992, n. 104”1.

Ai sensi del comma 2-bis dell’art. 26 (introdotto dal D.L. n. 104/2020, convertito con modificazioni dalla L. 13 ottobre 2020, n. 126), i lavoratori dei due settori, pubblico e privato, in condizione di fragilità, “a decorrere dal 16 ottobre 2020 e fino al 30 giugno 2021,… svolgono di norma la prestazione lavorativa in modalità agile, anche attraverso l’adibizione a diversa mansione ricompresa nella medesima categoria o area di inquadramento, come definite dai contratti collettivi vigenti, o lo svolgimento di specifiche attività di formazione professionale anche da remoto”2. Se la prestazione lavorativa non può essere resa in modalità agile, il periodo di assenza

1 Tale nozione è contenuta anche nell’art. 2, comma 2 del decreto del Ministro per la Pubblica Amministrazione del 19.10.2020, ove si precisa che il “lavoratore fragile” richiamato nel predetto decreto viene definito tale con esclusivo riferimento alla situazione epidemiologica.

2 Tale norma si colloca nel solco della previsione dell’art. 39 del D.L. n. 18/2020, a mente del quale fino alla cessazione dello stato di emergenza epidemiologica da COVID-19 i lavoratori dipendenti disabili nelle condizioni di cui all’articolo 3, comma 3, della legge 5 febbraio 1992, n. 104, o che abbiano nel proprio nucleo familiare una persona con disabilità nelle condizioni di cui all’articolo 3, comma 3, della legge 5 febbraio 1992, n. 104 (comma 1) ovvero i lavoratori immunodepressi e i familiari conviventi di persone immunodepresse (comma 2-bis) hanno diritto a svolgere la prestazione di lavoro in modalità agile ai sensi degli articoli da 18 a 23 della legge 22 maggio 2017, n. 81, a condizione che tale modalità sia compatibile con le caratteristiche della prestazione.

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dal servizio finalizzato a preservarne la salute è equiparato, sulla base di un certificato medico, al ricovero ospedaliero, così che i lavoratori non debbano subire decurtazioni economiche.

I periodi di assenza dal servizio non sono computabili ai fini del periodo di comporto e, per i lavoratori in possesso del predetto riconoscimento di disabilità, non rilevano ai fini della erogazione delle somme corrisposte dall’I.N.P.S. a titolo di indennità di accompagnamento.

L’art. 26 cit. da ultimo è stato modificato, ai commi 2 e 2 bis, dal D.L. n. 41/2021, convertito dalla L. n. 69/213: per il caso in cui la prestazione lavorativa non possa essere svolta in modalità di lavoro agile, è stato prorogato sino al 30 giugno 2021 il diritto dei lavoratori in possesso di certificazione rilasciata dai competenti organi medico legali, attestante una condizione di rischio derivante da immunodepressione o da esiti di patologie oncologiche o dallo svolgimento di relative terapie salvavita, ivi inclusi i lavoratori in possesso del riconoscimento di disabilità con connotazione di gravità, ad assentarsi dal lavoro, con equiparazione del periodo di assenza a degenza ospedaliera; è stato poi espressamente previsto che, a far data dal 17 marzo 2020, il suddetto periodo non deve essere computato ai fini del termine massimo previsto per il comporto.

Solo i lavoratori fragili di cui all’art. 26, comma 2, del D.L. n. 18/2020 possono svolgere di norma la prestazione lavorativa in modalità agile, anche attraverso l’adibizione a diversa mansione ricompresa nella medesima categoria o area di inquadramento, come definite dai contratti collettivi vigenti; ove non sia possibile il lavoro agile, il lavoratore fragile sarà assente dal servizio, con equiparazione di tale periodo al ricovero ospedaliero sulla base di un certificato medico.

L’art. 26 citato, nel riferirsi ai dipendenti pubblici, rinvia al comma 2, che non richiama l’art. 1, comma 2, D.Lvo 165/2001. Il suo ambito di applicazione deve pertanto ritenersi esteso a tutte le categorie dei dipendenti pubblici. Del resto la previsione è espressione di principi generali di rilievo costituzionale (artt. 4, 32 e 38 Cost.) e anche il Consiglio, nella risoluzione del 4 novembre 2020, ha ritenuto che dette disposizioni, nei limiti della compatibilità, debbano applicarsi anche ai magistrati.

Malattia, quarantena e permanenza domiciliare fiduciaria. La malattia.

In relazione al rapporto di lavoro, la malattia è l’evento da cui deriva un’impossibilità allo svolgimento dell’attività lavorativa non imputabile al lavoratore; con la conseguenza che questi, assolto l’onus probandi mediante l’invio del certificato medico attestante l’esistenza dello stato morboso, ha diritto alle prestazioni previste all’art. 2110 c.c., e cioè la conservazione del posto di lavoro, l’accredito figurativo della contribuzione, il trattamento economico.

