• Non ci sono risultati.

Per ogni distretto del latteun costo di produzione diverso

N/A
N/A
Protected

Academic year: 2022

Condividi "Per ogni distretto del latteun costo di produzione diverso"

Copied!
8
0
0

Testo completo

(1)

L’analisi del costo di produzione del latte, condotta dall’Istituto di servizi per i mercati agroalimentari (Ismea) e dal Centro ricerche produzioni ani- mali (Crpa) (1) di Reggio Emilia, si ba- sa su una metodologia di calcolo pre- disposta e utilizzata ormai da diverso tempo nell’ambito dell’Associazione europea dei produttori latte (Edf) che aggrega quasi 300 produttori in 19 Paesi europei e un team di ricercatori di 15 istituti di altrettanti Paesi. Tale metodo consente un confronto dei costi tra le aree italiane di produzio-

ne e gli altri Paesi europei e si basa sulla raccolta annuale di dati tecnici ed economici negli allevamenti che fanno parte del campione, attraverso la somministrazione agli allevatori di una scheda di rilevazione.

Il calcolo di indicatori economici medi per gruppi di aziende localizza- te nella stessa area geografi ca sconta la diffi coltà di comparare situazioni aziendali molto diversifi cate in ter- mini strutturali, di effi cienza tecnico- produttiva, di destinazione del latte.

In tal senso il costo di produzione

ottenuto dall’indagine, così come gli altri indici di redditività, vanno intesi come un’indicazione di massima in grado di consentire paragoni e os- ser vazioni sulle dinamiche in atto e sulle prospettive del settore. Nella maggior parte dei casi le caratteri- stiche dei campioni rispecchiano la realtà locale, in termini di numero medio di capi per azienda e produzio- ni medie per vacca, se si considerano i dati dei controlli funzionali rilevati annualmente dall’Aia. In alcuni casi però (in particolare Piemonte e Ve- neto) si è privilegiata la disponibilità delle aziende a fornire dati per cui il campione risulta in termini dimen- sionali superiore alla media, rappre- sentando le aziende di punta rispetto all’intera regione.

In questo ar ticolo si ripor ta una breve sintesi dei risultati dell’indagi- ne, rimandando il lettore interessato all’analisi completa contenuta nella pubblicazione a cura di Ismea-Crpa di uscita imminente.

INDAGINE ISMEA-CRPA LUNGO TUTTA LA PENISOLA

Per ogni distretto del latte

un costo di produzione diverso

Per la prima volta i costi di produzione del latte vengono analizzati con la stessa metodologia nei diversi distretti produttivi italiani. In questo modo è possibile evidenziare una qualche correlazione tra la struttura delle aziende e quella dei costi. Le spese di alimentazione sembrano quel- le più variabili e che maggiormente condizionano il costo del litro di latte

Gabriella Manfredi

(2)

Le aziende della Pianura Padana, comprese quelle del Veneto, rappre- sentano i principali distretti di produ- zione del latte dove si concentra gran parte della produzione complessiva, con caratteristiche strutturali e para- metri produttivi di eccellenza rispetto alla media nazionale. Il 2003 è risultato un anno diffi cile, così come nelle altre zone, con un calo della produzione di foraggi e di latte a causa delle avversi- tà climatiche. In entrambi i distretti, il mercato fondiario e quello delle quote di produzione sono stati molto attivi, sostenuti da una domanda vivace che ha determinano prezzi di vendita e di affi tto in continua tensione.

I ricavi delle aziende del campione, espressi in euro per ogni 100 kg di latte prodotto, dipendono per quasi il 90%

dal prezzo del latte (tabella 1), cui si associan o quelli derivanti dalla produ- zione di carne (meno del 5%) e dal- l’ottenimento di contributi pac per la coltivazione di silomais (circa il 6%). Il livello di contributi è più elevato in quel- le aziende, come le piemontesi, in cui è maggiore la superfi cie foraggera.

La riduzione del prezzo del latte nel 2003, rispetto all’anno precedente, non è stata compensata dall’esiguo incremento dei prezzi delle vacche di scarto, dei vitelli maschi e dei contri- buti, determinando, nel complesso, un calo dei ricavi di circa l’1% in en- trambi i campioni osservati.

I costi di produzione delle aziende sono stati calcolati per ogni 100 kg di latte prodotto e sono stati suddivi- si in due categorie: i costi diretti e i costi dei fattori di produzione terra, capitale e lavoro. Una delle voci più importanti è il costo di alimentazione (rappresentato dall’acquisto di forag- gi e mangimi e dai costi variabili per produrre foraggi), perché incide per più di un quarto sul costo totale di produzione. Le aziende del Piemonte, che hanno maggiore disponibilità di superfici foraggiere, spendono pro- porzionalmente meno per l’alimen- tazione ma ciò non si traduce in un costo totale più basso, perché com- pensano la minore dipendenza dal mercato dei foraggi con una maggio- re incidenza di altre voci di costo co- me il lavoro, le macchine, i fabbricati,

le spese energetiche e gli interessi sul capitale investito. Si tratta di differenti scelte strategiche formulate in base alla diversa disponibilità aziendale dei fattori di produzione. Inoltre, in Piemonte, i costi di produzione ten- dono a essere più elevati a causa della minore produttività delle bovine.

Nella Pianura Padana si osserva un incremento del costo di alimentazione pari al 13,8% in Lombardia e al 6,4%

in Piemonte; tale voce pesa, in mo- do particolare, sull’aumento dei costi diretti, che segnano un +10,4% e un +2,2%, rispettivamente. Ciò conferma la minore esposizione delle aziende piemontesi alle forti oscillazioni del mercato degli alimenti in vir tù del

basso carico di bestiame per ettaro.

Nel calcolo del costo dei fattori di produzione vengono computati costi espliciti, come il lavoro salariato, il costo opportunità per lavoro familia- re (imputato pari all’ipotetica remu- nerazione alternativa accessibile alla manodopera familiare) e i capitali investiti in azienda che sono perce- piti in misura minore dagli allevatori.

