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- PRIMA RIFLESSIONE -

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Academic year: 2022

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SEMINARIO INTRODUTTIVO A TECNOLOGIE IMMERSIVE E VR PRIMA RIFLESSIONE - TOLOMEO PRODUZIONI SRL - 2021

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- PRIMA RIFLESSIONE -

Lo spettatore al centro e lo spettacolo intorno

ovvero

“Come sono riuscito a comprendere il crollo della Quarta Parete e lo stitching delle immagini sferiche, parlando di astronomia, mongolfiere, transfert letterario, soggettiva cinematografica e videogame sparatutto”

La Virtual Reality è un sistema tolemaico.

Assimilare questo concetto è fondamentale per capire fino in fondo il media che abbiamo di fronte e i suoi strumenti. Perché la Virtual Reality anzitutto sovverte. Sovverte i ruoli e il rapporto narratore/spettatore, offre punti di vista inediti, impone consapevolezze alternative (perfino nella percezione di sé) e produce esperienze uniche e personali, tanto da alterare la percezione dello spazio e -in alcuni casi- del flusso del tempo.

Questioni piuttosto incisive, in cui bisogna subito imparare ad orientarsi.

Per capire fino in fondo la Virtual Reality bisogna dimenticare molte cose, ad esempio che ognuno di noi è un punto su una sfera -il nostro pianeta- e che la superficie di una sfera non ha un centro, come abbiamo tutt* studiato a scuola. Oggi quella sfera si apre e si distende, creando una superficie bidimensionale e limitata e -proprio grazie a quei confini- adesso possiamo identificare un suo centro. Ogni osservatore, in un ambiente VR, sarà posto proprio in quel punto privilegiato. Le foto e i video realizzati in questo settore si definiscono sferici: ogni fotografia o fotogramma sferico risulterà in un’immagine rettangolare i cui contenuti appaiono deformati.

Visita il link per vedere la foto in 360°: https://kuula.co/share/7SjYC?fs

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Perché deformati? Perché questo è soltanto un formato convenzionale di lavorazione, mentre il risultato finale si produce quando si fa richiudere su sé stessa l’immagine, facendone combaciare i bordi e producendo sulla sua superficie tensioni, stiramenti e compressioni.

Questi correggono le precedenti deformazioni, riportando l'immagine alla forma finale che replica sulla superficie interna della sfera il luogo, la scena e il momento immortalati in precedenza dallo strumento di ripresa. Questo processo per riportare alla sua forma sferica un'immagine a 360° è chiamato stitching e -nella maggior parte dei casi- è operato in modo automatico dai software usati nel lavorare con immagini del genere.

Supponete che l'immagine sia un enorme tessuto disteso a terra, su cui voi siete in piedi al suo centro: i lembi della stoffa si sollevano, si congiungono sopra di voi e vengono cuciti lungo i margini. Diciamo -per concludere l'esempio- che un qualcosa immetta aria calda in questa sorta di grande sacco, tendendo il tessuto, e che la pressione lo gonfi come una mongolfiera. E ora immaginate il risultato: vi ritrovereste all'interno di una sfera le cui pareti interne mostrerebbero intorno a voi l'immagine da cui eravamo partiti. Ma la VR è ancora più interessante perché non saremo in

una semplice bolla proiettata di immagini, bensì in un ambiente “smart”, cioè un sistema implementato dove è possibile interagire con le immagini che osserviamo, coi contenuti che veicolano e le informazioni che offrono, oltre che esplorare liberamente gli ambienti virtuali, attraversandoli, coltivando i propri interessi, guadagnando nuove nozioni, ricevendo servizi unici o intrattenendosi ( Fig 1 ). Sembra qualcosa che prometterebbe la fantascienza, ma siamo giunti già a tali progressi, oggi.

Ora torniamo al detournament di nozioni, inevitabile nell’approccio a tali tecnologie. Perché dovremmo dimenticare che il nostro pianeta orbiti intorno al Sole? Oppure scordarci che il nostro sistema solare vaghi in una parte qualunque della nostra galassia?

