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PROGRAMMA PER LE ELEZIONI REGIONALI 2010

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SINISTRA ECOLOGIA LIBERTA- VERDI

PROGRAMMA PER LE ELEZIONI REGIONALI 2010

1. Rapporti politici nella coalizione di centro-sinistra

Il nostro obiettivo è quello di rafforzare il centro-sinistra in Emilia- Romagna.

Se l’esito elettorale rappresenta il concreto rapporto di forza all’interno

della coalizione è del tutto evidente che questo non possa comunque impedire a ogni gruppo politico di esprimere in libertà le proprie opinioni e che le

intese, una volta raggiunte, rappresentino il punto di riferimento per tutta la coalizione in ogni occasione, pubblica e istituzionale.

Per rendere coesa e parimenti responsabile la coalizione di centro-sinistra è necessario, quindi che si definisca un “tavolo” in cui si discuta dell’

attuazione del programma, delle relative priorità e delle scelte politiche che caratterizzeranno la nostra coalizione di governo in Regione.

Proponiamo che questo tavolo sia presieduto dal Presidente della Regione e sia formato dai Presidenti dei Gruppi Consiliari del centro-sinistra.

Preso atto che molti provvedimenti riguardano la sola attività di Giunta e che restano in capo all’Assemblea legislativa l’approvazione delle leggi, dei bilanci e delle delibere di indirizzo generale, è fondamentale che la maggioranza sia dotata di una cabina di regia stabile che esamini i

provvedimenti più importanti ed economicamente più sostanziosi prima che questi siano sottoposti alle valutazioni della Giunta. In particolare, le delibere di

indirizzo della Giunta regionale, il Piano di Azione ambientale, l’utilizzo dei fondi FESR, il Programma di Sviluppo Rurale, le delibere applicative e

regolamentari del PTR, il nuovo PRIT e l’attuazione del PER. Sia prevista anche collegialità nelle decisioni riguardanti gli enti di secondo grado e gli

organismi interni all’Assemblea (ufficio di presidenza e commissioni).

Questa “cabina di regia” ha l’obiettivo di determinare le condizioni per un confronto costante sulle scelte più significative e sugli atti più rilevanti

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della Regione per rendere la coalizione corresponsabile e coesa, oltre che parimenti protagonista nelle scelte strategiche e delle priorità di governo, ed evitare che qualcuno sia costretto a prendere atto o a respingere scelte non concordate.

Questa proposta è anche la conferma dell’assunzione di un impegno politico di tutti per consolidare la coalizione di Centro-Sinistra della nostra Regione e per contribuire in modo leale e trasparente alle scelte comuni per il governo dell’Emilia-Romagna.

2. Questioni Politico-Programmatiche

Questioni politico-programmatiche prioritarie da porre al centro dell’attività dell’Assemblea Legislativa Regionale nella conferma del suo ruolo di indirizzo e di controllo al lavoro esecutivo della Giunta Regionale:

applicare in modo coerente e “curare” l’avvio della nuova legge regionale sulla partecipazione attiva dei cittadini e delle loro associazioni alle scelte di trasformazione economica, ambientale e sociale della regione, affermando la trasparenza e la parità nella rappresentanza degli interessi e l’autonomia

decisionale delle Assemblee Elettive;

accrescere la trasparenza e la parità delle lobbie nella partecipazione al procedimento legislativo e alle scelte della Regione definendo modalità paritarie, anche presentando come centro-sinistra una proposta di legge concordata da presentare al più presto

coinvolgere la società regionale nella elaborazione di una strategia coerente per la riconversione ecologica del nostro sistema economico e per governare il passaggio dall’era fossile all’era solare al fine di contenere i cambiamenti climatici e di costruire la pace;

tutelare la qualità dell’ambiente e del territorio, dell’acqua e dell’aria, dei beni culturali e del paesaggio; affermare la tutela dei “beni comuni”

contro la loro privatizzazione;

ridurre il consumo energetico complessivo della Regione sulla base di parametri unitari misurati per consumi pro-capite; per metro-quadrato negli edifici; per unità di prodotto; per chilometro persona o merci, ecc.;

ridurre il forte inquinamento dell’aria della nostra Regione con scelte rigorose per rientrare nei limiti previsti dagli Accordi di Kyoto e dalle Direttive dell’U.E. puntando sull’efficienza energetica nell’edilizia e nei trasporti, anche per ridurre i costi energetici delle famiglie e delle imprese;

contrastare l’evasione e l’elusione fiscale per aumentare le risorse per combattere la povertà e per aumentare la qualità e l’efficacia dei servizi

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sanitari e sociali;

contrastare la precarietà e attivare politiche per la buona occupazione privilegiando con logiche selettive le imprese tese a processi innovativi in campo energetico, ambientale, telematico e dei servizi avanzati per il territorio, il turismo e l’esportazione dei nostri prodotti di qualità;

attivare modalità di sostegno al reddito e alla formazione dei lavoratori per favorire il superamento di segmenti produttivi fuori mercato o ambientalmente insostenibili per una nuova e buona occupazione;

tutelare il territorio; ridurre ed eliminare il consumo delle aree agricole;

riqualificare la città costruita tutelando i centri storici e riqualificando le periferie;

favorire la qualità del vivere e il piacere del divertimento fuori da logiche consumistiche e distruttive della vita psicologica e fisica, facendo leva sulla responsabilità dei giovani e sulla loro capacità di autogestione di luoghi e centri sociali per la cultura e la crescita personale.

3. Alcune questioni prioritarie a. Lavoro e ambiente

La nostra Regione è certamente una tra le più avanzate ma è nostro dovere riconoscere che su alcune questioni dobbiamo compiere scelte nette e rigorose che ci mettano in sintonia con altre regioni europee più avanzate: dobbiamo confrontarci apertamente per imparare e cambiare.

Infatti, sui temi del futuro in molti settori, e in particolare in quelli dell’

energia, della mobilità, dell’organizzazione urbana e della tutela ambientale siamo complessivamente in ritardo.

Il rilancio del lavoro e della produzione innovativa, industriale e agricola, sono le chiavi di volta di cui abbiamo bisogno per valorizzare le risorse intellettuali presenti nella nostra Regione, per una nuova sinergia tra centri di ricerca e settori produttivi con l’obiettivo di mantenere alto il tasso di occupazione ma anche per sostituire posti di lavoro ormai “insostenibili”, per ragioni ambientali e/o di mercato, con la “buona occupazione”.

b. Green Economy

Il perseguimento di politiche ambientalmente sostenibili : sostegno al risparmio energetico e alle rinnovabili, la certificazione degli edifici, gli

acquisti verdi, la prevenzione dell’inquinamento alimentare, lo sviluppo di un turismo sostenibile e dal passo leggero, la salvaguardia del verde e degli alberi, la mobilità sostenibile, sono gli innumerevoli fattori che alimentano concretamente la nascita e lo sviluppo di un’economia verde. In tal senso le politiche e i finanziamenti della Regione a sostegno dell’ambiente, e il

credito agevolato alle imprese verdi di giovani sono fondamentali per

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garantire una nuova era in cui l’economia verde diventi il volano dello sviluppo e dell’occupazione .

c. Conflitti, lobbie e autonomia delle istituzioni elettive

Le risorse finanziarie non aumenteranno in modo consistente per un lungo periodo e la Regione dovrà fare scelte difficili sulle priorità di spesa e di investimento.

Cresceranno i conflitti e il problema non sarà quello di “nasconderli”, bensì quello di farne sgabello per soluzioni più avanzate e capaci di produrre conoscenza e prodotti di qualità da esportare.

La Regione dovrà proporre obiettivi chiari su cui sollecitare un profondo

rinnovamento nelle organizzazioni economiche, sociali e ambientali e chiamare allo stesso tavolo i poteri forti e i poteri deboli per costruire nuove intese uscendo dalle logiche degli interessi consolidati e favorendo le proposte più innovative.

Decisivo è dotarsi di “tavoli paritari” in cui le forze produttive sociali e

ambientali possano confrontarsi liberamente e approfonditamente sulle strategie e sulle scelte di governo regionale.

Questa è anche una reale possibilità di accrescere il contatto delle Istituzioni con la società e in pari tempo l’autonomia decisionale delle Istituzioni Elettive nelle scelte di propria competenza.

un libero confronto all’interno di ogni Associazione per evitare la

“concertazione al ribasso”.

4. Energia: risparmio, efficienza e produzione rinnovabile

a. le fonti energetiche rinnovabili

L’approvazione del Piano Energetico ha rappresentato un punto importante nell’ azione di Governo della Regione.