La riduzione dei tassi di interesse in ambito bancario ha permesso di contenere l’aumento del costo del capitale, permettendo una riduzione del costo totale dei fattori di produ- zione e compensando, in parte, l’au- mento dei costi diretti. La riduzione del costo dei fattori di produzione è risultata del 5% in Piemonte del 2,6%

in Lombardia. Ciò ha determinato, nelle aziende piemontesi, un calo del costo netto di produzione del latte di 68 centesimi/100 kg che si è così attestato su 39,46 euro/100 kg di latte, restando comunque al di sopra del prezzo del latte pari a 38,26 eu- ro/100 kg.

Nelle aziende lombarde, dove la produzione è più spinta e maggior- mente dipendente dal mercato degli alimenti zootecnici, l’incremento dei costi diretti è stato tale da non poter essere compensato dalla riduzione dei costi per i fattori di produzione.

Ciò ha indotto un incremento del costo di produzione di ben 1,87 eu- ro/100 kg di latte, per un valore di 38,50 euro/100 kg di latte, anch’esso superiore al prezzo del latte, rileva- to in media in queste aziende, pari a 36,65 euro/100 kg latte.

Il reddito familiare proveniente dal settore latte, espresso in migliaia di euro, è fortemente infl uenzato dalla dimensione aziendale e dalla produt-

I costi di produzione in Piemonte calano (39,46 euro/

100 kg di latte prodotto), ma restano più alti del prezzo del latte (38,26 euro/100 kg). In Lombardia aumentano a 38,50 euro/100 kg contro un prezzo di 36,65

I costi in Piemonte e Lombardia hanno trend opposti

Tabella 1 - Piemonte e Lombar- dia: principali indicatori di co- sto e redditività (euro/100 kg Iva inclusa)

Piemonte Lombardia Parametri tecnico-economici

Vacche (n.) 144 128

Produzione latte (kg/vacca) 7.330 8.539 Ricavi

Ricavi latte 38,26 36,65

Ricavi carne 2,07 1,95

Contributi 2,96 2,46

Ricavi totali 43,38 41,11

Costi

Costi diretti (1) 26,5 26,88

di cui:

▪ alimenti (mangimi, foraggi, ecc.) 12,35 12,54

▪ macchine (manutenzione, ecc.) 3,34 3,67

▪ carburanti, lubrifi canti,

elettricità, acqua 2,33 2,23

▪ fabbricati (manutenzione, ecc.) 4,01 2,79 Costo dei fattori di produzione 18,08 16,09 di cui:

▪ costo del capitale fondiario 3,33 2,24

▪ costo del lavoro 11,98 11,95

▪ costo del capitale 2,77 1,89

Costo totale (2) 44,59 42,96

Costo netto di produzione (3) 39,46 38,5 Indicatori di reddito

Reddito familiare (4) azienda (.000 euro) 123,05 63,14 Reddito familiare (euro/100 kg) 10,77 5,32 Remun./ora di lavoro (euro/ora) 12,78 11,59 (1) Esclusi salari.

(2) Escluso costo quote.

(3) Al netto dei ricavi extra latte (carne, contributi, altri ricavi).

(4) Remunerazione dei capitali propri e della manodopera familiare.

Fonte: Ismea-Crpa.

Corsia di alimentazione in stalle a stabulazione fi ssa

(3)

tività. Nel 2003, le aziende del Pie- monte, di dimensioni elevate, hanno garantito un reddito familiare supe- riore alle aziende delle altre zone e in aumento rispetto al 2002.

Dal confronto tra la remunerazione per ora di lavoro, che indica il livello di redditività della produzione del lat- te, con il costo orario dei salariati agri- coli si evince un soddisfacente livello

riferimento per i cerea- li nella pianura friulana, che genera più alti premi pac per il silomais, e dal- la più bassa intensità di bovine per ettaro. Tra le differenze strutturali dei due campioni, occorre, infatti, evidenziare una tipologia di allevamento molto più intensivo nel- le aziende venete che si estrinseca in un carico di bestiame per ettaro pari a circa il doppio di quello delle aziende del Friuli e in una elevata effi cienza tecnica della produzione sotto il profi lo alimenta- re, riproduttivo e della produttività del lavoro prestato in azienda.

I ricavi di queste aziende, nel 2003, sono stati infl uenzati da un calo ge- neralizzato del prezzo del latte e, in secondo luogo, di quello della carne.

In Veneto, la maggiore produttività delle bovine del campione fa scendere l’incidenza dei ricavi da carne e dei contributi. Il calo più consistente dei ricavi totali riguarda il Friuli, con una perdita del 5,3% mentre in Veneto si registra un calo limitato allo 0,5%.

In virtù dell’alta produzione del latte per vacca e dell’elevato carico di vac- che da latte per ettaro di foraggiere, si rilevano elevati costi di alimentazione per le aziende venete, pari al 37% del co- sto totale di produzione. Il fabbisogno aziendale di foraggio viene soddisfatto ricorrendo in larga parte al mercato e così per i mangimi e i nuclei, data l’elevata dose di concentrati nella razio-

ne. Infi ne, per sfruttare al massimo la scarsa superfi cie foraggiera disponibile e massimizzare le rese per ettaro, si uti- lizzano dosi massicce di fertilizzanti.

Nelle aziende friulane, le spese per l’alimentazione hanno un’incidenza inferiore al 24% grazie a una resa per vacca più contenuta, una migliore ef- fi cienza alimentare e un basso carico di bestiame per ettaro. Tuttavia, tali costi segnano, nel 2003, un aumento del 15,6% a fronte di un moderato +5%

della Lombardia. L’annata particolar- mente siccitosa ha, infatti, limitato i raccolti delle produzioni cerealicole e foraggiere, causando un’impennata del prezzo delle materie prime, dei mangimi e dei foraggi che si è, natu- ralmente, tradotto in un incremento dei costi di alimentazione.