Facile. Perché nel mondo virtuale la realtà sarà conformata intorno allo spettatore, che qui avrà davvero un posto d'onore e scoprirà di essere il fulcro intorno a cui è

costretta ad orbitare ogni cosa, il tutto. E’ indubbio che viviamo in un sistema copernicano e che orbitiamo noi intorno al Sole, ma nell’ambito della VR si realizza inaspettatamente il modello tolemaico e geocentrico:

è avvincente proiettarsi al centro dell’universo e del suo scibile! In Tolomeo Produzioni ci piace riassumere questa condizione di eccellenza così:

“al centro di tutto ed equidistanti da ogni cosa”

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La Virtual Reality di cui tratteremo in questo seminario deve essere realizzata grazie a strumenti fotografici dedicati (fotocamere a 360°) o di ripresa audiovisiva (videocamere a 360°), a volte utilizzati con microfoni per registrare l’audio spaziale, cioè audio a tutto tondo e non direzionale.

Con questi strumenti si realizzano foto, scansioni e video che riprendono e poi restituiscono luoghi, narrazioni ed eventi, che lo spettatore può navigare ed esplorare e con cui potrà interagire per assolvere a varie funzioni: informarsi, studiare, aggiornarsi, viaggiare, intrattenersi, prenotare o fare acquisti, ma anche programmare itinerari, progettare ristrutturazioni, curare allestimenti, diffondere eventi e spettacoli, proporre visite guidate o, ancora, promuovere contenuti artistici, commercializzare prodotti, pubblicizzare aziende, sostenere progetti e condividere ricerche.

Il fruitore dovrà soltanto “esplorare” l’ambiente virtuale intorno a sé e troverà integrati nello spazio i contenuti e le esperienze che cerca.

Per fruire di tutto ciò esistono molti supporti, adatti ai diversi livelli di dimestichezza con il mezzo e accessibili con soluzioni alla portata di ciascuno: da headset più impegnativi, ma inclusivi già di schermo ad alta risoluzione e altoparlanti, da indossare in testa come un caschetto leggero,

e ci sono i più economici visori cardboard, cioè un cartonato in cui è possibile inserire facilmente il proprio smartphone che fungerà da schermo all'altezza degli occhi e anche da sorgente per l'audio, via cuffie o earpods.

Queste soluzioni si rivolgono principalmente a chi vuole usufruire a pieno dei prodotti immersivi, cioè godendone in modo più coinvolgente a livello sensoriale e di maggiore impatto nella narrazione, e a quei fruitori che cercano un’esperienza completa, intuitiva, divertente e decisamente più avveniristica. Per tutti coloro che non vogliono investire troppo in un headset e che magari trovano anche scomodo indossare un cardboard, i contenuti sono comunque accessibili da computer fisso, laptop, tablet o cellulare (tramite la navigazione più canonica, come tutti già fanno in Google Maps e Google StreetView). In tal caso, il nostro schermo sarà una finestra affacciata sull'ambiente VR che esploreremo utilizzando mouse o touch-pad per un pc, un dito nel caso di touchscreen e tablet, o spostando lo smartphone intorno a noi -grazie alla funzione “giroscopio”- e osservando l’ambiente virtuale attraverso il suo schermo, quasi fosse uno specchio magico che mostra un mondo parallelo. In questo settore, questo modo di osservare il mondo virtuale come l’interno di un acquario attraverso il suo vetro ha fatto nascere il modo di dire “fish tank VR”.

Entreremo nello specifico dei singoli strumenti dedicati a produrre contenuti in 360° e dei supporti per fruire dei prodotti in VR nella Seconda Riflessione, dove definiremo a fondo la loro natura e la loro la funzione, oltre alle opportunità e ai limiti che ciascuno di essi offre o impone.