Nel prossimo mandato la scelta strategica dovrà essere indirizzata alla gestione intersettoriale del Piano stesso per affrontare congiuntamente i progetti di “decrescita energetica” e di contenimento delle emissioni climalteranti e inquinanti.

In particolare i settori della mobilità, della produzione e dell’edilizia

dovranno essere monitorati costantemente individuando alcuni parametri unitari di riferimento (consumo per Km/persone/anno; consumo per Km/merci/anno; consumo/unità di prodotto; consumo/mq/anno) per definire degli obiettivi di riduzione anno per anno su cui elaborare campagne di informazione e

partecipazione.

Il Piano Energetico Regionale a tal fine dovrà essere integrato da PIANI SETTORIALI in cui saranno indicate anno per anno le quote di riduzione delle emissioni di CO2 e dei gas climalteranti e degli inquinanti locali come gli ossidi di azoto e le polveri PM10 emessi dai settori più inquinanti: mobilità, abitazioni civili, industria, terziario e agricoltura.

Per quanto riguarda la produzione di energia rinnovabile dovranno essere privilegiate alcune iniziative per favorire l’auto-produzione di cittadini e di Enti Locali. Vanno perseguiti obiettivi certi di risparmio ed efficienza energetica attraverso indirizzi e finanziamenti in grado di orientare e

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incentivare i Comuni all’interno di una pianificazione integrata a scala regionale e capace di produrre risultati misurabili.

In particolare la strategia delle “Comunità locali di cittadini associati” va potenziata e incentivata per far sì che, con il ricorso a “MINI-IMPIANTI”

EOLICI, SOLARI, BIOMASSE, IDRICI tra loro integrati, possano operare per rendere autonoma la loro comunità per le forniture di energia elettrica, oltre che rendere possibile la realizzazione di posti di lavoro a livello locale. E’ necessario privilegiare la produzione energetica diffusa (gruppi d’acquisto solari e microcogenerazione) dotando nel contempo le centrali già esistenti di reti di teleriscaldamento per il recupero e l’utilizzo del calore. Si deve continuare a dire un no deciso al nucleare e alle centrali a carbone.

La scelta di rendere protagoniste le comunità locali per ridurre i consumi incentivando anche la produzione di energia alternativa è anche una delle condizione per ridurre la pressione per impianti industriali invasivi al fine di meglio tutelare il paesaggio, l’ambiente, oltre che le attività agricole, economiche e turistiche del territorio.

b. Riqualificazione energetica degli immobili esistenti

Poiché uno degli obiettivi prioritari nei prossimi anni sarà quello di ridurre I consumi e le città concorrono in modo rilevante ai consumi delle risorse,

ai consumi energetici e al consumo del territorio, i dovrà operare per la riqualificazione e per la modifica dell’organizzazione urbana per renderla ambientalmente più sostenibile.

Gli edifici esistenti nella loro grande maggioranza sono dei colabrodi;

sprecano energia a danno delle bollette dei cittadini e sono una delle cause dell’alto inquinamento globale e locale.

Questa bassa, bassissima, efficienza degli edifici esistenti è una delle questioni più rilevanti da affrontare per ridurre i consumi energetici urbani.

La Regione, con la LR 6/2009 ha modificato le leggi regionali 19/1998 e 20/2000 per favorire, rispettando gli edifici tutelati, la riqualificazione urbana e la ristrutturazione energetica del patrimonio edilizio esistente riconoscendo incentivi volumetrici e altre forme di premialità

progressive e parametrate ai livelli prestazionali progettati.

La regione dovrà emanare delle direttive precise per l’applicazione delle leggi citate e in particolare per definire le modalità di attribuzione degli incentivi volumetrici per i casi di riqualificazione degli edifici esistenti o per il loro abbattimento e ricostruzione.

Fermo restando che gli incentivi sono riconosciuti solo agli edifici con

efficienza energetica più elevata dello standard minimo obbligatorio previsto dalle norme regionali, la Regione dovrà definire:

- le modalità urbanistiche di riferimento per i Comuni per la scelta

dei comparti di intervento tenendo conto della loro densità urbanistica e delle modalità di sopraelevazione degli edifici o di addensamento anche in

riferimento all’illuminazione solare

-le parametrazioni degli incentivi rispetto alle classi previste sulla

base di un calcolo finanziario tra costi e benefici secondo la modalità ESCO;

- le modalità di controllo che dovranno essere rigorose e accompagnare

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tutto l’iter dalla verifica della coerenza del progetto con la classe di

efficienza energetica dichiarata, alla verifica dell’esecuzione in cantiere e alla verifica finale per l’attribuzione della qualità energetica reale;

- le sanzioni da applicare nel caso l’esito reale non sia coerente con il progetto sulla base del quale sono stati elargiti gli incentivi edificatori per evitare speculazioni indebite e disprezzo delle regole e del ruolo della pubblica amministrazione che ne sarebbe corresponsabile;

Va sottolineato che questa modalità di intervento favorisce la riconversione della produzione edilizia verso la qualità del patrimonio esistente invece che verso il consumo di nuovo terreno.

5. Agricoltura

L’agricoltura è un settore produttivo fondamentale ai fini della salvaguardia della biodiversità e delle risorse naturali, dell’attuazione delle politiche dello sviluppo rurale, per la sicurezza e la qualità delle produzioni

alimentari. Nella competizione globale appare determinante rafforzare la capacità competitiva del sistema agro-alimentare regionale, accentuando i caratteri identitari delle nostre produzioni in relazione alle peculiarità del territorio regionale e delle sue tradizioni culturali e alimentari. In questo senso deve essere confermata la scelta di un’Emilia-Romagna libera da OGM. Occorre che la Regione realizzi un piano triennale per

l’agricoltura biologica attraverso cui coordinare interventi per implementare concretamente i principi e le pratiche del metodo biologico in diversi ambiti territoriali, produttivi e di servizio. Va esteso l’utilizzo di

alimenti biologici in tutte le mense pubbliche, scolastiche e non. Vanno ricercate e sostenute le iniziative che garantiscono la filiera corta e il

rapporto diretto dei produttori con i consumatori (GAS e farmer market). La Regione deve operare per incrementare il ruolo e la consapevolezza degli agricoltori che devono considerarsi non dei meri produttori, ma custodi del territorio, sia per quanto riguarda la tutela del paesaggio, dell’ambiente naturale e delle risorse idriche, sia per quanto riguarda il ripristino della sostanza organica nei terreni.

6. Servizi Pubblici e Beni Comuni

Siamo contrari alla privatizzazione dei servizi pubblici .In particolare l’

acqua bene comune e fonte di vita e va ripubblicizzata (rete e servizio) laddove privatizzata.

Le strategie industriali di Hera ed Enia non dovranno essere

in contrasto con il bene comune e le scelte in materia di acqua, rifiuti ed

energia dovranno essere subordinate alle politiche degli enti locali e non viceversa.

7. Inquinamento atmosferico

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L’aria della pianura padana è tra le più inquinate del mondo.

Lo confermano i dati delle centraline, il naso e l’andamento delle malattie bronchiali.

Non ci si può illudere che le cose cambino facilmente e tanto meno si può fingere che la situazione sia migliore di quella che è o far credere che la questione si risolva alterando i livelli di tutela della salute per adeguarli alla condizione climatica della Pianura Padana, certamente peggiore di altre zone.

Il tema dell’inquinamento deve essere affrontato in modo trasversale e non essere appannaggio soltanto dell’Assessorato all’Ambiente ma

è necessario coinvolgere in questa direzione anche le scelte

degli Assessorati Trasporti e Attività Produttive. Le misure assunte e finanziatesulla qualità dell’aria devono essere orientate all’ottenimento del risultato. In particolare va potenziato e finanziato un piano di riforestazione urbana. Il dato ambientale-climatico fa parte dei dati della realtà in cui viviamo e spetta a noi agire per adeguare la nostra attività alla realtà in cui viviamo. La strategia della Regione dovrebbe finalmente fare scelte strategiche e

coerenti:

-puntare con determinazione a stabilizzare il “livello medio della qualità annuale dell’aria” entro i limiti stabiliti dall’Unione Europea, cosa possibile e raggiungibile in poco tempo;

-operare per evitare il superamento dei 35 giorni annui di sforamento delle PM10 e comunque assumere un indirizzo per cui al supermanto del 30° giorno scattino misure molto drastiche di tutela della salute

Con queste due scelte si farebbe un salto in avanti e si renderebbe l’intera comunità coinvolta e corresponsabile nelle azioni per ridurre il consumo

energetico e i livelli di inquinamento.

