TAR Lombardia- Brescia – sez. I – sentenza del 4 maggio 2020 – n. 320 – ” L’ adozione di provvedimenti di demolizione “
L’adozione dei provvedimenti di demolizione e di riduzione in pristino di interventi edilizi di carattere abusivo non necessita di previa comunicazione di avvio del procedimento, trattandosi di una misura sanzionatoria per l’accertamento dell’inosservanza di disposizioni urbanistiche, secondo un procedimento di natura vincolata tipizzato dal legislatore e rigidamente disciplinato, che si ricollega ad un preciso presupposto di fatto, cioè l’abuso, di cui peraltro l’interessato non può non essere a conoscenza, rientrando direttamente nella sua sfera di controllo .
Gli interventi consistenti nella realizzazione di tettoie o di altre strutture che siano comunque apposte a parte di preesistenti edifici come strutture accessorie di protezione o i ripari di spazi liberi, cioè non compresi entro coperture volumetriche previste in un progetto assentito, possono ritenersi sottratti al regime del permesso di costruire solo ove la loro conformazione e le loro ridotte dimensioni rendono evidente e riconoscibile la loro finalità di semplice decoro o arredi o di riparo e protezione (anche da agenti atmosferici) della parte dell’immobile cui accedono. Tali strutture non possono, viceversa, ritenersi installabili senza permesso di costruire allorquando le loro dimensioni (…) sono di entità tali da arrecare una visibile alterazione dell’edificio o alle parti dello stesso su cui vengono inserite, quando per la loro consistenza dimensionale, non possono ritenersi assorbite, ovvero ricomprese in ragione della loro accessorietà, nell’edificio principale o nella parte dello stesso cui accedono.
Pubblicato il 04/05/2020
N. 00320/2020 REG.PROV.COLL.
N. 00743/2013 REG.RIC.
N. 00744/2013 REG.RIC.
SENTENZA
FATTO
1. L’odierno contenzioso ha origine da due sopralluoghi condotti congiuntamente dalla polizia locale e dal settore tecnico del Comune di Bagnolo Mella il 17 gennaio 2013 ed il 21 marzo 2013 all’interno dello stabilimento della società Italfond, in Via Industriale 1, al fine di verificare, a seguito degli esposti del proprietario confinante, la legittimità di alcuni manufatti presenti all’interno
dell’area produttiva.
2. Nel corso del primo sopralluogo veniva rilevata la presenza di due strutture adibite a deposito/magazzino, precisamente:
– un primo portico collocato in prossimità del confine est di proprietà e in aderenza al prospetto sud di un edificio esistente, avente una superficie coperta di circa 120,75, con uno
sviluppo in lunghezza di circa 20 metri e in larghezza di circa 6,30 metri, un’altezza in colmo di circa 4,18 metri, suddiviso in due zone da un muro di recinzione realizzato al suo interno alto circa 2,18
metri e lungo 20 metri;
– un secondo più ampio portico realizzato ad est del confine di proprietà e in aderenza al prospetto est di un edificio esistente, avente una superficie coperta di circa 769,50 mq, con una lunghezza di circa 81 metri e un’altezza complessiva in colmo di circa 4 metri.
3. Nel secondo sopralluogo veniva rilevata la presenza nell’area industriale, oltre a diversi altri manufatti privi di titolo abilitativo, di un’autorimessa avente superficie coperta di 88,74 mq,
lunghezza complessiva di 15.57 mt, larghezza di 5,70 mt e altezza complessiva in colmo di circa 2,46 mt, dotata di saracinesca con apertura elettronica, ubicata in prossimità del confine est di proprietà e quasi in aderenza al muro di confine con l’area di Fin Prisma S.r.l.
4. Tutti i manufatti erano stati realizzati in assenza di titolo edilizio. L’amministrazione comunale evidenziava inoltre che, all’esito degli approfondimenti eseguiti, era emerso che le costruzioni abusive risultavano -in parte- edificate sul mappale 134 del fg. 20 (i portici e il muro divisorio) e sul mappale 543 del fg. 11 (l’autorimessa) del N.C.T., aree di proprietà del comune di Bagnolo Mella, oltre che sopra il canale irriguo intubato denominato “Serioletta Mazzola”, per il quale il Regolamento del Reticolo idrico minore (approvato con delibera del consiglio comunale n. 51 del 27 settembre 2004) prevede una fascia di inedificabilità di metri 4 su ambedue le sponde.