Nel caso dell’epidemia da Coronavirus, la malattia ricorre in caso di documentata infezione da SARS-CoV-2. L’art. 26 del D.L n. 18 del 2020, infatti, prevede che “qualora il lavoratore si trovi in malattia accertata da COVID-19, il certificato è redatto dal medico curante nelle consuete modalità telematiche, senza necessità di alcun provvedimento da parte dell'operatore di sanità pubblica”.

In questo caso il soggetto è collocato in malattia e in isolamento, ossia separato dal resto della comunità per la durata del periodo di contagiosità, in ambiente e condizioni tali da prevenire la trasmissione dell’infezione per periodi che variano sulla base delle situazioni differenti.

La quarantena (D.L. 6 del 2020 art. 1, comma 2, lett. h (abrogato) e D.L. 19 del 2020, art. 1, comma 1, lett. d).

La quarantena è imposta a una persona sana nella situazione di “Contatto stretto” di un caso probabile o confermato di Covid-19.

In base alle indicazioni del Ministero della Salute, i contatti stretti di casi con infezione da SARS- CoV-2 confermati e identificati dalle autorità sanitarie, devono osservare: 1) un periodo di quarantena di 14 giorni dall’ultima esposizione al caso, oppure; 2) un periodo di quarantena di 10 giorni dall’ultima esposizione con un test antigenico o molecolare negativo effettuato il decimo giorno.

La permanenza domiciliare.

3 V. art. 15 del D.L. n. 41 del 22 marzo 2021 : “All'articolo 26, del decreto-legge 17 marzo 2020, n. 18, convertito, con modificazioni, dalla legge 24 aprile 2020, n. 27, sono apportate le seguenti modificazioni: a) al comma 2, al primo periodo, le parole «Fino al 15 ottobre 2020» sono sostituite dalle seguenti: «Fino al 30 giugno 2021, laddove la prestazione lavorativa non possa essere resa in modalità agile ai sensi del comma 2-bis,» e, dopo il primo periodo è aggiunto il seguente: «((A decorrere dal 17 marzo 2020, i periodi di assenza dal servizio di cui al presente comma non sono computabili ai fini del periodo di comporto; per)) i lavoratori in possesso del predetto riconoscimento di disabilità, non rilevano ai fini dell'erogazione delle somme corrisposte dall'INPS, a titolo di indennità di accompagnamento..»; b) al comma 2-bis, le parole «16 ottobre e fino al 31 dicembre 2020» sono sostitute dalle seguenti: «16 ottobre 2020 e fino al 30 giugno 2021».

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La permanenza domiciliare fiduciaria, cioè la permanenza non coattiva, con controlli per la verifica delle condizioni di salute, é eventualmente attuata per le persone che hanno soggiornato o transitato, nei quattordici giorni antecedenti all'ingresso in Italia, in alcuni Stati o specifici territori indicati da diverse disposizioni normative (ad esempio l’ordinanza del Ministero della salute del 12 agosto 2020 come integrata dall’ordinanza del 21 settembre 2020, oppure l’articolo 6 del DPCM del 13 ottobre 2020).

Il D.L. n. 19/2020, all’art. 1, comma 2, lett. d), ha stabilito che, per contenere e contrastare i rischi sanitari derivanti dalla diffusione del virus COVID-19, possono essere adottate, secondo principi di adeguatezza e proporzionalità al rischio effettivamente presente su specifiche parti del territorio nazionale ovvero sulla totalità di esso, diverse misure, tra le quali la lett. d) prevede l’“applicazione della misura della quarantena precauzionale ai soggetti che hanno avuto contatti stretti con casi confermati di malattia infettiva diffusiva o che entrano nel territorio nazionale da aree ubicate al di fuori del territorio italiano”. L’art. 6, comma 10, D.L. n. 18/2020 fa poi riferimento alla permanenza domiciliare per disciplinare l’acquisizione di strutture per ospitarvi le persone in sorveglianza sanitaria e isolamento fiduciario o in permanenza domiciliare. All’istituto fa, poi, riferimento l’art. 26 del D.L. n. 18/2020.

La sorveglianza attiva.

La sorveglianza attiva è una misura in base alla quale l’operatore di sanità pubblica provvede a contattare quotidianamente, per avere notizie sulle condizioni di salute, la persona in sorveglianza.

L’applicazione ai magistrati del lavoro agile, l’assenza per COVID e l’attività lavorativa in quarantena e permanenza domiciliare.

La disciplina applicabile al rapporto di lavoro dei magistrati.

Fatte queste premesse, anzitutto ai magistrati non si applica l’art. 87, comma 1, D.L. n. 18/20.

La norma, infatti, indica testualmente il lavoro agile come una delle modalità ordinarie di svolgimento della prestazione lavorativa, unitamente ad una complessiva flessibilità dell’orario di lavoro (art. 263 D.L. n. 34/2020), solo per i dipendenti delle pubbliche amministrazioni di cui all’art. 1, comma 2, D.L.vo n. 165/2001, tra i quali non sono compresi i magistrati che, invece, rientrano nella categoria di cui all’art. 3, comma 1, del D.l.vo n. 165/2001. Del resto la normativa non si applica ai dipendenti di tutti gli enti pubblici.