8. Stop al consumo di suolo

L’elevato consumo di suolo avvenuto anche in Emilia-Romagna sta minacciando le risorse naturali, l’agricoltura e l’equilibrio territoriale. Tra il 1976 e il 2003 in Emilia-Romagna sono stati urbanizzati oltre 80.000 ettari (14 città

come Bologna) e sono stati persi oltre 197.000 ettari di suolo agricolo.

La trasformazione di suolo da un uso naturale o semi-naturale ad un uso artificiale, ovvero la sua asportazione o copertura permanente, deve essere correlata alle ricadute di tipo ambientale. Pertanto ogni trasformazione si

deve accompagnare ad un serio processo di valutazione della necessità e della sostenibilità dell’intervento previsto. Questo processo deve prevedere la

messa in atto dapprima tutte le azioni possibili per ridurre gli effetti

ambientali che esso inevitabilmente comporta, ma soprattutto vanno individuate scelte alternative rispetto a quelle che causano consumo di nuovo territorio.

Questo stesso processo, riferito al momento della pianificazione, si traduce in una attenta valutazione riguardante la reale necessità di trasformare

irreversibilmente un determinato suolo. In entrambi i casi, la trasformazione porta con sé una pur minima sottrazione di spazi e di risorse naturali che

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gravano sulla bilancia ambientale locale. Laddove la scelta conduca comunque ad un consumo di nuovo territorio devono essere introdotte una serie di contropartite, a carico del trasformatore (pubblico o privato che sia), capaci di fornire in altri lotti, ma in un intorno territoriale definito

(tendenzialmente nello stesso comune) un credito ecologico in termini di aree e di risorse economiche da investire nella rinaturalizzazione.

E’ necessario rimuovere la perversa logica indotta dagli oneri di

urbanizzazione che subordinano le disponibilità finanziarie dei Comuni a nuove edificazioni, promuovendo e sostenendo un progetto di legge di livello

nazionale. Per quanto riguarda la Regione è necessario promuovere una modifica alle leggi urbanistiche vigenti prevedendo un meccanismo in grado di limitare il consumo di suolo, riqualificare i suoli non edificati, dare priorità alla

formazione di natura e paesaggio, di attuare una compensazione ecologica preventiva e di promuovere un’urbanistica armonica con il territorio naturale.

A questo proposito segnaliamo che in Lombardia il DIAP – Politecnico di Milano ha già suggerito una proposta di modifica della Legge Regionale n. 12/2005 per accogliere le istanze di limitazione al consumo di suolo e di costruzione di ambiente.

9. Gestione dei Rifiuti

Il primo obiettivo che ci proponiamo è la riduzione della produzione dei rifiuti. Va incentivata anche attraverso il Piano d’Azione Ambientale la riduzione degli imballaggi e vanno sostenute modalità, come la raccolta domiciliare, in grado di responsabilizzare e ridurre la produzione di rifiuti indifferenziati. Regione e Ato devono adottare tariffazioni incentivanti e premianti la riduzione dei rifiuti.In tale prospettiva riteniamo che vada incentivata la filiera del riciclo, la costruzione di impianti di riduzione e stabilizzazione dei rifiuti indifferenziati (TMB) ed evitata la costruzione di nuovi inceneritori. Anche in questo campo chiediamo una ridefinizione delle politiche di sussidiarietà facendo in modo che la Regione riacquisti un ruolo di coordinamento e di decisione attraverso la realizzazione di un piano regionale per la gestione dei rifiuti.

10. Piano Territoriale Regionale (PTR) e sviluppo sostenibile

Con la trasformazione del PTR in un documento programmatico di indirizzo senza che siano in esso contenuti obiettivi cogenti di governo del territorio si pone il problema del

“controllo” per garantire che gli atti di Province e Comuni

siano coerenti e rispettosi degli obiettivi e delle regole introdotte dai Piani Settoriali: PTPR, PRIT, PER, Leggi regionali come la 19/1998 e la 20/2000, ecc.Obiettivi e regole dovranno essere di riferimento per la pianificazione urbanistica delle Province e dei Comuni e dovranno evidenziare i “territori intoccabili” e le “zone di tutela ambientale” di interesse europeo e regionale, le modalità di trasformazioni del territorio e delle ristrutturazioni delle

città per accrescere la qualità urbana e contrastare la rendita.

Inoltre, dovrebbe definire i criteri generali per l’equa ripartizione degli

introiti privati e per laremunerazione degli obiettivi pubblici da attuare nei Piani Operativi Comunali (POC).Si dovrebbe discutere anche di una nuova legislazione per la finanza

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locale al fine di togliere i Comuni dall’attuale imbarazzante situazione per cui con più tutelano il territorio con meno incassano per i servizi, e viceversa.Un paradossale “conflitto di interessi” che la Regione dovrà affrontare.

11. Mobilità: dalla gomma al ferro.

La mobilità di persone e merci su strada è ormai insostenibile: malattie da inquinamento, perdita del tempo di vita, costi crescenti per il caos: la mobilità favorisce lo sviluppo, ma ormai è più il tempo in cui si resta fermi.

In Emilia-Romagna è ancora molto forte la spinta conservatrice a mantenere le abitudini acquisite durante gli anni in cui la motorizzazione di massa era

crescente, sono ancora molto forti gli interessi legati ai servizi e alle infrastrutture funzionali al traffico automobilistico, è ancora molto forte l’ideologia secondo la quale il problema del traffico si risolve fluidificandolo e inseguendo continuamente la “domanda” di traffico privato con sempre nuove offerte di infrastrutture ad esso dedicate.

La domanda va invece governata e razionalizzata, la mobilità non è un bene se la sua crescita non coincide col progresso, la mobilità e la sua crescita

vanno “trasferite” su mezzi collettivi o almeno non inquinanti.

I punti di partenza di tutta la politica del settore risiedono nel

rafforzamento dell’azione di tutela e risanamento ambientale e nello sviluppo di una mobilità collettiva moderna e flessibile, capace di risolvere i problemi di congestione che soffocano in particolar modo le aree urbane del

territorio. Studi compiuti dall’ARPA regionale relativi ai trasporti stradali,

hanno dimostrato come essi siano responsabili per il 68% delle emissioni di CO2 nell’aria, per il 57% di Nox, per il 40,% di PM10(Annuario regionale dei dati ambientali 2007). In questo contesto una delle questioni da affrontare con

decisione è quella dell’inquinamento globale e urbano da PM10 che ha raggiunto livelli di gravità elevata e tali da essere oggetto delle sanzioni dell’Unione Europea e, più di recente, dell’iniziativa di alcune Procure nei confronti di amministratori locali.

Come anche previsto dal Piano Regionale Integrato dei Trasporti, le azioni debbono convergere al fine di comporre, nel loro insieme, una strategia praticabile per la riduzione delle emissioni inquinanti in congruenza con gli obbiettivi fissati dal protocollo di Kyoto e dalle direttive comunitarie in materia di qualità dell’aria.

L’elaborazione del NUOVO PRIT dovrà prendere le mosse dalla definizione di una mobilità sostenibile in termini ambientali e per evitare caos e perdite di

tempo (se tutti i mezzi fossero elettrici saremmo comunque disperati) e individuare le priorità di investimento per risolvere questi problemi nell’ interesse di tutti i cittadini.

In un momento in cui si rincorre qualsiasi proposta di nuovi sistemi di trasporto pubblico, purché almeno in parte finanziata dal Governo centrale, diventa fondamentale calcolare il rapporto costi/benefici delle scelte. Non si tratta di demonizzare le metropolitane, siano in sotterranea o in superficie, ma non bisogna dimenticare che la soluzione migliore spesso è costituita dalla

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funzionalizzazione delle tratte ferroviarie che attraversano già le aree urbane (la cosiddetta “cintura ferroviaria” di Bologna, ad esempio, potrebbe servire la Fiera e i palazzi della Regione). A questo proposito l’attivazione di un progetto da 100 milioni di euro per la costruzione dei 5 kilometri del people mover (con 27 milioni di euro stanziati dalla Regione con i fondi FESR) è sicuramente in contrasto con un buon rapporto costi/benefici.

La bicicletta deve tornare ad essere il mezzo di trasporto ideale e

idealizzato per percorrere le distanze più brevi, che sono poi la maggior parte degli spostamenti urbani. La bicicletta deve diventare il mezzo di trasporto urbano più usato quotidianamente e come tale deve essere favorito dalla crescita di politiche pubbliche per favorire la mobilità ciclistica.

Uno dei temi centrali dovrà essere quello della logistica per il trasporto

delle merci facendo leva sull’intermodalità operando per piattaforme capaci di concentrare le merci per il trasporto ferroviario e per raccoglierle per una distribuzione intelligente e concentrata, superando la modalità fortemente

dispersiva di oggi che genera caos e inquinamento e che danneggia le stesse attività produttive.