Dando per assimilata l’idea del “sistema tolemaico”, cosa cambia per gli addetti ai lavori impegnati nel produrre contenuti e per il pubblico destinato a fruirne? Anzitutto non ci saranno né fotografi dietro alla macchina fotografica né cameraman accanto alla telecamera. In realtà ci saranno sempre operatori a governare questi strumenti, ma crollerà il pilastro della quarta parete. Per chi non ha dimestichezza con questo argomento, ricordiamo che nella narrazione visuale c'è un dogma raramente violato: la quarta parete. Consiste nella linea di confine che c'è tra il set, che conterrà l'oggetto della narrazione, e il backstage, che

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nasconderà i narratori. In un certo qual modo, è la linea di confine tra ciò che è fiction e ciò che è vero. E non c'è neppure bisogno di scomodare il cinema o le serie tv per fare un esempio: perfino una modella che posi in costume da bagno a Gennaio, accanto alle palme messe per simulare un clima tropicale, è da considerarsi “fiction”. Fotografi, assistenti, truccatori ed elettricisti saranno tutti occultati oltre la quarta parete, insieme al clima freddo e al paesaggio invernale, insomma insieme alla realtà.

Nella virtual reality a 360° non c'è alcuna area fuori campo, cioè una zona che resti al di fuori dell'inquadratura. Non c'è una quarta parete oltre cui lavorano i tecnici o dove nascondere le comparse pronte ad entrare in scena. Non c'è zona che l'osservatore non possa osservare. E quindi… come si fa a coordinare efficacemente il personale su un set fotografico a 360°? Si possono utilizzare luci e riflettori per illuminare una scena, senza che siano palesati? In un set filmico, come possono lavorare

fonici e microfonisti, se ovunque è “in campo”? E che differenze ci sono nella realizzazione di foto e video, quando siamo in ambienti al chiuso (più gestibili) o in spazi all'aperto (più imprevedibili)? Mano a mano, nel corso del Seminario avremo modo di spiegare le metodologie di lavoro che possono ovviare a simili problemi, così come i pregi inaspettati e i limiti da conoscere con queste tecnologie. Nella Terza Riflessione affronteremo nel dettaglio i singoli prodotti in VR da realizzare con foto a 360° e video sferici.

È doveroso -a questo punto- fare una precisazione per ampliare l’orizzonte. Finora si è accennato molto a fotografi, operatori video e tecnici di ripresa, sia in ambito cinematografico che fotografico, ma non vorremmo dare un'impressione sbagliata e cioè che tali professioni siano privilegiate nell'utilizzo di questi nuovi strumenti. Anche loro dovranno dimenticare quello che sanno e cimentarsi in qualcosa di nuovo e di differente. Anche per loro sarà improvvisamente il Sole a girare intorno alla Terra e con ogni probabilità ne saranno spiazzati. Proprio in merito alle nozioni utili in questo settore, è il momento di fare degli esempi che stimolino la riflessione. Se tutto è in campo e se ogni cosa o persona è visibile al pubblico, il “gioco” cambia decisamente e non si potranno più rispettare le stesse regole che erano valide in precedenza o, ancor meglio, che erano autorevoli in altri contesti come ad esempio nel cinema.

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Prendiamo come ipotesi la gestione di molte comparse in un video realizzato in modo canonico: gestirle avrebbe comportato tenerle fuori scena, farle entrare in campo in tempi prestabiliti e forse a scaglioni e farle uscire dall'inquadratura per cambiargli in fretta abiti e oggetti di scena e poi farli rientrare: così sembreranno esserci il doppio delle persone in campo e altrettante fuori scena, in quella zona non ripresa che il pubblico sarebbe costretto ad immaginare. Nelle riprese a 360° tutto ciò non può accadere o, in alternativa, si dovrà ricorrere ad espedienti complessi o a una scenografia concepita ad hoc per nascondere tecnici, luci e comparse.

Qualcosa che -ad esempio- è molto comunque dei musical teatrali con scenografie importanti e funzionali. Ma va notato che la gestione delle comparse non potrà essere esercitata da qualunque assistente zelante o versatile aiuto-regista. Dirigere in 360° una scena campale presuppone che gli attori e tutte le comparse vengano magistralmente coreografati.

Insomma, più sarà ambizioso il progetto, più un regista dovrà ritenere indispensabile lavorare al fianco di un coreografo. Verrebbe da pensare che manca solo un'orchestra per sembrare la produzione di un'opera lirica!