5. Il Comune di Bagnolo Mella adottava quindi, rispettivamente, l’ordinanza n. 70/2013 e l’ordinanza 85/2013, intimando la demolizione dei manufatti entro 90 giorni. Entrambi i
provvedimenti avversati individuavano contestualmente l’area da acquisire gratuitamente al patrimonio disponibile del comune in caso di mancata ottemperanza all’ordine entro il termine perentorio previsto.
6. Avverso le ordinanze citate Italfond s.p.a. ha proposto due gravami, rubricati
rispettivamente al N.R.G. 743/2013 (con riferimento all’ordinanza n. 70/2013) e N.R.G. 744/2013 (con riferimento all’ordinanza n. 85/2013).
7. I ricorsi propongono medesimi motivi di censura avverso gli atti impugnati, così sintetizzabili:
I. Violazione articolo 7 l. 241/90; eccesso di potere, in quanto le ordinanze non sono state precedute da comunicazione di avvio del procedimento, con conseguente denuncia dell’illegittima compressione delle garanzie di partecipazione dell’interessato;
II. Violazione e falsa applicazione art. 31 DPR 380/2001; eccesso di potere per motivazione carente e insufficiente, difetto di istruttoria ed erroneità dei presupposti in fatto e in diritto, perplessità; manifesta ingiustizia; violazione e falsa applicazione art. 3 l. 241/90; violazione e falsa applicazione artt. 3, 6, c.1 e 2 DPR 380/2001 nonché art. 27 LR 12/2005; violazione e falsa
applicazione artt. 6 e segg. NTA vigente PGT di Bagnolo Mella; violazione e falsa applicazione artt. 6 e segg. NTA vigente PGT di Bagnolo Mella; violazione e falsa applicazione circolare n. 1918/1977 Ministero Lavori pubblici; sviamento; irrazionalità; ancora, eccesso di potere per omesso esercizio di poteri istruttori; travisamento; difetto assoluto di motivazione in punto di documentata preesistenza della tettoia contestata da ca 25 anni/in punto di documentata preesistenza del vano contestato.
Con tale articolato motivo in sostanza la ricorrente censura il travisamento dei fatti e il difetto di istruttoria, nonché l’erronea ricostruzione del quadro normativo di riferimento da parte
dell’amministrazione comunale, evidenziando:
– che -con riferimento ai manufatti oggetto della prima delle gravate ordinanze- il 24 novembre 1989 Italfond ha sottoscritto con la proprietà confinante un atto di concessione di reciproca servitù per la realizzazione del portico-tettoia, atto nel quale si indicava che la convenzione tra i privati confinanti era stata richiesta dal comune ai fini del rilascio del titolo edilizio;
– che l’autorimessa oggetto della seconda ordinanza è il frutto di un intervento di
“funzionalizzazione” e riduzione di una preesistente tettoia di servizio presente da oltre 40 anni;
– che i manufatti sono stati accatastati e che sono stati rappresentati in precedenti pratiche edilizie nonché negli atti di autorizzazione AIA dell’attività produttiva, senza che gli uffici
muovessero alcun rilievo e sono collocati in area azzonata nel PGT in ambito produttivo;
– che nonostante la risalenza delle opere il Comune non ha motivato e adeguatamente
comparato l’interesse pubblico alla demolizione con quello della società all’utilizzo degli spazi esterni coperti mai in precedenza contestati;
– che il lungo lasso di tempo intercorso dalla realizzazione dei manufatti e l’inerzia
dell’amministrazione hanno consolidato un affidamento del privato sulla legittimità degli interventi e sul loro mantenimento, circostanza che imponeva all’amministrazione di valutare l’effettiva
ricorrenza di un prevalente interesse pubblico alla demolizione idoneo a sacrificare l’interesse privato contrapposto;
