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Metti una sera alla Giudecca, davanti a un vecchio film di partigiani

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Academic year: 2022

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Metti una sera alla Giudecca, davanti a un vecchio film di partigiani

Largo ai giovani. Maledettamente banale, certo, visto che lo dicono tutti. Ma non per questo meno vero, necessario, impellente. Ci pensavo sabato sera tornandomene allegramente a casa dopo una bella serata di cinema all’aperto in campo Junghans, alla Giudecca. Davano Il terrorista (1963) di Gianfranco De Bosio, in assoluto fra le più belle e autentiche Venezie del cinema, presente il regista, che viaggia verso il suo primo secolo di vita, ancora ben sveglio e intellettualmente scattante. Nella mezz’oretta che precede la presentazione del film, De Bosio se ne esce con un ricordo che vale più di mille altre parole. Era il 1944 ed insieme ad altri compagni entra di notte al Bo “istoriando” di scritte antifasciste lo storico rettorato dell’ateneo padovano. E facendo poi saltare con una bombetta lo studio di un docente – “Tale Tiraboschi, ricordo ancora come si chiamava e mi sembra giusto dirvelo…” – che aveva per primo aderito entusiasticamente alla Repubblichina di Salò. “Ma allora – faccio io che gli siedo accanto, un po’ serio e un po’ scherzoso – eri tu, Gianfranco, il “terrorista” del film?”. E lui che mi risponde sornione: “In un certo senso sì, ma senza spargimento di sangue…”. Aveva vent’anni all’epoca, oggi ne ha quasi cento. L’ironia e la rivolta: forse non hanno età.

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| 2 La bella serata di cui dicevo nasce da un’idea di una giovane filmaker veneziana, Gaia Vianello, che me ne parla nei giorni del più cupo lockdown, quasi clandestini nel giardino di un comune amico. Certo che mi pare una bella idea, ottimo titolo, ingiustamente dimenticato dai più e

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Metti una sera alla Giudecca, davanti a un vecchio film di partigiani

certamente ignoto a tanti giovani. Ancora di attualità, per certi versi. E poi proprio lì, alla Giudecca, dove va a consumarsi tragicamente il destino di quel caparbio “terrorista” che è

l’immaginario Renato Braschi, sullo schermo un Gian Maria Volonté alle prime armi (per restare in tema) ma già incredibilmente capace di dare anima e corpo all’ingegnere azionista che vuole con tutti i mezzi scuotere Venezia dal torpore rassegnato dell’occupazione nazista. Non molla. Come Gaia, che macina collaborazioni e crowdfunding per farsi trovare puntuale all’appuntamento di fine agosto, con tanto di regista in presenza, nel cuore di una Giudecca che ancora pulsa di ideali antichi vivendo pratiche molto contemporanee di socialità.

La serata apre e precede di qualche giorno l’avvio di una nuova edizione del Festival delle Arti, organizzato e gestito in assoluta indipendenza, senza patetici marchietti di regime, dalla miriade di associazioni, laboratori, atelier e negozietti di artigianato autentico che popolano l’isola. Gaia, dunque, ma non da sola. E scopro, prima di tornarmene a casa, anche l’esistenza dei “tecnici antifascisti” che si materializzano davanti al pubblico finita la proiezione, dopo averne

(ottimamente) governato gli esiti. Proprio così, “tecnici antifascisti”, se non ho capito male. Vi pare che non avessi più di un buon motivo per tornarmene a casa contento?

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| 4 Penso anche alle molte altre iniziative, cinematografiche e non, che hanno punteggiato questa particolarissima estate veneziana. Penso all’energia, alla creatività e alla fattiva laboriosità di chi si è prodigato in tutti i modi per fare cultura in una città dove da cinque anni manco esiste un

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Metti una sera alla Giudecca, davanti a un vecchio film di partigiani

assessore alla cultura. E dove per cultura, il più delle volte, s’intende lucrosa vetrina.

Penso a questa rete più o meno organizzata, più o meno informale, di nuovi operatori culturali che potrebbe riempire di idee e di contenuti il futuro anche produttivo di una città non più preda pressoché soltanto di pericolosi gigantismi e di futili (anche se redditizie) speculazioni. Se ne parla poco anche in queste ultime settimane di campagna elettorale. Se ne dovrebbe comunque parlare di più, con dati, proposte, obiettivi, prospettive. Penso a quell’eterna “altra Venezia”, che magari vive soltanto una sera d’estate alla Giudecca. Mi passa la contentezza e persino la voglia di scrivere. Altri cinque anni di Brugnaro? No, grazie, potrebbe essere la fine. Ripenso al sorriso sfidante di Gaia e a quello sornione del buon Gianfranco. Trovo conferma che esistono per davvero i “tecnici antifascisti”. Respiro o forse sospiro di sollievo. Mai darsi per vinti. Non aveva tutti i torti l’ingegner Renato Braschi. La lotta, diceva…

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