Eppure coreografare le persone in uno spazio a 360° sarà cruciale, ancor più che nel cinema, e complesso nell’impianto, peggio che per il teatro.

Facciamo un altro esempio, per capire come l'uso di queste tecnologie sia frutto di nozioni interdisciplinari. In qualunque prodotto audiovisivo, se in una scena confusa -come un bar affollato- si volesse far notare una persona che entra dall’ingresso, si ricorrerebbe facilmente ad inquadrature e montaggio, per mostrare la porta, sottolineare il momento dell'apertura e dell'ingresso, forse anche ricorrendo ai primi piani dei volti dei presenti per raccontare la loro reazione. Impossibile che lo spettatore non noti sullo schermo ciò che pretendiamo fargli vedere, no? Ma la virtual reality non funziona così. Se in un’ampia scena lo spettatore può guardare ovunque e seguire qualunque personaggio, perché dovrebbe guardare verso la porta d'ingresso? Dovrà condurlo lì il regista, governando con astuzia l’attenzione dello spettatore e prevedendo le sue reazioni. Come?

Per tornare al nostro esempio, magari una coppia che flirtava sposterà la sua attenzione sull’ingresso; nello stesso momento gli anziani seduti a un

tavolo si volteranno e uno di loro indicherà la porta; e intanto il barista alzerà gli occhi dal bancone e darà il benvenuto a qualcuno che sta entrando. Non importa se lo spettatore si fosse perso nel guardare la coppia, gli anziani o il barista, perché ognuno riporterà la sua attenzione dove sta per accadere qualcosa. E se non bastasse? Aggiungiamo una campanella -sopra l’ingresso- che trillerà quando qualcuno apre la porta per entrare e, nonostante l'audio ambientale e il brusio, il trillo squillante della campanella sarà più forte del resto e impossibile da mancare. Eppure qualcuno potrebbe comunque ignorare la campanella sulla porta. Come fare? Esageriamo. In tal caso, aggiungiamo una comparsa che, urtata

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dalla porta che si apre, farà cadere il bicchiere, così lo spettatore si volterà d’istinto per il rumore del vetro infranto, vedendo chi è appena entrato prima ancora che l’attore o attrice possa dire la prima battuta ( Fig 2 ).

Ci sono suoni (e altri espedienti non sonori) che toccano corde e istinti, imponendoci un determinato comportamento. Ci voltiamo senza esitare per il pianto di un bambino, perché abbiamo un istinto animale che ci porta a proteggere i “cuccioli” della nostra specie. E ci voltiamo senza riflettere se sentiamo un infrangersi di vetri, perché è il nostro subconscio ad imporcelo: un vetro rotto rappresenta un pericolo e -d'istinto- vogliamo sapere dove si trova per poterlo evitare. Oppure il vetro rotto può essere frutto di un incidente o di un’azione violenta, entrambe cose che comunque non vogliamo lasciare accadere alle nostre spalle. Ci voltiamo per essere consapevoli del pericolo e soppesarlo. Insomma, mettendo in piedi una escalation di espedienti, dai gesti ai suoni agli istinti, un autore è sicuro di veicolare l'attenzione del pubblico verso gli step narrativi pianificati.

E’ complesso, ma tutto questo funziona per davvero. È una vita che funziona e sarebbe bello poter dire che si tratta del cinema o della tv, ma gli espedienti descritti nell'ultimo esempio appartengono ad altro: al teatro.

Le entrate e le uscite, le luci e il buio, in sala come in scena, le musiche e i rumori o perfino i gesti, a teatro sono in grado di spostare l'attenzione di un’intera platea da quello che sta succedendo sul palco a qualcosa che deve accadere -volutamente- in fondo alla sala e all'ultima fila. Quindi

sembrerebbe indispensabile che la VR venga contaminata anche da altre discipline come la coreografia e il teatro (e forse anche da un pizzico di psicologia della comunicazione), visto che i loro codici e il loro contributo si rivelano determinanti nel costruire un linguaggio adatto a uno strumento, diverso da tutti i suoi predecessori. E improvvisamente la Virtual Reality non sembra più essere figlia solo della fotografia o della cinematografia!