Allo stesso modo, il decreto del Ministero della Pubblica Amministrazione del 19 ottobre 2020, dettando norme attuative sul lavoro agile emergenziale, all’art. 8, ha ribadito che le stesse “Si applicano alle amministrazioni di cui all’articolo 1, comma 2, del decreto legislativo 30 marzo 2001, n. 165” e, nel prevedere poi che “Le altre amministrazioni pubbliche, gli organi di rilevanza costituzionale, nonché le autorità amministrative indipendenti, ivi comprese la Commissione nazionale per le società e la borsa e la Commissione di vigilanza sui fondi pensione, ciascuno nell'ambito della propria autonomia, adeguano il proprio ordinamento ai principi di cui al presente decreto, non ha fatto menzione del corpo magistratuale.

Infine, l’art. 263 D.L. n. 34/20, estendendo l’applicazione della normativa a una parte del settore del pubblico impiego non contrattualizzato (personale del comparto sicurezza, difesa e soccorso pubblico), non avendo inserito i magistrati, ha implicitamente escluso questi ultimi dal perimetro di utilizzabilità dell’istituto.

Peraltro il lavoro agile costituisce una misura connessa alla situazione pandemica, a tutela non solo della salute pubblica, ma anche personale del lavoratore e dunque occorre verificare la possibilità di estendere l’utilizzo di tale forma di erogazione della prestazione lavorativa anche ai magistrati.

Il lavoro agile cui fa riferimento l’art. 87 è stato introdotto nell’ordinamento giuridico dal capo II della legge n. 81/17 il cui art. 18, in particolare, definisce il lavoro agile espressamente “Quale modalità di esecuzione del rapporto di lavoro subordinato stabilita mediante accordo tra le parti, anche con forme di organizzazione per fasi, cicli e obiettivi e senza precisi vincoli di orario o di luogo di lavoro, con il possibile utilizzo di strumenti tecnologici per lo svolgimento dell'attività lavorativa. La prestazione lavorativa viene eseguita, in parte all'interno di locali aziendali e in parte all'esterno senza una postazione fissa, entro i soli limiti di durata massima dell'orario di lavoro giornaliero e settimanale, derivanti dalla legge e dalla contrattazione collettiva” (art. 18, comma 1, L. n. 81/2017) 4.

4 La disciplina del lavoro agile è introdotta dalla L. n. 81/17. L’art. 18 prevede che le disposizioni che introducono il nuovo istituto rispondono allo scopo di incrementare la competitività e agevolare la conciliazione dei tempi di vita e di lavoro; è chiarito che il lavoro è una modalità di esecuzione del rapporto di lavoro subordinato stabilita mediante accordo tra le parti e che si articolo con forme di organizzazione per fasi, cicli e obiettivi e senza precisi vincoli di orario o di luogo di lavoro, con il possibile utilizzo di strumenti tecnologici per lo svolgimento dell’attività lavorativa.

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Alla luce del citato art. 18 gli elementi caratterizzanti il lavoro agile sono: 1) l’accordo tra le parti circa la modalità “agile” di esecuzione del rapporto; 2) l’organizzazione anche per fasi, cicli o obiettivi; 3) l’assenza di precisi vincoli di orario, fermi restando i limiti di durata massima previsti dalla legge e dalla contrattazione collettiva; 4) l’assenza di un preciso luogo di lavoro, con una prestazione eseguita in parte all'interno dei locali aziendali e in parte all’esterno, senza una postazione fissa; 5) il possibile utilizzo di strumenti tecnologici per lo svolgimento dell'attività lavorativa.

La definizione dell’art. 18 presuppone che parte della prestazione di lavoro agile sia necessariamente svolta all’interno dell’azienda e, come tale, sia soggetta alle regole ordinariamente predisposte per il lavoro subordinato.

Nel lavoro agile c’è una diversa concezione del tempo e, quindi, dell’orario, nonché del potere di controllo esercitato dal datore di lavoro nei termini e con le modalità definite nell’apposito accordo individuale nel rispetto dell’art. 21 L. n. 81/17. Nel lavoro agile, pertanto, si dà piena attuazione al concetto di autonomia e responsabilizzazione, ferme restando le regole della subordinazione.

Per quanto riguarda la sua applicabilità al lavoro pubblico, il Legislatore la subordina alla compatibilità con le specificità del medesimo e prevede la salvezza dell’applicazione delle diverse

La prestazione lavorativa viene eseguita, in parte all'interno di locali aziendali e in parte all'esterno senza una postazione fissa, entro i soli limiti di durata massima dell'orario di lavoro giornaliero e settimanale, derivanti dalla legge e dalla contrattazione collettiva. È stabilito, al secondo comma, che il datore di lavoro e' responsabile della sicurezza e del buon funzionamento degli strumenti tecnologici assegnati al lavoratore per lo svolgimento dell'attività lavorativa. L’art. 18 continua affermando che le disposizioni previste si applicano, in quanto compatibili, anche nei rapporti di lavoro alle dipendenze delle amministrazioni pubbliche di cui all'articolo 1, comma 2, del decreto legislativo 30 marzo 2001, n.