Le altre voci dei costi diretti risultano, invece, più incisive nelle aziende del Friuli; alcune, come gli ammortamenti sui fabbricati e sulle macchine, sono inversamente correlate con la dimen- sione dell’allevamento ma anche voci non necessariamente legate alla dimen- sione dell’allevamento, come le spese per il veterinario e gli altri costi di stalla (detersivi, contributi, ecc.), restano più di redditività degli allevamenti della

Pianura Padana in cui gli imprenditori agricoli e la loro famiglia riescono a coprire il proprio costo del lavoro. Le per formance economiche migliori sono state raggiunte dalle aziende pie- montesi, seguite da quelle lombarde per le quali, in verità, si è registrata una caduta della retribuzione oraria rispetto all’anno precedente. ◼

Dal confronto tra i dati economici relativi alle aziende delle due regioni (tabella 2), emerge una remunerazio- ne molto più alta del latte e della car- ne in Friuli. La spiegazione deriva dal fatto che nelle aziende del campione friulano sono allevate bovine di razza Pezzata Rossa, a duplice attitudine, con caratteristiche qualitative del latte dif- ferenti in termini di contenuto proteico e di materia grassa che lo rendono adatto alla trasformazione in formaggi di qualità. Nel campione di aziende del Veneto si alleva, invece, la Frisona, che consente una produttività media per vacca molto più elevata. Anche i contri- buti erogati a vario titolo, come i premi pac e l’indennità compensativa, sono molto più consistenti nelle aziende friu- lane dove, nell’insieme, rappresentano il 18% dei ricavi totali rispetto al 10%

delle aziende venete. Una spiegazione deriva, in parte, dalla più alta resa di

In Veneto il costo di produzione si attesta a 33,77 euro/100 kg di latte prodotto contro i 47,54 del Friuli Venezia Giulia. Il Friuli vanta però un reddito familiare per 100 kg di latte prodotto superiore; in Veneto la remunerazione del lavoro è la più alta d’Italia

In Veneto il lavoro vale doppio rispetto al Friuli Venezia Giulia

Tabella 2 - Veneto e Friuli:

principali indicatori di costo e redditività (euro/100 kg Iva inclusa)

Veneto Friuli Parametri tecnico-economici

Vacche (n.) 126 63

Produzione latte (kg/vacca) 9.244 6.791 Ricavi

Ricavi latte 38,04 41,1

Ricavi carne 1,79 4,43

Contributi 1,58 4,5

Ricavi totali 42,13 50,05

Costi

Costi diretti (1) 26,48 32,81

di cui:

▪ alimenti (mangimi, foraggi, ecc.) 14,08 13,85

▪ macchine (manutenzione, ecc.) 3,19 5,01

▪ carburanti, lubrifi canti,

elettricità, acqua 1,54 2,42

▪ fabbricati (manutenzione, ecc.) 2,37 3,34 Costo dei fattori di produzione 11,37 23,67 di cui:

▪ costo del capitale fondiario 2,02 2,26

▪ costo del lavoro 7,78 17,7

▪ costo del capitale 1,56 3,71

Costo totale (2) 37,85 56,49

Costo netto di produzione (3) 33,77 47,54 Indicatori di reddito

Reddito familiare (4) azienda (.000 euro) 111,8 57,63 Reddito familiare (euro/100 kg) 11,61 13,38 Remun./ora di lavoro (euro/ora) 17,63 7,41 (1) Esclusi salari.

(2) Escluso costo quote.

(3) Al netto dei ricavi extra latte (carne, contributi, altri ricavi).

(4) Remunerazione dei capitali propri e della manodopera familiare.

Fonte: Ismea-Crpa.

Vacche di razza Frisona allevate in stabulazione libera

(4)

consistenti rispetto alle aziende venete di dimensione maggiore. I costi diretti complessivi nelle aziende friulane sono pari a quasi 33 euro/100 kg, superiori del 22% rispetto alle aziende venete. Nel 2003 si assiste a un generale aumento dei costi diretti nell’ordine del 7% in entrambe le aree.

I costi dei fattori di produzione, co- me si evince dai dati, sono tutti forte- mente legati alla dimensione dell’alle- vamento, per cui le grandi stalle rie- scono a realizzare economie di scala che esaltano la produttività del lavoro e del capitale impiegato. Mediamente, il costo per i fattori produttivi per 100 kg di latte nelle aziende friulane è qua- si il doppio rispetto ai costi di aziende del Veneto di queste dimensioni e con bovine così produttive. L’unico dato in controtendenza è l’elevato costo del capitale fondiario delle aziende venete, causato dall’alto costo della terra in questa regione. Nel 2003 si rileva un calo del costo dei fattori di produzione

del 16,7% in Veneto e del 5,7 in Friuli.

La causa è da ricercarsi nel minore impiego di manodopera per le colture erbacee, dato che in molti casi non stati effettuati alcuni tagli di foraggio e dei raccolti. Significativa anche la contrazione generalizzata del costo dei capitali, causata dalla riduzione dei tas- si di interesse ancora in atto nel 2003.

Il saldo tra l’aumento dei costi di- retti e il contenimento del costo dei fattori di produzione è stato positivo in Veneto, dove l’incremento della produzione di latte per vacca ha atte- nuato in modo signifi cativo l’aumento dei costi diretti, e negativo in Friuli dove il costo lordo di produzione del latte è aumentato, nel 2003, dell’1,7%.

Più impor tante per l’analisi della redditività è il costo netto di produ- zione per produrre 100 kg di latte, ottenuto detraendo dai costi totali il valore della carne venduta. Esso am- monta, in Friuli, a 47,54 euro/100 kg e in Veneto a 33,77 euro/100 kg, con

aziende italiane attestandosi su 50 euro/100 kg di latte prodotto.

La produzione del latte per Parmi- giano-Reggiano si distingue nettamen- te da quella del latte destinato ad altri usi per la necessità di rispettare, in tutta la fi liera, un rigido disciplinare di produzione. Il vincolo più stringente per la tecnica produttiva è il divieto dell’utilizzo dei foraggi insilati nella ra- zione dei bovini presenti in allevamen- to. La dimensione media delle aziende del campione è leggermente inferiore rispetto a quella degli allevamenti che in Emilia producono latte per usi in- dustriali. Il divieto sulla somministra- zione dei foraggi insilati deprime la produzione di latte per vacca determi- nando uno scarto di quasi il 3% rispetto alle altre aziende emiliane.

Un secondo vincolo importante de- riva dall’obbligo di soddisfare il 70%

del fabbisogno foraggiero con foraggi aziendali o acquistati in zona; ciò ri- duce il numero di vacche per ettaro di foraggiere mediamente del 20%,

rispetto alle altre aziende emiliane, che destinano il latte ad altri usi.

