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REPUBBLICA ITALIANA O 20 LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE SENTENZA

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REPUBBLICA ITALIANA

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In nome del Popolo Italiano LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

QUINTA SEZIONE PENALE

Composta da:

GERARDO SABEONE - Presidente -

CARLO ZAZA

ROSA PEZZULLO - Relatore -

ENRICO VITTORIO STANISLAO SCARLINI

GIOVANNI FRANCOLINI ha pronunciato la seguente

Sent. n. sez. 1269/2020 UP - 06/10/2020 R.G.N. 17523/2020

SENTENZA

sul ricorso proposto da:

avverso la sentenza del 17/02/2020 della CORTE APPELLO di MILANO

visti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso;

udita la relazione svolta dal Consigliere ROSA PEZZULLO;

udito il Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore GIOVANNI DI LEO che ha concluso chiedendo

Il Proc. Gen. conclude per l'inammissibilita' ùdito il difensore

L'avvocatoErrico Andrea Lunainsiste per l'accoglimento del ricorso.

Errico Andrea Luna

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RITENUTO IN FATTO

1.Con sentenza emessa in data 17.2.2020, la Corte d'appello di Milano ha confermato la sentenza del locale Tribunale di condanna di alla pena di anni due e mesi tre di reclusione, per i reati di cui agli artt. 110, 216 co. 1 n. 1, 223 I. fall. (capo A) e 640 c.p. (capo B), riconoscendo una provvisionale esecutiva in favore della costituita parte civile, pari ad C 36.000.

1.1. All'imputato, legale rappr.te della I (società affittuaria) è stato contestato di avere, in qualità di extraneus, in concorso con amministratore unico della società fallita (società concedente), distratto l'azienda mediante la stipulazione il 31.5.2011 (il giorno prima della presentazione della richiesta di autofallimento) di un contratto di affitto dei due rami d'azienda (relativi ad attività di bar/ristorazione e biblioteca) per due anni ad un canone di C 30.000 annui, rimasto inadempiuto, tanto da determinare la risoluzione giudiziale del 21.11.2014 ed il conseguente pregiudizio per il ceto creditorio; inoltre, per avere, sempre il , stipulato a sua volta, il 15.1.2013, un contratto di cessione del ramo d'azienda del bar- caffetteria della per il controvalore di C 120.000,00, inducendo la cessionaria a a credere che egli fosse a ciò legittimato, pur non essendo titolare della già dichiarata fallita nel 2011.

2. Avverso tale sentenza ha proposto ricorso per cassazione l'imputato, a mezzo difensore di fiducia avv.to affidato a tre motivi di ricorso, con i quali deduce:

-con il primo motivo, il vizio di motivazione della sentenza impugnata che non risulta dare congrua risposta alla specifiche censure mosse con l'appello,limitandosi a riportare il contenuto della sentenza di primo grado; con specifico riguardo al capo a), invero, non risulta data risposta alle circostanze che la dichiarazione di fallimento è avvenuta dopo soli 21 giorni dalla conclusione del contratto di affitto dei rami d'azienda e che la risoluzione è stata avviata ad opera della curatela nel 2012; al contrario, il pagamento dei canoni pattuiti sarebbe intervenuto per tutto l'anno 2011, ed al tempo dell'inadempimento nel gennaio dell'anno seguente la curatela era già subentrata: in tal senso è erroneo il rilievo della Corte territoriale, che ha desunto la natura distrattiva dell'operazione dall'inerzia del (amministratore unico e poi liquidatore della

, dichiarata fallita) quando questi era ormai da tempo privato di legittimazione ex art. 42 i. fall.; d'altra parte, la stipulazione del contratto d'affitto dei due rami d'azienda non integrerebbe una condotta distrattiva,essendostato animato da finalità conservative del patrimonio aziendale, come affermato dall'ideatore dell'operazione avv.