165, e successive modificazioni, in base a direttive emanate anche ai sensi dell'articolo 14 della legge 7 agosto 2015, n.

124, e fatta salva l'applicazione delle diverse disposizioni specificamente adottate per tali rapporti. Infine si prevede che agli adempimenti si provvede senza nuovi o maggiori oneri per la finanza pubblica, con le risorse umane, finanziarie e strumentali disponibili a legislazione vigente.

Il successivo articolo 19 prevede che le modalità di lavoro agile sono previste in un contratto che deve essere stipulato per iscritto ai fini della regolarità amministrativa e della prova, e disciplina l'esecuzione della prestazione lavorativa svolta all'esterno dei locali aziendali, anche con riguardo alle forme di esercizio del potere direttivo del datore di lavoro ed agli strumenti utilizzati dal lavoratore. L'accordo individua altresì i tempi di riposo del lavoratore nonché le misure tecniche e organizzative necessarie per assicurare la disconnessione del lavoratore dalle strumentazioni tecnologiche di lavoro. Il comma 2 prevede la possibilità di recedere dall’accordo.

L’art. 20 dispone che il lavoratore che svolge la prestazione in modalità di lavoro agile ha diritto ad un trattamento economico e normativo non inferiore a quello complessivamente applicato nei confronti dei lavoratori che svolgono le medesime mansioni esclusivamente all'interno dell'azienda. Al lavoratore impiegato in forme di lavoro agile può essere riconosciuto, nell'ambito dell'accordo di cui all'articolo 19, il diritto all'apprendimento permanente, in modalità formali, non formali o informali, e alla periodica certificazione delle relative competenze.

L'accordo relativo alla modalità di lavoro agile, prevede l’art. 21, disciplina l'esercizio del potere di controllo del datore di lavoro sulla prestazione resa dal lavoratore all'esterno dei locali aziendali nel rispetto di quanto disposto dall'articolo 4 della legge 20 maggio 1970, n. 300, e successive modificazioni. L'accordo di cui al comma 1 individua le condotte, connesse all'esecuzione della prestazione lavorativa all'esterno dei locali aziendali, che danno luogo all'applicazione di sanzioni disciplinari.

Il datore di lavoro garantisce la salute e la sicurezza del lavoratore che svolge la prestazione in modalita' di lavoro agile e a tal fine consegna al lavoratore e al rappresentante dei lavoratori per la sicurezza, con cadenza almeno annuale, un'informativa scritta nella quale sono individuati i rischi generali e i rischi specifici connessi alla particolare modalità di esecuzione del rapporto di lavoro. Il lavoratore e' tenuto a cooperare all'attuazione delle misure di prevenzione predisposte dal datore di lavoro per fronteggiare i rischi connessi all'esecuzione della prestazione all'esterno dei locali aziendali (art. 22).

Come previsto dall’art. 23, il lavoratore ha diritto alla tutela contro gli infortuni sul lavoro e le malattie professionali dipendenti da rischi connessi alla prestazione lavorativa resa all'esterno dei locali aziendali, ha diritto alla tutela contro gli infortuni sul lavoro occorsi durante il normale percorso di andata e ritorno dal luogo di abitazione a quello prescelto per lo svolgimento della prestazione lavorativa all'esterno dei locali aziendali, nei limiti e alle condizioni di cui al terzo comma dell'articolo 2 del testo unico delle disposizioni per l'assicurazione obbligatoria contro gli infortuni sul lavoro e le malattie professionali, di cui al decreto del Presidente della Repubblica 30 giugno 1965, n. 1124, e successive modificazioni, quando la scelta del luogo della prestazione sia dettata da esigenze connesse alla prestazione stessa o dalla necessità del lavoratore di conciliare le esigenze di vita con quelle lavorative e risponda a criteri di ragionevolezza.

Con Direttiva n. 3 del 2017 in materia di lavoro agile, il Ministero della pubblica amministrazione ha adottato le linee guida in materia di promozione della conciliazione dei tempi di vita e di lavoro che dettano criteri operativi anche per l’attuazione del lavoro agile nelle pubbliche amministrazioni.

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disposizioni specificamente adottate per i rapporti di lavoro alle dipendenze delle Pubbliche amministrazioni (art. 18, comma 3, L. n. 81/17).

La normativa emergenziale per il periodo della crisi pandemica da Covid-19 ha dettato alcune regole specifiche senza, però, disegnare un istituto distinto, bensì rinviando alla ordinaria nozione e disciplina del lavoro agile. L’art. 87 già citato, in particolare, ha escluso, per il periodo emergenziale, la necessità dell’accordo individuale e l’obbligatorietà delle informazioni previste dagli articoli da 18 a 23 del D.l.vo n. 81/2017; ha, poi, previsto la possibilità che la prestazione lavorativa possa essere svolta con strumenti informatici nella disponibilità del dipendente, con conseguente esclusione, in tale caso, della responsabilità del datore di lavoro per la sicurezza e il buon funzionamento degli strumenti tecnologici. Inoltre l’art. 263 D.L. n. 34/2020 ha dettato ulteriori disposizioni in tema di flessibilità del lavoro pubblico e di lavoro agile, estendendone l’applicazione “al personale del comparto sicurezza, difesa e soccorso pubblico fino al termine dello stato di emergenza connessa al COVID-19”.