Dal punto di vista della produttivi- tà, le aziende del Parmiggiano-Reg- giano di pianura si collocano in una situazione intermedia rispetto alle aziende molto effi cienti della pianu- ra padano-veneta, mentre le aziende da Parmigiano-Reggiano ubicate in montagna sono molto più piccole, con una differenza di produttività di circa il 18% rispetto alle aziende di pianura (tabella 3). Nelle aziende di montagna si rileva, inoltre, un carico di bestiame per ettaro inferiore rispetto agli altri campioni di aziende fi nora osservati.

È evidente la maggiore valorizza- zione del latte nel sistema del Parmi- giano-Reggiano, mentre sono quasi inesistenti i contributi alla produzione vista l’impossibilità di incassare i con- tributi erogati dalla pac per gli insilati di mais. I ricavi totali delle aziende superano comunque la media delle

un’ampia variabilità intorno alla me- dia in entrambi i gruppi di aziende.

Lo scar to di circa il 26% tra le due regioni si può attribuire, in buona par- te, alla differenza nella dimensione dell’allevamento, insieme alla diversa genetica.

Inoltre, nel 2003, si verifi ca una lieve diminuzione del costo netto di produ- zione in Veneto (1,2%), che è invece au- mentato dell’1,5% nelle aziende friulane a causa dell’aumento dei costi diretti.

Nelle aziende friulane il reddito fami- liare per 100 kg di latte supera il mede- simo dato nelle aziende venete, ma se questo parametro viene rapportato alle ore di lavoro si ottiene una remunera- zione del lavoro nelle aziende venete quasi doppia rispetto alle prime.

Un dato preoccupante è rappresen- tato, infi ne, dal calo generalizzato del- la remunerazione della manodopera familiare che resta comunque su li- velli discreti nelle aziende Venete, mentre cala in Friuli del 16,5%. ◼

Parmigiano-Reggiano:

unico distretto con il prezzo del latte superiore ai costi

I costi di produzione sono maggiori rispetto alle aziende da latte convenzionali: 46,06 euro/100 kg di latte prodotto nelle aziende di pianura e 60,68 in montagna. I ricavi sono pari a 50 euro/100 kg e la remunerazione del lavoro rag- giunge i 14 euro/ora in pianura e i 9 in montagna

Tabella 3 - Parmigiano-Reggia- no: principali indicatori di costo e redditività (euro/100 kg Iva inclusa)

Pianura Montagna Parametri tecnico-economici

Vacche (n.) 21 18

Produzione latte (kg/vacca) 8.137 6.655 Ricavi

Ricavi latte 48 48,96

Ricavi carne 1,64 1,42

Contributi 0,09 0,21

Ricavi totali 49,8 50,59

Costi

Costi diretti (1) 30,61 31,22

di cui:

▪ alimenti (mangimi, foraggi, ecc.) 15,21 15,25

▪ macchine (manutenzione, ecc.) 3,05 2,96

▪ carburanti, lubrifi canti,

elettricità, acqua 2,3 2,87

▪ fabbricati (manutenzione, ecc.) 3,03 4,16 Costo dei fattori di produzione 17,26 30,99 di cui:

▪ costo del capitale fondiario 2,51 2,9

▪ costo del lavoro 12,28 24,73

▪ costo del capitale 2,46 3,35

Costo totale (2) 47,87 62,21

Costo netto di produzione (3) 46,06 60,68 Indicatori di reddito

Reddito familiare (4) azienda (.000 euro) 113,16 76,02 Reddito familiare (euro/100 kg) 13,86 15,85 Remun./ora di lavoro (euro/ora) 14,33 9 (1) Esclusi salari.

(2) Escluso costo quote.

(3) Al netto dei ricavi extra latte (carne, contributi, altri ricavi).

(4) Remunerazione dei capitali propri e della manodopera familiare.

Fonte: Ismea-Crpa.

(5)

È naturale che le sostanziali differenze nel sistema di produzione del latte si tra- ducano in una struttura di costi comple- tamente diversa. Innanzitutto si rilevano costi di alimentazione notevolmente su- periori nelle aziende del Parmigiano- Reggiano, dovuti essenzialmente agli acquisti consistenti di concentrati, ma anche al prezzo stesso dei concentrati che per le aziende del Parmigiano-Reg- giano sono più alti, perché le industrie mangimistiche devono attenersi alle di- sposizioni del disciplinare in merito al- l’impiego di determinate materie prime.

Meno onerose sono le spese ineren- ti alla meccanizzazione e il costo di an- tiparassitari, fertilizzanti e diserbanti poiché la coltivazione dell’erba medi- ca, molto diffusa in queste aziende, comporta dei costi minori per inter- venti colturali e quindi inferiori costi per ettaro rispetto alla coltivazione del silomais. Considerando che gli altri costi variabili non sono molto diversi, si nota che il totale dei costi diretti per le aziende del Parmigiano-Reg- giano sono solo lievemente superiori ai costi diretti sostenuti nelle aziende

da latte del Nord Italia osser vate in precedenza. Il differenziale di costi diretti tra gli allevamenti del Parmi- giano-Reggiano in pianura e monta- gna si attesta nell’ordine dell’1%, ma bisogna considerare che in montagna i costi diretti concorrono alla deter- minazione del costo totale solo per il 50%, mentre nelle aziende di pianura essi rappresentano il 63%.

Sostanziali differenze riguardano, in- vece, i costi per i fattori di produzione: in particolare, il costo della manodopera, prevalentemente di carattere familiare, nel caso delle aziende di montagna ar- riva a incidere per circa il 40% sul costo totale, rappresentando circa il doppio rispetto alla media delle altre aziende. Si tratta ovviamente anche di un problema di dimensione della mandria oltre che di maggiori diffi coltà che si incontrano nel- la coltivazione dei terreni di montagna.

Inoltre, la maggiore incidenza del costo della manodopera dipende anche dalla più bassa produzione unitaria di latte delle bovine allevate nelle aziende del Parmigiano-Reggiano di montagna.