E’ del tutto evidente che il sistema ferroviario si dimostra come il più adeguato al trasporto merci se esistessero sistemi integrati di raccolta e

distribuzione delle merci.Nuove piattaforme logistiche e potenziamento della rete dovrebbero essere la

priorità degli investimenti e degli incentivi regionale: invece di raddoppiare le strade raddoppiamo le ferrovie.

Il nuovo Prit dovrà porsi il problema di spostare la mobilità pendolare locale e regionale sul Sistema Ferroviario Regionale e Metropolitano che però deve essere in grado di offrire un servizio accettabile nei tempi di percorrenza,

nel cadenzamento e nel comfortQuesto dovrà essere la priorità verso cui concentrare le risorse finanziarie nei prossimi cinque anni.

Siamo tenuti a rispettare l’impegno preso con gli elettori più di 10 anni fa di potenziare il servizio sulla rete metropolitana e regionale con frequenze dei treni ogni ora, ogni mezz’ora, e ogni 15 minuti nelle ore di punta, per favorire la mobilità dei pendolari, degli studenti e dei cittadini che già oggi riempiono i treni anche se ancora sono in larga parte indecenti e il servizio precario.E’ perciò decisivo sostenere i costi del servizio ferroviario, sia facendo un’ analisi dei risparmi ancora possibili, sia trovando nuovi cespiti per il

finanziamento dei nuovi treni e dei nuovi servizi.

La priorità fondamentale: realizzare entro il 2012 il Servizio Ferroviario Regionale e Metropolitano.

12. Riqualificazione urbana e bellezza delle città

Il caos della crescita urbana del dopoguerra e la bruttezza di gran parte delle periferie, come degli assi di penetrazione verso le città, sia di pianura che di montagna, richiedono una nuova progettualità per eliminare i guasti prodotti da una architettura moderna di nessun pregio.

Gli stessi centri storici, patrimonio della nostra storia e della nostra

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cultura, sono sempre più aggrediti da una cultura falsamente innovativa che punta alla liberalizzazione degli interventi edilizi di trasformazione per

lucrare sulla differenza della rendita urbana tra centro e periferia.

La Regione dovrà rivedere e potenziare la legislazione di tutela dei centri storici e le modalità di finanziamento per migliorare la loro qualità, in particolare per l’uso di materiali lapidei appropriati e per togliere il

catrame dai centri storici: la cura della bellezza sarà un valore aggiunto in futuro.

Per quanto riguarda le periferie e le altre parti urbane degradate oggi è

possibile, dopo le modifiche alle L.R. 19/1998 e 20/2000 operare per rafforzare i processi di qualificazione urbana della città costruita e limitare l’uso di

territorio agricolo per rispondere alla domanda di nuova qualità dell’abitare e di nuova efficienza energetica.

Risorse pubbliche e private dovranno convergere verso la riqualificazione urbana regolata secondo finalità pubbliche per contrastare la rendita urbana e per ottenere case a fitto equo.

Questo processo di riqualificazione dovrà fare leva su due nuovi istituti introdotti nelle leggi:

• la partecipazione dei cittadini nella definizione degli obiettivi di qualità e nel controllo della loro reale attuazione tramite la definizione dell’ambito di intervento urbano e l’individuazione dei rappresentanti dei cittadini e degli operatori interessati per il loro coinvolgimento in un processo di urbanistica partecipata;

• il concorso di architettura che il Comune può attivare per la scelta del progetto che meglio corrisponde, salvi gli interessi degli operatori

finanziari, agli obiettivi di qualità urbanistica ed edilizia stabiliti dal progetto condiviso al termine del percorso partecipativo.

La regione dovrà incentivare in modo molto preciso e finalizzato queste profonde innovazioni.

13. Tutela del paesaggio

La regione dovrà “adeguare” il Piano Territoriale Paesaggistico Regione (PTPR) al Codice dei beni culturali e del paesaggio oggi in vigore, dopo molte

modifiche.

Sarà una discussione molto importante per affrontare alcuni nodi ancora aperti su cui sarà bene che la regione definisca degli obiettivi di qualità e modalità di controllo sull’attività dei privati e sulle scelte dei Piani approvati da

Province e Comuni molto chiari e rigorosi.

In particolare alcuni temi non sono stati risolti nella discussione sulle modifiche alla parte relativa alla Tutela del Paesaggio della LR 20/200 necessarie per affrontare poi la modifica al PTPR, così come previsto per completare la legislazione regionale in materia.

In particolare dovranno essere definite:

• le modalità con cui i Comuni con i loro strumenti urbanistici definiscono

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anche le regole e le modalità di intervento edilizio per la conservazione e la tutela dei nuclei e dei centri storici, delle bellezze naturali e

panoramiche, oltre a beni immobili locali di particolare bellezza;

• le modalità con cui i cittadini parteciperanno alla definizione del paesaggio,così come previsto dalla “Convenzione Europea del paesaggio”, definendo un processo di consultazione, anche tramite l’attività dell’Osservatorio regionale, per la qualità del paesaggio, relativamente agli aspetti percettivi del paesaggio, alla qualità ambientale nella fase di adeguamento del PTPR, tramite metodologie di rilevazione discorsive che permettano il confronto dei punti di vista e la mediazione degli interessi, inoltre si dovranno seguire protocolli uniformi per le indagini territoriali;

Per l’installazione di impianti industriali di produzione di energia rinnovabile (eolico, fotovoltaico, a biomassa, idrico, ecc), in attesa

dell’adeguamento del PTPR e delle “Linee Guida” nazionali e fatti salvo gli impianti di

“piccola generazione” come specificati nelle norme nazionali, la regione dovrà emanare al più presto i criteri regionali che per le autorizzazioni di competenza dei Comuni per la tutela del paesaggio, del territorio e

dell’assetto idrogeologico; di salvaguardia dal rumore; e per la tutela delle attività e delle persone che vivono nelle aree interessate dagli impianti stessi e di garanzia per le specie animali a rischio.

13. Parchi e Aree protette

La finalità principale dell’istituzione dei parchi è la conservazione della natura. I Parchi e le Aree Protette sono fondamentali per la difesa della biodiversità che è una risorsa e un patrimonio per il nostro paese. In tal senso va rilanciata la politica dei parchi nella nostra regione attraverso

strutture adeguate e competenti. E’ altresì necessario valorizzare e difendere il verde delle città contro l’incuria e la cementificazione, magari attraverso una legge regionale che stabilisca delle forme di tutela per le aree verdi urbane.

14. Scuola

La scuola dell’Emilia-Romagna è un sistema sociale e formativo “complesso”:

sono circa 534.000 gli studenti tra i 3 e i 19 anni che frequentano le istituzioni scolastiche della regione, 455.000 le scuole statali e 79.000 quelle “paritarie” non statali. Il dato riflette la crescita complessiva della popolazione : dopo anni di decremento demografico la natalità è tornata a salire e le quote di immigrazione sono in aumento. Inoltre, a 14 anni, i giovani proseguono quasi tutti il loro percorso formativo a scuola. Da alcuni anni, per effetto di questi diversi fattori, il sistema scolastico regionale accoglie circa 10.000 allievi in più ogni anno, soprattutto nella scuola dei piccoli (infanzia e primaria) e nelle superiori.

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Questo ampio sistema si regge ormai da oltre cinque anni sui principi

dell’autonomia scolastica. Di fatto, con il conferimento dell’autonomia si assiste al rafforzamento della soggettività di ogni scuola, spinta per necessità ad acquisire ed aumentare le risorse interne.

L’autonomia delle singole scuole deve coniugarsi con l’autonomia del sistema scuola : il “fatta salva l’autonomia della scuola” di cui parla la riforma del titolo V della costituzione pone proprio questa riserva costituzionale verso indebite invasioni di campo.

La scuola emiliano-romagnola ha comunque una solida tradizione alle sue spalle, di cui è pienamente consapevole e orgogliosa. E’ lecito attribuire i risultati positivi dell’Emilia-Romagna all’impegno delle scuole e alle tante azioni positive che caratterizzano il nostro sistema educativo. Tale sistema contribuisce alla dimensione inclusiva e accogliente del sistema sociale regionale, si carica di valori partecipativi, fa riferimento agli obblighi di solidarietà, promuove il protagonismo attivo dei soggetti istituzionali (scuole ed enti locali) e sociali (genitori, associazionismo, mondo delle imprese,

ecc.).Oggi evidentemente ci sono nuovi problemi e nuove domande: una forte presenza di nuovi cittadini di altre culture, un disagio diffuso nei modelli di

comportamento, nei valori di riferimento, nelle incertezze per un futuro che

sembra fuori controllo.Per le famiglie ed i loro bambini la possibilità di accesso all’asilo nido o agli altri servizi integrativi per la prima infanzia deve diventare un diritto per tutte le famiglie dell’Emilia-Romagna. In un quadro di costante taglio delle risorse da parte del Governo nazionale, è necessario incrementare il sostegno a tutte le attività di formazione extracurriculare come l’educazione

alimentare, l’educazione alla sostenibilità, l’educazione alla sicurezza stradale, ecc. Per questo va potenziata l’offerta pubblica al fine di

consentire ai genitori una vera libertà di scelta senza ,come spesso accade, doversi rivolgere all’offerta privata per mancanza di posti pubblici.