La normativa sul lavoro agile, sia nella forma ordinaria che in quella semplificata disegnata per la fase emergenziale, non si ritiene applicabile alle prestazioni lavorative collegate all’esercizio delle funzioni giudiziarie.

Appare innanzitutto incompatibile con l’attività giurisdizionale il rinvio operato dalla disciplina sul lavoro agile all’orario di lavoro. L’art. 18 citato precisa infatti che la prestazione è erogata “senza precisi vincoli di orario”. Tale espressione, tuttavia, non è da intendersi nel senso che il lavoratore agile non debba riferirsi a parametri orari. La norma, infatti, continua affermando che “la prestazione lavorativa viene eseguita … entro i soli limiti di durata massima dell’orario di lavoro giornaliero e settimanale derivanti dalla legge e dai contratti collettivi”. L’esistenza di un orario di lavoro, quantomeno nella sua durata massima, pertanto, è un presupposto essenziale per la corretta applicazione dell’istituto de quo, in quanto il legislatore ha inteso disegnare una tipologia di prestazione lavorativa che, se da un lato consente di conciliare esigenze di vita e di lavoro, dall’altro non deve trasformarsi, per il dipendente, in un’attività senza limiti di tempo.

Tale impostazione è confermata dall’art. 19 L. n. 81/17 che contempla il cosiddetto “diritto alla disconnessione” in base al quale il prestatore di lavoro deve, in sostanza, essere libero di disattivare le strumentazioni tecnologiche e le piattaforme informatiche di lavoro. A tal proposito, il comma 1 dell’articolo 19 della Legge 81/2017, dispone che “(…) l’accordo individui tempi di riposo del lavoratore nonché le misure tecniche e organizzative necessarie per assicurare la disconnessione del lavoratore dalle strumentazioni tecnologiche di lavoro”. Nell’accordo individuale, sottoscritto dal datore di lavoro e dal lavoratore, devono quindi essere previsti i tempi di riposo e le misure tecniche ed organizzative cosicché il lavoratore possa interrompere i collegamenti informatici e disattivare i dispositivi elettronici sulla base delle prescrizioni ivi inserite.

Anche sotto tale aspetto, pertanto, per attuare il lavoro agile non può prescindersi dall’orario di lavoro e dalla sua misurazione. Il comma 1-ter dell’art. 2 del D.L. 30/2021, come premesso, ha poi inteso estendere il diritto alla disconnessione anche al lavoro agile previsto per la fase dell’emergenza.

Ai fini di una corretta attuazione dell’istituto del lavoro agile, non può dunque prescindersi dal concetto di orario di lavoro e dalla previsione di metodi per la sua misurazione e quindi tale connotato rende il lavoro agile incompatibile con le funzioni giudiziarie che, come è noto, non contemplano un orario di lavoro giornaliero, né un orario massimo, né, tantomeno, la possibilità di misurare in termini quantitativi la prestazione del magistrato.

A conferma dell’incompatibilità dell’istituto del lavoro agile con il lavoro giudiziario vale poi la circostanza che il Legislatore ha previsto specifiche misure per l’esercizio dell’attività giudiziaria nell’emergenza pandemica da COVID-19, sospendendo in una prima fase le attività non urgenti (e i termini processuali a esse correlati) e poi prevedendo, pur in via non generalizzata e con una diversa modulazione per il settore civile e penale e i diversi gradi di giudizio, la possibilità di svolgere le udienze (anche non camerali) da remoto ovvero in forma non partecipata, il compimento di ulteriori attività a distanza (anche per la fase delle indagini preliminari), speciali modalità per il deposito dei provvedimenti5.

Può dunque affermarsi che, per la fase emergenziale, l’attività giurisdizionale sia stata oggetto di una disciplina di carattere speciale che, in quanto tale, non può che prevalere su quella disegnata

5 Attualmente sono ancora vigenti le misure previste dagli artt. 23/23-ter del D.L. n. 137/2020, convertito dalla L. n.

176/2020, modificato da ultimo, con il D.L. n. 44/2021, che ha prorogato l’efficacia delle suindicate disposizioni al 31 luglio 2021, nonché quelle previste dall’art. 221 del D.L. n. 34/2020, convertito dalla L. n. 77/2020, non espressamente derogate dall’art. 23 del D.L. n. 137/2020.

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dalla L. n. 81/2017 che, peraltro, espressamente prevede, all’art. 18, che “è fatta salva l’applicazione delle diverse disposizioni specificamente adottate” per i rapporti di lavoro.