con la cui deposizione la Corte territoriale non si confronta; in ogni caso la sentenza è contraddittoria, in quanto, da una parte, si valorizza la circostanza che bbia proposto istanza di fallimento proprio il giorno successivo alla stipula e, dall'altra, si attribuisce alla sua inerzia la riprova ex post del proposito distrattivo, mentre in nessun caso l'inadempimento contrattuale può assurgere ad elemento costitutivo della distrazione; sotto ulteriore profilo, difetterebbe il collegamento secondo cui la disponibilità dell'azienda in capo al per l'inerzia del avrebbe integrato il presupposto per la cessione a favore della A

indebitamente si è, poi, ritenuta la natura distrattiva del contratto d'affitto, il quale sanzionava 1

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a mezzo di clausola risolutiva espressa varie ipotesi di inadempimento contrattuale; quanto al capo B), va stigmatizzato l'apparato motivazionale della pronuncia impugnata, tanto nella parte in cui ritiene provato che l'imputato si sia qualificato come titolare dell'attività, quanto in merito alla ritenuta irrilevanza causale dell'apporto negligente del professionista incaricato dalla nella induzione in errore di quest'ultima, poiché se tale professionista avesse svolto l'incarico scrupolosamente, la p.o. non sarebbe caduta in errore; tali doglianze erano state già sviluppate nell'atto di appello senza ricevere,tuttavia, risposte in proposito;

-con il secondo motivo, il vizio di motivazione in merito al rilievo secondo cui, a fronte della sostenuta inerzia del come indicativa della distrazione, occorreva considerare il tempo dell'inadempimento e il vizio di legittimazione ex art. 42 L.Fall. in capo al erchè dichiarato fallito; contraddittoria si presenta, invero, l'affermazione secondo cui il C a presentato istanza per far dichiarare il fallimento della società l giorno dopo la stipula del contratto di affitto di azienda per arrecare pregiudizio ai creditori e quello in cui lo si ritiene responsabile per non essersi attivato ai fini dell'adempimento delle obbligazioni contrattuali; inoltre, carente e contraddittoria è la motivazione laddove individua nell'accordo contrattuale fra la fallita e la na soluzione in sé e per sé pregiudizievole e distrattiva a danno dei creditori sociali a prescindere da una valutazione concreta; l'affitto di un ramo d'azienda, oltre ad essere un istituto pacificamente ammesso, è uno strumento sovente utilizzato in ambito prefallimentare al fine di preservare il valore dei beni; nessun rilievo, poi, è stato effettuato,sia in ordine alla congruità del canone di locazione, sia in ordine alla simulazione del rapporto, elementi che, al contrario, avrebbero dovuto essere richiamati e valorizzati nell'ambito di un'operazione pattizia erroneamente ritenuta finalizzata all'illecito distrattivo; inoltre il

non ha avuto alcun ritorno economico o di altra natura dall'affitto di azienda; peraltro, contraddittoria risulta la motivazione della sentenza impugnata, laddove sono state escluse le circostanze aggravanti di cui all'art. 219 L.Fall. per il capo A) e 61/1 n. 7 c.a. per il capo B), salvo poi a fondare l'intero assetto motivazionale sull'arrecato pregiudizio economico arrecato ai creditori sociali ed imputabile alle azioni degli imputati;

-con il terzo motivo, il vizio di violazione di legge in relazione all'art. 42 L.Fall. avendo la Corte d'Appello attribuito rilievo decisivo all'inerzia di fronte dell'inadempimento delle obbligazioni contrattuali da parte dell'affittuario, interpretandolo quale piena consapevolezza della incapacità e/o volontà futura del di non onorare l'accordo, oltre che quale presupposto per la distrazione dei beni sociali; invero, l'inerzia del ra più che lecita non essendo egli il soggetto legittimato ad agire nell' interesse della società.

CONSIDERATO IN DIRITTO

Il ricorso è inammissibile, siccome manifestamente infondato.