– che non ricorrono in ogni caso i presupposti per l’ordine di demolizione ai sensi dell’articolo 31 del TUE, previsto solo per i manufatti e le strutture rilevanti in termini di superficie lorda di pavimento o di volume utile, idonei alla trasformazione del territorio; si tratta infatti di semplici coperture utilizzate per un più riparato deposito di materiali e mezzi aziendali, pertinenziali rispetto al complesso produttivo, non necessitanti di apposito titolo edilizio e non qualificabili, quindi, quali abusi edilizi;
– che secondo la circolare ministeriale n. 1918 di data 16.11.2017 i manufatti di cui è questione sono qualificabili come interventi di mera manutenzione ordinaria, in quanto funzionali alle esigenze produttive; analogamente le direttive della Regione Lombardia in materia edilizia (allegato A alla DGR 25 settembre 1998, n. 6/38573) annovera tra le opere di manutenzione ordinaria gli impianti tecnologici e le relative strutture e volumi tecnici e, in generale, tutte le opere necessarie a mantenere in efficienza ed adeguare gli impianti tecnologici esistenti alle normali esigenze di esercizio;
– che non essendo gli interventi contestati qualificabili come costruzioni non trova applicazione il regime della fascia di rispetto del canale Serioletta Mazzola, anche perché trattasi di canale
privato escluso dal demanio idrico;
– che l’amministrazione ha violato l’articolo 31 TUE anche in punto di individuazione dell’area da acquisire in caso di inottemperanza all’ordine di demolizione, che deve essere motivatamente dimensionata in funzione della rilevanza dell’abuso.
8. L’esponente ha chiesto inoltre il risarcimento del danno, domanda successivamente
rinunciata in quanto l’amministrazione comunale, in pendenza di contenzioso, non ha adottato alcun ulteriore provvedimento inibitorio in relazione agli spazi in questione.
9. Si è costituito in giudizio per resistere ad entrambi i ricorsi il Comune di Bagnolo Mella.
10. Ne ha eccepito in via preliminare “l’inammissibilità/improcedibilità”, rilevando che la parte ricorrente ha presentato due istanze di sanatoria dei manufatti oggetto delle ordinanze avversate sulle quali, a seguito del preavviso di rigetto, si è formato il silenzio-diniego a termini dell’articolo 36, comma 3 del TUE, oramai consolidatosi per mancata impugnazione. Evidenzia che la sanatoria degli interventi edilizi contestati ha trovato un ostacolo nella mancanza di conformità con gli strumenti urbanistici vigenti, stante il contrasto degli stessi con l’articolo 23 delle NTA del PDR del vigente PGT, che impone una distanza minima degli edifici dai confini pari a 10 metri.
Nel merito l’amministrazione comunale ha dedotto l’infondatezza di entrambi i ricorsi, chiedendone la reiezione.
11. Con riferimento all’autorimessa l’amministrazione resistente ha rilevato ulteriormente che il manufatto è stato oggetto di contenzioso anche sul versante civilistico, azionato dalla proprietà confinante, che ha recentemente visto condannare l’odierna ricorrente alla
demolizione/arretramento del manufatto perché realizzato a distanza inferiore di 5 metri dal confine (Tribunale civile di Brescia, sez. III, 21.1.2020 n. 117).
12. Le cause sono state chiamate alla camera di consiglio decisoria del giorno 22 aprile 2020, sostitutiva dell’udienza pubblica ai sensi dell’art. 84, commi 5 e 6, del d.l. 18/2020, e ivi trattenute in decisione.
DIRITTO
1. Va preliminarmente disposta, attesa l’evidente connessione oggettiva e soggettiva dei ricorsi
in epigrafe, la riunione degli stessi ai sensi dell’art. 70 c.p.a.
2. Ciò posto, deve essere esaminata l’eccezione in rito sollevata dalla resistente
amministrazione comunale, secondo cui il consolidamento -per mancata impugnazione- del rigetto della sanatoria dei manufatti oggetto delle ordinanze di demolizione determinerebbe il venir meno dell’interesse alla decisione del presente giudizio.
