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Co.co.co. o lavoro subordinato?

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Co.co.co. o lavoro subordinato?

written by Redazione | 09/11/2020

Come distinguere le collaborazioni coordinate e continuative etero- organizzate cui si applica la disciplina del lavoro dipendente.

Sei stato costretto ad aprire una partiva Iva pur di lavorare? Un’azienda ti ha fatto firmare un co.co.co. ma, di fatto, svolgi mansioni identiche a tanti altri dipendenti?

Come capire se il contratto di collaborazione esterna che ti lega al tuo datore di lavoro nasconde invece un lavoro subordinato vero e proprio?

I falsi co.co.co. sono nel mirino dei giudici. La magistratura vuole evitare che possano essere facilmente eluse le norme a tutela dei dipendenti. E così si parla di

«co.co.co. etero-organizzate» con riferimento a tutte le collaborazioni coordinate e continuative (false) cui sono applicate le stesse tutele del lavoro dipendente proprio perché assimilabili, in tutto e per tutto, al rapporto subordinato tradizionale.

Ma come capire quando è co.co.co. o lavoro subordinato? Legge e giurisprudenza hanno individuato degli indici rivelatori, che fungono da spia e servono per rivelare i rapporti di lavoro subordinato travestiti da finte

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collaborazioni.

Di tanto si è occupato l’Istituto nazionale del lavoro (Inl) che, con una recente circolare [1], è intervenuto a chiarire i caratteri delle co.co.co. etero-organizzate e le differenze tra co.co.co. e lavoro subordinato. Ecco la sintesi dei punti essenziali del discorso.

Il quadro legislativo

La materia dei co.co.co. è stata modificata dal D. L. n. 101/2019, convertito con la Legge n. 128/2019, in vigore dal 3 novembre 2019. Tale normativa ha modificato la riforma del Jobs Act per introdurvi una disciplina dedicata ai fattorini, i cosiddetti rider e tutti i soggetti che lavorano tramite piattaforme digitali.

La Legge n. 128/2019 modifica i requisiti della collaborazione coordinata e continuativa: di «tutte» le co.co.co., non solo di quelle dei rider e di quelle in cui le modalità di esecuzione della prestazione siano organizzate mediante

«piattaforme anche digitali», ma di qualsiasi altra forma di collaborazione coordinata e continuativa (appunto co.co.co.).

A monte di tali novità, resta il principio, vigente dal 1° gennaio 2016, in virtù del quale, alle collaborazioni dotate di certe caratteristiche, va applicata la stessa disciplina riservata al lavoro subordinato. Vedremo a breve quali sono queste caratteristiche.

Forme di lavoro

Prima di spiegare quali sono le differenze tra co.co.co. e lavoro subordinato dobbiamo indicare quali sono le forme del lavoro. La legge ne contempla principalmente tre: due forme di lavoro autonomo e una di lavoro subordinato.

In particolare, i tipi di contratto di lavoro possono essere:

rapporto di lavoro autonomo «puro»: è il caso dell’artigiano, del professionista (un avvocato, un ingegnere, un medico e così via) e anche il lavoratore «a ritenuta d’acconto»;

rapporto di lavoro autonomo «parasubordinato»: è il caso della collaborazione coordinata e continuativa, la cosiddetta co.co.co.;

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rapporto di lavoro subordinato (o dipendente).

Il lavoro parasubordinato

Le co.co.co. possono essere di due tipi:

la «co.co.co. tradizionale»: sono le collaborazioni per le quali i Ccnl stipulati dai sindacati nazionali principali prevedono discipline specifiche sui trattamenti economico e normativo, in ragione delle esigenze produttive e organizzative del settore [2]; collaborazioni nell’esercizio di professioni intellettuali per le quali è necessaria l’iscrizione in appositi albi professionali ecc.;

la «co.co.co. etero-organizzata», quella nuova, con la particolarità di essere destinataria delle medesime tutele del lavoro dipendente.

Quando c’è una «co.co.co. etero- organizzata»

Veniamo ora ai requisiti della co.co.co. etero-organizzata, quelli cioè che servono per distinguere la co.co.co. dal lavoro subordinato tradizionale; essi sono:

prestazione prevalentemente personale;

prestazione continuativa;

prestazione eseguita secondo modalità organizzate dal committente.

Al ricorrere di tutti e tre i predetti requisiti (non basta quindi uno solo) si applica la disciplina del lavoro subordinato.

Cosa si intende per «prestazione prevalentemente personale»?

Il primo requisito delle co.co.co. etero-organizzate è la personalità della prestazione. La prestazione deve essere prevalentemente (anche se non esclusivamente) svolta dal lavoratore. Per l’Inl ciò comporta che sono incluse anche:

le prestazioni svolte con ausilio di altri soggetti [3];

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le prestazioni rese con l’utilizzo di strumentazione o mezzi in disponibilità del collaboratore.

La previsione nel contratto di una «clausola di sostituzione» (che consente al collaboratore di farsi sostituire, occasionalmente, da un terzo nell’esecuzione della prestazione), non può di per sé escludere il requisito della personalità.

Cosa si intende per «prestazione continuativa»?

Il secondo requisito delle co.co.co. etero-organizzate è la prestazione continuativa da parte del lavoratore.

Secondo l’Inl, si può parlare di prestazione continuativa quando l’attività deve ripetersi in un determinato e apprezzabile arco temporale. Questa caratteristica può evincersi anche dal perdurare dell’interesse del committente al ripetersi della prestazione lavorativa (senza la predeterminazione di un arco temporale) da parte del collaboratore, in modo tale da escluderne l’episodicità.

Tale concetto di continuità, ha aggiunto l’Inl, risponde alle caratteristiche più moderne del mercato del lavoro, in cui risulta difficile predeterminare il tempo di lavoro per tutte quelle prestazioni che rientrano nell’area della c.d. «on-demand- economy» e «just-in-time-workforce».

In questo modo, rientra nella co.co.co etero-organizzata anche quella esecuzione del lavoro frammentata in compiti spesso discontinui e assegnati talvolta attraverso modalità automatizzate.

Cosa si intende con «prestazione eseguita secondo modalità organizzate dal committente»?

L’ultimo requisito delle co.co.co. etero-organizzate è appunto la «etero- organizzazione» ossia la prestazione eseguita secondo modalità organizzate dal committente.

Come detto dalla Cassazione [4], tale requisito è individuato «nell’imposizione, da parte del committente, delle modalità esecutive della prestazione lavorativa, così determinando una sorta di inserimento del collaboratore nell’organizzazione aziendale».

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Per l’Inl, l’eventuale regime di pluricommittenza in cui opera il collaboratore non è di per sé idoneo a escludere l’etero-organizzazione, perché ciò che rileva è la circostanza che la prestazione necessiti della struttura organizzativa del committente.

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