1.Va premesso in linea generale che molte delle censure proposte dal ricorrente con i tre motivi di ricorso, oltre ad essere generiche, tendono in sostanza a sottoporre al giudizio di legittimità aspetti attinenti alla ricostruzione del fatto e all'apprezzamento del materiale probatorio rimessi alla esclusiva competenza del giudice di merito. Secondo l'incontrastata giurisprudenza di

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legittimità esula, infatti, dai poteri della Corte di cassazione quello di una "rilettura" degli elementi di fatto posti a fondamento della decisione, la cui valutazione è riservata al giudice di merito, senza che possa integrare il vizio di legittimità la mera prospettazione di una diversa, e per il ricorrente più adeguata, valutazione delle risultanze processuali (Sez. U, n. 6402 del 30/04/1997, Dessimone).

2. I tre motivi di ricorso, proponendo questioni comuni in merito al concorso nella bancarotta fraudolenta per distrazione del saranno esaminati congiuntamente al fine di evitare ripetizioni o richiami.

3. Del tutto generica si presenta la premessa del primo motivo di ricorso -circa il vizio di motivazione della sentenza impugnata che non avrebbe dato risposta alle plurime doglianze sviluppate nei motivi di appello- atteso che, come più volte evidenziato da questa Corte, non sussiste mancanza o vizio di motivazione allorquando il giudice di secondo grado, in conseguenza della ritenuta completezza e correttezza dell'indagine svolta in primo grado, confermi la decisione del primo giudice. In tal caso, le motivazioni della sentenza di primo grado e di quella di appello, fondendosi, si integrano a vicenda, confluendo in un risultato organico e inscindibile al quale occorre in ogni caso fare riferimento per giudicare della congruità della motivazione. In questa prospettiva, nella motivazione della sentenza, il giudice di appello non è tenuto a compiere un'analisi approfondita di tutte le deduzioni delle parti e a prendere in esame dettagliatamente tutte le risultanze processuali, essendo invece sufficiente che, anche attraverso una valutazione globale di quelle deduzioni e risultanze, spieghi logicamente le ragioni che hanno determinato il suo convincimento, dimostrando di avere tenuto presente ogni fatto decisivo, nel qual caso devono considerarsi implicitamente disattese le deduzioni difensive, che, anche se non espressamente confutate, siano logicamente incompatibili con la decisione adottata (Sez. VI, n.

49970 del 19/10/2012).

3.1. In particolare, deve rilevarsi innanzitutto come il ricorrente non si confronti con l'argomento decisivo messo in risalto nelle sentenze di merito circa la riconducibilità dell'attività distrattiva- svolta in concorso dall'imputato quale concorrente extraneus del nella concessione in affitto in suo favore dei due rami di azienda (biblioteca e annessa caffetteria) della fallita

costituenti l'intero asset societario di quest'ultima, di guisa che tale società veniva completamente svuotata dell'attivo, con evidente vulnus delle ragioni dei creditori. Peraltro, il giorno seguente l'affitto di azienda, il presentava istanza di auto fallimento, sicchè il curatore si trovava al momento dell'assunzione del suo incarico nella materiale impossibilità di far fronte ai debiti della fallita che all'epoca presentava un passivo di oltre 580.000,00 euro. Sul versante del è stato evidenziato, poi, come la compartecipazione al disegno criminoso distrattivo sia anche consistita nell'inadempimento delle obbligazioni assunte con il contratto di affitto (ossia con il mancato versamento della garanzia fideiussoria di euro 15.000,00 ed versamento di pochi canoni di affitto sino all' 1.2.2011 corrispondenti a primi due trimestri di contratto). Il d'altra parte, era perfettamente consapevole dello stato di decozione della fallenda società, avendo esaminato i bilanci della prima della stipula

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dell'affitto, ciò ricavandosi peraltro anche dalle dichiarazioni del Castelli esaminato ex art. 197 bis cp.p.p.