2.1. L’eccezione va respinta.
2.2. Questo Collegio aderisce infatti, sul punto, al più recente orientamento giurisprudenziale secondo cui la presentazione di un’istanza di accertamento di conformità non rende improcedibile il ricorso avverso l’ordine di demolizione, ma ne sospende temporaneamente l’efficacia. All’esito del procedimento di sanatoria, in caso di accoglimento dell’istanza, l’ordine di demolizione rimane privo di effetti con conseguente venir meno dell’originario carattere abusivo dell’opera realizzata, mentre, in caso di rigetto dell’istanza, l’ordine di demolizione riacquista la sua efficacia, salvo che il termine concesso per l’esecuzione spontanea della demolizione deve decorrere dal momento in cui il diniego di sanatoria perviene a conoscenza dell’interessato. (T.A.R. Calabria Catanzaro, sez. I, 4 aprile 2020, n.521; Consiglio di Stato sez. VI, 10 dicembre 2018, n.6954; T.A.R. Campania, Napoli sez. III, 2 marzo 2018, n.1352).
2.3. Si tratta di un orientamento più aderente alle disposizioni e alla ratiodella disciplina in tema di abusi edilizi, nella quale non è del resto individuabile alcuna previsione, nemmeno implicita, dalla quale desumere che l’istanza di accertamento di conformità produca un effetto caducante sull’ordine di demolizione. Ove si accogliesse l’eccezione sollevata dalla resistente amministrazione, del resto, le implicazioni non sarebbero solo di carattere processuale, ma tale ricostruzione giuridica implicherebbe, sotto il profilo dei rapporti con l’interessato, la necessità per il comune di adottare un nuovo provvedimento di demolizione, risultando quelli oggetto di gravame superati dal diniego di sanatoria e quindi ineseguibili da parte dell’amministrazione.
3. Tanto premesso, e passando allo scrutinio del merito, è infondata la censura formulata con il primo motivo dei riuniti ricorsi, relativo alla violazione dell’obbligo di comunicazione dell’avvio del procedimento.
3.1. Come l’amministrazione resistente ha evidenziato nelle sue memorie, la parte ricorrente era ben a conoscenza della contestazione degli abusi edilizi, in primo luogo per aver preso parte ai relativi accertamenti. In relazione ai manufatti oggetto dell’ordinanza 70/2013 Italfond aveva inoltre presentato comunicazione di attività edilizia libera (CILA) per regolarizzare sotto il profilo edilizio la
“manutenzione straordinaria” del manto di copertura della struttura oggetto di verifica (con una bonifica del manto di copertura esistente in amianto e la successiva creazione di una nuova
copertura costituita da una lastra in acciaio zincato). In tale occasione il comune il 21 gennaio 2013 le comunicava i motivi ostativi all’esecuzione dell’intervento, facendo riferimento proprio al fatto che la struttura oggetto di manutenzione straordinaria risultava priva di idoneo edilizio.
Analogamente la ricorrente era informata della contestazione dell’abusività della rimessa oggetto dell’ordinanza n. 85/2013, non solo in quanto era presente all’accertamento edilizio del 21 marzo 2013, ma anche perché il 20 giugno 2013 l’amministrazione comunale le aveva richiesto informazioni sul manufatto.
3.2. Tanto premesso, va comunque evidenziato che l’adozione dei provvedimenti di demolizione e di riduzione in pristino di interventi edilizi di carattere abusivo non necessita di previa
comunicazione di avvio del procedimento, “trattandosi di una misura sanzionatoria per
l’accertamento dell’inosservanza di disposizioni urbanistiche, secondo un procedimento di natura vincolata tipizzato dal legislatore e rigidamente disciplinato, che si ricollega ad un preciso
presupposto di fatto, cioè l’abuso, di cui peraltro l’interessato non può non essere a conoscenza, rientrando direttamente nella sua sfera di controllo (cfr. recente, Cons. Stato, sez. III, 14 maggio 2015, n. 2411 che conferma Tar Friuli n. 502 del 2009; anche Tar Campania, Napoli, sez. IV, 9 giugno 2015, n. 3120)”. (T.A.R. Napoli, sez. III, 7 settembre 2015, n. 4392).