Su tale aspetto, del resto, il Consiglio si è già espresso con la delibera del 4 novembre 2020, la quale ha sottolineato che “l’art. 87 cit. ed il successivo D.M. del 19.10.2020 non si applicano ai magistrati ordinari (che rientrano nel personale di cui all’art. 3, comma 1 del decreto legislativo 30 marzo 2001, n. 165)”, ed ha evidenziato ancora “come anche la normativa che disciplina l’attività giudiziaria nel periodo emergenziale ne favorisca, sotto molti aspetti, lo svolgimento da remoto, consentendo, da ultimo, al giudice, entro certi limiti, di partecipare all’udienza anche da un luogo diverso dall’ufficio giudiziario”.

Dunque l’istituto del lavoro agile non si applica alle funzioni giudiziarie, per le quali valgono gli istituti introdotti dalla normativa emergenziale, volti a favorire la flessibilità della prestazione e l’erogazione della stessa da remoto.

Assenza per positività al COVID-19.

Quanto poi all’assenza per malattia, quest’ultima si qualifica come l’evento da cui deriva un’impossibilità allo svolgimento dell’attività lavorativa non imputabile al lavoratore, con la conseguenza che questi, assolto l’onus probandi mediante l’invio del certificato medico attestante l’esistenza della malattia, ha diritto alle prestazioni previste all’art. 2110 cc, e cioè la conservazione del posto di lavoro, l’accredito figurativo della contribuzione, il trattamento economico.

Circa il rapporto previdenziale, il certificato di malattia consente al lavoratore di ottenere l’indennità economica di malattia, giusto il disposto dell’art. 2 del D.L. n. 663/79 secondo cui “nei casi di infermità comportante incapacità lavorativa, il medico curante trasmette all'INPS il certificato di diagnosi sull'inizio e sulla durata presunta della malattia”.

L’art. 2110 c.c. considera come malattia degna di tutela solo quella che produce un impedimento lavorativo, che cioè pone il lavoratore nella condizione di non potere adempiere, per causa a lui non imputabile, all’obbligazione contrattuale di fornire le prestazioni lavorative richieste.

In ambito previdenziale il bene tutelato dall’assenza per malattia non è l’integrità psicofisica in sé considerata, ma la capacità lucrativa del soggetto (art. 38 Cost.); per tale ragione le tutele previdenziali si estendono a coprire quei rischi – analiticamente indicati all’art. 38 Cost. – come ad esempio l’invalidità o la malattia, che possono compromettere permanentemente o temporaneamente la capacità di produrre reddito creando una situazione di bisogno.

L’affermazione di questo principio ha comportato, tra l’altro, che sia riconosciuto il diritto all’indennità di malattia anche nei casi in cui non sussista una vera e propria “malattia” secondo i criteri medico-legali, bensì un’“impossibilità alla prestazione lavorativa non imputabile al lavoratore, connessa mediante un nesso di causalità anche mediato ed indiretto ad uno stato patologico che richiede per effettive esigenze curative o riabilitative la sottoposizione a cure”

(Cass. civ., sez. lav., n. 5634/88).

Sulla base di tale principio è stato considerato indennizzabile anche il periodo di allontanamento dal lavoro del portatore sano di agenti patogeni: quando l’autorità sanitaria dispone, per ragioni di igiene e profilassi, l’allontanamento dal posto di lavoro del lavoratore, per qualsiasi motivo ritenuto, al momento dell’allontanamento, possibile portatore (anche sano) di germi infettivi, sussiste l'obbligo dell’ente assicuratore di corrispondere le prestazioni previdenziali per i casi di malattia (Cass. civ., sez. lav., n. 7767/87); la malattia intanto rileva, in quanto causa, anche indiretta o mediata, di “incapacità lavorativa” (Cass. civ., sez. lav., n. 1947/98).

Nel rilasciare il certificato di malattia il medico attesta una temporanea incapacità lavorativa, svolgendo così un duplice ruolo: diagnostico-clinico per quanto attiene all’accertamento della malattia e valutativo-medico-legale per quanto attiene al giudizio sull’incapacità lavorativa.

Nel caso dell’epidemia da Coronavirus, la malattia ricorre nell’ipotesi di documentata infezione da SARS-CoV-2. L’art. 26 D.L. n. 18/2020, infatti, prevede che “qualora il lavoratore si trovi in malattia accertata da COVID-19, il certificato è redatto dal medico curante nelle consuete modalità telematiche, senza necessità di alcun provvedimento da parte dell'operatore di sanità pubblica”. In questo caso il soggetto è collocato in malattia e in isolamento, ossia separato dal resto della comunità per la durata del periodo di contagiosità, in ambiente e condizioni tali da prevenire la trasmissione dell’infezione.

La normativa primaria, pertanto, prevedendo che in caso di infezione da Covid il medico curante debba rilasciare il certificato, facendo riferimento solo al concetto generico di malattia, senza indicare i risvolti sul piano della prestazione lavorativa, deve ritenersi abbia introdotto un presunzione di incapacità lavorativa, probabilmente giustificata dalla novità della patologia e dalla sostanziale non completa conoscenza dei meccanismi di evoluzione e progressione della stessa.