15. Sanità

Abbiamo condiviso ed apprezzato i nuovi indirizzi contenuti nel Piano

Sanitario Regionale, lo stesso Presidente Errani ha più volte dichiarato che i tagli sono finiti, il risanamento pressoché ultimato, e che si deve concentrare ora sulla qualità e riqualificazione delle politiche sanitarie ed

assistenziali, in particolare per la fascia anziana della popolazione sempre più numerosa che impone mutamenti all'insieme delle politiche regionali e non solo a quelle sanitarie, in quanto è mutata la distribuzione anagrafica della nostra comunità regionale.

Per la riduzione dei tempi d'attesa per visite specialistiche, alcune azioni positive sono già in campo, ma occorre fare di più, rafforzare il ruolo di programmazione degli enti locali nelle politiche sanitarie. La Regione deve agevolare le innovazioni normative previste dalla riforma Bindi che, tra l'altro, modificano in parte anche il ruolo dei direttori generali, i quali

devono rispondere alle comunità amministrate ed ai loro Sindaci, in un passato recente privati ed espropriati di ogni capacità di incidenza sulle scelte delle Aziende sanitarie.

Sul tema dell'assistenza la coalizione deve impegnarsi per migliorare i

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provvedimenti assunti dalla Regione in questa legislatura, in particolare per garantire la presenza e qualificazione anche attraverso l'autogestione, la cooperazione e le ONLUS, strutture e strumenti per l'assistenza alle fasce deboli dei cittadini (giovani, anziani, immigrati in particolare).

Nella prossima legislatura l'assessorato alla sanità non può non porsi il problema di un rilancio concreto delle politiche di prevenzione e

riabilitazione, qualificando e potenziando i presidi sanitari nel territorio.

Negli ospedali occorrerà riqualificare il ruolo del Pronto Soccorso, affinché questo non sia inteso come una struttura generica e di smistamento, ma un presidio capace di intervenire sulle urgenze più ricorrenti, che possono mettere realmente in pericolo la vita.

Dobbiamo renderci conto, che ogni scelta, ogni atto di politica sanitaria,

hanno come presupposto la responsabile e consapevole partecipazione di tutti gli operatori sanitari: ciò presuppone il rispetto dei loro diritti, evitando

di introdurre nel rapporto con i dipendenti diversità di criteri di trattamenti e di pseudo incentivi, caratteristici di gestioni miopi, che sortiscono risultati opposti a quelli voluti.

Non va dimenticato che la nostra è una regione, che registra uno dei più alti tassi di incidenza di infortuni sul lavoro, dovuti in larga misura alla

frammentazione delle imprese, all'elevato numero di lavoratori in nero, alla mancata applicazione della legislazione di prevenzione. La regione dovrà effettuare una rigorosa verifica sull'operato della aziende U.S.L. in questo settore, potenziando i servizi di medicina del lavoro.Va rilevato che è ancora troppo marginale il ruolo assegnato alla prevenzione, spesso confuso con la diagnosi precoce (azione ovviamente positiva che oggi si sta diffondendo con importanti attività di screening ) prevenzione spesso relegata ai convegni e che va orientata sulla diffusione di stili di vita capaci di mantenere il corpo ( e lo spirito) in buona salute.

16. Reddito minimo di inclusione sociale

Di fronte alla crisi economica, destinata ad allungare la sua ombra anche sul prossimo futuro della nostra regione, siamo convinti della necessità di

assumere strumenti di sostegno al reddito che vanno oltre quelli già

contemplati dalla legge e che a breve arriveranno a scadenza temporale. Uno strumento che può rispondere a questa fase di straordinarietà è il “reddito minimo di inclusione sociale” o “reddito minimo di cittadinanza”, da non confondere con il “reddito minimo garantito”. Un sistema, cioè, che ponga al centro la valorizzazione del cittadino, attraverso la coniugazione di

meccanismi di assistenza a percorsi di formazione continua. Al diritto al reddito di cittadinanza, corrisponde il “dovere sociale” da parte del beneficiario ad attivarsi e mettersi a disposizione di percorsi di qualificazione e riqualificazione professionale.

Le politiche per il lavoro “passive” da sole non sono sufficienti. Ad esse vanno necessariamente affiancate politiche “attive”, che prevedano l’attivazione in prima persona del beneficiario delle politiche sociali,

coniugando reddito e progetti di integrazione socio-lavorativa, come indicato dalla Strategia di Lisbona. La grave crisi finanziaria ed il crescente problema

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della disoccupazione, mostrano chiaramente le lacune dei sistemi di protezione sociale di natura prevalentemente assistenziale. Un modello da superare, considerando un nuovo modo di affrontare la lotta alla povertà e all’esclusione sociale, non più incardinato sulla vecchia impostazione di protezione passiva del cittadino.

L’obiettivo primario deve essere quello di rendere autonomo il beneficiario dalla dipendenza dal welfare. In Europa gli schemi maggiormente diffusi si contraddistinguono per una grande attenzione all’inclusione sociale e all’inserimento attivo del cittadino, come obiettivo ultimo di un sistema di welfare di “piena indipendenza”.

17. Sicurezza sul lavoro

Anche in Emilia-Romagna il tema della sicurezza sul lavoro ha il carattere dell’emergenza : il rapporto regionale dell’INAIL registra nel 2008 123.661 infortuni, di cui 112 mortali, e si fa riferimento ovviamente solo ai casi che

vengono denunciati perché tutto il mondo del lavoro nero e del sommerso rimane fuori non solo dalle tutele e dai diritti, ma anche dalle statistiche

ufficiali. In termini assoluti è il settore delle Costruzioni quello che

riporta il maggior numero di infortuni nel 2008 con 10.862 casi denunciati, seguito da Trasporti 8.690, Industria dei metalli 7.420 e Industria meccanica 6.401. Con questi dati l’Emilia-Romagna si conferma la seconda regione con il maggior numero di infortuni dopo la Lombardia. Le ispezioni svolte anche nella nostra regione rivelano che più della metà dei cantieri edili sono risultati

non in regola con le normative sulla sicurezza (oltre che con quelle contrattuali) ed inoltre si deve rilevare che è molto alta, ed in costante aumento, la percentuale di lavoratori stranieri coinvolti in incidenti sul

lavoro.La Regione Emilia-Romagna (pur non avendo le Regioni una competenza in materia di ispezione e controllo) si è impegnata sul tema della sicurezza sul lavoro nei cantieri edili recependo con la Legge regionale n. 2/2009 importanti normative nazionali e comunitarie.

Le istituzioni non sono esenti da responsabilità e hanno a disposizione alcuni strumenti con cui cercare di ridurre al minimo situazioni del genere. Si pensi solamente al volume di lavori e occupazione che è mosso dal settore pubblico, nella sua duplice veste di committente diretto o attraverso le società

partecipate.

Partiamo quindi liberando i bandi pubblici dalla logica del massimo ribasso facendo discendere la scelta delle imprese dalla valutazione di altri fattori come la qualità del lavoro e il rispetto dei criteri di sicurezza e formazione professionale dei lavoratori impiegati. Solo la Regione è presente in 20 società, alcune delle quali, come il porto di Ravenna, gli aeroporti di

Bologna, Rimini e Forlì e i centri agro-alimentari di Rimini, Parma e Bologna, proprio perché utilizzano manodopera in maniera non continuativa e soggetta a picchi di richiesta, risultano essere più vulnerabili a fenomeni di

sfruttamento.

Secondo l’Osservatorio economia e lavoro (Rapporto Ires 2006) il settore trasporti e logistica a Bologna ha il più alto rischio di morte per infortuni sul lavoro e il terzo di invalidità permanente, dopo cave e costruzioni. Vi operano in provincia di Bologna circa 20 mila lavoratori. In gran parte si

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tratta di personale non qualificato. Il 45 % delle assunzioni è composto da lavoratori extracomunitari. Si tratta quindi di un settore in cui ci sono tutte le condizioni che fanno del lavoratore un soggetto debole e ricattabile. La corsa al ribasso delle tariffe in modo da accaparrarsi le commesse fa sì che a pagare siano le condizioni di lavoro e i livelli di sicurezza in cui operano i lavoratori impiegati, questo anche all’interno delle imprese a partecipazione pubblica e cooperative.