Non ci si può neppure esimere dall’affermare che debba tantissimo ai videogame. Ma limitatamente ai giochi che contemplino una storia e un punto di vista in prima persona. Con questa affermazione i più penseranno soltanto all'aspetto ludico o tecnologico dei giochi. Tutt'altro! Infatti alcuni dei contributi più incisivi portati dall'industria dei videogame negli ultimi 20 anni riguardano sviluppi in ambito narrativo e stilistico. Anzitutto l'aver elevato il valore dello storytelling, tanto che molti sceneggiatori affermati e fumettisti di grido si prestano ormai a scrivere trame e firmare edizioni limitate dei più noti videogame, attesi e seguiti dagli appassionati, come altri aspetterebbero l'uscita di un film o tiferebbero per una squadra. E, soprattutto, l’aver sviluppato un linguaggio visivo esclusivo e riconoscibile, cinematico e spesso perfino contrario alla grammatica cinematografica.

Un esempio su tutti? Il punto di vista co-stan-te-me-nte soggettivo.

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La cosiddetta soggettiva al cinema è usata con grande parsimonia perché mette parzialmente in crisi il contratto non scritto tra narratore e spettatore. Però occasionalmente è utilizzata anche con grande garbo, con intelligenza e con pertinenza, ad esempio quando l'autore vuole mostrarci il mondo attraverso gli occhi di un animale libero nella natura, o se vuole far crescere la tensione mostrandoci una situazione tesa attraverso gli occhi di chi la sta vivendo, o se vuole turbarci con la soggettiva di qualcuno che cade da una grande altezza. L'iconico film

“Jaws - Lo Squalo” del 1975, diretto da Steven Spielberg, riuscì a creare un protagonista d'eccezione -lo squalo stesso!- mostrando per lo più una sua inquietante soggettiva, accompagnata da un tema musicale evocativo.

In sintesi, una telecamera subacquea tra i bagnanti e poche note. Basti questo per intuire quanto sia potente la soggettiva come mezzo narrativo!

Uno strumento potente e scomodo, da utilizzare con parsimonia nel cinema. Ci sono stati film girati interamente in soggettiva, ma di sicuro non ne vedrete uscire diversi in pochi mesi! Perché il cinema non può abusare di questo delicato espediente. E questo ci riporta ai videogame.

Chi ha sdoganato lo storytelling in soggettiva come regola che si ripete tanto da diventare canone? I videogame. Ora, per convenienza, vi invitiamo a non badare al fatto che gli ambienti virtuali in cui ci si muove all’interno di un videogame in 3D sono dei “costrutti” modellati in computer grafica (CGI) mentre la virtual reality che affrontiamo in questo seminario

è riferita a foto e a riprese video effettuate dal vivo, per immortalare e mostrare ambienti reali. Il motivo per cui ci soffermiamo sui videogame non riguarda il contenuto o il contenitore, ma il modo. I videogame hanno introdotto la capacità di muoversi liberamente nello spazio (virtuale), la possibilità di operare scelte che determinano un'esperienza unica -di gioco, nel loro caso- e il punto di vista soggettivo che rende protagonisti della storia e permette di interagire con essa. E’ da notare che queste poche parole rappresentano i pilastri portanti delle odierne esperienze immersive, anche se realizzate grazie a foto e riprese dal vivo.

Si veniva dalle esperienze dei simulatori di volo investiti nella formazione di aviatori e piloti di compagnie aeree e dai simulatori di guerra destinati all’addestramento militare, poi nell’era d’oro delle arcade room (“sale giochi”) degli anni ‘80 sono entrati nel mercato dell’intrattenimento, diventando simulatori di guida a scopo ludico e -anche- giochi sparatutto.