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Del resto, come premesso, la giurisprudenza ha da tempo accolto il principio per cui il portatore sano di un agente patogeno, isolato in via precauzionale, debba ritenersi in malattia.

Alla luce di quanto premesso deve ritenersi che, nell’ipotesi di positività al Covid-19 del magistrato, la giustificazione dell’assenza sia la stessa prevista per le ordinarie ipotesi di malattia e che, equiparata ex lege la positività al virus alla malattia indennizzabile, non sia possibile adibire il magistrato a lavoro, nemmeno nelle forme del lavoro da casa, essendo ogni tipo di attività lavorativa incompatibile con uno stato accertato di malattia.

Diversa è l’ipotesi di quarantena con sorveglianza attiva e di permanenza domiciliare, nonché l’ipotesi del lavoratore fragile.

La quarantena, la permanenza domiciliare e la sorveglianza precauzionale per i soggetti fragili, di cui rispettivamente agli artt. 87, comma 1, e 26, comma 2, D.L. n. 18/2020, non configurano un’incapacità temporanea al lavoro per una patologia in fase acuta, tale da impedire in assoluto lo svolgimento dell’attività lavorativa (presupposto per il riconoscimento della tutela previdenziale della malattia comune), ma integrano situazioni di rischio per il lavoratore e per la collettività.

La normativa ha equiparato tali stati al ricovero ospedaliero solo i fini della disciplina del trattamento economico e della distribuzione del relativo carico. Il Legislatore ha ritenuto, cioè, che in questi casi il rischio della mancata erogazione della prestazione lavorativa, essendo questa comunque legata all’interesse alla tutela della salute pubblica, debba gravare sull’istituto previdenziale e non sul datore di lavoro, pur non essendo individuabile il presupposto degli indicati istituti in uno stato di effettiva malattia.

L’equiparazione può, però, operare solo ove il lavoratore non svolga attività di lavoro in forma agile o a distanza.

Il decreto del Ministro per la Pubblica amministrazione del 19/10/2020, all’art. 4, comma 2, ha stabilito che “nei casi di quarantena con sorveglianza attiva o di isolamento domiciliare fiduciario, ivi compresi quelli di cui all’articolo 21-bis, commi 1 e 2, del decreto-legge 14 agosto 2020, n. 104, convertito con modificazioni, dalla legge 13 ottobre 2020, n. 126, il lavoratore, che non si trovi comunque nella condizione di malattia certificata, svolge la propria attività in modalità agile. Nei casi in cui ciò non sia possibile in relazione alla natura della prestazione, è comunque tenuto a svolgere le attività assegnate dal dirigente ai sensi dell’articolo 3, comma 1, lettera b), del presente decreto. In ogni caso, si applica il comma 5, dell’articolo 21-bis, del decreto-legge 14 agosto 2020, n. 104, convertito con modificazioni, dalla legge 13 ottobre 2020, n. 126”.

Tale disposizione è stata prorogata sino al 30 aprile 2021.

In ordine alla possibilità di espletare lavoro agile in tali ipotesi, si è poi espresso anche l’I.N.P.S.

con il messaggio n. 3653 del 9 ottobre 2020, con il quale ha precisato che non è possibile ricorrere alla tutela previdenziale della malattia o della degenza ospedaliera nei casi in cui il lavoratore in quarantena (art. 26, comma 1 e 87, comma 1) o in sorveglianza precauzionale perché soggetto fragile (art. 26, comma 2) continui a svolgere, sulla base degli accordi con il proprio datore di lavoro, l’attività lavorativa presso il proprio domicilio, mediante le citate forme di lavoro alternative alla presenza in ufficio.

In tale circostanza, infatti, non ha luogo la sospensione dell’attività lavorativa con la correlata retribuzione.

Per tali ragioni può concludersi nel senso che, in caso di quarantena, permanenza domiciliare o di soggetto fragile, il lavoratore, ove possibile, deve erogare la prestazione lavorativa con le modalità a distanza previste dalle norme di settore. In tal caso non possono trovare applicazione gli istituti di tutela previdenziale della malattia o della degenza ospedaliera.

Conseguentemente, nel caso di prestazione di lavoro agile o a distanza, il medico curante non dovrà emettere il certificato medico di cui all’art. 26, comma 3, D.L. n. 18/2020 (disposizione applicabile anche ai lavoratori pubblici, in quanto funzionale all’erogazione della prestazione previdenziale nel caso in cui non sia possibile prestare attività lavorativa in forma agile o a distanza), creandosi, altrimenti, un conflitto con l’esigenza di non fare gravare indebitamente sull’ente previdenziale la corresponsione non spettante.

I magistrati, come premesso, non possono svolgere lavoro agile, nondimeno tale preclusione non conduce alla conclusione che essi, se in quarantena o in permanenza domiciliare, devono ritenersi necessariamente in malattia.