Sarebbe necessario approvare una legge regionale per la sicurezza del lavoro che riguardi anche gli altri settori a rischio come, ad esempio, la logistica e i trasporti. Sarebbe necessario fissare dei parametri ai quali le imprese che

vogliono le commesse debbano necessariamente sottostare in tema di formazione dei lavoratori, controlli periodici, rispetto di tutte le norme di sicurezza, livelli contributivi minimi. E se un’impresa viene sorpresa a non rispettare quanto pattuito la si dovrebbe escludere da future commesse pubbliche.

18. Liberi da tutte le mafie

E’ ormai un dato assodato e confermato da diversi rapporti e inchieste il fatto che in Emilia-Romagna sia presente una significativa infiltrazione della

criminalità organizzata. Questa non avviene nella forma cruenta che abbiamo conosciuto in altre aree del Paese ma non per questo è da ritenere meno

insidiosa.Un deficit culturale e la circolazione, per un lungo periodo, di alcuni luoghi comuni sono all’origine di errate convinzioni, del tipo che al Nord non c'era e non c’è mafia; che la mafia, o meglio, le mafie siano il prodotto di un

Mezzogiorno arcaico e arretrato e che, dunque, non sono in grado di allignare e di prosperare in regioni moderne ed economicamente sviluppate.

Oppure, appunto, una lettura riduttiva che considera le mafie “solo” come organizzazione criminale, violenta, truce, composta da assassini. Il metro di misura per definire la mafia è stato a lungo l'omicidio. E dunque, secondo questa linea interpretativa, dove non ci sono omicidi, non c'è mafia.

Fu la relazione della Commissione antimafia del gennaio 1994, che succedeva di poco ad un rapporto della DIA, che squarcio più concretamente il velo di questa cecità.Ci sono diversi indicatori che ci segnalano le presenze mafiose sul nostro territorio.La penetrazione ha avuto la peculiarità di non avvenire, come ho detto, in forme cruente. Né ci sono state guerre di mafia. Le varie mafie si sono divise il territorio e hanno agito di comune accordo. Il territorio, nella seconda metà degli anni ’80, era talmente vasto e vergine che non c’era bisogno di scontri armati per penetrarvi.Il diffuso benessere, l'alta concentrazione di beni e di capitali, l'avanzata rete di comunicazioni, di traffici, di commerci, la posizione strategica del territorio regionale, rappresentante via obbligata di transito tra il Nord ed il Sud, sono tutti fattori che, oggettivamente, hanno favorito in questi anni l'infiltrazione dei sodalizi criminali i quali hanno necessità di aprire nuovi mercati per investire le enormi quantità di denaro dicui dispongono, quali proventi delle attività illecite poste in essere.

L'Emilia-Romagna è stata considerata - e lo è tuttora - come un territorio di transito per il traffico di armi e come un’enorme area di mercato per la distribuzione e la commercializzazione di ogni tipo di droga. Un grande supermarket di droga che arriva prevalentemente dai mafiosi.

Quello emiliano-romagnolo è un mercato aperto. Nessuno detiene il controllo assoluto o il monopolio, per cui sono da tempo in atto nuovi sviluppi ed

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ingressi di ulteriori organizzazioni criminali anche da Paesi esteri (Albania,

Russia, Nord Africa).Bisogna riconoscere che in Emilia-Romagna hanno funzionato dei veri e propri anticorpi che hanno reso più difficile la penetrazione mafiosa. Il senso civico, un robusto tessuto sociale, la diffusa rete associativa e

democratica presente nella regione hanno attutito fenomeni altrove presenti in maniera ben più pervasiva.

Soprattutto ha funzionato come una barriera il complessivo sistema politico e istituzionale della regione. La debolezza delle strutture mafiose la si deve anche al mancato rapporto con il mondo della politica e delle istituzioni locali.Però tra le cause locali che hanno favorito, in modo diretto o indiretto, l'insediamento o la diffusione delle mafie in Emilia-Romagna va certamente

annoverata una notevole incomprensione della realtà mafiosa da parte di settori significativi delle istituzioni ed in particolare delle strutture preposte alla

repressione ed alla prevenzione. Vi è stata una diffusa sottovalutazione dei fenomeni e forse, in taluni casi, anche qualcosa di peggio, che occorrerebbe

esplorare fino in fondo.Ad esempio le carte processuali dimostrano che i reati di associazione a delinquere di tipo mafioso introdotti dalla legge Rognoni-La Torre sono stati a lungo utilizzati con estrema parsimonia.

E' possibile che abbia a lungo prevalso la convinzione che la mafia non

esistesse al Nord e tanto più in Emilia-Romagna. Si è pensato, forse, che era meglio colpire quei mafiosi senza creare eccessivo allarme, contestando loro singoli reati ma non quelli associativi.

Mafia, camorra, ‘ndrangheta hanno acquistato bar, discoteche, alberghi, negozi, imprese portate al fallimento. Hanno sostituito gli originari

proprietari con offerte in contanti e con cifre superiori a quelle di mercato.

Non erano mafiosi imprevidenti o con scarse conoscenze economiche.

Per loro non valgono le normali regole dell'economia classica o di mercato.

L’importante non è la somma spesa, l'importante è liberarsi del denaro sporco per acquistare un immobile che rappresenta comunque un affare, qualunque prezzo sia stato pagato.Per fare ciò, i mafiosi hanno avuto bisogno di uomini inseriti nei gangli vitali dell’economia locale: nelle banche, nelle finanziarie, negli studi dei commercialisti, di notai, di avvocati.

Hanno avuto bisogno di uomini che mettessero in contatto i due mondi,

economico locale e quello mafioso; di uomini che si possono chiamare “uomini- cerniera” perché fungevano proprio come una cerniera tra quei due mondi.

Questi “uomini-ceniera” a volte sono personaggi gravitanti nell’area della criminalità economica locale, già protagonisti di una serie di attività di delinquenza economica.

A volte, invece, sono personaggi al di sopra di ogni sospetto, persone normali che fanno onestamente il loro lavoro. Questi soggetti vengono avvicinati, circuiti, blanditi e alla fine irretiti in un ambiente criminale che li

sospingerà su un crinale molto accidentato e pericoloso.

L'Emila-Romagna è considerata dalle organizzazioni mafiose come una grande area di investimento dove impiegare il danaro accumulato illecitamente.

Ma è proprio su questi aspetti che la percezione dei pericoli e l'attivazione degli anticorpi è stata minore. Qui sta una singolarità della regione.

Un omicidio, la scoperta di un traffico d’armi, una rapina in banca o la

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presenza di piccoli spacciatori creano allarme sociale e determinano un senso diffuso di insicurezza.

L'acquisizione con capitale mafioso di un bar, di un negozio, di un albergo, di una discoteca non è inteso come un pericolo.

Nonostante oggi il livello di denuncia e di allarme si sia intensificato, ancora oggi, nell’opinione pubblica, non c'è ancora la percezione della pericolosità sociale del capitale mafioso e degli effetti devastanti nell'economia.

C'è un territorio fisico, materiale, occupato a volte militarmente dalle mafie, ma c'è un nuovo territorio, più immateriale, costituito da tutti quei luoghi dove si accumula e circola il denaro; da quei luoghi - che sono antichi e moderni nello stesso tempo - dove i soldi frutto di traffici di droga, di

armi, di sigarette, di preziosi o frutto di altre attività illegali come

l'estorsione, l'usura, le truffe, le bische clandestine e innumerevoli altre attività si trasformano in capitale pulito conferendo a chi li possiede rispettabilità, prestigio, potere.

Basti pensare alle oltre 2600 società finanziarie censite dall'Ufficio

Italiano Cambi in Emilia Romagna nei primi anni ’90. Esse rappresentavano circa il 10 per cento delle finanziarie esistenti nel territorio nazionale.

Il fenomeno presentava, però, aspetti patologici se si considera che il continuo aumento di società finanziarie, soprattutto quelle che si dedicano quasi esclusivamente all’attività di fido, non era giustificato dalla stasi dell'economia regionale che, nell'amo 1992 ha fatto registrare una crescita zero e nel 1993 ha addirittura presentato un trend negativo. Oggi, in una fase di crisi profonda per il Paese, la situazione rischia di ripresentarsi negli

stessi termini.