3.3. Atteso il carattere vincolato della misura trova inoltre comunque applicazione la
disposizione dell’articolo 21 octies, comma 2 primo periodo della legge 241/90, a norma del quale il
provvedimento amministrativo non è annullabile per violazione delle norme sul procedimento laddove la partecipazione del ricorrente all’istruttoria non avrebbe potuto determinarne un contenuto dispositivo diverso.
4. Il secondo motivo di ricorso censura l’illegittimità dell’ordine di demolizione sostenendo che gli interventi contestati non richiederebbero un titolo edilizio, qualificandoli come interventi di mera manutenzione o, al più, come pertinenze del compendio produttivo, per le quali non potrebbe trovare applicazione l’articolo 31 TUE.
4.1. Gli argomenti dedotti dalla ricorrente non meritano condivisione.
4.2. I due manufatti principali oggetto dell’ordine di demolizione n. 70/2013 sono
particolarmente imponenti, l’uno – il minore – copre una superficie di circa 120 mq, l’altro di 770 mq, e sono chiusi e protetti da pareti in lamiera. La struttura portante è composta da pilastri verticali di metallo su una pavimentazione in calcestruzzo armato, posizionati a sostegno del manto di copertura a falda unica in travi metalliche e lastre in lamiera grecata la prima e lastre in
fibrocemento contenenti amianto la seconda.
4.3. L’autorimessa di cui all’ordinanza n. 85/2013, ha invece una superficie coperta di circa 89 mq e ha una struttura portante composta da travi metalliche a sbalzo ancorate su una
pavimentazione in calcestruzzo armato, posizionate a sostegno del manto di copertura a falda unica in travi metalliche e pannelli coibentati. E’ accessibile dal fronte rivolto ad ovest ed è dotata di saracinesca apribile elettricamente larga circa 12,14 m.
4.4. Tutte le strutture contestate, quindi, considerate le dimensioni, i materiali utilizzati e il loro impiego non temporaneo, non possono essere qualificate come mere pertinenze, atteso che “per principio pacifico, la nozione di pertinenza in materia edilizia è più ristretta di quella civilistica ed è riferibile ai soli manufatti di dimensioni tanto modeste e ridotte rispetto alla cosa cui ineriscono da potersi considerare sostanzialmente irrilevanti sotto il profilo edilizio, non potendosi,
conseguentemente, attribuire carattere pertinenziale ai fini edilizi ad opere di rilevante consistenza, anche se destinate al servizio od ornamento del bene principale (fra le tante, TAR Lombardia Milano, sez. II, 17 giugno 2008, n. 2045).” (T.A.R. Piemonte Torino Sez. II, 11 aprile 2012, n. 438; id. T.A.R.
Lazio, Roma, Sez. II, 27 febbraio 2019, n. 2594). Infatti “la qualifica di pertinenza urbanistica è applicabile soltanto a opere di modesta entità e accessorie rispetto a un’opera principale, quali ad esempio i piccoli manufatti per il contenimento di impianti tecnologici, ma non anche a opere che, dal punto di vista delle dimensioni e della funzione, si caratterizzino per una propria autonomia rispetto all’opera principale. A differenza della nozione civilistica di pertinenza, ai fini edilizi, un manufatto può essere considerato una pertinenza quando è, non solo preordinato ad un’oggettiva esigenza dell’edificio principale e funzionalmente inserito al suo servizio, ma è anche sfornito di un autonomo valore di mercato e non incide sul “carico urbanistico” mediante la creazione di un ‘nuovo volume (T.A.R. Campania Salerno Sez. II, 16/01/2020, n. 91).” (T.A.R. Toscana, sez. III, 12 marzo 2020, n. 322).
4.5. I manufatti sono destinati in via permanente a servizio dell’attività di impresa ed hanno un rilevante impatto urbanistico, dato che ne ampliano la superficie e comportano una indiscutibile trasformazione edilizia del territorio. Il loro significativo volume inoltre consente una destinazione autonoma e diversa da quella a servizio dell’immobile cui accedono.