La normativa emergenziale prevede istituti che consentono al magistrato di svolgere lavoro a distanza e, del resto, il Consiglio, con delibera del 4 novembre del 2020, “Emergenza Covid - Linee guida agli uffici giudiziari” ha già affermato che “il magistrato che si trovi in quarantena o in isolamento fiduciario a causa del COVID e che non si trovi in uno stato di malattia certificata è da considerarsi in servizio. Come tale, egli sarà impegnato nello svolgimento di tutte le attività (di

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udienza e non) svolgibili da remoto secondo la legislazione vigente, ferma la necessaria tempestiva comunicazione al dirigente della condizione di quarantena o isolamento fiduciario al fine di consentire la pronta adozione delle misure organizzative eventualmente necessarie per il contenimento dell’emergenza sanitaria. Laddove peraltro le diverse modalità organizzative del servizio nel – limitato – periodo di quarantena o isolamento fiduciario comportino l’esonero da determinate attività (quali anche le attività di udienza, ove non possibili da remoto e per cui, ove indifferibili, si dovrà ricorrere all’istituto della supplenza in ragione dell’impedimento temporaneo del magistrato), gli eventuali esoneri saranno compensati da attività maggiormente compatibili con la condizione del magistrato, dovendosi precisare che, ove necessario in relazione all’andamento dell’emergenza sanitaria, l’individuazione e l’assegnazione di attività compensative potrà essere differita anche oltre il termine semestrale fissato dall’art. 270, comma 2 della circolare sulla formazione delle tabelle per gli uffici giudicanti per il triennio 2020-2022”.

In tali casi i magistrati possono partecipare nelle forme da remoto alle attività consentite in base alla normativa emergenziale ovvero svolgere attività giurisdizionale che non richiede la presenza in ufficio, dovendo ammettersi anche la possibilità che il dirigente dell’ufficio, con provvedimenti organizzativi ad hoc, da adottarsi nel rispetto della normativa ordinamentale, individui il tipo di attività che il magistrato può svolgere totalmente o parzialmente da casa.

Analoghe regole valgono, per identità di ratio, anche nel caso in cui il magistrato intenda avvalersi dell’istituto di cui all’art. 2, comma 1, D.L. n. 30/2021 o versi in una delle condizioni di cui all’art.

26, commi 2 e 2-bis, D.L. n. 18/2020.

Anche in tale ipotesi è previsto che il lavoratore debba svolgere lavoro agile, cui equivalgono, in ambito giurisdizionale, le attività da remoto o quelle che possono essere svolte senza la necessaria presenza in ufficio.

D’altra parte, in tal senso si è espresso il Consiglio, nella citata delibera del 4 novembre 2020, sia con riferimento all’art. 21-bis D.L. n. 104/2020, cui è succeduto l’art. 2 D.L. n. 30/2021, sia con riferimento alle ipotesi di cui all’art. 26 citato, indicando, quanto a quest’ultima ipotesi, tutte le misure organizzative da adottarsi da parte del dirigente nella specifica sezione (4.1) dedicata “ai magistrati in condizione di fragilità”. Solo nel caso in cui si ritenesse impossibile per il magistrato in condizioni di fragilità svolgere attività a distanza, questo dovrà ritenersi in malattia, con equiparazione al ricovero ospedaliero, sulla base di certificato medico il quale darà ingresso alla relativa tutela previdenziale a carico dell’I.N.P.S.

La risposta ai quesiti.

Dunque, con riferimento ai quesiti posti deve affermarsi che:

1) - l’art. 87, comma 1, D.L. n. 18/20 - nella parte in cui prevede che nella fase emergenziale il lavoro agile sia una delle modalità ordinarie di svolgimento dell’attività lavorativa - non è applicabile ai magistrati, i quali possono svolgere attività a distanza nei casi e secondo le modalità previste dalla specifica normativa emergenziale dedicata all’attività giurisdizionale; dunque la norma non si applica al rapporto di lavoro dei magistrati;

2) - il magistrato positivo al COVID è da ritenere in malattia, anche ove non sia accertata la sua inidoneità a rendere la prestazione lavorativa, con conseguente applicazione degli istituti ordinari previsti per tale condizione;

3) - il magistrato posto in quarantena o in permanenza domiciliare e quello in condizioni di fragilità - ove non si trovi in condizione di malattia certificata - è da ritenere in servizio e deve svolgere attività lavorative compatibili con tale stato, secondo le modalità indicate nella motivazione, nei limiti del possibile, e cioè nelle forme da remoto per le attività consentite in base alla normativa emergenziale o mediante lo svolgimento di attività giurisdizionale che non richiede la presenza nell’ufficio, dovendosi ammettere la possibilità che il dirigente, con provvedimenti organizzativi ad hoc, da adottarsi nel rispetto della normativa ordinamentale, individui il tipo di attività che il magistrato può svolgere totalmente o parzialmente da casa; in caso contrario il magistrato deve ritenersi in malattia, con emissione di apposito certificato medico, ed equiparazione al ricovero ospedaliero.

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