Sotto il versante del pregiudizio dei creditori derivato dall'attività di affitto in questione basta rilevare come al momento dell'affitto nel 2011, l'azienda " aveva un valore globale di circa 450.000,00 euro, di cui 120.000,00 la biblioteca, mentre 330.000,00 la caffetteria, come da relazione di stima effettuata, laddove nel 2015 tale valore risultava essere di circa 111.000,00 di cui 26.000,00 per la biblioteca e 85.000,00 per la caffetteria. Il curatore, poi, ebbe notevole difficoltà a rientrare nel possesso dei due rami di azienda, anche per la "cessione"

ulteriore dei medesimi rami di azienda, posta in essere dall'imputato quale legale rappresentante della in favore dell'

3.2. Nel contesto descritto, pertanto, senza illogicità la condotta del e del , in concorso tra loro, è stata correttamente ritenuta integrante un'attività distrattiva alla luce del principio più volte affermato da questa Corte, secondo cui ai fini della configurabilità del delitto di bancarotta fraudolenta per distrazione è sufficiente, nel caso di imprese sociali, qualunque operazione diretta a distaccare dal patrimonio sociale, senza immettervi il corrispettivo e senza alcun utile per il patrimonio sociale, beni ed altre attività in genere, così da impedirne l'apprensione da parte degli organi fallimentari, compiuta da chi abbia avuto in concreto l'effettivo potere di gestione della società poi dichiarata fallita, in quanto tale depauperamento si risolve in un pregiudizio per i creditori della società all'atto del fallimento (Rv. 209801; Sez.

5, n. 15679 del 05/11/2013, Rv. 262655). Inoltre, in tema di concorso nel delitto di bancarotta fraudolenta per distrazione, il dolo del concorrente "extraneus" nel reato proprio dell'amministratore consiste nella volontarietà della propria condotta di apporto a quella delrintraneus", con la consapevolezza che essa determina un depauperamento del patrimonio

sociale ai danni dei creditori, non essendo, invece, richiesta la specifica conoscenza del dissesto della società, la quale può rilevare sul piano probatorio, quale indice significativo della rappresentazione della pericolosità della condotta per gli interessi dei creditori (Sez. 5, n. 38731 del 17/05/2017, Rv. 271123).

3.3. Le deduzioni sviluppate dal ricorrente non si presentano in alcun modo idonee a scalfire le corrette valutazioni della Corte territoriale. Ed invero, le circostanze dedotte- secondo cui la dichiarazione di fallimento è intervenuta dopo soli 21 giorni dalla conclusione del contratto di affitto dei rami d'azienda e la risoluzione è stata avviata ad opera della curatela nel 2012- non si comprende quale ruolo giochino in relazione alla valutazione dei giudici di merito in merito al fatto che l'affitto suddetto ha svuotato di asset positivi la società e le modalità di stipula del contratto determinano l'assimilabilità di tale attività ad una distrazione. Anche a voler considerare il pagamento dei primi canoni, ciò non esclude la ricorrenza di un'attività distrattiva in considerazione dell'incongruenza del distacco dei suddetti asset, di rilevante valore, il giorno precedente la presentazione dell'istanza di fallimento, sottraendo così alla immediata disponibilità della curatela i beni dell'azienda con pregiudizio per i creditori. La curatela, infatti,

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con molta difficoltà è rientrata in possesso dei rami d'azienda a seguito del recesso dal contratto di locazione.

3.4. In proposito, va richiamato il principio secondo cui il distacco del bene dal patrimonio dell'imprenditore poi fallito (con conseguente depauperamento in danno dei creditori), in cui si concreta l'elemento oggettivo del reato di bancarotta fraudolenta patrimoniale, può realizzarsi in qualsiasi forma e con qualsiasi modalità, non avendo incidenza su di esso la natura dell'atto negoziale con cui tale distacco si compie, né la possibilità di recupero del bene attraverso l'esperimento delle azioni apprestate a favore della curatela. All'uopo è stato ritenuto che costituisce condotta idonea a integrare un fatto distrattivo, sussumibile nell'area di operatività dell' art. 216, comma 1, n. 1) L.Fall., l'affitto dei beni aziendali per un canone incongruo (Cass.

28 gennaio 1998, Sez. 5, n. 44891 del 09/10/2008, Rv. 241830).