Il costo netto di produzione del

latte nelle aziende del Parmigiano- Reggiano di pianura risulta pari, per il 2003, a 46,06 euro/100 kg di latte prodotto e nelle aziende di montagna a 60,68 euro/100 kg di latte, con uno scarto di circa il 30%. Tale costo è, inol- tre, di circa il 20% superiore al costo netto sostenuto nelle aziende emiliane che producono latte industriale e, co- munque, molto elevato rispetto a quan- to precedentemente osser vato nelle aziende di simile categoria produttiva della pianura padano-veneta. Produrre latte per Parmigiano-Reggiano com- porta, quindi, un costo più elevato, ma nello stesso tempo consente entrate unitarie più elevate; il reddito per ora di lavoro supera i 14 euro nelle aziende di produzione del Parmigiano-Reggiano in pianura, non discostandosi molto dalla remunerazione raggiunta nelle al- tre aziende della Pianura Padana (11,5 euro/ora), dove mediamente è mag- giore la consistenza aziendale della mandria. A causa degli elevati costi di produzione la remunerazione del lavo- ro nelle aree montane del Parmigiano- Reggiano si limita a 9 euro. ◼

Per Trentino e Valle d’Aosta necessari i contributi pubblici

Le aziende valdostane sono mediamente più piccole di quelle trentine. I costi di produzione sono rispettivamen- te di 73,03 e 52,32 euro/100 kg di latte a fronte di ricavi di 67,09 e 45,56 euro/100 kg. Il lavoro in Valle d’Aosta vale il 30% in più che in Trentino

In Valle d’Aosta il prezzo del latte risulta molto elevato perché legato alla trasformazione in formaggi dop e in par ticolare alla Fontina, ma si colloca a un livello apprezzabile anche in Trentino, dove è comunque preva- lente l’utilizzo per una caseifi cazione di qualità. Entrambi i listini hanno su- bito una variazione positiva nel corso del 2003 che si è tradotta direttamen- te in un aumento dei ricavi.

I contributi alla produzione hanno un peso molto importante nel compu- to dei ricavi, con un’incidenza del 33%

nelle aziende valdostane e del 15% in quelle trentine. Si tratta di un insieme di contributi erogati in virtù di leggi co- munitarie, nazionali e regionali. Alcuni esempi sono le indennità compensati- ve per le aree di montagna, le misure agroambientali previste dai piani di sviluppo rurale, il premio per la salva- guardia della razze in via d’estinzione (Valdostana Pezzata Nera, Rendena) e il premio per le vacche nutrici (Valdo-

stana Pezzata Rossa). I contributi agri- coli fanno evidenziare un aumento di rilievo in entrambe le Province autono- me nel 2003 (48% in Trentino e 24,8%

in Valle d’Aosta) che, congiuntamente all’aumento del prezzo del latte, ha permesso a queste aziende di aumen- tare i ricavi totali dell’8,8% e dell’11,5%, rispettivamente (tabella 4).

Le singole voci di costo risentono molto della diversità dei sistemi di pro- duzione e di intensità produttiva nelle due aree di produzione. Nelle aziende valdostane, strutturalmente di ridotta dimensione, incidono in misura propor- zionalmente maggiore alcuni costi fi ssi come ammortamenti, assicurazioni, costo del capitale e del lavoro. In con- trotendenza, risultano modesti i costi sanitari e i costi del capitale fondiario che incidono poco per il basso valore degli affi tti e del costo della terra, ri- spetto ai valori riscontrati in Trentino.

Limitati anche i costi alimentari che non superano i 10 euro/100 kg di latte

Tabella 4 - Trentino-Alto Adige e Valle d’Aosta: principali in- dicatori di costo e redditività (euro/100 kg Iva inclusa)

Trentino Valle d’Aosta Parametri tecnico-economici

Vacche (n.) 41 32

Produzione latte (kg/vacca) 7.248 2.926 Ricavi

Ricavi latte 45,56 67,09

Ricavi carne 4,05 6,77

Contributi 12,99 43,8

Ricavi totali 62,71 117,67

Costi

Costi diretti (1) 41,79 38,59

di cui:

▪ alimenti (mangimi, foraggi, ecc.) 20,06 10,03

▪ macchine (manutenzione, ecc.) 6,54 7,47

▪ carburanti, lubrifi canti,

elettricità, acqua 2,65 3,53

▪ fabbricati (manutenzione, ecc.) 4,09 8,82 Costo dei fattori di produzione 27,68 85,02 di cui:

▪ costo del capitale fondiario 2,03 2

▪ costo del lavoro 22,81 75,93

▪ costo del capitale 2,84 7,09

Costo totale (2) 69,47 123,61

Costo netto di produzione (3) 52,32 73,03 Indicatori di reddito

Reddito familiare (4) azienda (.000 euro) 56,62 63,2 Reddito familiare (euro/100 kg) 15,93 69,07 Remun./ora di lavoro (euro/ora) 7,74 10,11 (1) Esclusi salari.

(2) Escluso costo quote.

(3) Al netto dei ricavi extra latte (carne, contributi, altri ricavi).

(4) Remunerazione dei capitali propri e della manodopera familiare.

Fonte: Ismea-Crpa.

(6)

prodotto, circa la metà del valore ri- scontrato nelle aziende del Trentino.

Nel 2003 nelle aziende trentine, il mantenimento di buoni livelli pro- duttivi e il forte impiego di mangimi ha scontato l’aumento del prezzo delle materie prime con un aggra- vio delle spese di alimentazione del bestiame di oltre il 40% e dei costi diretti del 22%.

In Val d’Aosta non vi sono state va- riazioni consistenti delle singole voci di costo, piuttosto l’aumento dei costi diretti del 5,6% è dovuto a una più bas- sa produttività delle bovine. L’aumen- to delle spese per i fattori di produzio- ne nelle aziende valdostane è legato soprattutto a un maggior esborso per la manodopera, che determina oltre i tre quarti del costo totale.