4.6. Va evidenziato inoltre che “gli interventi consistenti nella realizzazione di tettoie o di altre strutture che siano comunque apposte a parte di preesistenti edifici come strutture accessorie di protezione o i ripari di spazi liberi, cioè non compresi entro coperture volumetriche previste in un progetto assentito, possono ritenersi sottratti al regime del permesso di costruire solo ove la loro conformazione e le loro ridotte dimensioni rendono evidente e riconoscibile la loro finalità di semplice decoro o arredi o di riparo e protezione (anche da agenti atmosferici) della parte dell’immobile cui accedono. Tali strutture non possono, viceversa, ritenersi installabili senza
permesso di costruire allorquando le loro dimensioni (…) sono di entità tali da arrecare una visibile alterazione dell’edificio o alle parti dello stesso su cui vengono inserite, quando per la loro
consistenza dimensionale, non possono ritenersi assorbite, ovvero ricomprese in ragione della loro
accessorietà, nell’edificio principale o nella parte dello stesso cui accedono” (cfr. ex multis, T.A.R.
Campania, Napoli, Sez. III, 28.12.2018, n.7383).” (T.A.R. Lazio Roma Sez. II bis, 17 gennaio 2020, n.
588; Cons. Stato, Sez. IV, 26 marzo 2019, n. 1995).
4.7. Analogamente, secondo l’orientamento interpretativo dominante, la realizzazione di un’autorimessa è in linea di principio soggetta a permesso di costruire, perché si concreta in un aumento del carico urbanistico (Cons. Stato, sez. VI, 17 giugno 2019, n.4051; Cons. Stato, sez. VI, 5 maggio 2016 n. 1774 e sez. IV 26 febbraio 2015 n. 974, sez. VI 17 maggio 2017 n. 2348).
4.8. Né, a maggior ragione, i manufatti oggetto delle gravate ordinanze possono essere ricompresi tra gli interventi di manutenzione “minuta” elencati nella circolare Ministero dei Lavori Pubblici n. 1918 di data 16.11.2017. Anzitutto detta circolare non contempla le autorimesse. Inoltre, in termini più generali, essa precisa che “con riferimento agli impianti industriali possono
considerarsi opere di ordinaria manutenzione e, come tali, essere escluse dall’obbligo della concessione, gli interventi intesi ad assicurare la funzionalità dell’impianto e il suo adeguamento tecnologico, sempre che tali interventi, in rapporto alle dimensioni dello stabilimento, non ne modifichino le caratteristiche complessive”.
4.9. Né rileva in termini di legittimazione sotto il profilo edilizio il fatto che le strutture di cui è questione fossero indicate negli elaborati grafici depositati dalla società ricorrente nell’ambito della procedura AIA. Tale procedura riguarda infatti la valutazione dell’impianto produttivo solo da un punto di vista ambientale, così come -per converso- “gli accertamenti in ordine alla conformità edilizia-urbanistica non rilevano sulla legittimità dell’autorizzazione integrata ambientale in
questione, legata unicamente alle modalità di esercizio dell’impianto, fatto salvo l’autonomo potere sindacale in materia di vigilanza edilizio-urbanistica” (TAR Toscana, sez. II, 1 aprile 2011, n. 569).
Peraltro nel verbale di sopralluogo è stata altresì evidenziata dall’amministrazione comunale la non corretta rappresentazione da parte della ricorrente, nell’ambito della procedura per il rilascio dell’AIA, dello stato di diritto della tettoia, atteso che:
– negli elaborati grafici integrativi depositati in data 7.7.2006 in allegato alla procedura AIA il portico veniva individuato come opera edilizia in sanatoria;
– negli elaborati grafici in allegato al PDC n. 9075 lo stesso portico veniva individuato come struttura esistente (non oggetto di pratiche edilizie in sanatoria);
– dall’anno 2006 all’anno 2008 non risultano depositate pratiche edilizie in sanatoria relative a tale struttura.
5. Tali considerazioni sono sufficienti a confermare la legittimità dei gravati provvedimenti anche senza considerare che le strutture abusive sono state in parte realizzate su proprietà del comune e sulla fascia di rispetto di quattro metri prevista per il canale irriguo intubato “Serioletta Mazzola” dal regolamento del Reticolo Idrico Minore approvato con delibera del consiglio comunale n. 51/2004.