3.5. Nel caso in esame non viene in considerazione la congruità o meno del canone di affitto pattuito tra il ed il , ma deve ritenersi distrattiva la complessiva operazione determinante la dismissione del patrimonio aziendale il giorno prima dell'istanza di auto fallimento, mediante un contratto di affitto che non si presentava in sè idoneo a garantire appunto il consistente patrimonio della

Tale conclusione, circa la evidente natura distrattiva del contratto di affitto, risulta peraltro, avvalorata anche a posteriori, stante l'inadempimento del contratto da parte del conduttore Piazzi, anche nella parte relativa alla presentazione della garanzia fideiussoria.

Dunque, la stipula di un contratto formalmente lecito -quale appunto dovrebbe ritenersi, come dedotto dal ricorrente, l'affitto di rami di azienda- per le sue modalità deve, invece, reputarsi, aver avuto natura concretamente distrattiva, avendo determinato il distacco di tutti i beni sociali, così da impedirne l'apprensione da parte degli organi fallimentari, senza alcun utile rilevante per il medesimo patrimonio sociale.

Nel descritto contesto è stato condivisibilmente ritenuto nella sentenza impugnata ultroneo il riferimento del ad un'attività "conservativa" del patrimonio aziendale avuta di mira dal con la stipula del contratto di affitto in questione, risultando tale riferimento smentito all'evidenza dalle modalità dei fatti.

4. Il ricorrente, poi, oltre che con il primo motivo di ricorso, deduce anche con gli ulteriori motivi che i giudici di merito avrebbero errato nell'attribuire valenza dimostrativa del concorso del i nell'attività inerte del ai fini del recupero dei crediti (canoni di affitto e polizza fideiussoria), essendo intervenuto nelle more il fallimento della società con conseguente difetto di legittimazione ad agire per il recupero ex art. 42 L.Fall. in capo al

Sul punto, tuttavia, deve evidenziarsi come il vrebbe dovuto richiedere prima del fallimento la garanzia fideiussoria dal e, comunque, lo spossessamento dei beni dell'imprenditore ex art. 42 I. fall., a seguito dell'instaurazione della procedura concorsuale, determina l'insorgere di doveri di collaborazione con la curatela che in questo caso sono inequivocabilmente mancati, come puntualmente rilevato dalla sentenza impugnata, che ha dato

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ampiamente conto della difficoltà incontrata dal curatore nel rientrare in possesso dei beni a seguito delle resistenze e dal complessivo comportamento del

5. Manifestamente infondata si presenta, altresì, la deduzione relativa alla mancata prova dell'arricchimento personale dell'amministratore, essendo tale profilo estraneo alla condotta di bancarotta fraudolenta per distrazione.

6.Del tutto generiche e, comunque, manifestamente infondate si presentano le deduzioni relative al capo b), per le quali va richiamato in premessa quanto evidenziato su 1.

L'argomentazione proposta nuovamente in questa sede, circa l'inefficienza dei professionisti coinvolti nella vicenda, che ben avrebbero potuto rendere edotta della non titolarità dell'azienda ceduta in capo al , non si presenta in alcun modo idonea a scalfire la responsabilità dell'imputato per il delitto di truffa ascrittogli, atteso che, come evidenziato senza illogicità dal primo giudice, non risultano acquisiti o specificamente addotti elementi per ritenere eliso il nesso di causalità tra i raggiri posti in essere dal P ei confronti dell'A

l'errore in cui cadde la persona offesa, la quale non ha mai nutrito dubbi in merito alla legittimazione dell'imputato.

7. In definitiva, il ricorso va dichiarato inammissibile e il ricorrente va condannato al pagamento delle spese processuali, nonché, trattandosi di causa di inammissibilità riconducibile a colpa della ricorrente al versamento, a favore della cassa delle ammende, di una somma che si ritiene equo e congruo determinare in Euro 3000,00, ai sensi dell'art. 616 c.p.p.

P.Q.M.

dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di euro tremila in favore della cassa delle ammende.

Così deciso il 6.10.2020

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dottssa f ri D'Angelo

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