In totale il costo lordo di produzione in Trentino aumenta nel 2003 dell’11%

avvicinandosi ai 70 euro/100 kg di lat- te, mentre in Val d’Aosta il costo totale aumenta solo del 2,1%, attestandosi

su 124 euro/100 kg di latte. Da ciò si evince come le differenze tecniche dei due sistemi di allevamento incida- no sui costi di produzione del latte. Il costo netto di produzione in Trentino

I ricavi delle aziende dei tre campio- ni dipendono quasi esclusivamente dal prezzo del latte, quindi, dall’andamen- to del mercato lattiero-caseario che non sempre è in grado di assicurare delle entrate consistenti. Preoccupano, in proposito, i prezzi del latte rilevati in Puglia, inferiori del 14% e dell’11%

rispetto al Lazio e alla Campania. I bas- si prezzi per i vitelli e per le vacche da scarto comportano entrate molto scar- se per la produzione di carne, mentre la presenza esigua del silomais nelle aziende del Centro-sud non genera contributi pac che, invece, rappresen- tano spesso un ricavo importante per le aziende del Nord (tabella 5).

I costi di alimentazione nei tre grup- pi di allevamenti sono particolarmente elevati, specie nelle aziende campane e pugliesi dove ammontano, rispetti- vamente, a 21,23 e 18 euro/100 kg di latte. Tale maggiore incidenza si può attribuire, in parte, alla bassa produ-

zione di latte per vacca che fa salire l’in- cidenza in termini relativi ma, soprat- tutto, al maggior costo per l’acquisto di mangime, sia in termini di volume che in termini di prezzo. Rispetto alle aziende lombarde e piemontesi, si ha uno scarto di oltre il 50%. Le aziende laziali presentano un costo di alimenta- zione più basso, pari a 15,48 euro/100 kg di latte, da attribuire alla maggiore produttività delle vacche rispetto alle altre due regioni meridionali.

Nel 2003 il costo di alimentazione aumenta del 24,6% nelle aziende la- ziali, del 12,6% in Campania e del 5,1%

in Puglia, accentuando ulteriormente il divario tra aziende settentrionali e meridionali.

Per le altre voci di costi diretti si rileva una sostanziale omogeneità nei tre areali di produzione, con un totale pari a 32,69 euro/100 kg di latte nel Lazio, 32,33 euro/100 kg di latte in Puglia e 34,66 euro/100 kg di latte

è pari a 52,32 euro/100 kg contro i 73,03 euro/100 kg in Valle d’Aosta, con uno scarto di circa il 37%.

In Trentino l’aumento dei ricavi del- la carne e dei contributi ha permesso di compensare, in parte, il forte au- mento dei costi totali limitando l’au- mento del costo netto per 100 kg di latte al 4,4%. Questo ha fatto in modo che la remunerazione oraria della ma- nodopera non subisse delle variazioni rispetto al 2002.

La situazione è ben diversa in Val d’Aosta dove il sostegno pubblico mol- to forte ha compensato l’aumento del costo totale di produzione tanto da far diminuire dell’8,4% il costo netto di pro- duzione del latte nel campione di azien- de, permettendo quindi una migliore remunerazione della manodopera che passa da 8,5 a 10,11 euro/ora. In tal modo, si crea uno scarto del 30% nella remunerazione per ora di lavoro, che era invece molto simile nelle due aree fi no all’anno passato. ◼

in Campania. Lo scarto tra le aziende del Centro-sud e quelle piemontesi e

In Lazio, Campania e Puglia manodopera sottopagata

I ricavi dipendono quasi esclusivamente dalla vendita del latte che in Puglia presenta prezzi decisamente inferiori alla media nazionale, mentre i prezzi dei mangimi sono particolarmente elevati. Gli allevamenti laziali sono i più remunerativi. Il costo netto di produzione è di 49,68 eu- ro/100 kg in Lazio, 52,51 in Puglia e 59,26 in Campania.

Quasi nulla la remunerazione del lavoro

Tabella 5 - Centro-sud: principa- li indicatori di costo e redditivi- tà (euro/100 kg Iva inclusa)

Lazio Puglia Cam- pania Parametri tecnico-economici

Vacche (n.) 57 23 63

Produzione latte (kg/vacca) 6.407 5.467 5.309 Ricavi

Ricavi latte 40,7 35,6 38,5

Ricavi carne 0,7 2,3 1

Contributi 1,4 3,8 1,5

Ricavi totali 42,7 41,6 41,5

Costi

Costi diretti (1) 32,7 32,3 34,7

di cui:

▪ alimenti (mangimi, foraggi, ecc.) 15,5 18 21,2

▪ macchine (manutenzione, ecc.) 3 1,5 3,8

▪ carburanti, lubrifi canti,

elettricità, acqua 3,1 2,8 2,6

▪ fabbricati (manutenzione, ecc.) 4,1 4,2 4,6 Costo dei fattori di produzione 19 26,3 27,6 di cui:

▪ costo del capitale fondiario 2,8 5,5 5,6

▪ costo del lavoro 12,9 17,2 18,6

▪ costo del capitale 3,2 3,5 3,5

Costo totale (2) 51,7 58,6 62,3

Costo netto di produzione (3) 49,7 52,5 59,3 Indicatori di reddito

Reddito familiare (4) azienda (.000 euro) 24 7,3 10,9 Reddito familiare (euro/100 kg) 7,2 6,7 –0,4 Remun. /ora di lavoro (euro/ora) 2,8 0,5 0,1 (1) Esclusi salari.

(2) Escluso costo quote.

(3) Al netto dei ricavi extra latte (carne, contributi, altri ricavi).

(4) Remunerazione dei capitali propri e della manodopera familiare.

Fonte: Ismea-Crpa.

Vacche di razza Bruna al pascolo nella montagna trentina

(7)

lombarde è dell’ordine del 25%, infe- riore a quello riscontrato per i costi di alimentazione per via del basso peso dei costi diretti non alimentari nelle aziende del Centro-sud sul costo tota- le di produzione.

Nelle aziende pugliesi si assiste, nel 2003, a una riduzione delle voci di co- sto per il minor uso delle macchine per la produzione di foraggi mentre, a causa del calo produttivo, si ha un ge- nerale incremento dei costi diretti pari al 4,7%, in Puglia e all’11,6% nel Lazio.

Per quanto riguarda i costi relati- vi ai fattori produttivi, si rileva una bassa incidenza del costo del capitale fondiario nelle aziende laziali, in vir- tù dell’elevato carico di animali per ettaro di superfi cie foraggiere (2,84 euro/100 kg di latte), che diventa in- vece più che doppio in Campania e in Puglia, con 5,56 e 5,51 euro/100 kg di latte, rispettivamente.