6. Con riferimento alla legittimità dell’adozione degli ordini di demolizione a distanza di anni dall’abuso e al preteso legittimo affidamento riposto dal privato sulla legittimità e sulla
conservazione dei manufatti, va richiamato il granitico orientamento giurisprudenziale secondo cui l’abuso edilizio è un illecito permanente e la relativa attività di vigilanza della Pubblica
Amministrazione è strettamente vincolata e non soggetta ad alcun termine di prescrizione o
decadenza. Non può ammettersi, pertanto, un affidamento meritevole di tutela alla conservazione di una situazione di fatto abusiva.
6.1. L’adunanza plenaria ha statuito al riguardo il principio secondo cui “il provvedimento con cui viene ingiunta, sia pure tardivamente, la demolizione di un immobile abusivo e giammai assistito da alcun titolo, per la sua natura vincolata e rigidamente ancorata al ricorrere dei relativi
presupposti in fatto e in diritto, non richiede motivazione in ordine alle ragioni di pubblico interesse (diverse da quelle inerenti al ripristino della legittimità violata) che impongono la rimozione
dell’abuso. Il principio in questione non ammette deroghe neppure nell’ipotesi in cui l’ingiunzione di demolizione intervenga a distanza di tempo dalla realizzazione dell’abuso, il titolare attuale non sia responsabile dell’abuso e il trasferimento non denoti intenti elusivi dell’onere di ripristino“. (Cons.
Stato, Ad. Plen., 17 ottobre 2017, n. 9).
6.2. Pertanto sia il lungo lasso di tempo intercorso sia“l’esistenza di atti dell’Amministrazione che implicitamente presupponevano la legittimità dell’edificazione di per sé non sono preclusivi dell’esercizio da parte del Comune del potere sanzionatorio.” (TAR sez. I, Friuli Venezia Giulia, 3 novembre 2016, n. 497).
7. Infine privo di pregio si rileva il profilo di censura inerente la violazione dell’articolo 31, comma 3, del TUE, perché l’amministrazione non avrebbe giustificato la quantificazione dell’area da acquisire al patrimonio comunale in funzione della rilevanza dell’abuso.
7.1. Atteso che la citata disposizione prevede che “3. Se il responsabile dell’abuso non provvede alla demolizione e al ripristino dello stato dei luoghi nel termine di novanta giorni
dall’ingiunzione, il bene e l’area di sedime, nonché quella necessaria, secondo le vigenti prescrizioni urbanistiche, alla realizzazione di opere analoghe a quelle abusive sono acquisiti di diritto
gratuitamente al patrimonio del comune. L’area acquisita non può comunque essere superiore a dieci volte la complessiva superficie utile abusivamente costruita” e che la superficie oggetto di acquisizione individuata nelle due ordinanze risulta inferiore a quella coperta dalle opere abusive, la censura non merita accoglimento. L’amministrazione è infatti tenuta a motivare esclusivamente le modalità di calcolo utilizzate per individuare l’area -ulteriore rispetto a quella del bene abusivo e del relativo sedime- che intende acquisire in caso di inottemperanza all’ordine di demolizione e che ritiene necessaria, secondo le vigenti prescrizioni urbanistiche, alla realizzazione di opere analoghe a quelle abusive (T.A.R. Lazio, Roma, Sez. II quater, 11 luglio 2019, n. 9223).
8. In conclusione, per le esposte considerazioni, i riuniti ricorsi sono infondati e devono essere respinti.
Le spese di lite seguono la soccombenza e sono liquidate in dispositivo.
P.Q.M.
Il Tribunale Amministrativo Regionale per la Lombardia sezione staccata di Brescia (Sezione Prima), definitivamente pronunciando:
1) riunisce i ricorsi sub. N.R.G. 743/2013 e N.R.G. 744/2013;
2) respinge i riuniti ricorsi;
3) condanna Italfond s.p.a. al pagamento al Comune di Bagnolo Mella delle spese di lite, che liquida in complessivi 5.000,00 (cinquemila//00) euro, oltre ad oneri dovuti per legge.
Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall’autorità amministrativa.
Così deciso in Brescia nella camera di consiglio del giorno 22 aprile 2020 con l’intervento dei magistrati:
Angelo Gabbricci, Presidente
Alessandra Tagliasacchi, Primo Referendario Elena Garbari, Referendario, Estensore