E’ da considerare che la politica bancaria in tema di fidi, interviene con

finanziamenti soltanto dove trova adeguate garanzie e diffida di imprese che si trovano in stato di crisi. Pertanto, in una situazione congiunturale dove

sempre più spesso ci si trova di fronte a crisi d'impresa, queste non trovano congrua risposta ai loro bisogni da parte delle banche e sono costrette a ricorrere al più accessibile mercato del credito clandestino. Mercato che

anche in Emilia-Romagna è fortemente segnato dalla presenza della criminalità organizzata la quale, anche attraverso questo strumento, si inserisce nelle attività economiche, prima portandole ad un definitivo collasso e poi

prelevandole o mediante inserimento nelle procedure fallimentari e con pagamento in contanti.

Esiste poi l’altro grande tema della penetrazione dell’economia illegale attraverso gli appalti e i subappalti accompagnati dagli allarmanti segnali provenienti dall'esito di molte gare assegnate con percentuali di ribasso dall’offerta di partenza che risultano a dir poco anomale e insostenibili per qualunque azienda sana.

Non meno preoccupante è il rapporto tra criminalità mafiosa e criminalità locale.

Accanto alle più note forme criminali collegate con le associazioni "madri”, vi è a una criminalità locale meno pubblicizzata e conosciuta la quale, tuttavia, è forte ed attiva e rivendica una propria autonomia, una propria soggettività, una capacità operativa e propri settori d'intervento.

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Se questa è la reale portata della sfida, serve un fronte comune di tutti i soggetti Istituzionali locali e dello Stato, delle forze politiche, sociali.

Serve un progetto strategico e non una serie di iniziative saltuarie.

Ci deve essere un maggiore investimento sull’attività di “intelligence”, su chi deve e ha gli strumenti per svolgere attività di investigazione sul

territorio, armonizzando, rafforzando e mettendo in rete quelle strutture che oggi sono determinanti per raggiungere questi obiettivi. Andrebbero svolte attività permanenti di monitoraggio, anche da parte delle istituzioni: attività di indagine ed informative con il monitoraggio sulle attività economiche;

attivazione di un sistema informativo telematico per la raccolta e la diffusione dei dati relativi agli appalti ed ai collaudi di opere pubbliche realizzato in rete con terminali collocati presso tutti gli enti locali della Provincia e della Regione; censimento delle società finanziarie e fiduciarie;

rilevazione dei dati relativi ai turn over delle aziende; tenere sotto osservazioni le rilevazioni della Banca d’Italia.

Si tratta di attività che produrranno tanto migliori risultati, quanto meno avranno carattere episodico. Occorre, Infatti, tenere costantemente sotto controllo il territorio ed i vari accadimenti in modo da cogliere

immediatamente ogni alterazione della normalità.

19. Cultura

La Regione deve fare delle politiche culturali un elemento qualificante della sua azione di governo, in un’ottica di democratizzazione e di socializzazione della cultura per fasce sempre più estese della popolazione.

Assumiamo la priorità della funzione delle città intese come centri culturali che dai bisogni dell’individuo, e dalle conseguenze di questi bisogni nel tempo libero, traggono gli effetti per lo sviluppo urbano. La città intesa come

centro culturale deve comprendere la totalità delle attività di svago, di

divertimento, d’informazione disinteressata, di partecipazione volontaria alla vita culturale di qualsiasi genere e a qualunque livello.

Dobbiamo fare dell’Emilia-Romagna un ambiente intelligente.

L’obiettivo deve essere quello di avvicinare il cittadino ai fatti culturali e sociali dentro una prospettiva integrale del territorio e dell’attività delle

Amministrazioni, aperte alla partecipazione. In questa direzione vanno attivate tutte le risorse e gli strumenti indispensabili e disponibili (pubblico -

privato - privato sociale e volontariato associativo) per la creazione di un circuito virtuoso al fine di rivitalizzare e riqualificare dal lato dell’

offerta culturale e turistica i Centri Storici e per ridefinire le relazioni fra essi stessi e la periferia.

Il ricco patrimonio culturale, sia pubblico che privato, della nostra regione si presenta ancora troppo in forme parcellizzate, frammentate, senza una idea d’insieme che può dare la forza e la vitalità necessaria ad un progetto

culturale che mira ad avere una ricaduta espansiva sulle città e fuori le loro

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“mura”.

Va dunque in primo luogo realizzata una mappa ragionata, articolata e capace di cogliere connessioni destinata ad operatori, utenti e pubblico in genere.

Il patrimonio culturale emiliano-romagnolo è forte e può affermarsi su larga

scala se è in grado di proporsi come “SISTEMA CULTURALE”, in cui ogni singola esperienza non si mortifica ma al contrario si esalta e si valorizza.

Nella prossima legislatura si dovrà dunque accentuare il ruolo di governo e di orientamento strategico, di messa in rete (anche attraverso forme di

incentivazione e di promozione) delle esperienze pubbliche e non, attraverso la costruzione di progetti comuni di valorizzazione del patrimonio esistente e di promozione e sviluppo della produzione creativa.

L’obiettivo fondamentale, dunque, intorno a cui lavorare nella prossima legislatura, deve essere quello della creazione di un “sistema a rete integrato” per la ideazione, promozione, sollecitazione e gestione delle iniziative culturali e formative nel territorio regionale. In tale sistema l’

Amministrazione partecipa non certo per esercitare un ruolo di controllo, che finirebbe col soffocare il libero dispiegamento di energie e di risorse, ma al contrario per avere il ruolo di cogeneratore e di cogerente oltre che di garanzia di continuità del sistema stesso.

Naturalmente ragionare in una logica di sistema (che comporta il superamento di tendenze alla conservazione di nicchie, che pure esistono) richiede uno sforzo non indifferente di definizione di un orizzonte strategico comunemente condiviso entro il quale inscrivere le scelte di indirizzo di ogni singola

esperienza.

Uno strumento efficace di cui può dotarsi il sistema è un network culturale (all’interno della rete civica telematica cittadina di prossima apertura) le cui potenzialità possono essere molteplici: dalla possibilità di accedere ad un archivio aggiornato di documenti, testi, relazioni, sintesi di conferenze

pubbliche fino all’apertura di aree di dibattito e di confronto su rete.

Cultura, volano dello sviluppo e del turismo

Siamo fermamente convinti che non può esistere uno Stato moderno ed efficiente senza una lungimirante politica culturale e del turismo.

Da questo punto di vista occorre tenere presente che il mercato italiano delle visite ai beni culturali e ai luoghi di interesse storico-artistico, nel

decennio che abbiamo alle spalle, ha registrato in Italia il tasso di crescita

più elevato. Se guardiamo all’Emilia-Romagna scopriamo che la percentuale sul totale nazionale del patrimonio museale e dei beni culturali – laici e

religiosi – è seconda solo alla Toscana.

Il turismo di domani deve puntare più sulla qualità che sulla quantità. Il turismo dell’esplorazione, della ricerca e della curiosità. Qui è una delle

scommesse che abbiamo di fronte per corrispondere al ragionevole proposito di lasciare una traccia duratura.

Oggi l'investimento nel tempo libero avviene con una frammentazione delle vacanze: alla vacanza principale se ne aggiungono altre, più brevi, che occupano il fine settimana e seguono logiche diverse. Questo libera spazi e

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crea possibilità di sviluppo per un turismo culturale che sappia coniugare, in un mix felice, luoghi, patrimonio culturale, mostre e territorio.

E i risultati si vedono: il turismo culturale in Emilia-Romagna è uno dei settori che ha registrato la maggiore crescita nelle ultime stagioni.

Nel corso di questi anni, le Città d’Arte dell’Emilia-Romagna sono cresciute:

da fenomeno turistico di nicchia sono diventate una proposta sempre più affermata e richiesta.

Del resto, in presenza di risorse economiche via via decrescenti, il management dei beni culturali non può che ricorrere al turismo.

Dal punto di vista del marketing, il turismo culturale va inteso a mio parere come una sorta di fitness dello spirito e della mente, un momento importante di gratificazione individuale e collettiva. E' necessario sgombrare il campo

dall'equivoco che tutto si risolva nel mandare il maggior numero di persone a

vedere una grande mostra. Non abbiamo a che fare necessariamente con una folla di intellettuali, ma con persone che vogliono sperimentare eventi e situazioni piacevoli.

Bisogna capire innanzitutto qual è il mercato e questo compito deve essere svolto dagli enti locali e dal management dei beni culturali.

Merita di essere meglio sviluppata la visione della nuova economia della cultura: costruzione del prodotto, pacchetti per il soggiorno, attivazione dei mercati, quindi promozione attraverso una coalizione di sforzi.