Il costo del capitale agrario risulta, invece, più equilibrato fra i tre gruppi di aziende, pari a poco più di 3 euro/

100 kg di latte prodotto, in calo rispetto

al 2002, grazie all’abbassamento dei tassi di interesse. Il contenimento dei costi per i fattori di produzione è evi- dente nel Lazio e in Campania, mentre in Puglia il forte calo di produzione di latte non ha consentito di conte- nere l’incidenza della manodopera.

Questo signifi ca che, mentre nel La- zio e in Campania l’aumento dei co- sti diretti viene in parte compensato dalla riduzione del costo dei fattori di produzione, in Puglia il concomitante aumento dei costi diretti e dei fattori di produzione ha generato un aumento del costo totale di produzione del 3,8%.

Quest’ultimo è, infi ne, pari a 51,69 eu- ro/100 kg di latte nel Lazio, 58,59 in Puglia e 62,29 in Campania.

Le aziende laziali si collocano al primo posto per la redditività degli allevamenti da latte del Centro-sud, con un costo netto di produzione pari a 49,68 euro/100 kg; seguono quel- le pugliesi con 52,51 euro/100 kg e, infi ne, quelle campane, con 59,26 eu- ro/100 kg. Le aziende laziali presen- tano uno scarto rispetto alle media

lombardo-piemontese di circa il 25%, godono di un prezzo del latte superio- re rispetto al Nord e presentano un discreto livello di produttività del lavo- ro; le aziende pugliesi e campane che mostrano uno scarto dei costi rispetto al Nord del 33% e del 50%, rispetti- vamente, scontano prezzi del latte inferiori e una produttività del lavoro molto più bassa. Il dato relativo alla remunerazione del lavoro familiare in queste due regioni è sotto il livello di guardia risultando quasi prossima allo zero. Una tale situazione rischia di compromettere il proseguimento della zootecnia da latte nelle due re- gioni in cui gli allevatori, attratti da un discreto prezzo delle quote, potrebbe- ro optare per lo smantellamento della propria attività, pregiudicando anche la disponibilità di materia prima per la produzione di formaggi dop della zo- na. Anche nel Lazio la remunerazione del lavoro risulta inferiore a quella dei salariati agricoli ponendo domande sull’opportunità da parte degli alleva- tori di continuare o meno l’attività. ◼

Tutte le tipologie aziendali riscontrate nei diversi areali di produzione godono il vantaggio di un’elevata valorizzazione del latte che non ha eguali negli altri Paesi europei, a fronte di una situazio- ne sul piano dei costi estremamente variegata. La riduzione del prezzo del latte, che si prospetta a seguito dell’im- plementazione della riforma della pac, potrebbe avere un impatto notevole sui margini economici delle aziende da lat- te italiane, nonostante venga comunque garantito un contributo comunitario di maggiore spessore.

Sud Italia. Particolarmente delicata appare la situazione delle aziende cen- tro-meridionali, con chiaro riferimento a quelle pugliesi e campane, dove l’ana- lisi ha evidenziato il problema della sopravvivenza della zootecnia da latte nei prossimi anni. Un elemento di for- te preoccupazione deriva, per queste aziende, dai valori irrisori relativi alla remunerazione del lavoro impiegato in azienda. L’indagine ha evidenziato, tra l’altro, una forte correlazione tra il costo di produzione del latte e la dimensione dell’allevamento, espressa in numero di vacche allevate, da cui è emersa l’ap- partenenza di tutti gli allevamenti del Sud a una fascia dimensionale in cui è possibile conseguire grandi economie di scala. È quindi la ridotta dimensione degli allevamenti meridionali il fattore limitante che impedisce di conseguire, in genere, una migliore produttività delle vacche e, di conseguenza, del la- voro impiegato in azienda. Nel distret- to pugliese e campano ser virebbero

Gli allevamenti del Nord resistono, ma al Sud è crisi

La sopravvivenza dell’allevamento al Sud sembra compro- messa da ineffi cienze di mercato e dalle ridotte dimensio- ni aziendali. In Pianura Padana le economie di scala sono ormai raggiunte e l’effi cienza tecnico-produttiva sembra buona: rimane una forte dipendenza dal mercato degli alimenti (tabella 6)

Vacche di razza Podolica al pascolo nella pianura pugliese

(8)

Tabella 6 - Quadro sintetico dei principali indicatori economici (eu- ro/100 kg)

Regione Vacche (n.)

Produzio- ne latte (kg/vacca)

Ricavi latte

Ricavi totali

Costi diretti (1)

Costo fattori pro-

duzione Costo totale (2)

Costo net- to produ-

zione (3) Remun./

ora lavoro (euro/ora)

Piemonte 144 7.330 38,26 43,4 26,5 18,1 44,6 39,5 12,8

Lombardia 128 8.539 36,65 41,1 26,9 16,1 43 38,5 11,6

Veneto 126 9.244 38,04 42,1 26,5 11,4 37,9 33,8 17,6

Friuli 63 6.791 41,1 50,1 32,8 23,7 56,5 47,5 7,4

Valle d’Aosta 32 2.926 67,09 117,7 38,6 85 123,6 73 10,1

Emilia P.-R. 20 7396 48,48 50,2 30,9 24,1 55 53,4 11,7

Lazio 57 6.407 40,7 42,7 32,7 19 51,7 49,7 2,8

Puglia 23 5.467 35,6 41,6 32,3 26,3 58,6 52,5 0,5

Campania 63 5.309 38,5 41,5 34,7 27,6 62,3 59,3 0,1

Trentino 41 7.248 45,56 62,7 41,8 27,7 69,5 52,3 7,7

(1) Esclusi salari.

(2) Escluso costo quote.