Per i produttori di videogame era una condizione imprescindibile che il giocatore si sentisse protagonista e quindi il punto di vista “in soggettiva”

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era l'espediente più idoneo. Vedresti un film di 2 ore narrato totalmente in soggettiva? Forse sì o forse no. Ma batteresti ciglio nel giocare per 1 mese a un videogame in soggettiva? Affatto. Eppure i ritagli di tempo di 1 mese passato a giocare in soggettiva ammonterebbero a molto più delle 2 ore da dedicare a un film: semplicemente nel videogame la soggettiva è un canone ormai accettato e un espediente che garantisce maggiore coinvolgimento, laddove nel film cinematografico verrebbe a noia o creerebbe dissociazione anziché coinvolgimento. Alcuni giochi hanno un punto di vista leggermente diverso dalla soggettiva perché si vedono nuca, spalle e braccia del personaggio, ma concettualmente poco cambia e molto spesso non se ne palesa mai il volto, così che il giocatore possa proiettarsi nel gioco e dare il proprio volto al protagonista delle imprese.

Questo chiaramente è un discorso legato al transfert. E allora aggiungiamo che, se il cinema -come la letteratura- vuole che ogni spettatore/lettore si immedesimi nel protagonista e viva tramite lui le vicende narrate, il videogame salta l'intermediario e proietta direttamente il giocatore nel gioco e così nella storia. Non devi più immedesimarti nella vita di qualcuno né devi affezionarti a un protagonista: nei videogame, finché non distogli lo sguardo, sarai tu quel protagonista e sarai proprio lì.

Ancora di più, se distogli lo sguardo e smetti di giocare, la storia da sola non andrà avanti, come nella vita reale in cui non ci sono progressi se trascuriamo di dedicarci ad ottenerne. Questo perché nei videogame, soprattutto nei giochi di ruolo, tu sarai fondamentale per lo svolgimento stesso della vicenda e -ormai è molto comune- ne determinerai l’esito.

Ora, la tecnologia non ci obbliga più a creare soltanto in CGI degli ambienti virtuali irreali, modellati o ricostruiti, ma ci permette di immortalare con foto e video a 360° il mondo così com'è, per poi riproporlo tale e quale anche ad un fruitore che si trova oltreoceano o nello spazio.

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La realtà viene raccontata a tutto tondo, con una definizione finora inimmaginabile e una tecnologia laser affidabile come nessuna altra possibile alternativa, incluso l'essere umano equipaggiato con i suoi strumenti analogici di maggiore precisione. Inoltre, nel raccontare la realtà, le tecnologie immersive ci impongono un punto di vista soggettivo, quindi impediscono ai creativi e ai tecnici di utilizzare molti di quegli espedienti a cui erano già avvezzi e su cui ovviamente avrebbero fatto affidamento anche nell’uso di un media affine. Ma d'altra parte permette di trovare nuove soluzioni grazie a strumenti unici, oltre sperimentare codici comunicativi inediti e creare prodotti fino ad oggi inconcepibili. Non male come appeal, anche per quegli stessi creativi e tecnici a cui si accennava e che magari potevano sentirsi un po’ spaesati dalla novità della VR.

Per concludere, solo un’attitudine trasversale e interdisciplinare potrà permettere -a chi vorrà utilizzare questi strumenti- di approfittare realmente delle possibilità che essi possono offrire, di padroneggiarne intimamente la grammatica e di determinarne i linguaggi e gli stili originali.

In questa Prima Riflessione, molto ampia e introduttiva, abbiamo tirato già in ballo la fotografia, la coreografia, il teatro, i videogames, il cinema e anche un vago sentore di neuroscienze. Andando avanti con questo Seminario emergeranno altre discipline da prendere sotto esame e anche in quei casi rifletteremo su quale contributo hanno già portato allo sviluppo delle tecnologie immersive e su quali espedienti gli appartengono, che ognuno potrà carpire e fare propri, in modo da poterli reinvestire in futuri progetti di 360° photo-shooting e di 360° film-making.

La Seconda Riflessione entrerà nel pratico e illustrerà gli strumenti e i supporti dedicati alla produzione dei contenuti in VR e in 360° Film Making.

Alla settimana prossima.

IMMERSUS EXPLORO

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