Si tratta di sfruttare in modo intelligente le nostre peculiarità. Tanto per

cominciare, abbiamo una collocazione geografica ottima. L’Emilia-Romagna è un anello strategico di infrastrutture di trasporto, in primo luogo autostradali.

Grazie alla prossimità territoriale, l’Emilia-Romagna è una specie di città- regione, una rete di città-capitali storiche. Ecco perché esiste la necessità di individuare una marca regionale, cioè una immagine omogenea, un profilo

preciso. In definitiva il prodotto emiliano-romagnolo vero è lo «stare bene», cioè la possibilità di declinare in molti modi un'idea di civiltà.

Il compito della Regione deve essere quello di far emergere la consapevolezza che il nostro patrimonio culturale è vincente in una logica di sistema. Deve emergere l'idea di un prodotto unitario, riconoscibile. Si tratta insomma di far dialogare fra loro Comuni e Province, di far uscire gli enti locali

dall'isolamento e dalle gelosie di campanile.

20. Nuove Culture e pluralismo religioso

La crescita della presenza di cittadini provenienti dai più disparati Paesi del mondo con il loro bagaglio di culture e di fedi, spesso vissute con più intensità e partecipazione di quanto ormai non facciano tanti cristiani e cattolici autoctoni, pone le nostre comunità e le amministrazioni locali di fronte a questioni e problemi inediti.

Dobbiamo decidere cosa fare. Siamo di fronte ad un bivio. Dobbiamo scegliere se rifiutarci di vedere la questione come fosse un problema che si pone alla gelosa custodia delle nostre tradizioni e della nostra fede, negando così, a centinaia e forse migliaia di cittadini a tutti gli effetti, la libertà di

celebrare i loro culti e coltivare le proprie fedi religiose alla luce del sole

e in piena dignità. Sarebbe una scelta grave e indegna per una società avanzata

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e davvero laica.

Possiamo, al contrario, riconoscere il tema che si pone dinnanzi a noi e,

invece che viverlo come un problema, farne un’opportunità di crescita per tutta la comunità. Il rischio che infatti si può correre, nel riconoscere e dare

risposta all’esigenza posta di avere spazi e luoghi per esprimere la propria fede, è quello di lasciare che si costruiscano tante “isole” dove ognuno svolge i suoi culti, insegna la sua religione senza nessuna comunicazione con il resto della popolazione, del territorio e delle culture, religiose e non, che in esso insistono. E’ questa prospettiva che crea diffidenza e preoccupazione anche nelle persone animate da buoni intendimenti.

L’ambizione che chi governa in modo avveduto il territorio dovrebbe avere è quella di dare concretezza a luoghi che, anche simbolicamente ed

architettonicamente, rappresentino l’incrocio e l’incontro del crogiolo di culture e di fedi differenti. Pensiamo alla promozione e alla creazione di

“Case delle culture e delle religioni” che dovranno essere luoghi di confronto, di dialogo, di convivenza e di celebrazione di feste e cerimonie religiose, sale per conferenze, mostre, biblioteche. Luoghi dove ci si abitua a convivere portandosi dietro la sintesi della propria identità e della propria memoria ma allo stesso tempo tutti siano invitati a riflettere su quali valori si possa e si debba costruire la tavola condivisa, l’abecedario di una idea di città vera

“comunità di differenze” e non una Babele governata da un confuso relativismo culturale. L’obiettivo dovrebbe essere quello di fare, di queste esperienze, il polmone di un complessivo intervento culturale e formativo. Pensiamo al ruolo che potrebbe avere, al riguardo, la scuola, di ogni ordine e grado, guardando anche ad esperienze feconde che all’estero, amministrazioni sensibili e politicamente lungimiranti, stanno sperimentando da anni.

Questi luoghi diverrebbero, ad un tempo, interventi di grande livello

architettonico, ma anche di imponente potenza comunicativa; un invito e una sfida per tutta la comunità e che potrebbe divenire un simbolo dell’

intercultura, della condivisione, del confronto tra le religioni e le

popolazioni del mondo. La cultura della pace va coltivata giorno per giorno anche attraverso l’incontro fra le esperienze di fede. Ha scritto il teologo Hans Kung: “non c’è pace tra le nazioni senza pace tra le religioni. Non c’è pace tra le religioni senza dialogo tra le religioni”. Potremmo tradurre così:

conoscersi per capirsi, rispettarsi e crescere insieme. L’Emilia-Romagna, a cui non mancano esperienze e competenze significative in tal senso, colga

l’occasione per coltivare il sogno di essere regione simbolo della pace e della convivenza tra i popoli.

21. Diritti civili e principio di laicità

La Regione può e deve svolgere un ruolo fondamentale nella promozione dei diritti fondamentali di tutti i cittadini a partire dalle fasce più deboli

(minori, immigrati, detenuti).

Diritti sociali e diritti di cittadinanza sono inscindibili perché insieme garantiscono giustizia sociale e libertà individuale. Sosteniamo le politiche che garantiscono parità e libertà per tutti i cittadini e i residenti nella nostra regione e contro ogni forma di discriminazione in ragione del sesso, della razza, della religione, dell’età, dell’handicap,

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dell’orientamento sessuale e identità di genere. Continueremo a lavorare per la fine di ogni forma di omofobia e di transfobia, affinché le persone gay, lesbiche, trans, possano veder riconosciuto lo status di cittadini con pari diritti e pari doveri; per il superamento di politiche proibizioniste che anziché rafforzare il principio di responsabilità lo indeboliscono con pratiche repressive; per il riconoscimento delle libere scelte delle persone in materia di cura, contraccezione, salute sessuale e riproduttiva; per la libertà di ricerca scientifica, inclusa quelle sulle cellule staminali; per il diritto di morire con dignità. Sosteniamo il riconoscimento e l’incoraggiamento della diversità linguistica ,questa diversità di lingue e culture, anche religiose, è stata, e sarà la nostra più grande risorsa,purché si coniughi con il rispetto e il riconoscimento dei diritti individuali di tutti. Questo deve valere anche per le politiche di inclusione dei migranti . Pensiamo che nella nostra regione, che ha fatto della coesione sociale uno dei suoi principali obiettivi le migliaia di persone attive nel mondo del volontariato, del non-profit, del terzo settore e della società civile debbano avere sempre più influenza sulle decisioni pubbliche, perché la solidarietà diventi predominante nelle politiche regionali.

In Emilia Romagna vivono e lavorano già oggi migliaia di migranti, è ormai un fenomeno permanente che richiede la garanzia di eguali diritti e

responsabilità e il mutuo rispetto. Va garantita una politica d’inclusione che la nostra regione ha sempre adottato, oltre che pari diritti tra migranti e cittadini della nostra regione nei luoghi di lavoro o di studio, nella

consapevolezza che essi sono un elemento necessario dell’economia globale e di un mondo sempre più interconnesso. Garantire opportunità di accesso e di

inclusione, rende più agevole la necessaria politica di governo

dell’immigrazione . In ogni caso i diritti umani fondamentali, a partire da quello alla salute e alla tutela dei minori, vanno garantiti anche ai migranti non

regolari. La lotta al razzismo e il principio di non discriminazione etnica e religiosa sono alla base delle nostre scelte politiche .Sono principi che vanno consolidati anche nella nostra regione .

Le donne devono poter essere libere di decidere di sé e del proprio corpo:

l’autodeterminazione femminile resta per noi un principio fondante. La crisi, tuttavia, potrebbe costringere le donne ad arretrare sia rispetto all’

inserimento nel mondo del lavoro, sia rispetto alla partecipazione ai luoghi di decisione politica ed economica, riconducendole ad un esclusivo ruolo

familiare. Noi ci impegneremo perché ciò non accada e le donne siano libere di decidere di sé e del proprio corpo. Sosterremo le azioni positive, le pari

opportunità, l’eliminazione di tutte le forme di discriminazione. Ci

impegneremo per garantire alle donne l’accesso al lavoro e alla progressione nelle carriere; per la democrazia paritaria a tutti i livelli istituzionali;

per combattere la violenza nelle sue diverse forme.

L’Emilia-Romagna deve essere perciò la Regione dei diritti. La difesa della laicità dello Stato è fondamentale per la democrazia e per estendere le libertà.

Sullo sfondo ci sono le questioni ben note, dalla ricerca sulle cellule staminali alle radici cristiane non menzionate nello Statuto della Regione, dalla legge 40 all’esposizione del crocefisso nei luoghi pubblici, dalla tutela dell’autodeterminazione delle donne in materia di maternità al diritto di decidere individualmente sul fine vita, dal riconoscimento dei diritti delle coppie di fatto alla difesa della natura dei consultori come stabilita per legge.

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