(3) Al netto dei ricavi extra latte (carne, contributi, altri ricavi) Fonte: Ismea-Crpa.

interventi consistenti, tesi ad adeguare l’attuale struttura aziendale ai requisiti minimi di effi cienza dei parametri tec- nico-produttivi nonché misure volte a valorizzare la produzione lattiera locale attraverso prodotti tipici. Infatti, tra i mo- tivi di inefficienza economica si ha un basso prezzo del latte, tra i più bassi della Penisola, da cui tra l’altro dipende quasi interamente la redditività di questi alle- vamenti, a fronte di costi diretti di produ- zione, segnatamente per l’alimentazione del bestiame, di circa il 50% superiori di quelli dei distretti di produzione del Nord Italia. Tale situazione deriva, oltre che dalla bassa produttività delle vacche, dal maggior costo per l’acquisto dei man- gimi. Sarebbe quindi prioritario puntare al miglioramento dell’effi cienza alimen- tare, migliorando se possibile la qualità delle colture foraggiere aziendali.

Benché anche nelle aziende laziali i margini di miglioramento siano ancora notevoli, i risultati economici consegui- ti sono discreti e possono costituire una base per una strategia di sviluppo volta alla salvaguardia della zootecnia da lat- te in questa parte d’Italia. Attualmente i punti di debolezza derivano dalla bas- sa effi cienza alimentare e dalla scarsa produttività delle bovine nonché dal grosso vincolo strutturale della scarsa dotazione di terra. Molto spesso nelle zone meridionali le aziende tentano con successo la conversione nell’alle- vamento di bufale dove gli stessi fattori limitanti vengono superati grazie alla vi- vace dinamica del mercato dei prodotti derivati che consente ampi margini di redditività di queste produzioni.

Pianura padano-veneta. Le aziende del distretto padano-veneto rappresen- tano l’avanguardia della zootecnia da latte italiana, con punte di eccellenza per quelle lombarde e quelle di pianura del distretto del Parmigiano-Reggiano.

In queste ultime, la maggiore redditivi- tà unitaria del latte compensa i vantag- gi economici inerenti alle economie di scala delle aziende padano-venete; nel- lo stesso tempo, i risultati economici delle aziende del Parmigiano-Reggiano presentano una connotazione sociale migliore se si considera la maggiore intensità di lavoro richiesto nel sistema di produzione. Le aziende del com- prensorio del Parmigiano-Reggiano sono, quindi, in grado di creare una maggiore occupazione nelle aziende agricole a livelli di reddito soddisfa- centi rispetto alle aziende della pianura padano-veneta che, si caratterizzano, invece, per le eccellenti performance tecnico-produttive.

In queste ultime risulta soddisfa- cente il livello di redditività consegui- to anche se vi sono alcune peculiarità nei tre diversi distretti. Il Piemonte, che si caratterizza per la maggiore

estensività degli allevamenti, si av- vantaggia della minore esposizione al mercato estremamente volatile dei fo- raggi e degli alimenti per il bestiame, scontando, tuttavia, i più alti costi rela- tivi all’uso di prodotti chimici, a manu- tenzione macchinari, ammortamenti, e i maggiori costi fi ssi in generale.

L’alta produttività delle bovine, unita all’elevata dimensione economica degli allevamenti, caratterizza i distretti high tech del Veneto e della Lombardia, dove i margini di miglioramento, in termini di effi cienza tecnico-produttiva e di economie di scala, sembrano in linea di massima già sfruttati garanten- do soddisfacenti livelli di redditività.

La vulnerabilità di queste aziende deri- va, tuttavia, dalla forte dipendenza dal mercato degli alimenti e dalle relative oscillazioni dei prezzi, e nello stesso tempo dalla presenza di grossi vinco- li strutturali che ne frenano l’ulterio- re espansione, quali l’alto costo d’uso della terra e un mercato dei diritti di produzione molto teso, con i prezzi di affi tto e vendita più alti d’Italia.

Friuli Venezia Giulia. Le aziende friulane si distinguono per l’utilizzo di una razza bovina a duplice attitudine che consente buoni livelli dei ricavi, sia per il latte che per le carni, e per l’ottima valorizzazione del latte attra- verso prodotti tipici e di qualità. Tut- tavia, sul piano dei costi, vi sarebbero ampi margini di miglioramento legati essenzialmente all’ampliamento della dimensione economica.

Trentino-Alto Adige. Gli allevamenti del Trentino rappresentano un’inte- ressante via di mezzo tra le aziende appartenenti a categorie protette, che godono cioè di un grosso sostegno pub- blico, e aziende di mercato, capaci di sfruttare e valorizzare i propri vantaggi competitivi. Il sistema di produzione mediamente adottato presenta un gra- do medio-alto di intensità dove i punti

di debolezza, sotto il profi lo dei costi, vengono ampiamente compensati dalla grande mole di contributi per il soste- gno della produzione lattiera nelle aree di montagna, garantendo in totale un buon livello di remunerazione della manodopera impiegata.

Valle d’Aosta. Un discorso a parte meritano le aziende della Valle d’Aosta in cui i sostanziosi contributi alla produ- zione e il più alto prezzo per il latte ven- duto spiegano l’elevata remunerazione del lavoro. Inoltre, per queste aziende di montagna è emersa una grande variabili- tà nei risultati economici. Tale variabilità è inerente alla forte variabilità nelle con- dizioni naturali del territorio in cui si tro- vano a operare gli allevatori della mon- tagna: alcuni in situazioni molto favore- voli, quasi assimilabili alle condizioni di pianura, altri in situazioni estremamente disagiate. I costi di produzione risentono fortemente di queste differenze poiché incidono sulla produttività del lavoro, che a sua volta condiziona fortemente il risultato economico dell’allevamento.

Dal punto di vista tecnico-produttivo, queste aziende sono lontanissime dagli standard medi di efficienza, tuttavia, non bisogna dimenticare che il loro va- lore è strettamente legato alla funzione essenziale che esse svolgono nel presi- dio e nella tutela del territorio montano, dove, comunque, non sarebbero perse- guibili sentieri di sviluppo alternativi.

Interessante è la valorizzazione del latte attraverso la trasformazione in formaggi tipici che rappresenta una strada impor- tante per garantire ricavi elevati a fronte dei costi di produzione inevitabilmente molto più alti della media.

Gabriella Manfredi Ismea - Roma [email protected] (1) Per il Crpa hanno partecipato Kees de Roest, Alberto Menghi, Eugenio Corradini.

Riferimenti

Documenti correlati